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roberto formigoni

Lo chiamavano “Continuità” /2

Dopo la prima puntata del Maroni che voleva fare la rivoluzione in Lombardia lasciando la sanità in mano ai soliti noti, oggi Gianni Barbacetto racconta quello che da queste parti si diceva da un po’ e rincara la dose:

La scopa del capo dei Barbari Sognanti ha fatto pulizia dentro la Lega, dicevano i druidi del nuovo Carroccio durante la campagna elettorale. E rinnoverà anche Formigopoli, facendo piazza pulita degli sprechi e delle ruberie e avviando la nuova era della Macroregione del Nord, dal Piemonte al Friuli. A parte il fatto che il Friuli ancora leghista non è, anche a Milano si stentano a vedere i segni della Nuova Era. Lo slogan con cui ha vinto le elezioni (“Teniamo qui il 75 per cento della tasse pagate in Lombardia”), è stato dimenticato: promessa impossibile da marinaio celtico-padano. Quanto al rinnovamento, Maroni sta procedendo così: rivoluzione a parole, cauta continuità nei fatti.

E, come scrive Gianni, anche sui declamati tagli della politica, la nuova Lombardia è assolutamente identica alla vecchia:

Quanto a Maroni, ha promesso di mostrarsi virtuoso con la pelle degli altri: promette tagli al budget del Consiglio regionale (via i rimborsi facili che hanno fatto mettere sotto inchiesta per peculato la quasi totalità dei consiglieri della scorsa tornata), ma si tiene ben stretti i soldi del budget di giunta. Confermato un ufficio del Presidente composto da una quindicina d’addetti, con una cerchia d’oro di dirigenti e una struttura di comunicazione formata da decine di persone che potrebbe produrre un quotidiano nazionale. Formigoni non c’è più, la sua struttura imperiale resta.

Sarà una lunga notte, la Lombardia.

La Lombardia degli -oni

maroni_e_formigoniFormigoni e Maroni, che non finiscono solo allo stesso modo per il cognome ma si assomigliano molto di più di quanto il Roberto leghista si stia impegnando di nascondere. Un’inchiesta sulla sanità come quella di oggi (“una ramificata rete di complicità nel mondo sanitario e istituzionale” si legge nelle carte) che coinvolge il leghista Boriani, ex direttore de La Padania, e i soliti noti amici del Formigoni.

Un’inchiesta che inizia con un suicidio nell’ospedale (San Paolo di Milano) dove (sarà un caso?) stanno ricoverati i boss del 41 bis (sarà un caso?). Una sanità che sorprende (ma non troppo) per la vicinanza con ambienti corrotti, corruttivi, corrutibili e criminali. Come reagisce Maroni? Con gli slogan, i soliti che, mio Dio, qui in Lombardia funzionano per vincere le elezioni.

Maroni di quella Lega che ha appoggiato Formigoni in questi ultimi anni.

Maroni di quella Lega che è alleata con quei parlamentari brutti ceffi che manifestano oggi in Procua a Milano come chiassosi alunni in gita alcolica.

Maroni che parla di cambiamento e promette la sanità al PDL (ancora) passando per un cambiamento che non cambia niente e nessuno.

Sarà una lunga notte per la Lombardia.

I nomi degli arrestati. In manette sono finiti Massimo Guarischi, 49 anni, ex consigliere regionale di Forza Italia vicino a Formigoni, già condannato a titolo definitivo nel 2009 per corruzione negli appalti per il dopo alluvione; Leonardo Boriani, 66, giornalista, ex direttore della Padania e ora della testata online www.ilvostro.it; tre imprenditori della famiglia Lo Presti di Cinisello Balsamo, titolari della società Xermex Italia (Giuseppe Lopresti, 65 anni, e i figli Salvo Massimiliano, 43, e Gianluca, 39); Luigi Gianola, 65, direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Sondrio, e Pierluigi Sbardolini, 61, direttore amministrativo dell’ospedale Mellino Mellini di Chiari nonché ex direttore del San Paolo di Milano. L’operazione, denominata ‘La Cueva’, è stata coordinata dal colonnello Alfonso Di Vito (Dia). Fra gli indagati ci sono, oltre al direttore generale della Sanità lombarda, Carlo Lucchina, alter ego di Formigoni, numerosi altri manager pubblici degli ospedali di Chiari, di Cremona, di Valtellina e Valchiavenna (Sondrio) e dell’Istituto nazionale tumori. Perquisito anche uno svizzero, Giovanni Lavelli, titolare di una finanziaria a Lugano e accusato di aver costituito la provvista con cui pagare le tangenti.

