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Scuola

La prof senza nome

scuolaNo, non vi racconto di lei, ho promesso, ma di normali commozioni. Grondanti di tenerezza da far schifo a me per prima. E invece non c’è niente di retorico, è la normalità. Che una prof si commuova per i temi che legge scritti dai suoi alunni, per i pensieri troppo grandi di ragazzi così piccoli, per le piccole opere d’arte disegnate o gli sgorbietti con dedica e te li scambi come le figurine, specialmente quando arrivano dal figliol prodigo. Quello che era andato via e te lo sei visto tornare una mattina.

“Guarda, guarda, leggi qua “io un giorno andrò via per ritornare””e non partono mai “Tu guarda questo quanto è bravo… Non imbrocca un verbo ma guarda che bella mano”.

Ce l’ho, ce l’ho, mi manca. Quello col padre in carcere? Ce l’ho. Quello che viene a scuola in pigiama e si riaddormenta sul banco? Ce l’ho. Quello che ti salta giù dalle finestre? Ce l’ho. Quella brava che sembra che frequenti un college? Ce l’ho. La madre dell’alunno che si presenta con la scopa in mano fuori dai cancelli perché te le vuol dare e non potendo entrare si scatena col cofano? Ce l’ho. E il fidanzato di quella della 3G che si pianta alla finestra e le manda baci da fuori e le lancia baci perugina e tu stancamente al bidello “maniscalco senta me lo allontana da fuori”? Ce l’ho. E l’alunno che ti ha aggredita? Ce l’ho. E la varicella a 42 anni e il morbillo a 44? Se vabbè. Giuro. Ce l’ho. Ce l’ho.

E quello che dice “basta con questa retorica delle scuole a rischio?” Cavolo, ne ho tre, no..forse di più.. E quello che si sente uno strafigo pazzesco nel dirti “sì, ma i prof di oggi, ai miei tempi…”? E il ministro che viene a visitare la scuola dopo l’atto vandalico, regala una targa al preside e una medaglietta al primo della scuola e però ti taglia il fondo di funzionamento d’istituto e non ci son soldi per i supplenti e dunque quel giorno la 3G entra a 2° ora e Mannino la prima ora se la passa a tirar pietre da fuori a quelli della 2F che gli hanno detto “troia tua madre”? E che fai? Lo sospendi così continua a tirar pietre da fuori? Te lo tieni in classe. Ce l’ho. Ce l’ho. E il prof che arriva e ti dice “ma siete pazzi?” rimane 15 giorni e se ne va? E quello che fa più danni che altro? Ce l’ho. Dai, qualche testa di cazzo c’è,  normale statistica.

E ridiamo, eccome se ridiamo. E ci incazziamo. Eccome se ci incazziamo.

Sempre bravissima Mila Spicola e il suo guardare la scuola con gli occhi del cuore.

Se oggi le forze politiche si sorprendono di vedere i ragazzi in piazza, significa che non hanno capito la storia degli ultimi vent’anni.

Sospesa e sovrastata dalle oscillazioni delle nuove alleanze politiche internazionali dopo il crollo del muro di Berlino, la classe dirigente che oggi guida il Paese non ha saputo valutare il rischio della gestione globale dell’economia durante gli anni post-ideologici. Non ha capito che avrebbe potuto, dopo Tangentopoli, ricostruire il Paese proteggendo le istituzioni, trasmettendo in modo credibile i nostri valori costituzionali e indirizzando la politica economica verso lidi sicuri. Ha invece compromesso lo stato sociale, non ha saputo evitare la frammentazione del sistema-paese e ha mandato in fibrillazione la tenuta istituzionale, generando gravissimi cortocircuiti normativi, compromettendo l’approccio etico alla dimensione pubblica e diventando facile preda delle governance internazionali, ben consapevoli di poter cogliere nell’immaturità storica del nostro Paese la possibilità di prolungarne la subalternità politico-economica.

Mentre la politica non è stata in grado di difendere i più elementari valori collettivi e i principi minimi di equità sociale, è stato rivisto parallelamente il mercato del lavoro, ristrutturato il sistema previdenziale e compromessa la possibilità dei giovani di fondare su istanze meritocratiche la costruzione del proprio futuro.

Se oggi le forze politiche si sorprendono di vedere i ragazzi in piazza, significa che non hanno capito la storia degli ultimi vent’anni.

