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La fiera delle falsità

La seconda ondata li ha smascherati tutti. A cominciare da Matteo Salvini. Lui, che il 25 giugno parlava di uno Stato «terrorizzante» assicurando che non ci sarebbe stata nessuna replica dell’epidemia, è lo stesso che il 16 ottobre ha urlato al governo: «Cosa è stato fatto per prevenirla?»

Dura di questi tempi essere di centrodestra in Italia. Dura soprattutto dover essere di quel centrodestra che alliscia la teoria della dittatura sanitaria senza mai dirlo specificatamente, quelli che devono accarezzare i negazionisti di tutte le varie nature e lo fanno con trucchi riconoscibili a un chilometro di distanza. Il modello è sempre lo stesso: quello che porta Trump a riempire i social di notizie (false) volte a minimizzare la pandemia, tutto utile per lasciare immaginare che presunti poteri forti (qui in Italia dovrebbe essere il governo Conte, il potere forte) stiano partecipando a chissà quale oscuro disegno per ottenere chissà quale scopo. Basterebbe una domanda, una domanda sola a Salvini e ai suoi compari che gridano ogni giorno alla dittatura sanitaria: voi che fareste? Quali sono le vostre proposte? E vedrete che non ne esce niente, niente di niente, se non il gusto comodo e irresponsabile di andare contro il governo a muso duro.

La seconda ondata del resto li ha smascherati tutti. Matteo Salvini il 25 giugno di quest’anno aveva rilanciato l’idea di uno Stato “terrorizzante” assicurando che non ci sarebbe stata alcuna seconda ondata del virus. Badate bene: è lo stesso Salvini che il 16 ottobre ha urlato «cosa è…

L’articolo prosegue su Left del 23-29 ottobre 2020

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Concorso in spostamenti pericolosi

I sindacati della scuola avevano chiesto che il concorso straordinario venisse sospeso, ma la ministra Azzolina si è opposta. Costringendo gli insegnanti a spostarsi nei giorni in cui tutti dicono che non bisognerebbe farlo

Mi scrive Alessandra:

«Si parla tanto della inopportunità del concorso stesso in piena pandemia, ma la ministra ormai abbiamo capito che non lo sposterebbe nemmeno se venisse uno tsunami combinato Adriatico-Tirreno o se un meteorite si abbattesse su Roma. E vabbè. Quello di cui non si parla è l’estrema superficialità con cui sono stati fatti gli abbinamenti candidati-sedi concorsuali, che obbligheranno 64mila persone a girare come trottole per l’Italia. E non parlo solo di chi dovrà spostarsi di regione perché nella sua il concorso non si svolge (dalla Sardegna al Lazio, dalla Sicilia alla Campania; dico: la Campania), ma di chi dovrà viaggiare anche se una sede concorsuale l’avrebbe sotto casa. Io sono stata destinata a Firenze, quindi prenderò un treno e poi un autobus, mentre con la bici sarei potuta arrivare tranquilla tranquilla (e sicura sicura, nell’ottica del contagio) all’Itc di Piombino. Dove invece nello stesso giorno sono attesi una quindicina di altri candidati, alcuni dei quali vivono a Firenze, magari vicino alla scuola dove farò io la prova».

Sul maxi concorso per la scuola che è iniziato proprio in questi giorni in effetti c’è qualcosa che andrebbe registrato e messo a posto. I sindacati hanno chiesto a lungo che il concorso venisse sospeso ma la ministra Azzolina ha adottato la tecnica della fermezza. Certo questi spostamenti proprio nei giorni in cui tutti dicono che non bisogna spostarsi sollevano più di qualche dubbio. «Si apre nel caos. Ci sarà una miriade di contenziosi, se non permettiamo agli insegnanti trovare una via di uscita con una prova suppletiva», dice Maddalena Gissi (Cisl).

