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roberto formigoni

Impuniti e sfacciati

formigoni-lupi-ape10È stato immortalato quando, da presidente della Lombardia, morbidamente si abbronzava a bordo dello yacht dell’amico imprenditore, casualmente in affari con la Regione, ma oggi Roberto Formigoni è un uomo nuovo, anzi antico e con dedizione democristiana gestisce il mercato dei ministeri. Sentitelo mentre soppesa dicasteri e poltrone con la stessa oculatezza della brava massaia che alle prese con peperoni e melanzane bada a non farsi fregare: “Ci va restituito il ministero delle Infrastrutture oppure uno di pari peso politico oppure tre ministeri di grado inferiore: con Affari regionali, Pari opportunità e Università potremmo chiudere”.

Ovvio che se avanza un cavolfiore, anche senza portafoglio, se lo pappa lui. Questi Ncd sono davvero impagabili (nel senso letterale) per la tenacia con cui non mollano l’osso. L’ex ministro Lupi non ha ancora finito di traslocare dai Lavori Pubblici con i Rolex e gli abiti di sartoria gentilmente offerti da zio Frank Cavallo e subito mandano avanti il Celeste a battere cassa, manuale Cencelli alla mano. Per essi la reputazione non vale un sottosegretario e del resto non devono difenderla perché non l’hanno mai avuta.

Pensano che sia tutta roba loro e infatti ne pretendono la ‘restituzione’. Nell’andare all’incasso non hanno preferenze perché dalle regioni agli atenei sono all’oscuro di tutto purché gli vengano assicurata una segreteria, un capitolo di bilancio e un paio di auto blu. Parlano come mangiano: “Non ci accontenteremo delle briciole”, dice non a caso Quagliariello, che è l’intellettuale del gruppo.

(Antonio Padellaro, Da ‘Stoccata e Fuga’, il Fatto Quotidiano, 28 marzo 2015)

In Regione Lombardia il prete pedofilo partecipa al convegno sulla famiglia

Ha scatenato polemiche sui social la presenza di don Mauro Inzoli, ex parroco accusato di abusi sui minori, al quale l’anno scorso la Santa Sede aveva imposto il ritiro a vita privata. Il parroco, come si vede nella foto in alto, era seduto sabato 17 in seconda fila al Pirellone nel Convegno organizzato dalla Regione Lombardia per tutelare i valori «della famiglia tradizionale». Convegno accusato di omofobia e che ha provocato reazioni indignate tra le associazioni per la difesa dei diritti civili e degli omosessuali. L’ex parroco sedeva proprio dietro il presidente della Regione , Roberto Maroni , il senatore Roberto Formigoni, il presidente del Consiglio Raffaele Cattaneo e l’assessore alla Cultura, Cristina Cappellini. Il primo a denunciare la presenza di don Inzoli al convegno è stato il deputato di Sinistra Ecologia Libertà Franco Bordo che ha riconosciuto il sacerdote della sua città, Crema, nelle foto pubblicate dai quotidiani. Era stato Bordo a presentare un anno fa un esposto alla procura che ha aperto un’inchiesta e ha avviato una rogatoria con lo stato Vaticano. «Proprio un bel quadretto familiare», è il commento indignato del parlamentare di Sel che appare su Twitter.

Personaggio molto noto – punto di riferimento di «Comunione e Liberazione» in Lombardia, fondatore del Banco Alimentare e dell’Associazione della Fraternità – noto per una vita di lussi eccessivi, tra auto, sigari e ristoranti alla moda (lo chiamavano Don Mercedes) il sacerdote, 64 anni, l’anno scorso era stato invitato a una vita di preghiera e di riservatezza, come conseguenza dei reati a lui contestati.

La Santa Sede gli aveva prescritto di sottostare ad alcune restrizioni, la cui inosservanza avrebbe comportato la dimissione dallo stato clericale. «Don Mauro», era stato l’obbligo prescritto « non potrà celebrare in pubblico l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, né predicare, ma solo celebrare l’Eucaristia privatamente. Non potrà svolgere accompagnamento spirituale nei confronti dei minori o altre attività pastorali, ricreative o culturali che li coinvolgano».

