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sinistra

Pd-SEL: bam!

Un commento che mi arriva quasi subito sul “mescolarsi” con il PD. E che merita di essere il post successivo:

Bam! Preso in pieno. Un rimescolamento, se ci deve essere, deve essere funzionale ESCLUSIVAMENTE alla creazione di un NUOVO soggetto politico di SINISTRA.
Per far ciò, il PD si DEVE spaccare. Se non lo fa, semplicemente finiremo con l’annullarci nel già affollato orizzonte democratico.
E siccome non si spacca, boh.
Rimarremo senza casa.

E’ di Carlo Lasorsa.

Ripensare un partito (e le parole di Barca)

Mi capita spesso di discutere con i compagni, gli amici e le amiche con cui si prova a ripensare alla forma “partito” di incagliarsi sulle strutture. Mi spiego: passata la moda del “partito liquido” (che in pochi hanno capito cosa fosse veramente) e finita l’epoca in cui la definizione “movimento” è stata usata come foglia di fico per non dovere rispondere alle domande sulla democrazia interna (passerà per tutti, vedrete, passerà per tutti) risulta sempre difficile immaginare una conformazione che sia legittimata all’interno e che risulti credibile per le completezza dei propri “funzionari”, per lo spessore delle figure “politiche” e per l’autonomia (anche economica) rispetto allo Stato.

Abbiamo visto tutti in questi ultimi anni come il livello della classe dirigente politica sia stato inevitabilmente schiacciato dai criteri di scelta dei parlamentari: amici e amiche, cerchi magici, spartizioni di correnti e (questo è il punto che ci interessa) funzionari fatti parlamentari per essere stipendiati di sponda.

Fabrizio Barca riprende il tema con grande intelligenza e dice:

«Serve un partito saldamente radicato nel territorio, animato dalla partecipazione e dal volontariato di chi ha altrove il proprio lavoro e che trae da ciò la propria legittimazione e dagli iscritti parte rilevante del proprio finanziamento».
Il partito nuovo, quindi, «sarà rigorosamente separato dallo stato, sia in termini finanziari, riducendo ancora il finanziamento pubblico e soprattutto cambiandone i canali di alimentazione e assicurandone verificabilità, sia prevedendo l’assoluta separazione fra funzionari e quadri del partito ed eletti o nominati in organi di governo, sia stabilendo regole severe per evitare l’influenza del partito sulle nomine di qualsivoglia pubblico ente».

Quindi, l’idea è di un “partito nuovo” (espressione sulla quale Barca insiste), in gran parte finanziato dagli iscritti, non composto necessariamente da militanti “a vita” e che preveda una rigida separazione tra incarichi di partito e di governo, con regole severe per evitare l’influenza del partito sulle nomine degli enti pubblici.

«Un partito palestra – scrive il ministro  – che, essendo animato dalla partecipazione e dal volontariato e traendo da ciò la propria legittimazione e dagli iscritti e simpatizzanti una parte determinante del proprio finanziamento, sia capace di promuovere la ricerca continua e faticosa di soluzioni per l’uso efficace e giusto del pubblico denaro. Serve un partito che torni, come nei partiti di massa, a essere non solo strumento di selezione dei componenti degli organi costituzionali e di governo dello stato, ma anche “sfidante dello stato stesso” attraverso l’elaborazione e la rivendicazione di soluzioni per l’azione pubblica».

E anche su internet come soluzione onnicomprensiva Barca utilizza parole “sagge” (come le dice Mantellini):

Quindi la rete non è la madre di tutte le democrazie?

Io mi sono avvicinato alla rete solo durante questo governo – le può sembrare strano – mi ci hanno spinto i miei che mi han detto guarda ne cavi molto ed ho imparato – mi auguro – a starci ed ho capito che è un luogo dove arrivano molte sollecitazioni e dove ci si ritrova. Però poi arriva il momento, dopo che si è capito chi si vuol trovare assieme, di confrontarsi, poiché governare è complesso, decidere cosa fare è complesso, se non ci mettiamo in una stanza tre quattro cinque ore, magari ci rivediamo anche il giorno dopo, non riusciamo ad avere quella lentezza, quella profondità, anche – posso dirlo? – quella durezza di scontro, quel conflitto controllato che deriva dal fatto che stiamo insieme, non si litiga mai per lettera, si litiga malissimo per email, nascono moltissimi equivoci sulla rete, è il luogo dove si inizia il processo ma non dove il processo di decisione pubblica può raggiungere il suo acme dove si incontrano persone diverse dove avviene la democrazia

Quindi pensa che Grillo stia sbagliando quando persegue..