E in effetti non si capisce cosa accadrà per quelli che per motivi di positività al Covid, di isolamento o quarantena non potranno partecipare alle prove. Il caso limite, ad esempio, è a Arzano, in Campania, che da giorni è zona rossa (quindi è vietato entrare e uscire) e proprio ad Arzano c’è una sede per gli esami. Che si fa? Qualcuno chiede una prova suppletiva ma la ministra ha chiarito che il parere della Funzione pubblica è stato negativo. Niente da fare? Sarà lunga, molto lunga perché i ricorsi saranno moltissimi. Secondo quanto riferisce l’Adnkronos il Tar del Lazio si è espresso già sulla richiesta di una docente che non potrà essere presente alle prove perché bloccata dall’emergenza sanitaria aprendo al diritto di avere una sessione suppletiva. Si attende la sentenza il 17 novembre.

Poi c’è la questione politica: l’opposizione si oppone (e vabbè) ma anche il Partito democratico ha espresso seri dubbi. Curioso il caso del Movimento 5 stelle che al governo parla di “strumentalizzazioni politiche” sul concorso mentre in Lombardia vota con la Lega una mozione per sospendere il concorso.

Una cosa è certa: “mischiare” le persone in giro per l’Italia non è una buona idea. Proprio no.

Buon venerdì.

Per approfondire il tema, leggi l’articolo di Donatella Coccoli su Left del 23-29 ottobre 2020

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L’autogol di Mancini, che pubblica una vignetta negazionista sul Covid

Un giocatore lo vedi dal coraggio dall’altruismo, dalla fantasia. L’allenatore della nazionale di calcio Roberto Mancini invece lo vedi dalle vignette che condivide su Instagram come se fosse un adolescente qualsiasi, mettendoci una bella vignetta in cui un’infermiera (ovviamente nera, tanto per riuscire a beccare tutti gli stereotipi peggiori) chiede a un paziente su un letto di ospedale “hai idea come ti sei ammalato?”, e quello risponde “guardando i TG”.

roberto mancini vignettaroberto mancini vignetta

Perché si sa che i negazionisti, quelli che avranno esultato per la vignetta di Mancini come a una finale dei Campionati del Mondo, da mesi insistono nel dire che il virus non esista e che sia solo un’invenzione della stampa. Cosa c’è di meglio dell’allenatore della nazionale italiana per deresponsabilizzare un po’ di persone, per spargere un po’ di letame sull’informazione scientifica e per buttare all’aria tutta la cautela che viene raccomandata in questi giorni?

Chissà se Roberto Mancini ha voglia di andare a scherzare dai suoi tifosi che hanno perso parenti o amici in questi mesi, chissà se Mancini non ha voglia di entrare nella televisione degli italiani (come gli capita spesso con la sua squadra in prima serata) per spiegare a quel mezzo milione di italiani che hanno avuto il Covid che usa i social con la stessa irresponsabilità di un dilettante, lui che dovrebbe essere il re dei professionisti italiani. E chissà che non sia lo stesso Mancini che più di una volta, come accadde con Sarri qualche anno fa, tenne pomposi concioni sul calcio come veicolo di responsabilità e cultura, lui che ci ripeteva tutto serio serio che il calcio non può sopportare inciviltà e ignoranza.

E chissà che ne pensa la FIGC, quella che si spreme tanto per veicolare messaggi negli stadi e che si ritrova un domatore di fake news come allenatore della sua nazionale maggiore. Caro Mancio, se la creatività è direttamente proporzionale al ruolo che si riveste e alla visibilità pubblica oggi sei riuscito nella mirabile impresa di risultare il campione degli uomini poco saggi. Ora vedrete che ci dirà che gli hanno hackerato il profilo, che è stato un suo amico, che gli hanno rubato il telefono. Di sicuro è un autogol clamoroso. E questa volta ha completamente sbagliato la tattica. Complimenti mister, per come tiene alta la bandiera.

Leggi anche: 1. Lettera ai negazionisti: “Venite a Lodi a tenere i vostri comizi davanti a orfani del Covid” / 2. Spiegateci perché gli esperti che minimizzavano il virus ora imperversano in tv / 3. Ecco a voi i nuovi sovranisti: ignoranti individualisti e negazionisti che cianciano di dittatura sanitaria