Gli appalti nel mirino. Le mazzette, nella ricostruzione dei pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio, erano pagate per ottenere l’appalto per la manutenzione di apparecchi elettromedicali al San Paolo, per i servizi di radiologia all’Azienda ospedaliera della Valchiavenna di Sondrio e per l’installazione di sofisticati macchinari per la diagnostica tumorale all’Istituto milanese dei tumori (che “si dichiara del tutto estraneo ai fatti”) e all’Azienda ospedaliera di Cremona. L’appalto valtellinese, per esempio, valeva 9 milioni di euro e il direttore generale avrebbe accettato la promessa di 500mila euro per assicurare un trattamento di favore all’azienda dei Lo Presti. Parte dei pagamenti è documentata con intercettazioni e pedinamenti degli investigatori della Dia, i quali sono partiti dalle indagini che nel 2010 avevano portato in carcere un ex direttore dell’Asl di Pavia, Carlo Antonino Ciriaco, e Giuseppe Neri, capo della ‘locale’ della ‘ndrangheta pavese. Ci fu anche un suicidio ad attirare l’attenzione della Direzione investigativa antimafia: quello di Pasquale Libri, dirigente del San Paolo, sfiorato dall’inchiesta su Ciriaco. 

Gli indagati eccellenti. Fra gli indagati spiccano i nomi di Danilo Gariboldi, direttore generale del Mellino Mellini di Chiari; Simona Mariani, direttore generale dell’ospedale di Cremona; Gerolamo Corno, direttore generale dell’Istituto tumori di Milano; Pierguido Conti e Vincenzo Girgenti (General elettric medical systems Italia di Milano); Alessandro Pedrini, già dipendente della Regione Lombardia;Massimo Streva (Fratelli Scotti, impresa edile di Cinisello Balsamo); Battista Scalmani (BS Biotecnologie di Bergamo); Carlo Barbieri (Brainlab Tecnologie di Milano); Giuseppe Barteselli (dirigente dell’ospedale San Gerardo di Monza) e Bruno Mancini (Biemme Rappresentanze di Roma). L’operazione ha portato anche a una cinquantina di perquisizioni.

A proposito della “giustizia ad orologeria”

loadImageScrive bene l’amica Lidia Ravera su Il Fatto Quotidiano:

Cari lettori, mi rivolgo a voi perché mi sosteniate in una disperata battaglia culturale: riformiamo il “Polit-taliano”, la lingua stanca delle cronache partitiche! Se leggo ancora una volta la frase “Giustizia a orologeria”, giuro che mi acceco con le mie stesse mani, mi pianto due baionette nei bulbi oculari.

Formigoni, per tutta la durata del suo mandato si è ingozzato a scrocco nei ristoranti di lusso, ha distribuito mazzette e si è svagato a spese dei suoi faccendieri parassiti. Della vicenda si parla ininterrottamente da mesi e mesi. Perché, signor Maroni, la “giustizia” sarebbe, in questo caso pure, a “orologeria”? Mi spieghi la metafora, eccellenza. Si tratta forse di unabomba? Allora è una bomba a molla, semmai, di quelle che, caricate dai bambini, fanno “Boom boom” tutti i giorni.

