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Stefano Bonaccini

Fingeranno sempre di passare lì per caso

Il governo ha deciso di chiudere le piste da sci sulla base dei dati del Cts sui contagi. Apriti cielo. Da Salvini a Zingaretti si levano voci sdegnate. E a parlare così sono i politici di quegli stessi partiti che hanno ministri nell’esecutivo Draghi. Ecco cosa c’e dietro il “governo dei sogni”

Giornata interessante, quella di ieri. Giornata significativa anche per quelli che da qualche giorno sospirano petali di rosa sognanti per un Draghi taumaturgo che avrebbe il potere di cancellare i partiti, la politica, la mediocrità di certi leader e soprattutto i normali meccanismi democratici di un Parlamento.

Accade che il governo decida di chiudere le piste da sci che invece avrebbero dovuto aprire. Accade che lo faccia all’ultimo momento: l’ultimo momento del resto è il primo momento utile con i nuovi dati che arrivano dal Comitato tecnico scientifico e volendo ben vedere anche il primo giorno utile da un governo che è naufragato per regalarci il governo dei sogni, il governo dei migliori, il governo che avrebbe cambiato tutto. Accade che di fronte i dati dei nuovi contagi (perché la curva non si abbassa più e anzi in modo preoccupante tende a rialzarsi probabilmente a causa delle varianti del virus) si decide di tenere chiuse le piste sciistiche. Apriti cielo: ogni volta che qualcuno tocca un settore qualsiasi ovviamente (e giustamente) si levano voci sdegnate. Ma badate bene, qui non si tratta delle voci dei lavoratori, che si sono ritrovati nella pessima situazione di dover cancellare una riapertura programmata che è costata organizzazione, soldi, fatica e che inevitabilmente costa moltissimo in termini economici e di spirito. No, qui si levano le voci sdegnate dei politici.

«I ministri hanno la nostra fiducia. ma serve cambiare qualche tecnico – ha avvertito Salvini – La comunità scientifica è piena di persone in gamba». Il presidente di Regione Lombardia, il leghista Fontana dice: «Trovo assurdo apprendere dalle agenzie di stampa la decisione del ministro della Salute di non riaprire gli impianti sciistici a poche ore dalla scadenza dei divieti fin qui in essere, sapendo che il Cts aveva a disposizione i dati da martedì, salvo poi riunirsi solo sabato». «Sono allibito da questa decisione che giunge a poche ore dalla riapertura», dice il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio. Piste da sci aperte in Friuli Venezia Giulia dal 19 febbraio anche per gli sciatori amatoriali. Il governatore Massimiliano Fedriga ha firmato l’ordinanza urgente n. 4/2021 con cui apre anche agli sciatori amatoriali, a decorrere dal 19 febbraio e fino al 5 marzo, gli impianti nelle stazioni e nei comprensori sciistici. «Per noi viene prima di tutto la salute dei cittadini ma è raccapricciante e imbarazzante vedere un’ordinanza che proroga la chiusura degli impianti da sci pubblicata 4 ore prima di mezzanotte», dice il presidente veneto Luca Zaia. Ma badate bene, non è mica solo la Lega: «Il danno per l’economia dello #sci e della #montagna è davvero immenso. Il Governo si adoperi subito per indennizzi e ristori a chi è stato colpito. Questa è la priorità assoluta», spara il segretario del Pd Zingaretti. «Non posso non esprimere stupore e sconcerto, anche a nome delle altre Regioni, per la decisione di bloccare la riapertura degli impianti sciistici a poche ore dalla annunciata e condivisa ripartenza», dice il presidente dell’Emilia-Romagna e della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini. Italia Viva (figurarsi) chiede “un cambio di passo”. E via così.