D’altronde, se l’avessero davvero compresa, non avrebbero abdicato le linee guida del Paese ad un governo tecnico, intervenuto a mercato saturo e risparmi compromessi, per salvaguardare la tenuta delle stesse valute internazionali che hanno speculato per anni sulle nostre contraddizioni interne.

Nicola De Benedetto su Non Mi Fermo. Da leggere.

Io valgo perché avevo un sogno e continuo a scottarmi, a tagliarmi le mani e sudare affinché possa avverarsi

Roberta scrive una lettera. E vale la pena lasciare perdere i vecchi contro i giovani e leggerla con attenzione perché dentro ci sono le domande a cui dovremo rispondere. Con chiarezza. Prima delle elezioni.

Il mio nome è Roberta, ma potrebbe essere Lucia, Francesca, Samanta, Teresa, Michela o qualunque altro nome di donna. Ho quasi 22 anni e se dovessero chiedermi cosa farò da grande, la mia risposta è non lo so.  Il mio sogno è sempre stato uno: fare la scrittrice.
Avrei voluto studiare in una grande città, laurearmi, conoscere qualcuno che mi desse la possibilità di crescere e diventare brava, poi lavorare e rendere fieri di me prima i miei genitori, poi me stessa. Chiudo il libro delle favole e torno sulla terraferma, dove i sogni restano sogni e più che vivere bisogna sopravvivere. 

Qualche anno fa mi sono iscritta alla facoltà di lettere di Bari, non la migliore, ma la più accessibile almeno per le mie tasche. Ho frequentato il primo anno e non è andata male. Avevo una media alta, studiava, studiavo. Lo facevo per me.

L’anno successivo ho interrotto gli studi. Mio padre è un operaio, mia madre una casalinga. Una casa in affitto, tre figli sulle spalle. Mio padre ha perso il lavoro e allora ‘Arrivederci Università’. Facevamo la spesa con 15 euro al giorno, dove avrei potuto trovare 500 euro per la nuova iscrizione? Per il libri? Per fare la pendolare? I sogni restano nel cassetto e io sopravvivo.

Ho passato un anno in bilico su un filo pronto a farmi cadere. Non sapere cosa fare da grande a 20 anni era il problema più stupido, io volevo sapere se ce l’avremmo fatta. Volevo sapere se avrei mai più visto mio padre sorridere piuttosto che in depressione piangere senza un lavoro, avrei voluto vedere mia madre smettere di contare gli ultimi spiccioli per arrivare alla fine del mese.

Ho passato un anno ad osservare il mondo e capire che tanto non sarà mai come vorremmo, che la fatica è sempre per chi non se la merita e che l’ingiustizia sarà sempre sovrana. Ho capito che il futuro è il mio e la fortuna non è per tutti, allora se io non sono nata ”fortunata” come tutti i figli di papà del mondo, la fortuna me la creo da sola.

Ho fatto tre lavori al giorno: ho dato ripetizioni private, ho fatto la babysitter, ho lavorato in un bar, in un ristorante, ho distribuito volantini per le strade sotto la neve e con le mani prive di sensibilità a causa del freddo. 5 euro al giorno, a volte 8, al massimo 20.
Non mi interessavano i vestiti nuovi, le serate nei bar, la vita mondana e le cene. Io volevo il secondo anno di facoltà, io volevo la laurea.
”Roberta, qual è stata la tua più grande soddisfazione sino ad ora?” Se dovessero farmi questa domanda io risponderei: Aver lavorato, sacrificato me stessa, il mio sudore e la mia fatica.

Mi sono iscritta al secondo anno e l’ho anche terminato. Ho pagato la mia iscrizione, tutta da sola. Compro libri fotocopiati, per pagarli meno, a volta riesco anche a farmeli prestare. Vado a Bari solo quando è necessario, solo per dare gli esami. Anche il treno costa. Lavoro 12 ore al giorno per 35 euro, faccio la cameriera ed ho i calli alla mano destra perché spesso i piatti sono bollenti e una cicatrice sulla sinistra perché un bicchiere di vetro mi si è rotto tra le mani. Spesso studio di notte e lavoro di giorno. All’università ho chiesto una borsa di studio, ma non credo possa mai essere accettata a causa del mio anno di stop. Per l’università, quindi, sono una comunissima fuoricorso. Una fuoricorso come tante, ma con una vita che nessuno prova a considerare. Ho pagato quasi 400 euro per una Terza Rata ingiusta. Glielo spiegate voi ai Dottori che anche frequentare ha un prezzo, e la media del 30 ce l’ha chi nella vita riesce solo a studiare?
Troppe inutili domande che non avranno mai una risposta o una considerazione. La verità è soltanto una: la vita è ciò che ne facciamo, è il sudore e il sacrificio. I regali, le raccomandazioni, i soldi caduti dal cielo.. li lascio a voi.