Ho trovato Roberto Maroni parecchio involuto in questa assonanza con Berlusconi negli attacchi alla magistratura. L’impressione è che il “nuovissimo” di cui la Lega andava fregiandosi all’inizio di questa campagna elettorale quando con una certa sfrontatezza si dichiarava lontana e disinteressata da Formigoni e PDL sia sul piano lombardo che sul piano nazionale (nonostante una convergenza di programmi che sfiora il ridicolo per il copia e incolla) si stia trasformando in questi ultimi giorni in una vecchia “vicinanza” esibita per raschiare il barile.

Le tortuose vie della Lega sono finite: è ritornata ad essere la servetta del capo appollaiata sui vecchi vizi peggiori.

I capi della banda

Formigoni è indagato. Associazione a delinquere. Lui e la classe dirigente della Lombardia: quelli che sostengono Maroni alla presidenza della regione. Maroni che “faceva pressioni” per la nomina di Orsi in Finmeccanica. Maroni si difende dicendo che la decisione è stata presa dal Consiglio dei Ministri. Di cui faceva parte come Ministro dell’Interno.

Poi mi dicono che insisto troppo con la discontinuità. Per dire.

maroni_e_formigoni

L’ultima volta. Giuro.

roberto-formigoni-770x513Perché ho deciso da tempo di non dare retta a ciò che dice quell’egocentrico millantatore che è Roberto Formigoni, degno delfino dell’impunito visto ieri sera mentre trasformava la politica in paradosso per di più divertendosi pure.

Ma Formigoni che non ha nemmeno lo spessore per rivendicare una sana incazzatura (che in fondo gli spetterebbe) contro la Lega e recita la parte della pecorella ravveduta nei confronti della Lega rende bene l’idea dello spessore politico di un governatore forte delle proprie mura ventennali piuttosto che delle proprie pratiche di governo. Forse perché la Lombardia dovrebbe essere l’Ohio e invece sembra sempre un quartierino simile a quelli di lodigiana memoria (memento Fiorani, semper) dove l’aggregazione (ance nelle sue forme criminali) conta più del consenso.

“Lavorerò con il Pdl per Maroni” ha dichiarato oggi Formigoni in conferenza stampa mettendo il timbro (non che ce ne fosse bisogno) ad un’allegra brigata che vorrebbe avere la faccia pulita del candidato ex Ministro dell’Interno e invece ha lo stesso odore di sempre. Di sempre. Solo con 17 anni alle spalle  e qualche arrestato in più di un anno fa.

Lombardia Express: si scende

Lombardia-expressTre mesi fa (100 giorni, per dire) in Regione Lombardia si pontificava sulla novità del treno super veloce che portaa da Milano a Varese e Bergamo. Il solito istinto della velocità (molto formigoniano nell’inseguire i record piuttosto che una sana quotidianità) che passa dalla questione TAV fino alle tangenziali inutili per snellire tragitti che non frequenta quasi nessuno. Le parole del lancio erano mussoliniane nella celebrazione:

“Grazie alla coincidenza con il Frecciarossa sarà possibile raggiungere Roma da Varese o Bergamo in quattro ore – ha spiegato l’amministratore delegato di Trenord Giuseppe Biesuz – la nostra volontà è quella di continuare a investire anche nel trasporto per i pendolari e, per questo, gli eventuali utili del Lombardia Express verranno utilizzati per sviluppare i servizi. Si tratta di una sperimentazione – ha proseguito – che renderemo definitiva se sarà positiva la risposta dei passeggeri alla nuova offerta”.

Oggi il servizio è sospeso. Il treno regionale magnificamente rapido ha rapidamente mostrato la malattia del formigonismo: eccellenze da guinnes mentre i pendolari marciscono. Un enorme e costoso spot pubblicitario che chiamavamo Regione Lombardia.

La memoria breve

memoria-iconAlessandro la chiama “principio dell’irresponsabilità” ma il concetto di fondo è lo stesso: gente che ha governato e improvvisamente indossa le vesti dell’opposizione contestando i propri atti di governo, politici da decenni che ci vorrebbero convincere di essere stati illuminati all’improvviso smentendo le decennali opportunità di governare che hanno collezionato in carriera, partiti ripuliti nel giro di una notte, macerie di partiti riciclate in movimenti civici e spartizione di posti e poltrone ancora prima che si siano celebrate (e magari vinte, se qualcuno se ne interessasse davvero) le elezioni.