Tant’è che a un certo punto si diffonde l’opinione che la decisione sia stata presa dal ministro Speranza, da solo rinchiuso nella sua stanzetta e che loro non ne sapessero niente. Peccato che a metà giornata Palazzo Chigi (quindi Draghi) fa sapere all’Agi che la decisione sugli impianti sciistici è stata adottata in base alle informazioni fornite dal Cts e condivisa dal governo e dal presidente del Consiglio Mario Draghi. Cioè la decisione è stata discussa con tutti i ministri e quindi si presume che i ministri abbiano avvisato i segretari del proprio partito e quindi si presume che sia tutta una posa, una finta sorpresa, un giochetto facile facile: questi fingeranno sempre di essere presi alla sprovvista perché appoggeranno il governo nella comoda posizione di chi comunque si sente un battitore libero. E continueranno a sparare cannonate perché Draghi potrà (forse) riuscire a tenere a bada i ministri e non i partiti, com’è normale che sia.

Ora capite perché la favola del “governo tecnico” è una bufala? Questi continueranno a fingere di passare di lì per caso, in Consiglio dei ministri, rimanendo stupiti tutte le volte, ognuno per proprio tornaconto elettorale. Il “governo dei sogni” è un governo che ha messo sul palcoscenico tutte le mediocrità, nessuna esclusa, e che rende facilissima la vita agli “oppositori interni”, quelli che sfasciano tutto per sentirsi vivi. Un capolavoro, insomma.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Al lupo al lupo: chi vota “no” favorisce il fascismo

Lo dice Bonaccini, ne scrive Repubblica:

«Il presidente dell’Emilia-Romagna e della conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini, renziano di ferro, lancia l’allarme sul dopo-referendum. Se vincerà il “No” e il fronte della riforma costituzionale verrà battuto, il rischio è anche quello di un’escalation dell’estrema destra. “Temo possa accadere ciò che accadde negli anni ’30, quando dopo la più grande crisi economica della storia, ma questa è addirittura peggiore, avanzarono il fascismo e poi il nazismo. Non voglio spaventare nessuno, ma se guardo le leggi che vengono approvate in alcuni paesi e l’ascesa di certe forze io mi preoccupo. Se non mettiamo mano a regole più semplici e a una politica meno costosa non vorrei che qualcuno cavalcasse questi temi per fare altro”.

Bonaccini ne ha parlato a un convegno organizzato oggi dalla Cisl a Bologna. Mettendo anche l’accento sul capitolo costi della politica, visto che oggi “abbiamo il Parlamento più numeroso e costoso del mondo”. Inoltre, “tra i presidenti di Regione sono quello che ha l’indennità più bassa, ma sto bene lo stesso. Se passa la questa riforma anche gli altri dovranno adeguarsi”.»

Sempre peggio.

Operazione Aemilia: mentre la mafia mafiava dove guardava il PD?

“Solo tre mesi fa, in direzione regionale del Pd, dissi chiaramente: io ho contrastato la ‘ndrangheta e voi mi state escludendo da tutto. Nonostante le consultazioni dei circoli, non sono entrata nella lista per le elezioni regionali, e così voi fate fuori una persona che ha contrastato la criminalità organizzata. Ma quando ci sono persone oggetto di pressioni di questa natura non bisogna lasciarle sole, perché significa metterle in pericolo. Voi in questo modo date un segnale alla ‘ndrangheta che ho combattuto. Queste parole oggi le riconfermerei tutte, anche se Stefano Bonaccini sembrò allora molto infastidito dal mio discorso e cercò pure di interrompermi. Ma io sono andata avanti. Perché questa è una cosa che i mafiosi hanno capito e l’ha capito anche la magistratura”.

Sonia Masini era presidente della Provincia di Reggio Emilia e nella maxinchiesta sulle infiltrazioni della criminalità organizzata in Emilia il suo nome è quello di una persona nel mirino degli indagati. Nelle intercettazioni degli investigatori si trova che Giuseppe Pagliani, allora capogruppo del Pdl in Provincia, ora agli arresti, avrebbe voluto riservarle “una “curetta” come dio comanda”. E lei, politica classe 1953, un cursus honorum che la vede anche capogruppo Ds in Regione dal 1995 al 2000, quelle pressioni le aveva avvertite, eccome. Ma, denunciò allora e ribadisce oggi, “io sono stata lasciata sola nel mio partito o con pochissime persone intorno”.