Il mio nome è Roberta, ho quasi 22 anni e se dovessero chiedermi cosa farò da grande, la mia risposta è ancora non lo so. Non so se avrò una casa, uno stipendio, una pensione, una famiglia e una carriera. Lavoro 12 ore al giorno e sono felice. Felice di essermi sacrificata per la mia vita e per la mia famiglia. Felice perché io conto più di ogni politico, più di ogni avvocato figlio di avvocati, più di uno qualunque laureato in una università privata. Io valgo perché avevo un sogno e continuo a scottarmi, a tagliarmi le mani e sudare affinché possa avverarsi.

Roberta

Fatelo voi. Fatelo per l’Italia non per voi stessi. Non perché siete ribelli, ma perché siete onesti.

La conversazione con Giambattista vira su altro, sull’ oggetto dei suoi studi, sulla politica, su temi specifici che interessano entrambi, sul suo prossimo libro, dedicato al gruppo parlamentare della sinistra indipendente. Non finiremmo mai di parlare e siamo come i clerici vagantes medievali, certi del valore della conoscenza e del sapere oggi come allora, quando quel sapere creò l’Europa che tutti inseguono senza saperne granché. Ci sentiamo però come degli anarchici, quando anarchici non siamo.  Siamo quelli che son tornati per rimanere. Io ho mollato, non faccio più ricerca, insegno a Palermo. Lui combatte a Catania e ha tutto il mio appoggio e sostegno. Forse nel mio caso il paese ci ha guadagnato un insegnante motivata, soddisfatta e fiera di quello che fa, piuttosto che un’esperta di arte barocca, ma quando guardo, come in questo istante, i libri della mia vita, nello scaffale accanto alla mia scrivania, subisco per intero il fallimento e il dolore di una vita che poteva essere diversa, perché la mia vita è quei libri. Anche se del fallimento ne ho fatto un’opportunità.

Oggi compio 45 anni e sono la Generazione Perduta, arrabbiata tanto da non volerne sentire parlare in modo inutile. Dico adesso a chi ha vent’anni, ascoltate Giambattista: denunciateli quando vi rubano il futuro in modo illecito. E’ inutile aspettare una legge che controlli,  punisca o verifichi in modo serio le irregolarità ovunque siano, non ve la faranno, non costoro. Fatelo voi.  Fatelo per l’Italia non per voi stessi. Non perché siete ribelli, ma perché siete onesti. 

L’amica Mila Spicola intervista Giambattista Scirè, il giovane storico catanese che ha denunciato l’irregolarità di un concorso universitario per un posto da ricercatore a tempo indeterminato. E la generazione perduta di cui con molta superficialità ha parlato Monti si rivela con le idee chiare sul tema del sistema di reclutamento universitario, sull mondo politico, quello della sanità, quello delle imprese, quello, più in generale, del lavoro in Italia. Da leggere. Qui.

Scuole private non con le mie tasche

Mila Spicola su l’Unità, oggi ne scrive. Ed è un’altro di quei punti su cui la coalizione che ha in testa Bersani difficilmente ha un senso. La nostra posizione (per specificare, eh) è quella di Mila. Anche (e soprattutto) in Lombardia. Sono curioso di sapere quella dei cattolici del PD e dell’UDC. Anche qui in Lombardia.

Questa storia dei fondi alle parificate private è chiarissima. Parte di quei fondi vanno ad asili e materne parificate. E vabbè, amen. Sappiamo com’è la questione: non ce ne sono..e dunque chiudiamolo st’occhio, anche se ci dobbiamo mettere sottosopra per far aprire asili statali e comunali. Ma dall’altro ci sono le scuole degli altri gradi e sono diplomifici (o sbaglio?) o scuole delle “pie opere di carità” con rette mensili allucinanti che, in parte, contribuiscono a pagare anche i papà e le mamme dei miei alunni disgraziati, con le loro tasse. Possono girarmi le scatole, di grazia?