R Lui valorizza moltissimo questo strumento, credo che si sbagli ad immaginare un mondo in cui le decisioni possono essere prese lì perché questo vale solo per decisioni estremamente semplici che non richiedono quel confronto democratico di cui ho parlato

L’ultrapolitica per vincere sulla disaffezione alla politica e una nuova forma-partito (ma per davvero) per uscire dal movimentismo di facciata. Ce lo siamo detti tante volte, eh.

Non c’è sinistra con l’ombra di Berlusconi

C’è un odore strano nell’aria. Non so se si sente anche dalle vostre parti ma qui comincia ad essere fastidioso e onnipresente: è l’odore marcio della “normalizzazione”, quel fine gioco delle parti una volta ostili (ostili, si fa per dire, per qualcuno di qualche parte) che ora tentano un ricongiungimento sotto traccia. Ci vogliono fare passare per “igienici” questi due cani che si annusano il culo anche se ogni tanto ringhiano in favore di telecamera: Cicchitto propone Violante per la Presidenza della Repubblica, Brunetta parla di un accordo “responsabile” che s’ha da fare e addirittura Berlusconi si consuma in elogi per Bersani mentre D’Alema (come sempre) rimane in auge come “pontiere” tra passato che non vuole passare e un futuro che continua ad assomigliare a se stesso.

Io vorrei essere chiaro e che ci fosse l’onestà intellettuale per dirsi che non esiste un progetto rinnovatore della sinistra (o da sinistra) che possa tollerare una larga intesa non potabile come questa. Vorrei che non succedesse anche a noi di credere che in nome di “una nuova sinistra di Governo” che l’accordo largo sia un passaggio inevitabile con il solito machiavellismo tutto italiano di credere che sia il fine ad interessarci e non i mezzi.
Dovremmo chiederci perché abbiamo perso la capacità di “stare in mare aperto” deludendo i pezzi di società civile che hanno la sensazione che SEL abbia rallentato (i più ottimisti) o si sia arenato. Perché volare in alto significa essere leggibili e coerenti, e i due ingredienti hanno bisogno di una mescola che sia di spessore politico per evitare che sembrino specchietti non compatibili tra lror e esibiti di volta in volta per colmare le lacune del consenso. Uno alla volta.

Perché c’è una parte di elettorato “extraparlamentare” che è “nostro” ma non ci ha votato perché ha avuto dubbi sulla nostra tenuta nella parte dei coerenti “scassaminchia”, e l’elezione del Presidente della Repubblica è il primo, fondamentale, bivio per dimostrarci all’altezza.
Perché voglio essere chiaro: non c’è un progetto serio di sinistra nemmeno con un alito in comune con Silvio Berlusconi e la sua storia politica e personale.

Il bipolarismo perfetto (e obliquo)

 

la-rivoluzione-non-e-una-cosa-seria-L-hP5lHeHa ragione Alessandro nel suo post di oggi: il bipolarismo perfetto, quello che abbiamo cercato di costruire in questi ultimi mesi, quella Cosa Seria che  seriamente avrebbe dovuto chiarire che la lealtà nel preservare le differenze è un valore politico, insomma il nostro progetto politico (e mai come oggi quel “nostro” è così diffuso nel senso più disordinato e irresponsabile del termine). Solo che il bipolarismo perfetto (lo scrive Gilioli) lo stiamo lasciando agli altri. E se è vero che:

Il Pd si avvia dunque verso la sua scelta più immonda e catastrofica, allegramente condivisa da capi e capetti di ogni età un tempo avversari tra loro (Renzi e Bindi, Veltroni e D’Alema, per non parlare dell’imbarazzante capogruppo alla Camera Roberto Speranza).

