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strage via d’amelio

E alla fine sarà colpa nostra anche via D’Amelio

Poi alla fine verranno a dirci che, comunque, è colpa nostra e dei nostri venti o trent’anni. Ci diranno che siamo stati troppo poco curiosi, che non abbiamo fatto le domande giuste o che siamo superficiali, disinteressati, disillusi: antipolitici.

Siamo cresciuti con Falcone e Borsellino nelle orecchie come un mantra per farci addormentare. Sembrava semplice, anche, a vederlo da fuori o da lontano, arrampicati quassù a Milano dove le bombe al massimo erano un incidente di percorso ma senza rischio. Chi erano i buoni e chi erano i cattivi: era semplice. Loro, ci dicevano, li hanno uccisi perché erano buoni, Falcone perché combatteva la mafia. E allora così piccolo e sprovveduto pensavi sempre che era una battaglia a perdere, quella contro la mafia, come la bottiglia da restituire quando ci hai bevuto tutta l’acqua dentro. Borsellino l’hanno ucciso perché era l’amico di Falcone, il suo erede. E ce l’hanno raccontato con quelle facce che hanno gli adulti quando sanno di raccontare una storia che è così chiara da sembrare banale, con le certezze dei dogmi da passare ai figli con la solennità che si addice ai padri sempre un po’ di fretta di ritorno dal lavoro.

Era la stessa faccia che si ingrugniva su Andreotti, che forse sì, non era stato sempre trasparente ma “la mafia è un’altra cosa”. Forse Andreotti l’aveva incrociata a qualche fermata del tram o l’aveva salutata seduta al tavolo di fianco durante la pausa pranzo. Ma “la mafia è un’altra cosa”. Oppure le facce con il mezzo sorriso dei cretini mentre scuotevano la testa quando si diceva di odore di mafia con Raul Gardini, che da noi, qui giù al nord, era l’abbronzato più nordico che si potesse immaginare. Insomma sì, la politica e qualche imprenditore saranno stati un po’ spericolati in quegli anni ma “la mafia è un’altra cosa” e l’importante è santificare i morti. Ricordandosi e ricordandoci tutti che la mafia è sporca e cattiva, tutti insieme nella santa messa dei morti ammazzati saltati in aria quell’anno lì, quell’anno di Falconeeborsellino scritto tutto attaccato come si mischiano le cose quando perdono la memoria e il senso.

Poi ci è toccato di andare a studiare Andreotti com’era Andreotti dentro le carte del processo, cosa diceva Dalla Chiesa al figlio e alla moglie, abbiamo frugato nei cassonetti della memoria superficiale e deteriorabile in fretta per ripescare gli articoli che si incaponivano, che non volevano semplificare. Che non era tutto bianco e nero e che in mezzo al brodo di tutto quel grigio ci stava la forza buia degli ultimi vent’anni. Non è nemmeno stato facile trovare le memorie di quel tempo: gli articoli stavano annichiliti dietro alla lavagna, dove si castigano gli allarmisti per professione e per eversione professionale.

Ora quel 1992 e quella bomba esplosa sotto le scarpe di Paolo Borsellino forse non è più così semplice. Ora le indagini e le Procure dicono che c’era qualcosa in più. Forse, ci dicono, forse non è vero “che la mafia è un’altra cosa”. Forse il filo rosso che sta dietro gli ultimi venti anni ha un padre che viene da molto lontano e dei figli che sono la seconda generazione di quel buco in via D’Amelio. Figli dallo stesso utero del tritolo di Capaci. Altro che buoni e cattivi, bianco o nero, e i complotti che stanno a zero. Altro che le farneticazioni dei figli, dei fratelli e dei parenti che non riescono a sopravvivere tranuquilli ai familiari morti ammazzati.

Qualcuno balbetta, sì forse abbiamo dato per scontato e invece c’è qualche scheggia impazzita. Provano a tranquillizzarci così. Un’educazione antimafiosa di errori, banalizzazioni e falsità e provano a discolparsi accusando pochi personaggi minori della storia. Poi ci diranno che bisogna aspettare i riscontri. Sicuro. E che comunque queste sono le settimane della memoria: mani giunte, sguardo umido e poche domande. Non si bisbiglia durante la messa. E’ un peccato mortale.

Poi alla fine verranno a dirci che, comunque, è colpa nostra e dei nostri venti o trent’anni. Ci diranno che siamo stati troppo poco curiosi, che non abbiamo fatto le domande giuste o che siamo superficiali, disinteressati, disillusi: antipolitici.

