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La giustizia sociale non è un tic

Il trucco è sempre lo stesso: qualcuno chiede giustizia sociale (soprattutto chi di ingiustizia sociale ci muore e si marcisce) e quegli altri rispondono che è un tic. Una volta sono gli antifascisti, una volta sono i giovani mai contenti, una volta sono le femministe nevrotiche, una volta sono i neri che vorrebbero essere bianchi, una volta sono gli stranieri che vogliono solo diritti, una volta sono i comunisti che vogliono dignità salariale, una volta sono i poveri che pretendono di essere ricchi, una volta sono i lavoratori che pretendono una giusta paga, una volta sono gli omosessuali che vorrebbero essere come gli altri, una volta sono i laici che pretendono troppo di essere laici, una volta sono i garanti che pretendono garanzie anche per gli assassini. È tutto così: chiedi un diritto e vieni etichettato come fronda, vieni messo nello scaffale di qualche associazione di idee e di persone e la richiesta di giustizia sociale viene trattata come il solito refrain da tralasciare com’è sempre stato tralasciato.

Il trucco è sempre lo stesso: normalizzare la mancanza di diritti come una situazione a cui non si può porre rimedio e come una conseguenza naturale di un modello che è l’unico possibile. Così mentre accade che negli Usa gli stranieri siano stanchi di un razzismo che oggi si è trasformato in profanazione socio economica qui da noi i subappaltatori dei rider di UberEats hanno l’impunità di dirci che i loro lavoratori  «sono africani perché gli italiani vogliono 2 mila euro al mese. Basta retorica del ‘poverini». Retorica dei poverini, eccolo il tic. E lo stesso vale per quelli che raccolgono la frutta nei campi.

La giustizia sociale non è un tic, no. E non è qualcosa che può essere coperta ogni volta invocando una guerra o una ribellione pericolosa. Quando negli Usa hanno ucciso George Floyd i bianchi vedendo le immagini hanno sospirato “oh, no” mentre i neri hanno pensato “è successo ancora”. Se avete la sensazione che su alcuni diritti “si continui a parlare sempre delle solite cose” è perché le solite cose non si sono mai risolte e sono ancora lì, a gridare vendetta.

Reclamate il diritto di essere perseveranti, giorno dopo giorno, goccia dopo goccia. Qualcuno vi additerà come noiosi e invece siete solo fedeli a voi stessi.

Buon giovedì.

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Bibbia in mano, mascherina abbassata: quei simboli branditi per coprire il vuoto politico

È un neo-simbolismo furioso e coprente, solo che copre il vuoto, copre il niente che c’è sotto e tutta una serie di commentatori finiscono per analizzare il cerotto dimenticandosi che sotto c’è il nulla. È un neo-simbolismo che attraversa la politica internazionale e si appiattisce sulla comunicazione veloce che è solo un vomito di spot (e no, non è colpa dei social, lancerebbero le loro tiritere anche solo nei dieci secondi montati in qualche tg nazionale, allo stesso modo) e che ha bisogno di rendersi riconoscibile. Qualcuno dice “indossate le mascherine” e loro non indossano le mascherine, qualcuno protesta dall’altra parte del mondo per un razzismo cancellato solo sulla carta e Trump risponde con i poliziotti a cavallo e la Bibbia in mano, qualcuno lamenta le morti nere in mare (che chissà perché valgono meno dei morti sotto le ginocchia) e qualcuno risponde sferragliando il rosario, alcuni dettano una regola e altri violano le regole rivendicando la violazione come eroico dissentimento.

Da Salvini con la mascherina abbassata a Bolsonaro che si assembra fino a Trump che invoca i proiettili, la politica di questi giorni è tutta una lava di gesti brevi e di metafore belliche che non rispondono a una che sia una delle questioni che sono sul tavolo. Trump risponde alla violenza invocando ancora più violenza e poi lamentandosi della violenza degli altri: rispondere a una questione complessa con uno spot di qualche parola è più da incapaci che irresponsabili. I Gilet Arancioni invocano un complotto mondiale ordito per mettere in scena una finta pandemia ma non si capisce chi ci stia guadagnato e che cosa: a domanda non rispondono, sono i soliti poteri forti. Bolsonaro in Brasile ci avvisa che tanto “moriremo tutti” prima o poi: mo’ me lo segno, grazie per l’illuminante rivelazione.

Dovunque si gratti non ci sono mai soluzioni, una che sia una. Esistono solo per contrapporsi senza nemmeno sentirsi in dovere di proporre un’alternativa. Chiedete a Trump, Salvini o Bolsonaro quale sia la via per vincere: l’eliminazione degli avversari. Solo quello, solo così, come dei ragazzini che giocano a battaglia navale sul tavolo della cucina. Vivono solo di riflesso dei loro nemici, se glieli togli balbetterebbero per ore di riforme che li mostrerebbe per quelli che sono: muri, condoni, preghiere mimate, sostegno ai più forti, calpestamento dei più deboli. Modelli economici impraticabili e culto di se stessi. Sono il niente mischiato con niente che usa i simboli per nascondere le proprie pudenda.