(clic)

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Gli inetti (e ladri) di CL: Giuseppe Biesuz

Anche se sono passati mesi in Lombardia continua a gocciolare il formigonismo e i suoi sodali:

Ma come li scelgono i manager pubblici, nella Milano “del fare”? Metti per esempio Giuseppe Biesuz, ciellino, grande amico di Marcello Dell’Utri, messo ai vertici delle Ferrovie Nord da Roberto Formigoni, presidente (uscente) della Regione Lombardia. Nei giorni scorsi sono avvenuti, in contemporanea, due fatti. Uno: il sistema delle Nord è andato in tilt, con treni in ritardo di ore, viaggi soppressi, migliaia di pendolari bloccati, utenti inferociti. Due: l’amministratore delegato Biesuz è stato arrestato.

Nessun nesso tra i due accadimenti. Biesuz è stato posto agli arresti domiciliari per la bancarotta di una sua società, da cui era uscito (almeno formalmente) nel 2008, la Urban Screen. Doveva gestire un enorme schermo in piazza del Duomo, a Milano, per trasmettere eventi (le partite degli Europei, per esempio), assieme a notizie e pubblicità. Doveva essere un affare per il Comune (sindaco Letizia Moratti) e invece è stato un affare solo per Biesuz che dalla Urban Screen ha spremuto soldi per sé e per gli amici. Mentre l’azienda andava in malora, l’ineffabile manager si portava a casa 120 mila euro di compenso come amministratore, 108 mila li dava alla moglie a fronte di fatture per operazioni inesistenti e poi succhiava denari per farsi auto di grossa cilindrata, per weekend, viaggi a New York, perfino per i tendaggi di casa.

Un bel po’ di soldi (sempre della società) li distribuisce ad amici e sodali: 4.500 euro li devolve per cene elettorali di An, 18 mila li impiega per fare pubblicità all’ex assessore Maurizio Cadeo (Pdl), 15 mila li fa arrivare al comitato elettorale di Marco Mariani (Forza Italia), ex sindaco di Monza. Biesuz se ne va da Urban Screen lasciando in azienda un buco di ben 2,5 milioni di euro e un ente pubblico, il Comune di Milano, in braghe di tela. Eppure viene subito premiato da Formigoni con la poltrona di amministratore delegato delle Ferrovie Nord. (fonte)

Expo 2015: la confessione di Sala e la Grande Bugia

GIUSEPPE SALADice Sala, commissario unico della società che gestisce Expo 2015:

 “Io mi riconosco due errori – afferma -Non aver capito quello stava facendo Paris (Angelo Paris, direttore generale di Expo fino all’arresto dell’8 maggio, ndr) e non essermi impuntato quattro anni fa, quando avrei voluto affidare appalti e lavori a un general contractor esterno, da scegliere con una gara internazionale. E invece mi lasciai imporre da Formigoni e Moratti Infrastrutture Lombarde e Mm“.

La confessione è importante: dichiara che nonostante le scatole cinesi la politica (senza confronto politico quindi senza politica) avevano già deciso il finale. Cioè: i cittadini sono solo spettatori inermi e scemi.

Expo, Milano, Pisapia

Comunque la si pensi vale la pena leggere le riflessioni di Guido Viale su Il Manifesto:

Come per De Magi­stris, Zedda e Doria anche il sin­daco Pisa­pia era stato eletto sull’onda di una mobi­li­ta­zione straor­di­na­ria per par­te­ci­pa­zione, entu­sia­smo, crea­ti­vità. Pisa­pia doveva porre fine alle male­fatte di Leti­zia Moratti. E tra quelle tante male­fatte la peg­giore è senz’altro l’Expò: un “Grande evento” fatto di “Grandi Opere” che non hanno alcuna giu­sti­fi­ca­zione se non distri­buire com­messe, incas­sare tan­genti e tenere in piedi un comi­tato di affari impre­gnato di cor­ru­zione e di mafia che aveva già deva­stato la città per anni. Si badi bene: le tan­genti sono una con­se­guenza e non la causa.
Se ci fos­sero solo le tan­genti, il ter­ri­to­rio non ne rice­ve­rebbe danni irre­pa­ra­bili. Il vero danno sono le Grandi opere, la deva­sta­zione del ter­ri­to­rio e delle rela­zioni sociali; e il modello di busi­ness di cui sono frutto, fon­dato sull’indifferenza per le esi­genze delle comu­nità locali, sullo stra­po­tere di ban­che e finanza, sul subap­palto del subap­palto, che apre le porte alle mafie, sul pre­ca­riato (e ora anche sul lavoro gra­tuito) che hanno fatto dell’Expò il labo­ra­to­rio dell’Italia di Renzi; e, ovvia­mente, anche sulla corruzione.