Delle tre possibilità che avevano (proporre un ‘governo Zagrebelsky’ o simile per sfondare verso il M5S, andare dignitosamente al voto dopo aver rifiutato B. e tolto ogni alibi a Grillo, gettarsi nella mangiatoia insieme agli impresentabili) i vertici democratici stanno suicidandosi scegliendo l’ultima, nella piena consapevolezza (tra l’altro) di tradire il pensiero del 90 o più per cento dei loro elettori.

rimane anche in campo la posizione di SEL. Abbiamo promesso che non avremmo mai accettato un’alleanza con Monti (anche se qualcuno in cuor suo nemmeno troppo sotto sarebbe stato disponibile) e certo non possiamo accettare il governicchio che vorrebbe essere governissimo. Ma il rischio di assumere una posizione residuale è evidente e possibile e, intanto, da “motore di un cambiamento” si finirebbe per collocarsi semplicemente  “per esclusione”. Ancora, come in tutti gli ultimi decenni qui a sinistra.

Allora forse sarebbe il caso (anzi: è il caso) di chiedere subito a quelli del PD che non sono d’accordo con questa ennesima fase berluschina di avere coraggio, di alzare non solo la voce ma proprio il culo dalla sedia e prendersi la responsabilità di fare “altro”. Un “altro” serio, includente e semplice senza bisogno di essere banale. Includente, SEL incluso.

Cosa votano gli operai

berlinguer-operaidi Nicola Melloni
da Liberazione

L’analisi dei flussi elettorali è impietosa per il centro-sinistra. Secondo tutti gli istituti di ricerca, dalla Polis di Diamati all’Ipsos, la coalizione di Bersani-Vendola è solo terza nel voto tra gli operai, superata sia dal Movimento 5 Stelle (primo), che dal Pdl (secondo). Un risultato, in realtà, che non sorprende più di tanto.
Già negli scorsi anni si era parlato e discusso a lungo del voto operaio pro-Lega. Ora la situazione è completamente degenerata, con solo un quinto delle tute blu che hanno scelto il Pd e la sua propaggine di sinistra, Sel – che pure candidava operai e sindacalisti. Non è una situazione nuova nella storia e non è un problema solamente italiano – basti pensare ai voti operai che prende Le Pen in Francia, fortissimo in quelle che una volta erano roccaforti del Pcf – ma configura un problema molto serio, sia per la sinistra nel suo complesso, sia per la democrazia in generale. 
Una sinistra senza classe operaia è, per sua natura, una non sinistra. Non occorre essere marxisti per riconoscere che gli interessi del lavoro, degli sfruttati sono da sempre il pane quotidiano di tutti i partiti che si riconoscono nelle diverse famiglie del laburismo, dalla socialdemocrazia alla sinistra comunista. Per dirla con Bersani, la difesa del lavoro dovrebbe essere la ragione sociale della ditta – che altrimenti ha davvero poca ragione d’essere. A maggior ragione in un periodo di crisi, con la disoccupazione in preoccupante aumento e la povertà, che pareva una volta sconfitta e che fa sentire i suoi morsi anche tra la classe media. 

(continua qui)

Rifondazione, rivoluzione o evoluzione

6958649e9c75d0802d4483a672aa295403a1cbf4a7d5a9ac245954eeAldo Giannulli sul suo blog affronta in modo sfrontato (che è un sinonimo spregiativo del tanto benvoluto “a viso aperto” la questione di Rivoluzione Civile, Rifondazione, Sinistra Critica e SEL ipotizzando scenari che hanno dell’apocalittico in un ecosistema a sinistra portato al conservatorismo che progredisce al massimo per frammentazione. Le conclusioni sono nette:

Debbo anche precisare che non ritengo affatto che una confluenza di Rifondazione in Sel risolva il problema di costruire un vero soggetto della sinistra radicale. Peraltro guardo con molta attenzione ad Alba e Cambiare si può oltre che Sinistra Critica. Però, Cambiare si può, Alba e Sinistra Critica sono un po’ un gioco di scatole cinesi, in cui una cosa sta nell’altra, ma le persone sono più o meno le stesse. E sono poche, molto poche. D’accordo che Csp ha inaugurato un metodo di lavoro interessante, però, date le scarse forze di cui dispone, è difficile che dia risultati in tempi brevi e qui i tempi sono stretti. Non dimentichiamoci che a giugno 2014 ci aspettano le elezioni europee, nelle quali si vota con sistema proporzionale ma con clausola di sbarramento al 4%. Dopo una nuova sconfitta, quel che resta della sinistra rischierebbe di disperdersi del tutto. E teniamo presente che neanche Sel ha il 4%.