L’articolo proviene da TPI.it qui

Arcuri si risveglia dal sonno e lancia una proposta vecchia di mesi…

Fermi tutti, si è svegliato Domenico Arcuri. Il commissario straordinario all’emergenza da Covid-19, quello che ha scambiato il suo ruolo – più di una volta – con quello del moralizzatore spalleggiato dal Governo, ieri ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera, per darci una lunga lezione sulla pandemia e sugli strumenti per riuscire a contenerla. Peccato che siano tutte cose che sui media circolano da mesi e peccato che proprio Arcuri sia la persona incaricata di dovere fare funzionare le cose, mica di continuare a spiegarcele. Così ci ritroviamo a leggere il commissario che dice «il senso di ciò che abbiamo imparato è rintracciare il virus sempre prima, curare le persone a casa sempre di più. I medici di base devono poter fare i test nelle case e curare lì il più possibile i malati, visto che ormai i protocolli sono standardizzati».

Potrebbe sembrare un’intervista valida per maggio-giugno, quando ancora ci si illudeva di poter veramente rispettare le 3 T (tracciamento, tamponi e trattamento) invece Arcuri sembra non essersi accorto di quello che sta accadendo con i tracciamenti, che sono ormai praticamente saltati in tutti Italia. Gli addetti al tracciamento non sono stati assunti e il sistema che si è praticamente sbriciolato. Qualcuno potrebbe fare leggere ad Arcuri le parole del suo collega, lì dalle parti del Governo, Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute che ha dichiarato senza mezzi termini che «un’epidemia si combatte con i comportamenti delle persone e con il tracciamento, ma quando vai oltre 10.000-11.000 casi e non riesci più a tracciare». Ma lui, Arcuri il censore, ci tiene a precisare che «facciamo ormai stabilmente oltre 100 mila tamponi molecolari al giorno e ci stiamo attrezzando per chiudere il gap fra domanda e offerta. Daremo alle Regioni molto presto la possibilità di arrivare a 200 mila. Stiamo chiudendo l’offerta pubblica per i test rapidi antigenici e ne compreremo 10 milioni, non più 5».

E sapete quando dovrebbe essere operativo il nuovo straordinario piano dello straordinario commissario? Tra due mesi. Due mesi: esattamente il picco nero che i numeri sembrano indicare come situazione grave in cui rischiamo di sprofondare. In sostanza ancora una volta ci ritroviamo a rincorrere il virus riuscendo semplicemente a mettere una pezza al futuro prossimo. Intanto in Italia abbiamo una capacità di tracciare fino a 2 mila casi al giorno, quando ormai abbiamo abbondantemente sfondato i 10 mila. Non riuscire a reggere l’impatto però non sembra preoccupare il commissario straordinario, che anzi ne approfitta anche per scrollarsi di dosso qualsiasi responsabilità sulla straripante condizione dei mezzi pubblici che portano gli studenti a scuola: «A me – risponde il commissario al Corriere della Sera – è stato chiesto di aiutare a riaprire le scuole in sicurezza». Stiamo a posto così.

E chissà se ad Arcuri non siano fischiate le orecchie per le dichiarazione di Andrea Crisanti, il virologo celebrato da tutti per come ha gestito la situazione in Veneto a inizio epidemia e poi lasciato ai margini, che dice senza mezze misure: «Se invece di buttare soldi per acquistare i banchi a rotelle avessimo investito sul tracciamento e sulla capacità di eseguire i tamponi, oggi saremmo in una situazione differente. Non possiamo andare avanti altri sei mesi solo con le chiusure».

A proposito di Crisanti. Il Governo mesi fa gli chiese un piano per organizzare il sistema di tracciamento. Si chiamava Network Testing e si basava sul fatto che ogni cittadino vive in una rete tridimensionale di relazione i cui piani sono: la scuola, il lavoro, i vicini di casa, gli amici e i parenti con interazioni sia orizzontali che verticali. Lo scopo era di testare tutte le persone che fanno parte di questo spazio di relazioni ogni volta che si identifica una persona contagiata per scoprire colui che ha trasmesso l’infezione e chi ne è stato contagiato bloccando la catena di trasmissione. È esattamente il sistema che ha permesso a Taiwan, Singapore, Cina e Corea del Sud di registrare successi enormi contro il virus. Il piano è stato messo in un cassetto e il Governo se n’è dimenticato.