Avendo ere­di­tato l’Expò dalla Moratti, Pisa­pia si era impe­gnato a ren­derla comun­que meno pesante pos­si­bile. Ma ha tra­dito quel man­dato. Non è in discus­sione la sua one­stà, né la sua buona fede; lo sono le sue scelte. Appena inse­diato è stato tra­sci­nato a Parigi da For­mi­goni per sot­to­scri­vere gli impe­gni con l’Ufficio Inter­na­zio­nale dell’Expò. Da allora l’Expò ha preso il posto dei pro­getti pre­sen­tati in cam­pa­gna elet­to­rale, alcuni dei quali san­citi dalla vit­to­ria di sei refe­ren­dum cit­ta­dini (senza seguito). E con l’Expò ha comin­ciato a dis­sol­versi quell’ondata di entu­sia­smo e di spe­ranze che aveva por­tato Pisa­pia in Comune.

La sensazione è che non si sia riusciti ad andare oltre alla “buonista” narrazione di un Expo diverso da quello che si temeva e poi alla fine è diventato. Certo Pisapia è rimasto incastrato tra Formigoni prima e Maroni poi ma di una netta posizione di dissenso non se n’è mai sentito il profumo. E oggi vale la pena riconsiderare addirittura gli allarmi di Boeri. Questo EXPO così com’è non era nella testa di chi ha votato la giunta milanese e questo è un fatto politico.

Sfacciati, impuniti, eppur sopportati

Io mi chiedo quando si smetterà di affidarsi a tutti i costi ad una “moderazione” politica che suona quasi come collusione con questa feccia che tiene da decenni sotto scacco in Lombardia. Le parole di Mantovani durante il suo comizio nella città di Arconate evidenziano la solita arroganza di una classe dirigente che è la solita da Formigoni a scendere. Nonostante risulti chiaro che Maroni sia garante di vecchi equilibri e soliti modi sembra che perduri un atteggiamento di tolleranza (se non addirittura di “credibilità politica”) da parte del centrosinistra: le solite buone maniere che (si può dire?) hanno portato alla sconfitta elettorale alle ultime elezioni regionali (“bruciando” tra l’altro una persona validissima come Umberto Ambrosoli) e che sembrano sempre di più sclerotizzate nelle proprie posizioni. Quanto somiglia al suo EXPO questa Lombardia.

Le parole di Mantovani:

“Ho trovato tanti posti di lavoro. Adesso per esempio ho nelle mie disponibilità, perché voi me le avete consentite eleggendomi in Regione Lombardia, anche di segnalare delle persone. Ho bisogno di direttori generali, ho bisogno di persone che me lo chiedono. Anche lo Stomatologico di Milano me lo sta chiedendo. Io… come prima cosa mi vien da segnalare la gente di Arconate”.

La (prevista) brutta fine di Massimo Ponzoni

L’ennesimo pezzo di formigonismo e di brutta Lombardia che ha impunemente governato per anni:

formigoni_ponzoniEra stato mister 11mila voti, rimasto potente nonostante la perdita della carica di assessore e con l’aspirazione a ottenere una “delega per i lavori dell’Expo 2015″. Poi per Massimo Ponzoni, ex assessore regionale della Lombardia ed ex segretario dell’ufficio di presidenza in era Formigoni, era arrivata un’ordinanza di custodia cautelare. Era il gennaio del 2012 e oggi a poco più di due anni dalla sua consegna agli uomini della Guardia di Finanza è arrivata la sentenza di primo grado: una condanna a dieci anni e sei mesi di reclusione messo dai giudici del Tribunale di Monza.