Peraltro, alle Europee non ci sono le coalizioni ed ognuno corre per suo conto. Nel frattempo, c’è un’ emergenza: che si fa dei resti di Rifondazione che, nel complesso, dispone ancora di diverse migliaia di militanti e di sedi un po’ in tutta Italia? Teniamo conto che, allo stato attuale, non ha mezzo euro da spendere e che la prospettiva è quella di una nuova traversata del deserto senza parlamentari. Il rischio evidente è che, nel giro di qualche mese, si squagli tutto, se non c’è un approdo, per quanto provvisorio, verso il quale dirigersi per riprendere fiato.

Considerato che il suo attuale gruppo dirigente è al di sotto di ogni sospetto, la cosa più probabile è che, qualora restasse in sella, farebbe probabilmente due cose:

a- liquidare quel che resta del patrimonio immobiliare del partito per spartirsi con l’apparato il magro gruzzolo a titolo di  ultimi stipendi e liquidazioni

b- nascondersi dietro Ingroia, che è l’unico che continua a credere che Rivoluzione civile esista ancora, per poter andare a battere alle varie porte vicine (M5s, Sel, Pd..) nella speranza che se ne apra una.

Ovviamente, la seconda operazione ha ottime probabilità di fallire e, a quel punto, Rifondazione (posto che ci sia ancora) si disintegrerebbe del tutto. Di qui la necessità di liberarsi di questo branco di parassiti che “dirigono”: non ho detto “sfiduciare il gruppo dirigente”, intendo dire proprio ruzzolarli dalle scale (metaforicamente parlando… si intende).

Ma, anche dopo questa sana disinfestazione del partito (chiamiamolo ancora così), resterebbe il problema di cosa fare, senza denaro, senza accesso alle istituzioni ed ai media, con una base in grave crisi psicologica. Per risalire la china ci vorrebbe un colpo d’ala: un’ iniziativa politica forte ed innovativa, ma questo, a sua volta, esigerebbe un nuovo gruppo dirigente, che sappia prendere in mano le redini ed invertire la tendenza. Ma dove lo trovano?

Pensare che, dopo anni di sonno bertinottiano e di catastrofi ferreriane, dopo anni di assenza di idee politiche e di discussione vera, possa venir fuori d’improvviso un nuovo gruppo dirigente, come Minerva armata dal cervello di Giove, è solo una illusione illuministica. Dunque, le premesse per una ripresa immediata non ci sono, mancano i mezzi e la gente è fortemente sfiduciata. Che si fa? Si aspetta che tutto finisca per consunzione e che l’ultimo spenga la luce? Se non vogliamo che tutto evapori nel giro di una manciata di mesi, occorre dare “un tetto” a quel che resta e l’unica possibilità è Sel, che a sua volta deve iniziare un ripensamento molto serio di tutte le sue scelte. Inoltre, le critiche che vengono mosse circa l’alleanza di Sel con il Pd non tengono conto che:

a- c’è una consistente possibilità che muti la legge elettorale e che le coalizioni non si formino più, ma si vada al voto su liste scollegate

b- non è scritto da nessuna parte che si riformi l’intesa Pd-Sel e che magari non venga fuori un cartello Pd-Monti che obbligherebbe Sel a cercare altre strade

c- il Pd è sottoposto a forti sollecitazioni interne che non è escluso possano sfociare in aperte rotture, nel qual caso l’esistenza di un polo di sinistra piccolo, ma di qualche solidità, potrebbe risultare molto utile.

Insomma, non sto affatto proponendo di ridurre tutta la sinistra radicale a Sel, ma solo di iniziare un percorso di rifondazione (questa volta vera e non solo slogan) che porti alla nascita di un efficace partito di sinistra anticapitalistica. Su questa strada occorre anche lavorare con Alba, Csp e Sinistra Critica, d’accordo, ma intanto occorre evitare la diaspora finale.

La discussione sul futuro della sinistra diffusa è il santo graal di questi ultimi anni per tutto quel pezzo che passa dall’ala sinistra del pd fino ai gruppi più oltranzisti (e lo dico con affetto) a sinistra e la soluzione paventata alla fine è quasi la stessa: mettersi insieme. Eppure sfugge come il punto politico oggi sia questa idiosincrasia ad un percorso identitario reale prima di pensare alle somme: come un accorpamento di corpi celesti di cui non si conoscano ancora perfettamente le sostanze che li compongono ma che debbano stare insieme per la caratteristica comune di “essere troppo piccoli da soli”.