Fino a ieri, quando Arcuri s’è ridestato dal sonno e ha lanciato una proposta pressoché identica. Solo che nel frattempo è successo di tutto. Il virus è stato dimenticato nella pausa estiva e poi è tornato prepotentemente per ricordarci tutti i mesi persi. Così mentre Arcuri rilancia sui tamponi (e Federlab Italia gli risponde sottolineando «le strutture pubbliche travolte da una totale disorganizzazione» e gli «enormi problemi non solo nel processare i campioni, ma anche nella fase stessa di accettazione e di refertazione») noi ci ritroviamo invece a doversi inventare qualcosa per rallentare la curva dei contagi. Sempre fuori tempo, sempre senza programmazione.

L’articolo Arcuri si risveglia dal sonno e lancia una proposta vecchia di mesi… proviene da Il Riformista.

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Le sta sbagliando tutte

Matteo Salvini non fa proposte concrete e dimostra di non avere una strategia sull’emergenza pandemia. E continua a inanellare una serie incredibile di figuracce

Ieri nel Consiglio regionale lombardo, settima commissione ore 10/10.30 volano stracci in casa Lega: Massimiliano Bastoni insulta Salvini ma non si accorge di avere il microfono accesso. Il presidente di commissione Terzani lo rimprovera insieme a Paola Romeo (Forza Italia). Una scena meravigliosa ma indicativa. Eccolo qui:

Il piccolo incidente però è indicativo. Matteo Salvini le sta sbagliando tutte e sono in molti ormai nella Lega che glielo stanno facendo notare. Una premessa: governare un Paese in tempi di pandemia, con tutte le decisioni difficili da prendere, costa moltissimo in termini di consensi. Accade negli Usa con Trump, accade in Francia con Macron, accade in Brasile. Indici di gradimento che sono in continua discesa e le opposizioni che risalgono prepotentemente. È il gioco della politica da sempre: governare costa in termini di consenso e farlo in un periodo di incertezza e di crisi sanitaria ancora molto di più.

Lui no. Lui, Matteo Salvini, è riuscito a passare dal 37% dell’agosto 2019 al 24,3% dell’ultimo sondaggio e continua a inanellare una serie incredibile di figuracce. Ieri mattina è corso dal suo presidente della Lombardia Fontana perché diceva non condivideva il lockdown notturno pensato dal presidente della Lombardia. Ha anche sparato la solita tiritera sulla libertà: «le limitazioni delle libertà personali mi piacciono poco e devono essere l’ultima spiaggia», ha detto prima di entrare nel palazzo della Regione. Ne è uscito scornato. Fontana è rimasto sulla sua posizione e pace per il leader leghista.

Badate bene: Salvini è lo stesso che 15 giorni fa diceva che non ci fosse nessun bisogno di prolungare lo stato di emergenza. Anche in quel caso aveva parlato di scelta politica non suffragata da dati sanitari: in 15 giorni è stato seppellito dalla realtà.

Del resto è lo stesso  che questa estate ha rilanciato più volte l’ipotesi del professore Zangrillo che dichiarava il virus “clinicamente morto”. Com’è andata a finire lo sappiamo bene: perfino Zangrillo ha dovuto tornare sui suoi passi. Salvini ovviamente ha fatto finta di niente, come al solito. A fine luglio Salvini aveva partecipato al convegno dei negazionisti, proprio con Zangrillo e Sgarbi. Riascoltare oggi quello che dicevano in quei giorni fa venire la pelle d’oca.

E ve lo ricordate a febbraio, quando fece quel video in cui disse “riaprire, riaprire tutto, tornare alla libertà”, pochi giorni dopo il paziente uno di Codogno? Ecco, poi ci sono stati i morti e le bare di Bergamo. Ha fatto sparire il video dai suoi social ma poi ci era ricascato ancora. Senza contare tutte le volte che si è esibito fiero senza mascherina, fino a che perfino i suoi supporter lo hanno duramente criticato ed è stato costretto a cambiare rotta.

Due giorni fa si è lamentato perché il presidente del consiglio Conte aveva telefonato alla coppia Fedez e Ferragni per chiedere di sensibilizzare i giovani sull’uso della mascherina e lui, pensando di fare una bella figura, ha detto ai giornali «a me ha fatto solo una chiamata di 40 secondi negli ultimi mesi». Ora, pensateci un secondo: quale sarebbe la strategia di Salvini? Non c’è. Proposte concrete non ce ne sono.