A Ponzoni venivano contestati la corruzione, la concussione e bancarotta fraudolenta nell’ambito del ‘crac Pellicano’, la società immobiliare con sede a Desio di cui l’allora assessore era socio, dichiarata fallita dal tribunale di Monza per un ammanco di circa 600mila euro. L’inchiesta era però stata stralciata  da un’indagine della Dda di Milano sulla ‘ndrangheta. Di cui Ponzoni che al telefono si vantava di aver potuto fare a meno – diversamente dalle elezioni del 2005 – sostenendo in una conversazione intercettata: “Mi sono tolto di mezzo la grande soddisfazione di arrivare primo… secondo sono arrivato con Carugo e terzo mi sono tolto i voti dicerti personaggi affiliati a certi clan“. Per il difensore di Ponzoni, l’avvocato Luca Ricci si tratta di “una sentenza ingiusta”.

Con l’ex assessore sono stati poi condannati dai giudici monzesi a pene che vanno dai due anni e mezzo a cinque anni e mezzo, tutti e quattro i coimputati accusati a vario titolo di corruzione, concussione e bancarotta fraudolenta.

Ponzoni era stato arrestato il 17 gennaio del 20012 quando si era consegnato alla Guardia di Finanza perché su di lui pendeva un’ordinanza di custodia cautelare. Il gip ha firmato aveva firmato l’arresto anche per l‘imprenditore Filippo Duzioni, per l’ ex sindaco di Giussano Franco Riva e l’ex assessore provinciale e tecnico del Comune di Desio Rosario Perri (per questi erano stati disposti i domiciliari).  Per il giudice esisteva ”un radicato e diffuso sistema di illegalità che presenta, come dato comune, l’asservimento della funzione pubblica all’ interesse privato”; un ”contesto affaristico” non solo fatto, secondo la ricostruzione di presunte mazzette,”voti comprati”, appoggi per scalate all’interno delle amministrazioni locali in cambio di interventi sui piani di governo del territorio, ma anche legato con un filo alla ‘ndrangheta e che ha portato a iscrivere nel registro degli indagati, accanto a Ponzoni, oltre venti persone, tra suoi parenti, imprenditori, commercialisti e pubblici ufficiali.

Secondo il gip c’era anche  ”la sua dedizione al consumo di droga”, la ”cocaina”, a cui si aggiungono i ”costi del lusso”, a spingerlo ”procurarsi liquidità”. Bisogno questo, secondo il giudice, che l’avrebbe portato a commettere ”fatti corruttivi”, e per la quale sarebbero state ”strumentali (…) anche le condotte distrattive poste in essere nella gestione delle società” poi fallite o a lui riconducibili. Società svuotate, per l’accusa, per comprare voti o finanziare la sue campagne elettorali. E poi per pagare ”noleggi di barche” e anche ”viaggi esotici” al governatore della Lombardia Roberto Formigoni fino ad arrivare agli oltre 13 mila euro pagati da il Pellicano alla pasticceria Cova di via Montenapoleone, a Milano, o ai 62.400 euro versati a un ‘centro studi arredamenti” della Brianza.

Hanno sequestrato il voto di povertà a Roberto Formigoni

Schermata 2014-04-10 alle 13.21.03Questa mattina Formigoni si è visto sequestrare tutti i propri conti in banca (meno uno, quello dove arriva il suo lauto stipendio da senatore NCD e alleato di Governo di Matteo Renzi), la villa in Sardegna ad Arzachena, frazioni di altre proprietà immobiliari condivise a Lecco con parenti, e tre autovetture sino a una concorrenza teorica di 49 milioni di euro. Un sequestro preventivo per il rinvio a giudizio nell’inchiesta San Raffaele-Maugeri. E Formigoni dice di avere fatto voto di castità e povertà, eh.

Formigoni in discarica (a Cappella Cantone)

Una notizia battuta dall’Ansa. Eppure qualcuno lo diceva, eh:

MILANO – La Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex Governatore lombardo e senatore del Ncd Roberto Formigoni, accusato di corruzione, e per altre 12 persone nell’ambito del procedimento con al centro la realizzazione di una discarica di amianto a Cappella Cantone (Cremona). Secondo l’accusa, oltre un milione di euro di presunte tangenti sarebbero arrivate alla Compagnia delle Opere di Bergamo su input di Formigoni.