Io non credo che Rivoluzione Civile abbia fallito in questa ultima tornata elettorale (e, attenzione, ritengo che anche SEL esca sconfitta rispetto agli obiettivi) perché non ci sia bisogno di una sinistra in questo paese quanto piuttosto essere risultata una somma con poca identità. Chi come me ha partecipato ai direttivi nazionali (nazionali, attenzione) di IDV non può credere che il dialogo con Diliberto e Ferrero sia frutto di un percorso d’intenti piuttosto che di un calcolo algebrico e nemmeno posso pensare che Ingroia o De Magistris (e con entrambi mi lega una profonda stima e riconoscenza per la loro intelligenza) abbiano potuto credere il “pericolo Monti” potesse essere un valore fondante per una coalizione che vorrebbe guidare l’Italia. Ancora di più oggi che è chiaro che Monti è solo una scheggia rispetto al confronto doveroso con il Movimento 5 Stelle. E nemmeno posso credere che l’ipotesi di una Cosa Seria (e qui, come Puffo Quattrocchi, mi ripeto) con punti precisi e chiari (si possono leggere qui e guarda caso alcuni sono i punti che hanno fatto forte anche il M5S) sia stata vissuta come un azzardo inconcludente.

Ora siamo qui, con un Governo che forse non si farà e con un cerchio in cui non si capisce nemmeno chi ha la palla e chi sta sotto. E sembra impossibile che non si sia capaci di vedere il futuro come nascita piuttosto che conseguenza.

Mi servirebbe sapere

Quando ci avanza un secondo, senza troppo disturbo, cosa abbiamo da dire noi a sinistra che abbiamo perso senza nemmeno arrivare primi. Se vogliamo essere sempre così allegramente diffusi o almeno ci interessa centrare un punto.

E quando. E come. Questo spazio è la nostra discussione, aperta.

 

Banche, politica e il senso perso

bankBisogna essere chiari. La politica deve fare dei passi indietro e, intrapresa una direzione ben diversa, deve cominciare a fare dei passi in avanti. Passi indietro nella commistione con la finanza pervasiva e sregolata, quella stessa che in questi anni ha snaturato l’economia reale e annullata quasi del tutto la funzione originaria del sistema bancario.

Perché noi oggi chiamiamo “banca” qualcosa che, in larga parte, non lo è più da tempo, se è vero che il suo scopo primario – raccogliere il risparmio e orientare il credito verso famiglie e imprese – non viene quasi mai praticato. Passi in avanti la politica ne deve invece fare assumendo in proprio il governo di una politica economica e sociale del Paese da cui la stessa finanza l’ha via via espropriata, relegandola al ruolo notarile di chi certifica scelte “tecniche” che, lo stiamo vedendo, ci riportano sempre come nel gioco dell’oca al punto di partenza della crisi. La politica poi, alle banche e alla finanza, deve dare delle regole.

Alcune buone già esistono e vanno applicate, altre vanno fatte in fretta – come separare le banche d’affari e d’investimento dalle banche di risparmio, e per noi questo è uno dei primi punti del nostro programma di governo. Ma essere chiari vuol dire non essere degli ipocriti e chiamare sempre le cose con il loro nome. E dunque, è solo la politica che deve fare dei passi indietro? O non sono da separare una volta per tutte anche altri intrecci, in alcun casi ancor più solidi e duraturi e mai conflittuali?

Sergio Boccadutri sull’argomento di questi giorni.

La prevalenza del cretino

Poco interessanti catene di cause e effetti terapeutici, dietetici, sociali, politici, tecnologici spiegano l’esponenziale proliferazione della “bêtise”. Figlia del progresso, dell’idea di progresso, essa non poteva che espandersi in tutte le direzioni, contagiare tutte le classi, prendere il sopravvento in tutti i rami dell’umana attività. È stato grazie al progresso che il contenibile «stolto» dell’antichità si è tramutato nel prevalente cretino contemporaneo, personaggio a mortalità bassissima la cui forza è dunque in primo luogo brutalmente numerica; ma una società ch’egli si compiace di chiamare «molto complessa» gli ha aperto infiniti interstizi, crepe, fessure orizzontali e verticali, a destra come a sinistra, gli ha procurato innumeri poltrone, sedie, sgabelli, telefoni, gli ha messo a disposizione clamorose tribune, inaudite moltitudini di seguaci e molto denaro. Gli ha insomma moltiplicato prodigiosamente le occasioni per agire, intervenire, parlare, esprimersi, manifestarsi, in una parola (a lui cara) per «realizzarsi».