Certo perdere consensi di questi tempi è un capolavoro di inettitudine e tra i suoi (Zaia in testa) sono in molti a dirlo sottovoce. Almeno c’è di buono che non ce lo siamo ritrovati come ministro. Almeno questo.

Buon giovedì.

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E alla fine il Re tornò a Palazzo: Salvini commissaria Fontana: “No al coprifuoco in Lombardia”

Aveva la penna in mano pronto per firmare ma la telefonata del suo capo l’ha rimandato a cuccia. Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, pronto a firmare il decreto che avrebbe previsto il divieto durante le ore notturne di spostamenti non autorizzati e che avrebbe segnato la stretta sui grandi centri commerciali nei weekend, è stato stoppato da Matteo Salvini, probabilmente spaventato dai logaritmi della sua propaganda che ciancia a vanvera di libertà da mesi nella sua quotidiana lotta contro il governo, che si traduce in una contestazione continua, senza capire bene quali siano le sue proposte.

E quindi? Quindi abbiamo una Regione appesa a Salvini, che “vuole capire” e che, in visita papale, decide di citofonare direttamente alla sede della Regione per farsi dare ripetizioni di pandemia. E fa niente che intanto i numeri salgano e che gli ospedali si riempiano. Deve capire, lui.

Eppure nella frase con cui Salvini annuncia lo stop c’è dentro tutta l’irresponsabilità che si coglie in questi mesi del virus. Ha detto, testualmente, il leader della Lega: “Il Governo respinge tutte le nostre richieste e a noi tocca portare la croce, imponendo misure impopolari che fanno infuriare i cittadini?”. Tradotto significa: perché dovremo prendere noi le misure impopolari a difesa della salute quando potremmo rimbalzarle al governo?

E dentro c’è tutta la strategia di chi antepone il consenso alla responsabilità della salute pubblica e c’è tutto il succo della politica salviniana che continua a essere semplicemente un sondaggio perpetuo che tende a inseguire le sensazioni istantanee dei suoi sostenitori per riuscire a sfamarle. Badate bene: un capo di partito, senza rendersi conto, lamenta “l’impopolarità” delle misure senza nemmeno fare un cenno alla salute pubblica. Non basta come prova evidente?

Poi, volendo, c’è anche tutta la retorica dell’autonomia lombarda sventolata proprio dal presidente Fontana. Quello stesso Fontana che per mesi si è messo di traverso con il governo Conte per speculare un po’ sulla pandemia, proprio nei mesi peggiori, e che ci ha sempre detto che la sua regione non ha bisogno di prendere ordini da nessuno. Ecco, quello lì stamattina si è messo buono buono nel suo ufficio a farsi sgridare dal suo capo per decidere come aggiustare decisioni già prese in nome di qualche like in più sulla pagina Facebook del Capitano.

Davvero, presidente Fontana, ci vuole dare lezioni di autonomia dopo una mattinata del genere? Davvero i pareri e gli studi di tutti i suoi esperti rimangono incagliati sulla riunione di partito? Dai, facciamo i seri, su.

Leggi anche: 1. Salvini stoppa Fontana e fa slittare il coprifuoco in Lombardia: “Prima voglio capire” / 2. Milano, il direttore dell’Ats: “I tamponi non ci salveranno, bisogna stare a casa e tagliare attività non essenziali”

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Coprifuoco, Conte scarica la responsabilità sui sindaci, poi ci ripensa: chi decide la chiusura delle piazze?

Partiamo da un punto fermo: la situazione è difficile, mancano spesso i mezzi e gli uomini e ha fallito un po’ dappertutto la programmazione. Il gioco delle responsabilità è piuttosto complesso: le Regioni spesso non hanno mantenuto le promesse e si sono sottrate alle loro responsabilità, una certa leggerezza è stata pericolosamente sventolata da illustri medici e da opinionisti oltre che da leader dell’opposizione e la mediazione per qualsiasi provvedimento è sempre più difficile, ognuno con le sue priorità e tutto è in bilico tra il salvare i redditi e l’economia e preservare la salute.