Dopo l’avviso di chiusura delle indagini notificato lo scorso dicembre, il procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo e i pm Paolo Filippini e Antonio D’Alessio hanno formulato la richiesta di processo a carico di 13 persone e 5 società per la vicenda che vede al centro una discarica di amianto che avrebbe dovuto sorgere a Cappella Cantone, nel Cremonese. Stando alle indagini, l’imprenditore bergamasco Pierluca Locatelli, interessato alla realizzazione della discarica, avrebbe versato 100mila euro all’allora vicepresidente del Consiglio Regionale, Franco Nicoli Cristiani, ”al fine – stando all’imputazione – di ottenere l’Autorizzazione integrata ambientale, necessaria”. Locatelli avrebbe pagato ”con il consenso e la consapevolezza di Rossano Breno e Brambilla Luigi”, gli ex vertici della Cdo di Bergamo, ”che agivano in nome e per conto dei pubblici ufficiali Raimondi Marcello”, ex assessore regionale all’Ambiente, e ”Formigoni”. Diecimila euro poi sarebbero andati all’ex funzionario dell’Arpa Lombardia, Giuseppe Rotondaro. In più, l’imprenditore avrebbe versato, tra ”denaro ed altre utilità”, oltre un milione di euro ”in favore della Compagnia delle Opere di Bergamo”: un modo per remunerare, secondo i pm, Formigoni e Raimondi. In cambio, sempre stando all’imputazione, Locatelli avrebbe ottenuto ”l’approvazione della delibera di Giunta Regionale del 20 aprile 2011 n.1594, su proposta del Presidente, che consentiva la disapplicazione delle prescrizioni contenute nel Piano Cave adottato dal Consiglio Regionale”.

Sempre con quelle mazzette l’imprenditore ”si garantiva l’opera di condizionamento, esercitata dai predetti Pubblici Ufficiali”, tra cui Formigoni, ”sulle determinazioni dei competenti Dirigenti amministrativi”. In particolare, Locatelli avrebbe fatto avere 200mila euro a Brambilla, all’epoca ‘numero due’ della Cdo bergamasca, e 25mila euro a Breno, che era presidente. Inoltre, Locatelli avrebbe effettuato ”al fine di ottenere i favori dei predetti pubblici ufficiali di area Comunione e Liberazione (…) plurime donazioni” per ristrutturare la ”scuola privata Imiberg di Bergamo” per un totale di circa 781mila euro. Nel procedimento, infine, c’è un altro ‘capitolo’ nato da dichiarazioni di Locatelli e che non coinvolge Formigoni, ma è relativo ad un appalto di ”rimozione delle interferenze” per l’Expo 2015: Dario Comini, incaricato alla Sicurezza ”dalla stazione appaltante pubblica Expo 2015”, è accusato di corruzione perché avrebbe ricevuto dal direttore tecnico del cantiere un’auto, una ”scheda carburante” e un ”Telepass”. Lo stesso ”pubblico ufficiale” poi è accusato anche di millantato credito sempre in relazione a quell’appalto, ‘tranche’ questa per cui e’ indagata anche Metropolitana milanese spa.

L’acqua calda delle mafie in Expo

Quando parlavamo di rischio ci dicevano che eravamo i soliti allarmisti che per professione devono creare ombre.

Quando abbiamo trovato delle evidenze ci hanno fatto scrivere dagli avvocati e ci hanno avvertiti nei loro metodi indiretti.

Quando abbiamo chiesto quali fossero le soluzioni adottate hanno detto “abbiate fiducia”.

Quando abbiamo chiesto a Formigoni ci hanno risposto “beh, lui si sa”.

Quando abbiamo chiesto a Maroni ci hanno risposto “non si può mettere in discussione”.

Quando abbiamo chiesto a Pisapia ci hanno detto “come ti permetti di chiedere ad uno dei nostri”.

Ora scrivono che la mafia è in Expo. Alla faccia di tutti: mafiosi, antimafiosi, di destra, di sinistra, buoni, cattivi, dilettanti allo sbaraglio, esperti e tutto il resto. Complimenti. Vivissimi.

