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Le macerie della pandemia nel mondo sono i bambini

Scusate se mi permetto di non seguire la polemica di qualche presidentessa di regione che cerca di lucrare su qualche decina di migranti, mi pare davvero troppo spendere qualche riga per una regione con un sistema sanitario completamente devastato dalla politica che si preoccupa di degli arrivi via mare mentre invoca a piene mani e senza controlli quelli via terra, ma ieri è uscito un rapporto di Save The Children che merita attenzione perché parla di un argomento che sfugge da qualsiasi discussione dei cosiddetti grandi del mondo e che rende perfettamente l’impatto della pandemia nel futuro un po’ più largo della visione del nostro semplice quartiere.

Dice il rapporto ‘Save our education – Salvate la nostra educazione’ che a oggi nel mondo sono 1,2 miliardi gli studenti colpiti dalla chiusura delle scuole e che la crisi provocata dal Covid-19 potrebbe costringere almeno 9,7 milioni di bambini a lasciare la scuola per sempre entro la fine di quest’anno, mentre milioni di altri bambini avranno gravi ritardi nell’apprendimento.

L’indice prende in considerazione in particolare tre parametri: il tasso di abbandono scolastico precedente all’emergenza, le diseguaglianze di genere e di reddito tra i bambini che lasciavano la scuola e il numero di anni di frequenza scolastica. L’analisi di questo indice mette in evidenza come in 12 paesi – Niger, Mali, Ciad, Liberia, Afghanistan, Guinea, Mauritania, Yemen, Nigeria, Pakistan, Senegal e Costa d’Avorio – il rischio di incremento di abbandono scolastico sia estremamente elevato. Anche in questo caso sono le donne quelle che rischiano di subire di più: sono 9 milioni le bambine in età di scuola primaria che rischiano di non mettere mai piede in una classe, a fronte di 3 milioni di bambini.

Ha detto Inger Ashing, ceo di Save the Children: «Circa 10 milioni di bambini potrebbero non tornare mai a scuola: si tratta di un’emergenza educativa senza precedenti. Proprio per questo i governi devono investire urgentemente nell’apprendimento, mentre al contrario siamo a rischio di impareggiabili tagli di bilancio, che vedranno esplodere le disparità esistenti tra ricchi e poveri e tra ragazzi e ragazze. Sappiamo che i bambini più poveri ed emarginati che erano già i più a rischio hanno il danno maggiore, senza accesso all’apprendimento a distanza o qualsiasi altro tipo di istruzione, per metà dell’anno accademico».

È qualcosa di spaventosamente mostruoso, una di quelle situazione di cui non ci occupiamo perché ci appare così grande rispetto ai nostri piccoli problemi locali e che poi invece torna qui, sulle nostre coste. No?

Buon martedì.

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Il reddito di quarantena

È apprezzabilissimo lo sforzo di chi ogni giorno ci ricorda che rimanere a casa sia la soluzione più immediata e più intelligente per sconfiggere il coronavirus ed è apprezzabilissimo lo sforzo del governo che ci ripete di evitare gli spostamenti e i contatti sociali. Ci sono anche questi bei video, di influencer e testimonial, che ci invitano a leggere un libro (il loro, magari) o ascoltare buona musica (la loro) e lo fanno dai loro bei salotti. State a casa, dicono. Stiamo a casa.

Ma gli operai? Quelli non possono mica portarsi a casa un pezzo della linea di produzione, non esiste la catena di montaggio a domicilio. Anzi, volendo vedere si fatica anche non poco a mantenere le disposizioni di sicurezza dentro la fabbrica. E quelli (e sono tantissimi) che se non lavorano non guadagnano? Prendete le ferie!, dicono. Sì, ciao. Le Partite Iva le ferie se le sognano, per loro le ferie significa semplicemente non fatturare. E quelli che ne stanno approfittando per licenziare usando la scusa del coronavirus? Ne vogliamo parlare?

È vero che stare. casa significa rendersi conto che non si vive solo di diritti ma quelli che hanno l’inderogabile dovere di uscire? Di prendere i mezzi pubblici? Quelli li diamo per persi? È gente che va a lavorare per mantenersi e per mantenere la famiglia, che si fa?