Il governo Conte non si ritrova sicuramente in una situazione facile e i cittadini non sono più disposti, come accadeva a marzo, ad ascoltare buoni buoni le raccomandazioni del presidente del Consiglio come si ascolta un buon padre di famiglia. Pretendono risposte, chiarimenti, dati, numeri, analisi. Se si decide di bloccare un’attività rispetto a un’altra forse sarebbe il caso di sapere (e spiegare) il reale impatto che ha nella diffusione del virus, altrimenti resta la sensazione che tutto sia affidato a un esperimento continuo, come se questi mesi non ci avessero insegnato niente.

Però ieri Conte nella sua conferenza stampa ha compiuto un errore che è sintomatico del clima di incertezza, parlando chiaramente di “responsabilità dei sindaci” nel chiudere vie o piazze che potrebbero essere occasione di assembramento. Il proposito in sé ha le sue ragioni, sentiamo da anni ripetere che gli amministratori locali sono tutti bravi, efficienti, conoscono il territorio e chi meglio di loro potrebbe avere contezza di ciò che accade nelle loro città. Ma se decidi di responsabilizzare i sindaci e gli chiedi di farlo senza dare i mezzi diventa tutto molto complicato.

Solo per fare un esempio: per chiudere una piazza con cinque vie d’accesso (lo faceva notare ieri anche il sindaco di Bergamo Giorgio Gori) servono almeno dieci agenti. 10 agenti per una piazza. Chi li ha? Dice Conte che bisogna concedere l’accesso ai residenti e ai clienti degli esercizi commerciali: chi controlla? A Palazzo Chigi si sono accorti dell’errore e il riferimento ai sindaci sparisce dal Dpcm. Bene, sorge quindi subito l’altra domanda? Chi se ne deve occupare? Il Prefetto? Le Regioni? Chi? E poi si torna al punto di partenza: chiunque sia a doversene occupare con quali uomini e con quali mezzi? Il “federalismo delle responsabilità” che apre questo Decreto rischia di aumentare la confusione, ancora di più. E “decidere di lasciare decidere” alimenta ancora di più il caos.

Leggi anche: 1. Nuovo Dpcm, tutte le misure: cosa si può fare e cosa no da oggi / 2. La svolta del premier Conte: “Non voglio sentir parlare di lockdown” / 3. Crisanti: “Lockdown prima di Natale. Ero stato troppo ottimista”

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Ci vogliono credenti. Ma sono credibili?

Con un paziente lavoro di raccolta di atteggiamenti e dichiarazioni Fabio Chiusi racconta la parabola di Luca Zaia nei confronti dell’app Immuni, quella che nelle intenzioni avrebbe dovuto aiutare la fase di tracciamento dei contatti dei positivi (che funziona poco e male) e che il governo ha fortemente sponsorizzato mentre una parte dell’opposizione ha osteggiato fin dall’inizio. Matteo Salvini, per dire, proprio ieri ha raccontato di non avere scaricato l’app perché sua figlia gli “incasina sempre il telefono”. Siamo un Paese così. Messo così.

Tornando a Zaia si torna al 26 marzo quando il presidente del Veneto proponeva di “sospendere la privacy” per garantire il tracciamento. Disse Zaia: «in questo Paese sono convinto che in questo momento bisognerebbe sospendere le norme sulla privacy e lasciare ai sistemi sanitari di essere un po’ più liberi». E si lanciò addirittura a proporre Israele come modello: «sulla tracciabilità abbiamo disponibilità anche da Israele per la verifica degli spostamenti con sistemi intelligenti», disse.

Il 20 aprile chiede addirittura che l’app sia obbligatoria e che i vigili possano controllare: «se noi passeggiamo per strada un vigile può controllare che abbia guanti e mascherine e poi chiedere di vedere il telefono, per verificare che la app sia accesa». Ci si immagina quindi che Zaia ci tenga veramente moltissimo all’utilità dell’app, a differenza del capo del suo partito.

Il 21 maggio Zaia cambia idea e dice che l’app è stata poco scaricata per le «giuste preoccupazioni di privacy e gestione dati». Quella stessa privacy che voleva abolire. Ma va bene così.