I governi, di qualunque colore fossero nulla è cambiato, finanziando le prime, i diplomifici, producono a nostre spese generazioni di ragazzi ignoranti, a danno loro e della collettività, e finanziando le cattoliche (che non abbiano tutto sto gran livello qualitativo) comprano voti di elettorato cattolico dalla Chiesa. Cioè omaggiano il Vaticano. Già sento il coro levarsi dal lato della platea cattolica, se non qualche lancio di oggetti. Attenzione: ciascuno può e deve andare nella scuola che più gli aggrada. Libera è la cultura e libero l’insegnamento. Ma per favore senza oneri per lo Stato. Quante volte lo dobbiamo ripetere? Senza oneri per lo Stato. Lontani dalle mie tasche. Figuriamoci adesso. Possono anche maledirmi. Ma io non sono nè cattolica, nè religiosa, le maledizioni mi bagnano e si asciugano: con le mie tasse pagatemi il riscaldamento, non la divisa delle orsoline.

La profezia di Calamandrei sulle scuole private (1950)

Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora il partito dominante segue un’altra strada. Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. […] Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. (Piero Calamandrei dal discorso al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma, 11 febbraio 1950)

‘Siamo stanchi, Signor Presidente, di essere disincantati’: la lettera degli studenti per salvare Telejato

Questa lettera sta circolando ora nei licei bolognesi, e via via in molte altre scuole. La trovate anche su diecieventicinque.it, la testata bolognese della rete dei Siciliani. “Dieci e venticinque”, il nome del sito, a Bologna vuol dire qualcosa. Bologna che resiste, Bologna allegra e dura, Bologna di tutti noi.

Riccardo Orioles la rilancia e ne ha tutti i motivi. La legga, Signor Presidente. Qua dentro c’è l’Italia che vogliamo.

Egregio Signor Presidente,

ragazzi di tutt’Italia si rivolgono direttamente a Lei, quale massimo rappresentante dello Stato, per trovare una voce all’onda di rancore che sta seppellendo la nostra generazione.

Per l’importanza del documento che Le sottoponiamo, ci auguriamo caldamente che riterrà di renderne note alla Nazione le parole più significative.

Il cuore della presente lettera consiste senza dubbio di un proposito di natura pratica. D’altro canto, la sua causa profonda sta nell’impotenza in cui siamo costretti dalle attuali democrazie rappresentative, sta nell’angoscia di agire, e nella consapevolezza di vivere, proprio per quei principi di progresso che, sebbene continuamente negati da squallore e ottusità, trainano la civiltà europea da che si aprì la ricerca per un criterio di giustizia. E, in verità, il cuore amaro della nostra lettera sta proprio nel valore dell’educazione, della scuola, modello di vita e di politica.

In principio vorremmo tuttavia parlarLe dell’episodio che è stato l’innesco del nostro movimento, e degli interventi che ci siamo auspicati sarebbero seguiti all’appello. Nel corso di un viaggio d’istruzione in Sicilia, all’interno di un itinerario organizzato dall’associazione “Addiopizzo“, alcuni di noi, tra cui i redattori della presente, hanno conosciuto la piccola realtà di Telejato, una rete televisiva comunitaria totalmente dedita all’erosione del potere mafioso. Attraverso lo scherno dei miti e dei bassi modelli dell’illegalità, Telejato ci ha stupiti per determinazione, costanza, per la volontà ferma di migliorare il territorio, e di essere efficace. Valore, l’efficacia, che stiamo lentamente dimenticando, essendo ormai i cittadini italiani abituati a delegare le responsabilità, a lasciare il proprio dovere civico in eredità ad anonime reti amministrative.

Il confronto con Pino Maniaci, proprietario di Telejato, curiosamente, anzichè vertere su temi riguardanti la Mafia in modo specifico, si è concentrato proprio su questo, cioè sulla possibilità dell’individuo di partecipare al bene comune.

Certamente non tutti possono gestire televisioni antimafia, ma l’antimafia vera e propria è forse quella che si crea a partire dall’onestà e dall’interesse per il territorio dei singoli: questa la conclusione cui eravamo insieme giunti, e che, in parte, aveva placato l’insoddisfazione di vederci come al solito disincantati spettatori degli equilibri di potere.