E quelli che stanno perdendo il lavoro? E quelli che hanno un negozio e non vendono e comunque alla fine del mese devono pagare le tasse e l’affitto?

Insomma, c’è un sottobosco (forse più ampio del bosco) di cui si dovrebbe parlare di più. Sono quelli già sconfitti dal coronavirus perché sono già allo stremo. Se lo Stato impone una misura dovrebbe sapere che ci vuole qualcuno che paghi il danno di quella misura. E guarda un po’ è lo Stato.

Qualcuno ci ha pensato al reddito di quarantena?

Buon mercoledì.

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Non il reddito: il salario, di cittadinanza

Il governo spagnolo ha aumentato del 5,5% il salario minimo: era uno dei più bassi in Europa, l’aumento porta la remunerazione a 950 euro per 14 mensilità. L’ambizione del governo, che nei giorni scorsi aveva annunciato anche un aumento delle pensioni, è quella di fissare il salario minimo al 60% dello stipendio medio entro la fine del mandato, il che equivarrebbe in termini pratici a circa 1.200 euro. In Francia Macron (sempre contestato perché in Francia hanno questa abitudine di manifestare facendo qualcosa in più di lagnarsi sui social) è stato costretto a ritoccarlo al rialzo: il salario minimo è di 1.521 euro. La Germania ha introdotto il salario minimo da poco e l’anno scorso l’ha ritoccato verso l’alto.

L’Italia? In Italia ogni volta che si discute di un salario minimo sembra che debba cascare il mondo. E non è un caso che siamo uno dei pochi Paesi europei a non avere un salario minimo. Forse varrebbe la pena considerare che la dignità passa attraverso un reddito dignitoso, benché questi ci vogliano convincere che bastino belle parole e buoni propositi.

In Europa si continua ad assistere a governi che hanno il coraggio di prendere decisioni che qui da noi risultano impraticabili. Se qui qualcuno proponesse un salario minimo ci sarebbe una schiera di politici amici di certa imprenditoria che ci disegnerebbe un futuro nero e un’invasione delle cavallette.

Non so se vi accorgete che su molti temi che qui vengono blindati con la solita frammetta del “non c’è alternativa” le alternative invece continuano a esserci e essere praticate nel resto del mondo. Forse ci sarebbe proprio bisogno di un partito che rilanci sul salario minimo per i lavoratori, sul diritto alla casa e su tutte quelle cose che negli ultimi anni sembrano diventate antiquariato politico (perché sono stati bravissimi a convincerci che è così) e che invece disegnerebbero un Paese attento davvero ai più poveri. Forse sarebbe anche un argomento su cui si potrebbe ritrovare la maggioranza che è al governo.

Ma ci hanno insegnato a fare sogni bassi, piccoli, stretti stretti.

Avanti così.

Buon giovedì.

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È la scuola il vero reddito di cittadinanza


La parete di una scuola in provincia di Napoli crolla come cartapesta. Lo stato delle scuole, nonostante le diverse promesse dei diversi governi rimane pietoso con una grave carenza soprattutto in Meridione. Allora la domanda, forse la provocazione è: e se fossero davvero le scuole a essere l’unico reddito di cittadinanza di cui abbiamo bisogno?
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Reddito cittadinanza, il razzismo dei pochi fortunati lavoratori contro l’uomo sul divano


Dirò di più: sono sempre dalla parte della ridistribuzione del denaro in un mondo in cui il ricco continua ad arricchirsi e i poveri diventano sempre più poveri. Sarò sempre dalla parte di uno Stato che non ti affossa perché l’età anagrafica, la condizione sociale o semplicemente i fortunati casi della vita hanno fatto di te un relitto produttivo, uno scarto del mercato e un cittadino percepito come un fastidioso costo.
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Se per Boschi e PD deridere i poveri sul reddito di cittadinanza significa fare opposizione