Arriviamo al 3 giugno quando il presidente del Veneto ci delizia con un’altra dichiarazione: «l’app immuni ha due grandi limiti il primo è che non sa dove finisce il gran bagaglio di dati, il secondo che rischia di mettere in crisi l’ossatura della sanità». Come possa entrare in crisi l’ossatura della sanità sapendo dei contatti a rischio è un mistero.

Arriviamo al 14 ottobre quando si scopre, grazie a una segnalazione del Corriere del Veneto che il database di Immuni nella regione non è mai stato aggiornato. Sostanzialmente l’app Immuni nel regno di Zaia è inutile.

E, badate bene, stiamo parlando di uno di quei presidenti che nei tempi della pandemia è stato ritenuto tra i più “credibili” e che ha sempre mostrato il pugno di ferro. Zaia dovrebbe essere, secondo molti, il compagno bravo e buono di Salvini. Però questa breve cronistoria ci pone un problema sostanziale che stiamo vivendo in questi mesi: la comunicazione della politica (tutta, mica solo Zaia) durante la pandemia è stata pessima, discordante, incoerente e spesso molto superficiale. Il governo e le regioni hanno dondolato tra dichiarazioni e scelte (spesso che si smentivano l’una con l’altra) che chiedono ai cittadini di “fidarsi ciecamente” di decisioni che forse sarebbe il caso di spiegare e di motivare con più cura, con più responsabilità e con più precisione. Perché altrimenti lo sforzo sembra quello di allevare cittadini credenti piuttosto che amministratori credibili. No?

Buon venerdì.

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Il Covid blocca anche le adozioni: 500 bambini non possono andare dalle loro nuove famiglie

L’epidemia porta con sé storie nascoste nelle pieghe che bisogna andare a cercare e che nascondono difficoltà che rimangono sotto traccia. In Italia in questo momento ci sono 500 famiglie che attendono il proprio figlio. Sono famiglie che dopo un lungo percorso sono riuscite ad accedere all’adozione internazionale e che nonostante abbiano già ottenuto l’abbinamento, un percorso sfiancante dal punto di vista burocratico e affettivo, non riescono ad abbracciare i propri figli a causa dei blocchi tra Paesi.

La psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi, con un intervento sul settimanale Oggi scrive chiaramente cheper quei bambini attendere ancora significa nuovamente sperimentare un rifiuto che inconsciamente conoscono e consciamente li opprime”. Hanno conosciuto i genitori – spiega la Parsi – scambiando abbracci e pronunciando parole in lingue diverse, nel nome di un nascente amore, di una nascente, reciproca fiducia e speranza di diventare famiglia. Quei bambini sono stati fin dalla nascita segnati da distacchi e da traumatiche esperienze che li hanno separati dalle madri che li hanno messi al mondo. Hanno vissuto in istituti con altri bambini o in famiglie di accoglienza”.

Il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini Marco Griffini racconta che l’ex vicepresidente della Commissione per le Adozioni Internazionali aveva parlato di “corsie preferenziali” per superare il blocco causato dell’epidemia: serve un accordo urgente con i Paesi di provenienza, di concerto con tutti i Paesi europei per riuscire a sbloccare la situazione. “Questo è un problema urgente che non riguarda solo i 500 bambini italiani già abbinati, che, bisogna ricordarlo, sono già dei potenziali cittadini italiani”, ha aggiunto Griffini.

“C’è un numero spropositato di bambini orfani a causa del Coronavirus e quindi vanno studiate e applicate assolutamente delle nuove modalità di gestione delladozione internazionale”. E la memoria va a quando il Governo si attivò, era il 2014 con la ministra Boschi, per sbloccare la situazione di 31 bambini in Congo. Un padre sulla pagina Facebook “Un bimbo mi aspetta” scrive: “Continuo a essere convinto di questa scelta, ma ora mi faccio delle domande, perché il tempo per far ripartire le cose c’è stato. Mi rendo conto che un genitore adottivo non muove il mercato di un campionato di calcio. Mi rendo conto che cerano altre priorità (ci sono sempre altre priorità quando si parla di adozione). Ma abbiamo trovato il tempo di andare in vacanza, riaprire i campionati di calcio, spostare turisti e merci. Siamo riusciti a mettere in piedi un turno elettorale. E non siamo riusciti a unire duecento famiglie. Ogni tanto si spera che l’adozione possa essere “veloce” come un abbandono. Anche in tempi di Covid.

