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Umberto Eco, internet, gli imbecilli e gli stupidi e io che forse sono imbecille anch’io

Sta facendo molto discutere l’uscita con cui Umberto Eco ha dichiarato che internet ha concesso il diritto di parola agli stupidi. Io personalmente conosco moltissimi scrittori scemi, antimafiosi cinici e vanesi, attori incapaci ma onnipresenti, giornalisti servi ma anche finti panettieri che sono veri ‘ndranghetisti, preti evasori, divorziati innamorati e anche coppie salde e cornificate; ho incrociato politici corrotti, professori egoisti e presuntuosi, presunti “salvatori della patria” pronti a vendere la propria madre, un tassista che rilascia tutte le ricevute ma anche un avvocato che mi ha chiesto soldi in nero e poi magistrati severissimi con gli altri (e mai con se stessi) e giudici seri in mezzo ad altri giudici molto superficiali. Ho incontrato di tutto, come tutti. E forse, semplicemente, questi hanno anche un profilo social. Forse. Mi viene da pensare. Se non sono un imbecille.

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Una bella osservazione sulla scempiaggine di Franceschini

“Faremo la Biblioteca Nazionale dell’Inedito. Un luogo dove raccogliere e conservare per sempre romanzi e racconti di italiani mai pubblicati”

Quando il Ministro Franceschini ha twittato così ieri ho pensato che fosse un’uscita senza senso, vuoi per i pochi caratteri che il social ci lascia a disposizione o vuoi per una sintesi frettolosa di un progetto veramente più vasto e più spesso. E invece no.

E siccome il web è pieno di opinioni (spesso troppe e troppo sparse) non ne aggiungo ma vi ripropongo lo scritto di Christian Raimo qui.

Scambiare il futuro per presente

twSuccede. Ed è un errore che ogni tanto paghi anche caro. Ieri discutevo nella cucina di un amico (le analisi politiche fatte nelle cucine degli amici mi appassionano molto di più delle liturgie da direttivi, ultimamente) di quanto sia facile credere che gli altri siano noi. Lo so, sembra una banalità detta così, a gli stessi risultati di Ambrosoli (vincente nelle città e sconfitto nelle valli e nelle periferie della Lombardia) dimostra come in fondo siamo caduti (tutti, io compreso, eh) nell’omologazione di credere che siano interessanti le cose che noi troviamo interessanti, che siano bisogni comuni i nostri bisogni personali, che il giusto linguaggio sia il nostro linguaggio. E così accade che ci immaginiamo l’elettore degli elettori (quella strana persona che è la gente) informato in rete, appassionato su twitter e accurato ricevitore di newsletter. Crediamo noi di essere tutti e che il futuro sia già presente e collettivo. Ed ho sbagliato anch’io.

E’ interessante l’analisi su rete e retorica fatta da Valigia Blu:

In definitiva, ci siamo innamorati di una retorica nuovista e dipendente da una presunzione di efficacia nei confronti della tecnologia che ha inficiato le nostre capacità analitiche rispetto al quadro complessivo di ciò che stava sedimentando nel corpo e nella testa dei cittadini. Non l’unico fattore, ma certo uno tra quelli di cui prendere nota per evitare che la prossima volta il risveglio dalle urne sia un incubo di irrilevanza dei media da cui non vediamo la via d’uscita. E che non eravamo stati in grado di anticipare in nessun modo, non certo calcolando la traiettoria di qualunque foglia si fosse mossa su Twitter.

L’articolo completo di Fabio Chiusi è qui.

L’informazione si può fare quando ci si occupa della “casta”?

Beppe-GrilloScrivevo proprio qui qualche giorno fa delle normalizzazioni e delle strumentalizzazioni che Beppe Grillo (con la solita intelligenza utile) scrive per difendersi. Dicevo, appunto:  E’ la politica, bellezza. Stavate arrivando e ora siete arrivati.

Stefano Feltri riprende il tema (partendo proprio da qui) e lo sviluppa in modo interessante. Vale la pena leggerlo:

Benvenuto in politica, caro Beppe Grillo. Quando uno diventa un personaggio pubblico, specie se il più noto, deve dare per scontato che della sua vita tutto, ma proprio tutto, verrà analizzato e raccontato.
Sono le regole base dell’informazione e del giornalismo – quello più sano – che trova notizie e le racconta, lasciando poi al lettore il compito di farsi un’opinione. Funziona così, anche se chi magari vive soltanto sui blog, immune da ogni input sgradito, non se lo ricorda più.