Faccio una piccola proposta per la campagna elettorale che ci aspetta: non avere paura di parlare di discontinuità e magari praticarla. E costruire un’idea nuova di discontinuità che non abbia bisogno (solo) di cambiare le persone ma di sostituire vecchi metodi e gli antichi balbettamenti. E fare le cose seriamente: chiarire un programma che sia preciso nei suoi punti principali e che già oggi ci dica cosa vogliamo recuperare dalle demolizioni montiane nel campo del lavoro (l’articolo 18 ad esempio), dei diritti e nell’interpretazione dei rapporti di forza in Europa e nell’economia. Allo stesso modo in Lombardia smettere di lambiccarsi su ciò che di buono ha fatto Formigoni e raccontare cosa di diverso siamo pronti a mettere in campo noi.

Perché ogni tanto mi coglie il dubbio che in questa moda di “moderatismo” le diversità che ci impauriscono di più siano proprio quelle di interpretazione politica del nostro Paese. In un mare che assomiglia più ad un brodo in cui tutti galleggiano senza volere spiegare le vele. Galleggiare per trascinarsi alle prossime elezioni da sopravvissuti più che da timonieri. E poi stupirsi dei risultati delle radicalità, magari. E chiamarle populismi. Alla Monti.

Formigoni e i 31 dirigenti assunti in “gran segreto”

Schermata 2012-12-15 alle 14.46.55Per il Tar e il Consiglio di Stato è tutto illegittimo: il bando di concorso, mai apparso in «Gazzetta Ufficiale», e il provvedimento con cui la giunta ha cercato di rappezzare la situazione. Ciò che stiamo per raccontarvi accade nella più popolosa e ricca Regione d’Italia, che contribuisce per un quarto alla formazione del PiI, ha il primato dei migliori ospedali ed è considerata un modello d’efficienza: la Lombardia. 

La giustizia amministrativa invalida l’atto, ma la Regione «sana» con legge retroattiva Risultato: Giunta condannata al risarcimento dal Tar.

Una delle solite storie di Regione Lombardia marchiata dal formigonismo più becero. Forse quando parliamo tutti del libro della Minetti rischiamo di perdere il nodo politico che più di tutti sarà difficile da estirpare in caso di vittoria: una macchina amministrativa e dirigenziale completamente in mano agli amici degli amici che sarà sicuramente lo scoglio più difficile di qualsiasi inizio di legislatura. Per questo le soluzioni che si propongono per “deforestare” il sistema ciellino dovrebbero essere articolate e raccontate con calma e dovizia di particolari agli elettori. Passare dallo slogan al progetto legislativo e amministrativo è la maturità che gli elettori ci chiedono per risultare credibili nella guida della Regione.

La terrificante storia dei dirigenti lombardi è su Il Sole 24 Ore e la potete leggere qui.

Formigoneide: il carcerato e il sottosegretario sospetto.

Il listino di Formigoni continua a colpire anche nella parabola finale: il “sottosegretario” Francesco Magnano (cognome onomatopeico, non c’è che dire) visita di tutta fretta il carcerato Nicoli Cristiani. E non avrebbe potuto farlo. Leggere la notizia è già uno spasso:

Quale fosse, per ora non si sa. Ma certo all’inizio del 2012, per andare a trovare a tutti i costi nel carcere di San Vittore un detenuto in custodia cautelare, doveva essere davvero impellente e forte la motivazione dell’allora «sottosegretario del presidente Formigoni all’Attrattività» nella penultima giunta di Regione Lombardia, Francesco Magnano, «il geometra» di Berlusconi a Macherio. Tanto forte da farsi passare come un collaboratore del Pdl Massimo Buscemi, che, in quanto consigliere regionale, al pari dei parlamentari era invece legittimato a entrare in carcere.

Il resto qui.