Siamo stanchi, Signor Presidente, di essere disincantati. La conoscenza degli istinti meschini che sembrano dirigere la storia oramai non può più rassicurarci. Quello che le generazioni che ci hanno preceduto ignorano, è che il nostro disimpegno non è stato dovuto a stupidità o leggerezza, ma piuttosto al cinismo nato dalla lucida osservazione della realtà, e dall’abitudine alla sconfitta. Tuttavia, per l’improvvisa incombenza di un disastro sul nostro futuro, quello della crisi, quello di un’inadeguatezza di tutte le istituzioni vigenti – da quelle ideali a quelle concrete – a fronteggiare un passaggio di epoca, guardarvi serenamente non ci è più possibile.

Quando al termine dell’incontro siamo venuti a sapere che Telejato avrebbe chiuso il 30 giugno, al momento dell’entrata in vigore del digitale terrestre in Sicilia, nuovamente siamo rimasti a bocca aperta: nuovamente, le maglie della burocrazia, addirittura le leggi dello Stato sembravano soffocare l’impegno civile da cui esse stesse erano nate. Proprio allora la figlia di Maniaci, Letizia, coraggiosa, rinomata giornalista, è sgattaiolata tra di noi per uscire dallo studio televisivo, a capo chino, come cercando di non farsi notare. Proprio lei che, così giovane, riprende gli scoop e rende possibile il servizio di informazione di Telejato, incurante del rischio che grava sulla famiglia. Per quell’esempio di modestia e di abnegazione in quel momento siamo esplosi in un applauso, ritenendo d’altra parte che null’altro avremmo potuto fare, che le nostre azioni corrette non sarebbero bastate, che Telejato avrebbe chiuso, qualunque cosa ne pensassimo: che il fatto sia giusto o che non lo sia.

Ora, la riflessione che vogliamo proporre alla Nazione è in merito al significato della parola “politica”. In fondo, l’antimafia è politica. Poichè, se si considera la Mafia come quel fenomeno sociale di affidamento del territorio a interessi esclusivamente patrimoniali, l’antimafia è quel dovere di amore per il territorio, per la Nazione, per la propria comunità, che va ben oltre gli egoismi di parte. E se un certo amore per il bene comune è un dovere civico, allora certamente l’antimafia è politica: perchè non dimentichiamo che “politica” non significa insieme di partiti, lotta di classi o di capitali, ma “questioni della vita cittadina”, e che un tempo aveva traduzione “Res Publica”, e che ora, estesisi i nostri Stati da città a popoli interi, trova significato come “vita comunitaria”. Questa la nostra convinzione.

Quale comunità giovanile avremmo potuto chiederLe in merito a giustizia, meritocrazia, rottura delle briglie della finanza, Unione Europea, e a tante delle idee che animano i nostri dibattiti. Invece, La preghiamo di garantire una qualche forma di sopravvivenza a Telejato.

Da atti concreti, mirati vorremo ripartire, e fatti significativi. Riteniamo che dare vita a Telejato, come emittente di diverso genere oppure riservando una percentuale di frequenze alle reti comunitarie, sia oggi, proprio oggi, una priorità. Riteniamo sia questo il momento giusto – il momento di scarse risorse – per investire sullo spirito comunitario, e che solo in questo modo avremo un’occasione per salvare l’Italia, armonizzare l’Europa e governarla.

Infine, per lo meno, La preghiamo di tutelare la famiglia che di Telejato costituisce l’esistenza.

Noi siamo nati da quella famiglia. Se l’Italia ha come nucleo fondamentale la famiglia, allora è in una famiglia che costruisce i valori civici dell’Italia che la Nazione trova le proprie radici. Siamo cresciuti in un sistema di principi tipicamente familiari, nonchè nella nozione di lavoro come riscatto dell’uomo dall’assoggettamento alla sua fame, e alla sua voracità, per i simili che ama. Purtroppo, questi capisaldi della nostra società civile, abbandonati da molte famiglie, li hanno raccolti soltanto le scuole, realtà che sono state volutamente avulse dal potere ma che, lo si voglia o meno, hanno formato i nostri ideali. E noi riteniamo sia maturato il tempo per cui quegli ideali, dalle famiglie che resistono all’istruzione che li alimenta, passino finalmente al potere effettivo, al potere politico.