“Dice Di Maio che col reddito di cittadinanza da oggi cambia lo Stato Sociale. La colonna sonora infatti diventa ‘Una vita in vacanza’” ha twittato ieri l’ex ministra Maria Elena Boschi per attaccare il nuovo reddito di cittadinanza carato dal governo. E in quella frase, seppure breve, ci sono tutti gli errori del PD degli ultimi anni. Il mio articolo per Fanpage è qui:

https://www.fanpage.it/se-per-boschi-e-pd-deridere-i-poveri-sul-reddito-di-cittadinanza-significa-fare-opposizione/

In attesa del reddito ecco il crocifisso di cittadinanza

Non è una tattica nuova, no, nessuna novità: la boiata dell’imposizione del crocifisso la Lega (anche prima di essere Lega Noi con Salvini per evitare il disturbo di restituire 49 milioni di euro) l’ha usata diffusamente nelle Regioni, nei consigli comunali per spostare il dibattito da ciò che avrebbe dovuto fare un feticcio qualsiasi per abbeverare la pancia del suo popolo. Come l’ampolla del Po o l’iconologia vichinga anche il crocifisso di cui parla Matteo Salvini è solo un oggetto, una patacca da rifilare ai turisti sprovveduti (che tra l’altro in questo caso sono i cittadini del Paese che dovrebbe governare), un souvenir a basso costo per farci sapere che ci ha dedicato un pensiero durante il suo lungo viaggio di piacere sotto forma di campagna elettorale permanente.

Non cadete nel tranello: il crocifisso di Salvini non ha nulla a che vedere con i valori che i credenti gli attribuiscono. È una mazza ferrata antropomorfa da brandire ancora una volta contro qualcuno, è una paletta scaccia mosche per zittire le domande sulle promesse che non potrà mantenere, è un ventaglio utile per alzare fumo.

I valori che erroneamente vengono discussi ogni volta che la Lega ritira fuori il jolly del crocifisso sono traditi dall’operato del ministro dell’Interno in ogni tweet, in ogni intervista, in ogni proclama e nelle poche propagandistiche azioni che ha compiuto da quando è al governo. Parlare di valori cristiani in risposta a Salvini significa accreditare qualità umane (prima ancora che attinenti a qualsiasi religione) che non ha, significa legittimarlo nel suo insistere ad arruffare il popolo.

Il crocifisso è il paravento per le accise della benzina che avevano promesso di togliere e non toglieranno, è la sabbia sotto cui nascondere il Tav e Tap che si faranno nonostante le promesse in campagna elettorale, è il tappeto per coprire il reddito di cittadinanza che non ha coperture economiche, è l’incapacità di rispettare la laicità dello Stato per provare a rabbonire qualche cattolico.

Il crocifisso, laicissimo e umano, è comparso ieri sulla spiaggia di Crotone dove i bagnanti si sono indaffarati per tutta la giornata soccorrendo 54 profughi lasciati alla deriva, dove lo spirito Magno Greco che usava una sola parola per indicare lo straniero e l’ospite è ancora vivo.

Lasciate a Salvini il suo giocattolo. E segnatevi tutte le promesse non mantenute, piuttosto.

Buon mercoledì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/07/25/in-attesa-del-reddito-ecco-il-crocifisso-di-cittadinanza/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Ma i 180 milioni di euro che la Lega ha preso (e speso indebitamente) da Roma ladrona?

(Un pezzo di Francesco Giurato e Antonio Pitoni per Il Fatto Quotidiano)

Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord, transitando dalla prima alla seconda repubblica a suon di miliardi (di lire) prima e milioni (di euro) poi generosamente elargiti dallo Stato. Dal 1988 al 2013sono finiti nelle casse del partito fondato da Umberto Bossi e oggi guidato da Matteo Salvini, dopo la parentesi di Roberto Maroni, 179 milioni 961 mila. L’equivalente di 348 miliardi 453 milioni 826 mila lire. Una cuccagna, sotto forma di finanziamento pubblico e rimborsi elettorali, durata oltre un quarto di secolo. Ma nonostante l’ingente flusso di denaro versato nei conti della Lega oggi il piatto piange. Ne sanno qualcosa i 71 dipendenti messi solo qualche mese fa gentilmente alla porta dal Carroccio. Sorte condivisa anche dai giornalisti de “La Padania”, storico organo ufficiale del partito, che ha chiuso i battenti a novembre dell’anno scorso non prima, però, di aver incassato oltre 60 milioni di euro in 17 anni. Insomma, almeno per ora, la crisi la pagano soprattutto i dipendenti. In attesa che la magistratura faccia piena luce anche su altre responsabilità. A cominciare da quelle relative allo scandalo della distrazione dei rimborsi elettorali, che l’ex amministratore della Lega Francesco Belsito avrebbe utilizzato in parte per acquistare diamanti, finanziare investimenti tra Cipro e la Tanzania  e per comprare, secondo l’accusa, perfino una laurea in Albania al figlio prediletto del Senatùr, Renzo Bossi, detto il Trota. Vicenda sulla quale pendono due procedimenti penali, uno a Milano e l’altro a Genova.