Gli annunci sono finiti. E quello che prima era un rischio, ora è un dato di fatto. La mafia è entrata nell’affare di Expo. Testa e soldi dei boss controllano parte dei lavori e delle opere connesse. L’allarme, scaturito dall’inchiesta sull’appaltificio di Infrastrutture Lombarde (Ilspa) governato per dieci anni da Antonio Rognonitrova conferma nella relazione del Prefetto di Milano consegnata alla Commissione parlamentare antimafia in trasferta sotto al Duomo (guarda l’infografica).

È il 16 dicembre 2013, quando Francesco Paolo Tronca davanti ai parlamentari legge un appunto riservato di 56 pagine e svela “una tendenza che si sta delineando e sempre più consolidando di una penetrazione nei lavori Expo di imprese contigue, se non organiche alla criminalità organizzata”. In quei giorni davanti al presidente Rosy Bindi parla anche il procuratore aggiunto Ilda Boccassini. Dice: “In considerazione del tempo ormai limitato (…) è molto forte il rischio di infiltrazioni”. Il dato, di per sé clamoroso e inedito, diventa inquietante quando Tronca affronta la questione delle opere connesse all’evento. Tra le varie, oltre alla Linea 5 della metropolitana infiltrata dal clan Barbaro-Papalia, cita la Tangenziale esterna est, snocciolando numeri che fotografano lo stato di un’infiltrazione consistente.

“Quest’opera – sono le sue parole – presenta la maggior concentrazione di imprese già interdette, sette nell’ultimo periodo”. Più altre due. In totale nove società allontanate per sospetti di collusione con le cosche. Una di queste è la Ci.Fa. Servizi ambientali tra i cui soci compare Orlando Liaticoinvolto in un traffico illecito di rifiuti. Un nome, quello dell’imprenditore milanese, già finito nelle informative dell’antimafia lombarda per i suoi rapporti con importanti clan della ‘ndrangheta. Dal 2009 il coordinamento dell’opera è affidato alla Tangenziale esterna spa. Consigliere delegato è Stefano Maullu, ex assessore formigoniano sfiorato (e mai indagato) da alcune inchieste di mafia.

Con lui nel board societario c’è l’architetto Franco Varini in contatto con Carlo Antonio Chiriaco, l’ex direttore sanitario dell’Asl di Pavia condannato in primo grado a 13 anni per concorso esterno. La spa che gestisce i lavori della tangenziale è anche al centro dell’ultima indagine su Infrastrutture Lombarde. Al suo nome sono legate consulenze pilotate a favore dei legali della cerchia di Rognoni. Oltre agli appalti affidati alla cooperativa emiliana Cmb che con l’Ilspa, negli anni, ha fatto affari d’oro.

Consulenze, dunque. E non solo. Con i clan che si accomodano al banchetto di Expo. Tanto che sul sito oggi lavorano quattro società segnalate dalla Dia per rapporti sospetti con ambienti mafiosi. Spiega Tronca: “Spesso la trama dei rapporti d’affari tra le imprese non appaiono subito evidenti”. Il ragionamento del Prefetto è chiaro. Ma c’è di più. Secondo Tronca, infatti, “molte società per le quali stanno ora emergendo criticità antimafia non risultano censite dalle Prefetture competenti per territorio”. Tradotto: “In maniera elusiva, le imprese colluse hanno sempre lavorato in una zona grigia” in modo “da sottrarsi alla richiesta d’informazioni antimafia”.

Un gap che non sembra poter essere risolto nemmeno dalla cosiddetta piattaforma informatica creata per raccogliere il database delle imprese. Secondo una nota del centro Dia di Milano il sistema è “inutilizzabile a causa di vistose lacune relative alla scarsa intuitività del sistema e alla carenza della documentazione”. A tutto questo si aggiungono le problematiche dei controlli antimafia sui lavori degli stati stranieri. Il punto, sollevato dal Prefetto, segnala come in questi casi l’adesione ai controlli sia solo su “base volontaria” così come previsto da un accordo preso tra il governo Italiano e il Bie. Nessun obbligo, dunque. E tanto terreno fertile per la mafia.

Da Il fatto Quotidiano del 23 marzo 2014 (di Davide Milosa)