“Io avrei chiamato l’Antimafia”. Il suo intervento in direzione regionale venne accolto da reazioni gelide, come riportò all’epoca anche Roberto Balzani, sfidante di Bonaccini alle primarie. “Masini ha lanciato un’accusa pesante ai vertici del partito e sa cos’è successo? – raccontava Balzani in un’intervista – nulla. Io al posto di Bonaccini avrei subito chiamato il procuratore nazionale antimafia”. Gli investigatori però erano già al lavoro, mentre Masini veniva circondata da quella che oggi definisce “un’atmosfera di sufficienza verso le mie denunce, come se io volessi a tutti i costi una poltrona che avevo già occupato anche per troppo tempo, come se fossi semplicemente stizzita per non essere stata ricandidata per l’ennesima volta”. Molti dirigenti allora sbuffarono, liquidando quell’intervento come una protesta sopra le righe per esser rimasta fuori prima dalla lista per le elezioni europee e poi da quella regionale.

“Attaccata e non difesa dal partito”. “Io in questi anni nel Pd sono stata molto attaccata e poco difesa – si sfoga adesso – le lotte interne al Pd di Reggio avevano creato una competizione forsennata e io in quel momento non avevo abbastanza potenti a proteggermi, o forse anche qualcuno contro”. Ma la realtà che Masini si trovava a fronteggiare era quella durissima delineata nell’inchiesta. “Cercavo di spiegare al Pd: guardate che sono sotto pressione, come presidente della Provincia c’è una ditta che mi ha chiesto 15 milioni di danni. Sono comportamenti che possono intimidire un amministratore. Ma non importava niente a nessuno, veniva prima la lotta per il potere”. Un potere che lei non ha più: “Non ho lasciato il partito, ma non ho incarichi e non mi invitano quasi più neanche alle riunioni”.

E la Masini scrive a Renzi. Delusa dai vertici locali, Masini si rivolge direttamente al segretario nazionale Matteo Renzi, che già ha dimostrato sensibilità ed attenzione, nel caso della denuncia del sindaco anticemento di San Lazzaro Isabella Conti. “Ora io Renzi sicuramente lo informerò  dice Masini  e chiederò anche conto del fatto che sono stata tolta dalle liste per le europee. Quando la lista è arrivata a Roma, il mio nome c’era, poi è stato tolto”.

“Fenomeno mafioso sottovalutato”. Secondo Masini, alla base di tutto c’è una sottovalutazione del fenomeno mafioso in Emilia: “All’inizio non lo conoscevamo e l’abbiamo sottovalutato, ma dal 2010 qualcosa è cambiato. Abbiamo cominciato ad assistere ai roghi notturni, una tecnica di intimidazione fin lì mai vista, fino a che ora abbiamo tutte le informazioni, i nomi e gli indirizzi. E non abbiamo più scuse. Per me è stato un dolore continuo, perché io amo visceralmente la mia terra, i nostri servizi, il nostro modello”. Un modello che Masini dice di aver tentato di difendere. “Io il mio dovere l’ho fatto, e quando ho dovuto revocare un appalto perché era arrivata l’interdittiva antimafia, l’ho fatto anche se ho dovuto combattere, pure dentro al Pd  chiosa  ma è troppo facile fare i comunicati stampa dopo. Bisogna aiutare prima, quando c’è bisogno di prove, e invece si incontrano solo omertà e ricerca di interessi personali. Almeno avessero riflettuto sul perché a Reggio, alle ultime regionali, ha votato solo il 35% degli elettori…”.

(clic)