L’Espresso, ormai lo saprete, ha rivelato che l’autista-factotum di Grillo, Walter Vezzoli, ha aperto diverse società in Costa Rica per costruire un fantomatico restort eco sostenibile mai realizzato, in compagnia della cognata di Grillo (all’epoca compagna di Vezzoli) e di un imprenditore accusato – e assolto – per traffico internazionale di droga.
L’inchiesta de L’Espresso, firmata da Vittorio Malagutti, Nello Trocchia e Andrea Palladino (il primo fino a poco tempo fa cronista finanziario di punta del Fatto Quotidiano, gli altri due collaboratori sia del Fatto che dell’Espresso) è, appunto, un’inchiesta. Che racconta una storia interessante, come dimostra il fatto che tutti ne stiano parlando, e che quindi meritava eccome di essere pubblicata.

La risposta di Grillo sul suo blog
 è, come prevedibile, la replica di un politico piccato, che non nasconde il suo disprezzo per i giornalisti (in questo Beppe ricorda Massimo D’Alema). E che non spiega nulla, non chiarisce e non replica a tono. E’ solo un Vaffanculo, difficile forse aspettarsi altro. Versione 2.0 del vecchio “Io sono io e voi non siete un ….”

Andiamo al sodo.

Grillo sfotte i giornalisti dell’Espresso invitandoli ad andare su Wikipedia per scoprire che “sociedad anonima” è l’equivalente di una semplice società per azioni. 
Visto che alcuni giornalisti hanno letto anche altro, oltre a Wikipedia, sanno che il punto non è questo: in Italia basta una semplice visura per scoprire chi c’è dietro a una società per azioni. Per esempio sul sito www.lince.it.
In altri Paesi – basti ricordare il caso di Santa Lucia e la vicenda dell’appartamento del cognato di Gianfranco Fini – invece è impossibile risalire ai soci. Quindi la società è davvero anonima, non soltanto nel senso che esiste come entità giuridica autonoma rispetto agli azionisti.

Per questo sono paradisi fiscali: perché quando una società non è riconducibile a nessuno, è libera di fare quello che vuole. Tutti i grossi scandali italiani, tipo quello del Banco Ambrosiano, sono passati per società di quel tipo.

Grillo richiama i cronisti alla “verifica delle fonti”, sostiene che la Costa Rica non è più nella lista dei paradisi fiscali dal 2011.
Ma Grillo, oltre alle fonti, dovrebbe leggere anche gli articoli: nell’intervista al Fatto Vezzoli dice che aveva aperto quelle società quando pensava di costruire un villaggio eco sostenibile nel 2007. Quattro anni prima che il Costa Rica passasse dalla black alla grey list dei paradisi fiscali.

Quindi le risposte di Grillo, oltre che un po’ supponenti, sono inutili
E le domande che solleva l’inchiesta dell’Espresso restano tutte in campo:

– Perché l’autista di Grillo apre 13 società in Costa Rica? Accettiamo la sua spiegazione: abitava lì e quindi ha seguito il diritto locale. Ma perché 13? A cosa servivano? Non ne bastava una? Chissà.
– Non so voi, ma se io pensassi di costruire un resort in un paradiso turistico, prima mi porrei il problema della fattibilità del progetto, poi cercherei i finanziatori e alla fine aprirei delle società.Perché Vezzoli fa il contrario? Una spiegazione ci sarà, ma lui, che al Fatto dice “non avevo un centesimo”, non la fornisce. E se “non aveva un centesimo”, chi ha versato il capitale sociale? Per 13 società ci vogliono alcune decine di migliaia di dollari.
– Grillo sapeva che il socio del suo autista era un tizio, Enrico Cungi, accusato di traffico internazionale di droga? Non è stato condannato, ma è stato estradato in Italia e condannato in primo grado per aver venduto due grammi di cocaina (non risultano condanne successive, quindi si immagina poi assolto). Nel link postato da Grillo si legge che il Costa Rica è uno degli snodi chiave del traffico internazionale di coca. Grillo si è mai informato sui rapporti tra il suo autista-factotum e Cungi? Non ce lo spiega.
– Quelle società sono poi state chiuse? In caso contrario, che senso hanno e che funzione hanno svolto? L’Espresso nota che la società Ecofeudo, per il progetto del mai realizzato resort, è ancora attiva. A che scopo, visto che Vezzoli dice che quel progetto è abbandonato? Tenere società opache in un (ex) paradiso fiscale ancora molto apprezzato dagli imprenditori per la riservatezza che garantisce non è un bel biglietto da visita per chi predica trasparenza in politica e vuole abolire le scatole cinesi in Borsa (Vezzoli era sul palco di piazza San Giovanni da cui Grillo urlava queste cose).