Se verrà salvata Telejato e la sua famiglia, si darà un significato alla nostra educazione politica, unica fonte della Nazione stessa. E vedremo fin dove le istituzioni che politiche sono dette, nate per unirci, siano voci della Nazione, e dunque avverse alla Mafia.

1. Liceo Galvani, BO

2. Liceo Minghetti, BO

3. Liceo Fermi, BO

4. Liceo Righi, BO

5. Liceo Copernico, BO

6. Liceo Sabin, BO

7. Istituto Laura Bassi, BO

8. Liceo Manzoni, BO

9. I.I.S. Bartolomeo Scappi, Castel San Pietro Terme (BO)

10. Liceo da Vinci, Casalecchio di Reno (BO)

11. Istituto Giordano Bruno, Budrio (BO)

12. Liceo Mattei, San Lazzaro di Savena (BO)

13. Liceo Tassoni, MO

14. Liceo Parini, MI

15. Liceo Marco Polo, VE

16. Liceo Gioberti, TO

17. Istituto Baldessano-Roccati, Carmagnola (TO)

18. Liceo Cascino, Piazza Armerina (EN)

19. I.I.S. Marzoli, Palazzolo sull’Oglio (BS)

20. Consulta Provinciale Studenti di Brescia

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La scuola perduta di Sandro Pertini

Trovate le  differenze.

Una scuola aperta quindi ai problemi ed ai bisogni della società, integrato con quell’altro essenziale organismo naturale che è la famiglia, sensibile a tutte le istanze di vita e di sviluppo che nascono dalla collettività.

Tradurre tutto ciò in strutture efficienti, disporre di ampiezza di mezzi per consentire un loro costante miglioramento, curare la preparazione e la qualificazione dei docenti, incrementare la ricerca scientifica, incoraggiare e assecondare con intelligente opera di selezione quel che di più prezioso reca con sé la gioventù: l’entusiasmo, l’amore e il progresso nelle conoscenze; questo é il grande, esaltante impegno quotidiano della scuola.

Per realizzare questi obiettivi per nulla ambiziosi ma confacenti a una moderna concezione della società, dinnanzi alle carenze che pure osserviamo presenti nel mondo della scuola occorre cooperazione assidua, intese valide e costanti da promuovere ai livelli decisionali, disponibilità, dedizione, altruismo nei docenti e negli allievi. Sono queste le condizioni perché nel nostro paese fiorisca una scuola che sia degna del nome, animata da alta idealità, ispirata dalla chiara coscienza dell’ ineguagliabile funzione sociale che assolve.

Io so che nei giovani queste parole suonano non come speranze irrealizzabili, non come sogni ambiziosi e vani, ma come concreto e sano bisogno vitale: non disperdiamo queste energie, non deludiamo queste attese. A ciascuno il suo impegno, ad ognuno di noi la sua parte di responsabilita’ per far si’ che dal miglioramento della nostra societa’ di cui, in questi difficili anni, sentiamo estrema necessita’.

Questo è l’ augurio che formulo di tutto cuore in questo giorno per gli alunni, per gli studenti, per i giovani che ritornano allo studio, per gli insegnanti, per i docenti e per tutti coloro che dedicano la loro opera alla scuola.

(Sandro Pertini, 14 settembre 1982)

Non si tocchi la scuola

Oggi è un lunedì particolare per la scuola e per noi. Il comunicato di LIBERA ne coglie il senso dopo quello che è successo a Brindisi:

Il 19 maggio è un giorno che non dimenticheremo facilmente. Il vile attentato stragista nella scuola Morvillo Falcone di Brindisi è stato il segno di una violenza che ha voluto colpire al cuore delle paure dell’Italia. Tuttavia già ieri pomeriggio, studentesse e studenti, cittadine e cittadini, hanno risposto con coraggio e forza. Una mobilitazione democratica di massa, in solidarietà con la vittima, i feriti, gli studenti e la cittadinanza brindisina tutta è stata messa in campo in maniera diffusa e spontanea. Oltre trecento manifestazioni in tutto il paese, in risposta all’appello lanciato in mattinata dagli studenti (qui l’elenco di tutte le iniziative svolte) e raccolto da personalità del mondo del lavoro e delle associazioni, tra cui Don Luigi Ciotti hanno stretto la città di Brindisi un grande abbraccio, ma non è stato solo questo. E’ stata anche una grande richiesta popolare di verità e giustizia per l’atto vigliacco che ha scosso tutto il paese.La città di Brindisi e l’Italia tutta hanno bisogno di reagire, ha bisogno di rispondere con coraggio e determinazione ad una ferita drammatica che è stata aperta nella vita e nella memoria delle persone. La paura che a Brindisi si diffonde tra gli studenti e cittadini deve avere una risposta collettiva: Brindisi non è sola. Non si tocchi la scuola! Queste sono le parole che nelle scuole e nelle università vogliamo far risuonare in queste settimane costruendo una solidarietà attiva e un concreto sostegno.E’ quindi fondamentale non fermarci alle manifestazioni del 19 maggio, ma costruire da subito un meccanismo perchè resti traccia e memoria della terribile giornata di oggi. Per fare questo pensiamo si debba partire da scuole e università, luoghi colpiti dalla strage, ma allo stesso spazi dentro cui si può insegnare la cultura della democrazia e combattere le violenze. Per questa ragione da Lunedì costruiremo assemblee straordinarie  nelle scuole e nelle facoltà di tutto il Paese per costruire una lunga mobilitazione. Perchè la memoria e la riflessione collettiva vivano nelle coscienze, perchè la necessità della verità non resti in silenzio, perchè la costruzione di una società giusta e senza violenze parta dalle scuole e dalle università e cambi il Paese. Qui trovate l’evento che lancia le assemblee straordinarie Lunedì mattina nelle scuole. 

Libera. Associazione Nomi e Numeri contro le Mafie
Rete della Conoscenza

Un appello per difendere le disabilità a scuola

Un appello che sosterremo. Con tutte le nostre forze, in commissione e in Consiglio.

“LEDHA Vi scrive questa lettera per sollecitare tutte le istituzioni ad attivarsi per tempo per fare in modo che, il prossimo anno scolastico, possa vedere garantito, senza ritardi e disagi, il pieno diritto allo studio per tutti i ragazzi con disabilità che frequentano le scuole superiori della nostra regione.

Come è noto è in atto da diverso tempo una contrapposizione tra Province e Comuni lombardi in merito all’attribuzione delle competenze sul servizio di assistenza educativa per gli studenti con disabilità che frequentano le scuole superiori.
Una situazione di conflitto che all’inizio di quest’anno scolastico ha creato non pochi problemi ai ragazzi ed alle loro famiglie: una situazione che si è risolta, solo ad anno scolastico avviato, grazie ad una posizione di responsabilità assunta collettivamente dai Comuni lombardi, che hanno, ancora una volta, garantito questo fondamentale servizio, agli alunni con disabilità. La causa di questo problema è una differente interpretazione della norma nazionale che viene enfatizzata, a nostro avviso, per un semplice problema di risorse.

Già un anno fa e poi per diversi mesi all’inizio dell’anno scolastico in corso abbiamo avuto modo attraverso lettere e comunicati e in diversi incontri di natura istituzionale, di esprimere il nostro disappunto per questa situazione di incertezza che mette a rischio il diritto allo studio di molto ragazzi con disabilità. Abbiamo anche sostenuto le ragioni delle famiglie che si sono rivolte alla Ma
gistratura per vedere rispettati i diritti dei loro figli, vedendo accolte le tesi del nostro Servizio Legale che attribuisce questa competenza alle Province.

Purtroppo già ora ci arrivano segnalazioni di diverse famiglie a cui da una parte i Comuni hanno preannunciato l’intenzione di non proseguire il servizio per il prossimo anno scolastico e dall’altra non hanno modo di presentare una richiesta alle Province che continuano ad affermare la loro non competenza a riguardo.

LEDHA quindi lancia un appello al vostro senso di responsabilità e alle rispettive funzioni istituzionali, affinché si trovi, entro la fine dell’anno scolastico, una soluzione che consenta di guardare con tranquillità, almeno da questo punto di vista, all’apertura delle scuole dopo la pausa estiva.

Con la speranza che anche questo nostro ennesimo appello non cada nel vuoto, vi rinnoviamo la disponibilità delle associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie che LEDHA rappresenta, ad essere parte, con il nostro bagaglio di competenze, di questo percorso di lavoro.

Distinti saluti

Fulvio Santagostini
Presidente LEDHA