MANNA LOMBARDA Fondata nel 1982 da Umberto Bossi, è alle politiche del 1987 che la Lega Lombarda, precursore della Lega Nord, conquista i primi due seggi in Parlamento. E nel 1988, anno per altro di elezioni amministrative, inizia a beneficiare del finanziamento pubblico: 128 milioni di lire (66 mila euro). Un inizio soft prima del balzo oltre la soglia del miliardo già nel 1989, quando riesce a spedire anche due eurodeputati a Strasburgo: 1,03 miliardi del vecchio conio (536 mila euro) di cui 906 milioni proprio come rimborso per le spese elettorali sostenute per le elezioni europee. Somma che sale a 1,8 miliardi lire (962 mila euro) nel 1990, per poi scendere a 162 milioni (83 mila euro) nel 1991 alla vigilia di Mani Pulite. Nel 1992 la Lega Lombarda, diventata proprio in quell’anno Lega Nord, piazza in Parlamento una pattuglia di 55 deputati e 25 senatori. E il finanziamento pubblico lievita a 2,7 miliardi di lire (1,4 milioni di euro) prima di schizzare, l’anno successivo, a 7,1 miliardi (3,7 milioni di euro). Siamo nel 1993: sulla scia degli scandali di tangentopoli, con un referendum plebiscitario (il 90,3% dei consensi) gli italiani abrogano il finanziamento pubblico ai partiti. Che si adoperano immediatamente per aggirare il verdetto popolare, introducendo il nuovo meccanismo del fondo per le spese elettorale (1.600 lire per ogni cittadino italiano) da spartirsi in base ai voti ottenuti. Un sistema che resterà in vigore fino al 1997 e che consentirà alla Lega di incassare 11,8 miliardi di lire (6,1 milioni di euro) nel 1994, anno di elezioni politiche che fruttano al Carroccio, grazie all’alleanza con Forza Italia, una pattuglia parlamentare di 117 deputati e 60 senatori. Nel 1995 entrano in cassa 3,7 miliardi (1,9 milioni di euro) e altri 10 miliardi (5,2 milioni di euro) nel 1996.

RIMBORSI D’ORO L’anno successivo, nuovo maquillage per il sistema di calcolo dei finanziamenti elettorali. Arriva «la contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici», che lascia ai contribuenti la possibilità di destinare il 4 per mille dell’Irpef(Imposta sul reddito delle persone fisiche) al finanziamento di partiti e movimenti politici fino ad un massimo di 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro). Non solo, per il 1997, una norma transitoria ingrossa forfetariamente a 160 miliardi di lire (82,6 milioni di euro) la torta per l’anno in corso. E, proprio per il ’97, per la Lega arrivano 14,8 miliardi di lire (7,6 milioni di euro) che scendono però a 10,6 (5,5 milioni di euro) iscritti a bilancio nel 1998. Un campanello d’allarme che suggerisce ai partiti l’ennesimoblitz normativo che, puntualmente, arriva nel 1999: via il 4 per mille, arrivano i rimborsi elettorali (che entreranno in vigore dal 2001). In pratica, il totale ripristino del vecchio finanziamento pubblico abolito dal referendum del 1993 sotto mentite spoglie: contributo fisso di 4.000 lire per abitante e ben 5 diversi fondi (per le elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli regionali, e per i referendum) ai quali i partiti potranno attingere. Con un paletto: l’erogazione si interrompe in caso di fine anticipata della legislatura.