Nessuno sta facendo illazioni su Grillo (che pure qualche guaio con l’agenzia delle entrate ce l’ha, per una storia di Irap, ma non l’ha mai negato neppure lui). Ma in questi anni abbiamo passato al setaccio i collaboratori di tutti i protagonisti della scena politica (segretarie, portaborse, assistenti ecc.). Ora tocca anche a Grillo.

Ce lo concede, lui e i suoi sostenitori che inondano di insulti e spam chiunque non sia fedele alla linea del movimento, o l’informazione si può fare quando ci si occupa della “casta”?

*aggiornamento*

scopro di conoscere uno dei “fantomatici” soci: lo conosco e mi racconta. Il fatto in sé è una bufala buona per un dossier che duri qualche giorno. Ecofeudo è l’ennesimo sperimento di alcuni ragazzi (non li conosco tutti) molto “spericolati” nelle loro visioni. E’ un’idea, un sito e niente più. E una società che costa (lì) poco e niente di apertura e zero di mantenimento.

 

 

Scrittori social

Si era affacciato anche José Samarago, suscitando anche un certo clamore tra fan e detrattori, alla rete aprendo un blog che usciva dal solito sito di scrittori basicamente informativo, confezionato dall’ufficio stampa e statico al di là delle nuove pubblicazioni (e nel migliore dei casi aggiornando l’agenda). Il caderno di Samarago (qui nella sua versione italiana) ha rotto l’incantesimo e il pregiudizio dello scrittore che deve essere una figura sparente e preoccuparsi di esserci poco e bene. L’amica Michela Murgia ha un blog che riempie di opinioni sulla letteratura, sulla politica e sulle diverse quotidianità. E non solo blog: su twitter o fb sono molti gli scrittori che decidono di avere un dialogo reale che non si fermi al “mi piace” o al retweet ma che risponda e interagisca davvero.

Giorgio Fontana è scrittore e editorialista sul web e ha provato ad analizzare il ruolo “sociale” di uno scrittore stilando alcune semplici regole di base presentate al workshop “Uno scrittore deve essere social?”, tenuto l’8 settembre per il ciclo Extralab al Festival Letteratura di Mantova.

La rete è un’occasione sociale se abitata con verità e interazione. Come al mercato quando le signore ti additano perché costa troppo la tua scorta e ne viene fuori una chiaccherata sulla sicurezza e le mafie che riempi mezza mattina e lentamente si forma un’agorà politica in mezzo alle verdure: il piacere del dialogo contrapposto all’esposizione. Quando saremo tutti abbastanza alfabetizzati da riconoscere finalmente la sincerità nonostante il mezzo ci sarà da divertirsi perché non stoneranno solo i dinosauri ma a ruota i paratelivisivi disabituati al dialogo. E sarà un buon momento. Mica per la rete. Per la socialità, appunto.

L’ovvietà sotto l’ombrellone

Giornalisti che si lagnano perché sui social i loro articoli vengono commentati in calce da gente che mette commenti da bar, dimenticandosi che da sempre nei bar i giornali vengono letti ogni mattina e commentati.

Sociologi che si stupiscono perché, quando un movimento politico si ingrandisce, toh, arriva un sacco di gente che nei primi anni non c’era, e prima, pure, votava altro.

Politici che dicono che è meglio se i voti che comunque non prendono loro vanno al Pdl che ad altri, invece di chiedersi preoccupati perché quei voti da anni il partito loro se li sogna e non riesce ad intercettarli.

Colonnine di quotidiani nazionali che ogni santo giorno trovano un pretesto diverso per pubblicare le foto di consigliere regionali ed ex ministre in bikini, salvo poi alzare alti lai contro lo sfruttamento dell’immagine delle donne.

La banalità del banale secondo Galatea.

ps: il titolo è ovviamente banale.

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