Leggi anche: 1. Per la Festa della Repubblica in piazza ci vanno i nemici della Repubblica (di Marco Revelli) / 2. Roma, gilet arancioni in piazza del Popolo senza protezioni. Pappalardo: “Abbracciatevi!”. Troupe di La7 aggredita in diretta 

L’articolo proviene da TPI.it qui

Non è andato tutto bene e qualcuno ne dovrà rispondere

Ad inizio marzo la Regione Lombardia dava il via libera al ricovero di pazienti Covid nelle case di riposo. In cui ora la situazione è fuori controllo e gli anziani continuano a morire

«Gli anziani morivano e a noi, nonostante l’evidenza dei sintomi, dicevano che si trattava solo di bronchiti e polmoniti stagionali»: sono le parole del delegato Cgil, Pietro La Grassa, a proposito del Pio Albergo Trivulzio, oltre milletrecento anziani ricoverati, il polo geriatrico più importante d’Italia. «Il risultato è che ora al Trivulzio abbiamo sette reparti isolati completamente e due vuoti perché non accettiamo più nuovi pazienti. Nella struttura di Merate novanta sono sotto osservazione. Al Principessa Jolanda di via Sassi due reparti sono in isolamento». E poi «quando l’epidemia non si poteva più nascondere, ci è arrivato l’ordine di non trasferire più i pazienti nel pronto soccorso dove di solito ricevono le cure necessarie», prosegue La Grassa, «il che di fatto significa: lasciateli morire nei loro letti. Niente tamponi, ci mandano allo sbaraglio».

«Chiederci di ospitare pazienti con i sintomi del Covid 19 è stato come accendere un cerino in un pagliaio: quella delibera della giunta regionale l’abbiamo riletta due volte, non volevamo credere che dalla Regione Lombardia potesse arrivarci una richiesta così folle»: lo dice Luca Degani, il presidente di Uneba Lombardia, l’associazione di categoria che mette insieme circa 400 case di riposo lombarde.

C’è una delibera della giunta Lombarda, la numero XI/2906, dell’8 marzo 2020, che chiedeva alle Ats, le aziende territoriali della sanità, di individuare nelle case di riposo dedicate agli anziani strutture autonome per assistere pazienti Covid 19 a bassa intensità. «Come potevamo accettare malati ai quali non era stato fatto alcun tampone né prima né dopo? Senza dire che il nostro personale sarebbe stato comunque a rischio. Si sono infettati medici e sanitari in strutture molto più attrezzate della nostra. Non ci hanno dato i dispositivi di protezione ma volevano darci i malati… insomma», racconta Degani.

Insomma no, non è andato tutto bene e sarebbe ora di smetterla di credere che il giornalismo debba solo celebrare la retorica del state tutti a casa e del si è fatto tutto il possibile. Questi fatti sono avvenuti nella Lombardia che ogni giorno ci tiene a fare la voce grossa contro il governo. E indovinate un po’ chi aveva proposto lo scudo penale in difesa dei dirigenti sanitari lombardi? Sì, proprio la Lega, quello stesso partito che in Lombardia governa e nomina i dirigenti. Accadeva tutto mentre Salvini cercava di distogliere l’attenzione sostituendosi al papa e chiedendo l’apertura delle chiese a Pasqua. E intanto avveniva questa porcata.

No, non è andato tutto bene e qualcuno dovrà risponderne. Perché quando si poserà la polvere dell’emergenza sarebbe il caso che ognuno si assuma le proprie responsabilità. Ognuno.

Buon lunedì.

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Alla faccia di qualcuno, l’Arma e Cucchi

«Abbiamo la vostra stessa impazienza che su ogni aspetto della morte di Suo fratello si faccia piena luce e che ci siano infine le condizioni per adottare i conseguenti provvedimenti verso chi ha mancato ai propri doveri e al giuramento di fedeltà». L’ha scritto, in una lettera recapitata a Ilaria Cucchi, il generale dei carabinieri Giovanni Nistri preannunciando la costituzione di parte civile dell’Arma nel processo e, di fatto, annunciando la messa da parte degli eventuali colpevoli che risulterebbero così indegni di indossare la divisa e ovviamente in dovere di risarcire economicamente l’infangamento dell’Arma dei carabinieri.

Quella lettera, oltre ad essere ovviamente un’ottima notizia e balsamo solidale per Ilaria Cucchi smentisce di fatto due malsane dicerie che giravano da un pezzo e che meritano di essere smontate.

Primo: l’Arma non è una corporazione in cui sono tutti bravi, belli e puliti oppure sono tutti criminali, sporchi e cattivi. Come tutte le comunità hanno mele marce (come per i commercialisti, gli scrittori, i geometri e qualsiasi altra categoria professionale) e il giochetto di difenderli a spada tratta non sta in piedi, no. Quindi per tutti quelli che insistono nel dire “io sto con i carabinieri” la costituzione dell’Arma come parte civile dimostra che invece bisognerebbe stare con le vittime. I carabinieri non hanno bisogno di sindacalisti senza senso della realtà né tra i politici né tra i commentatori Facebook.

Secondo: che piaccia o no Stefano Cucchi non doveva morire. Se poi per qualcuno se l’è meritato è qualcosa che vi gestite con la vostra coscienza (se ne avete). Non deve morire nessuno nel momento in cui è affidato alle mani dello Stato e questo spirito vendicativo non ha niente a che vedere con il diritto e la giustizia.

Volendo ce n’è anche un terzo: la costituzione civile dell’Arma dei carabinieri dimostra che sì, Ilaria Cucchi ha cercato a tutti i costi visibilità. Visibilità che è servita a disseppellire una storia che più di qualcuno voleva mettere a tacere.

Buon martedì.

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