ELEZIONI, CHE CUCCAGNA Intanto, sempre nel 1999, per la Lega arriva un assegno da 7,6 miliardi di lire (3,9 milioni di euro), cui se ne aggiungono altri due da 8,7 miliardi (4,5 milioni di euro) nel 2000 e nel 2001. E’ l’ultimo anno della lira che, dal 2002, lascia il posto all’euro. E, come per effetto dell’inflazione, il contributo pubblico si adegua alla nuova valuta: da 4.000 lire a 5 euro, un euro per ogni voto ottenuto per ogni anno di legislatura, da corrispondere in 5 rate annuali. E per la Lega, tornata di nuovo al governo nel 2001, è un’escalation senza sosta: 3,6 milioni di euro nel 2002, 4,2 nel 2003, 6,5 nel 2004 e 8,9 nel 2005. Una corsa che non si arresta nemmeno nel 2006, quando il centrodestra viene battuto alle politiche per la seconda volta dal centrosinistra guidato da Romano Prodi: nonostante la sconfitta, il Carroccio incassa 9,5 milioni e altri 9,6 nel 2007. Niente a confronto della cuccagna che inizierà nel 2008, quando nelle casse delle camicie verdi finiscono la bellezza di 17,1 milioni di euro.

CARROCCIO AL VERDE E’ l’effetto moltiplicatore di un decreto voluto dal governo Berlusconi in base al quale l’erogazione dei rimborsi elettorali è dovuta per tutti i 5 anni di legislatura, anche in caso discioglimento anticipato delle Camere. Proprio a partire dal 2008, quindi, i partiti iniziano a percepire un doppio rimborso, incassando contemporaneamente i ratei annuali della XV e della XVI legislatura. Nel 2009 il partito di Bossi sale così a 18,4 milioni per toccare il record storico con i 22,5 milioni del 2010. Anno in cui, sempre il governo Berlusconi, abrogherà il precedente decreto ponendo fine allo scandalo del doppio rimborso. E anche i conti della Lega ne risentiranno: 17,6 milioni nel 2011. La cuccagna finisce nel 2012 quando il governo Monti taglia il fondo per i rimborsi elettorali del 50%. Poi la spallata finale inferta dall’esecutivo di Enrico Letta che fissa al 2017 l’ultimo anno di erogazione dei rimborsi elettorali prima della definitiva scomparsa. Per il Carroccio c’è ancora tempo per incassare 8,8 milioni nel 2012 e 6,5 nel 2013. Mentre “La Padania” chiude i battenti e i dipendenti finiscono in cassa integrazione.

FINANZIAMENTI E RIMBORSI ELETTORALI ALLA LEGA NORD

(1988-2013)

1988 € 66.249,25 (128.276.429 lire)
1989 € 536.646,25 (1.039.092.041 lire)
1990 € 962.919,55 (1.864.472.246 lire)
1991 € 83.903,87 (162.460.547 lire)
1992 € 1.416.991,83 (2.743.678.776 lire)
1993 € 3.707.939,87 (7.179.572.723 lire)
1994 € 6.125.180,49 (11.860.003.225 lire)
1995 € 1.915.697,39 (3.709.307.393 lire)
1996 € 5.207.659,00 (10.083.433.932 lire)
1997 € 7.648.834,36 (14.810.208.519 lire)
1998 € 5.518.448,11 (10.685.205.533 lire)
1999 € 3.947.619,62 (7.643.657.442 lire)
2000 € 4.539.118,41 (8.788.958.807 lire)
2001 € 4.511.422,19 (8.735.332.610)
2002 € 3.693.849,60
2003 € 4.284.061,62
2004 € 6.515.891,41
2005 € 8.918.628,37
2006 € 9.533.054,95
2007 € 9.605.470,43
2008 € 17.184.833,91
2009 € 18.498.092,86
2010 € 22.506.486.93
2011 € 17.613.520,09
2012 € 8.884.218,85
2013 € 6.534.643,57

TOTALE 179.961.382,78