Leggi anche: 1. Coronavirus, Conte: “Situazione preoccupa, rispettare le regole. Lockdown a Natale? Non do previsioni, mi occupo di prevenire” / 2. “Dopo i casi di oggi è davvero possibile un nuovo lockdown delle città italiane”: parla Pregliasco / 3. C’è l’emergenza Covid, ma all’Umberto I di Roma i pazienti sono stipati in sala d’attesa. Motivo? Il set di Mission Impossible con Tom Cruise

4. “La gente non ci vuole mai credere fino a quando deve per forza toccare con mano che il virus non è mai stato meno letale”. Parla Cartabellotta del Gimbe / 5. Nonostante il Covid abbiamo realizzato solo metà delle terapie intensive e usato un terzo dei fondi per posti letto e tamponi / 6. Tutti i numeri su Immuni tra le omissioni delle Asl e la paura dei contagiati

7. Giallo, arancione, rosso: i 3 scenari del Cts per le chiusure se salgono i contagi / 8. Covid, il ministro Speranza: “Il 75% dei contagi da parenti e amici: stop a tutte le feste” / 9. L’epidemiologo Le Foche: “I contagiati hanno carica virale bassa, epidemia domabile in primavera”

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Rimozione collettiva fallita

In fondo è un atteggiamento psicologico che si conosce bene, in cui si cade spesso, convincersi che qualche pericolo sia passato senza che nessun fatto lo dimostri, solo per quella sensazione di passeggero benessere che incrociamo in un momento e che ci invita a deresponsabilizzarci per essere più leggeri. Così è accaduto quest’estate in cui il Covid era sparito mica solo nei numeri ma anche e soprattutto nei pensieri, negli affanni, negli interessi e, ancora peggio, nella programmazione di quello che sarebbe venuto.

La sensazione, a vederla oggi con i numeri che ricominciano a risalire, si direbbe che la rimozione collettiva della pandemia sia miseramente fallita e sia stata una vacanza che forse non ci si doveva concedere, soprattutto quelli che si ritrovano a essere classe dirigente e responsabile di un Paese che affronta la cosiddetta “seconda ondata” di cui tutti parlavano, già prima dell’estate, di cui molti scrivevano e che da alcune settimane era già negli accadimenti degli Stati vicini a noi.

Se davvero lo Stato decide di essere paternalista con i suoi cittadini, ancora una volta, allora risponda anche ai dubbi che sorgono di fronte alla situazione attuale, ci spieghi esattamente come può accadere che già ora sia rientrato in crisi il sistema dei tamponi, ci dica dov’è finito quel benedetto piano di Crisanti che è rimasto inascoltato (e che di tamponi ne prevedeva 300.000 al giorno), perché è accaduto (lo dice il consulente del ministro Speranza Walter Ricciardi) che molte regioni del sud si siano “addormentate” facendosi trovare impreparate di fronte al prevedibile, ci diano per favore i numeri esatti dell’aumento di terapie intensive che era stato promesso e che non si riesce a verificare, ci dicano come pensavano di risolvere il tema dei trasporti pubblici.

È vero che ci sono alcuni cittadini incauti ed è vero che ora da parte di tutti serve una maggiore attenzione ma questi mesi estivi dovevano essere il tempo utile per essere pronti a quello che accade in queste ore ed è troppo facile, troppo banale e perfino offensivo raccontarci che il problema siano gli alcolici dopo le 24. La rimozione collettiva (fallita) non è solo opera dei dubbiosi e dei negazionisti ma è stata anche una superficialità di pezzi di governo e di regioni e la sensazione di essere arrivati impreparati scotta terribilmente. Sentire il presidente della Lombardia Fontana che parla di “movida” mentre non è riuscito a procurarsi il vaccino antinfluenzale che serve per tutti i fragili della sua regione rilancia un vecchio adagio che sarebbe il caso di non ripetere: se ci ammaliamo è colpa nostra e se non ci ammaliamo è merito loro. Basta, dai, un po’ di serietà, su.

Buon giovedì.

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