Sconfiggerlo è ovviamente impossibile. Odiarlo è inutile. Dileggio, sarcasmo, ironia non scalfiscono le sue cotte d’inconsapevolezza, le sue impavide autoassoluzioni (per lui, il cretino è sempre «un altro»); e comunque il riso gli appare a priori sospetto, sconveniente, «inferiore», anche quando − agghiacciante fenomeno − vi si abbandona egli stesso.

Carlo Fruttero, Franco Lucentini – La prevalenza del cretino, 1985

Sinistra, centrosinistra e #cosaseria: intervista per Byoblu

di Valerio Valentini (pubblicato su Byoblu.com)

A distanza di qualche settimana, torno a fare quattro chiacchiere con Giulio Cavalli, regista e autore teatrale, scrittore – il suo ultimo libro s’intitola L’innocenza di Giulio (Andreotti, non Cavalli), nonché consigliere Regionale Lombardia per SEL. Parliamo di quella strana cosa che è oggi la Sinistra italiana, all’indomani dell’inizio del viaggio elettorale di Matteo Renzi, deciso a mandare a casa la gerontocrazia del partito. Questa è la sua lettura degli scenari politici attuali e futuri.

Dopo essere stato eletto nel consiglio regionale lombardo nelle liste dell’IDV, hai deciso di passare tra le file di SEL. Motivasti quella scelta dicendo che avevi voglia di contribuire a costruire il cantiere di una nuova sinistra. Viene da pensare che ti sei lanciato in un’impresa titanica!

Viste le ultime notizie direi che scivoliamo nell’utopia in effetti. Vanno fatte però alcune precisazioni: sono stato eletto nelle liste dell’IDV come indipendente e sono molto grato ad Antonio Di Pietro e ai dirigenti (anche locali) che mi hanno accompagnato senza risparmiarsi in questa entusiasmante avventura. Con Luigi De Magistris e Sonia Alfano abbiamo pensato che la nostra presenza potesse essere un valore aggiunto al partito; poi alcune dinamiche ci hanno fatto prendere strade diverse: per le posizioni politiche, per le diverse vedute di gestione dei meccanismi interni e per gli obiettivi che intendevamo perseguire. Credo che non sia un caso che oggi io, Sonia e Luigi siamo usciti dall’Italia dei Valori. Ma bisogna precisare una cosa: il mio rapporto con IDV e Di Pietro è rimasto integro: credo che il mio è uno dei rarissimi casi in cui da entrambe le parti abbiamo convenuto che lasciarsi fosse la decisione migliore da prendere. Ricordo il comunicato stampa di IDV: “continueremo a lavorare sui nostri punti comuni”. SEL è una forza giovane che nasce per ricostruire una sinistra credibile e per prendersi la responsabilità di governare questo Paese. Era inevitabile che alla fine fossi qui.

E questi continui giri di valzer in vista delle elezioni, come li valuti? Non credi che un po’ tutti, Nichi Vendola in primis, farebbero bene ad essere più espliciti nel proporre le alleanze e indicare le coalizioni anziché lasciarsi sempre qualche spiraglio aperto per eventuali ripensamenti? Non si rischia di disorientare, e in definitiva di deludere, un elettorato troppo vasto ed eterogeneo?

Quelli che tu chiami giri d valzer sono sicuramente un problema. Ma credo che si tratti di un problema poliforme: politico e di comunicazione. In un momento così fluido (tra primarie del centrosinistra che sembrano congressi anticipati, cuciture di rapporti politici tenute sottotraccia e questa anomala alleanza che sostiene Monti) si tende a essere molto morbidi nella comunicazione sfumando le posizioni. Ed è incredibile come le segreterie dei partiti non si rendano conto che in questo momento i cittadini voglio ascoltare e riconoscere posizioni nette e riconoscibili. Certo esiste un’ala – in cui mi inserisco con molta convinzione – che crede che la ripresa e lo sviluppo dell’Italia passi da un’agenda completamente diversa da quella montiana e europea di questo momento, e anzi riconosce di dovere ripristinare alcuni diritti acquisiti che negli ultimi mesi sono stati rimessi in discussione; mentre c’è una componente (soprattutto nel PD) che ritiene di dovere continuare ciò che sta andando in scena in questi mesi a Roma. Per questo noi abbiamo voluto definire gli argini programmatici nel nostro appello “Facciamo la Cosa Seria” in cui chiedevamo a SEL e una parte consistente del PD di essere netti nei rapporti con l’UDC, di coinvolgere l’IDV nella coalizione e di aprirsi a sinistra e a tutti i movimenti che vedono uno sviluppo possibile uscendo dai dettami di Monti e Merkel. E, viste le ultime dichiarazioni di Vendola, direi che qualche risultato l’abbiamo ottenuto. Certo il percorso è lungo.

In effetti, nella politica e nella comunicazione, le scelte nette e chiare, spesso anche estreme, purché dotate di una certa coerenza, sembrano pagare. A tuo avviso il PD, che continua a barcamenarsi tra tendenze a volte inconciliabili, non l’ha ancora capito?

Il PD tiene insieme anime opposte su alcuni punti programmatici. Funziona finché la sintesi è una mediazione, quando diventa prevaricazione di una delle due parti o accordo in cambio dell’autopreservazione dimostra la sua faccia peggiore.

E in uno scenario simile, che primarie dobbiamo aspettarci, secondo te? Non si rischia un collasso definitivo a causa del conflitto non più latente tra queste “anime opposte”?

Le primarie funzionano quando sono conciliabili con un programma di fondo. Mi sembra che manchi la discussione proprio su questi punti. Così rischiano di diventare un corso di bellezza o una vendetta interna che interessa proco alla gente. La partecipazione si costruisce sui bisogni, sugli scenari e sul disegno di futuro che si vuole proporre. Oggi direi che le primarie stanno mostrando la faccia peggiore: quella dell’utilitarismo delle fazioni per riposizionarsi. Ogni tanto ho il sospetto che le antenne dei dirigenti del centrosinistra si siano sclerotizzate e abbiano perso il contatto con la realtà; e mi auguro che l’autunno caldissimo che ci aspetta sui temi dell’economia e del lavoro non comporti bruschi risvegli.

Si tratta più di una paura o più di una speranza? C’è un’alternativa concreta che possa evitare che questi risvegli avvengano in maniera pericolosamente traumatica?

Paura e speranza. Nel momento in cui i bisogni dei cittadini non trovano rappresentanza il rischio del cortocircuito è evidente. E l’incapacità di lettura di questa classe politica è conclamata. Secondo te al cittadino che tra qualche settimana non avrà più nemmeno la cassa integrazione può interessare l’alchimia algebrica di sigle per le prossime politiche? Credo di no.

Una classe politica, insomma, ottusamente rintanata nel Palazzo, per dirla con Pasolini. E sul Movemento 5 Stelle, qual è la tua idea?

Non condivido questo accanimento nei loro confronti. Questo elitarismo per cui si decide quale movimento sia democratico e quale no mi sembra un’insulsa pratica che non giova alla dialettica politica. E mi stupisce che nel Parlamento che ospita un partito incostituzionale come la Lega (perché la secessione è incostituzionale, per dire) si arrivi a strepitare contro il Movimento 5 Stelle. Io non ne condivido alcune posizioni e credo nell’importanza dei partiti ma in Consiglio Regionale in Lombardia mi sono ritrovato spesso a portare avanti alcune loro istanze (visto che non hanno rappresentanti). I politici si sono lamentati per anni della mancata partecipazione e oggi la condannano perché non è come la vorrebbero loro. Forse sarebbe il caso di aprire un’analisi seria sul perché così tante persone hanno deciso di affidarsi al Movimento 5 Stelle, capire cosa ha sgretolato la credibilità dei partiti, osservare quali risposte gli elettori credono di potere trovare nel movimento di Beppe Grillo e non da noi. Si dovrebbe fare così la politica, no?

Secondo te queste domande i leader degli attuali partiti non se le sono fatte per miopia, oppure semplicemente non vogliono cercare una risposta per paura di dover ammettere l’esistenza di una realtà dei fatti che non li vede più ai posti di comando?

La seconda che hai detto, direbbe una trasmissione di qualche anno fa.