Pubblicato su I Siciliani Giovani – giugno 2012

Per scaricare il nuovo numero: www.isiciliani.it

Nell’uscita di questo mese:

Margherita Ingoglia e Michela Mancini  Giovani: Telejato e Siciliani Gian Carlo Caselli Illusioni e verità Nando dalla ChiesaNdrangheta e sanità Giulio Cavalli Via D’Amelio Riccardo Orioles Maledetta antimafia Norma Ferrara / Sabina Longhitano Gaetano Liardo Un’estate libera Emanuele Midolo Terre bruciate Giovanni Caruso Terre bruciate Pietro Orsatti Beni confiscati Rino GiacaloneBeni confiscati Rino Giacalone Il mancato arresto di Messina Denaro Francesco Feola Rewind-Forward Salvo Vitale Muoiono 40 tv, si salva Telejato Maria Visconti e Salvo Ognibene Telejato e le scuole di Bologna Studenti di Bologna Lettera al Presidente Nadia Furnari Rita Atria vent’anni dopo Luciano Mirone Il caso Manca Antonio Mazzeo I droni di Sigonella Sara Spartà Niscemi: NoMuos e antimafia Arnaldo Capezzuto L’azzardo di Laboccetta Arnaldo Capezzuto L’editto di Nick ‘o ‘Mericano Ester Castano Perego e ‘ndrangheta Desirée Miranda e Leandro Perrotta Catania/ “Vuoi parlare? Paga!” Salvo Vitale L’affare dela distilleria BertolinoMargherita Ingroglia Partinico/ Elezioni in cosca Francesco Appari e Giacomo Di Girolamo Pantelleria/ Un sindaco in mezzo al mareCarlo Gubitosa, Kanjano e Mauro Biani Mamma Jack Daniel Satira/ Vergine again Luca Salici e Luca Ferrara Grafic Novel/ Caponnetto Antonello Oliva Musica/ I nuovi cantautori Elio Camilleri Storia/ Portella delle Ginestre Alessandro Romeo Altri Sud/ Pausa indiana Giuseppe Giustolisi Medici catanesi Daniela Sammitto Chi vuol chiudere la comunità Rossana Spadaro Vittoria/ Volti e storie Lorenzo Baldo Interviste/ Alfredo Morvillo Giovanni Abbagnato Palermo fra passato e futuro Irene Di Nora Antimafia in IrlandaAntonio Cimino Da Chinnici a Borsellino Salvo Vitale Antimafie, Istruzioni per l’uso Rossomando Campania/ Il triangolo del lavoroPietro Orsatti Fare libri Fabio Vita Apple vs Bitcoin Pino Finocchiaro Lettere al Quirinale Riccardo De Gennaro “Fondata sul lavoro”Gapa I bambini, la resistenza, i perseguitati Piero Cimaglia e Daniela Siciliano Uomini e no Giovanni Caruso Periferie/ La fossa Dino Frisullo Periferie/ Malli Gullu Fabio D’Urso e Luciano Bruno Ballata della città dimenticata Giuseppe Fava Sicilia, miseria e miliardi

Caro Salvatore, stamattina mentre scrivo e ci penso già in via D'Amelio

bucoCaro Salvatore,

stavo rimasticando questi quattro fogli tutti pieghe e mezze orecchie che da qualche giorno mi chiedono di urlare. Sto scrivendo, innamorato del privilegio e la responsabilità, questo mezzo pugno da liberare in via D’Amelio che si è acceso con il  nostro abbraccio di qualche mese fa. E mentre mi ascolto in quel fiume così comodo tra la testa e il dito, ripenso a quella tua faccia serena mentre mi dicevi “io so”. E questa mattina, che si prepara alla mia nuova galera per salvarmi, mi soffia un pensiero osceno: in fondo tu hai vinto, Salvatore, comunque vada in questa partita bislacca che si è incastrata tra i silenzi bollati di quelle mila fotocopie fatte sempre storte dai tribunali. In fondo adesso rimane il resto: tutto quel calcolare, incastrare e scegliere la forma di questo diciassettesimo anniversario omicida in via D’Amelio. Dicono gli Dei della cabala che il diciassettesimo debba essere per numerologia la volta più nera, quella che pesa addosso a qualcuno per tutte le altre. E allora anche la cabala questa mattina ci sorride e ci prende sottobraccio per imbarcarsi con noi. Perchè io so, all’ombra rincuorante e fresca di quel tuo dolore mai arreso e della tua rabbia comunque educata, che resuscitare un funerale lungo diciassette anni è un rito coraggioso e vincente. Come una rincorsa lunga sedici anni per ammonire che il ricordo si esercita solo dopo aver saputo, capito e visto in faccia. Tu lo sai bene quanto ogni mattina è pieno il mondo di orfani, vedove e pendolari del lutto che spolverano il marmo; ecco, Salvatore, io dentro questi fogli vorrei metterci invece tutta la polvere degli anni prima, ed atterrare in via D’Amelio con due sacchi di iuta per farli sbuffare sul palco. Perchè la forma turpe e sconcia di quella nuvola almeno ti faccia sorridere, almeno un secondo, di ritrovare disegnata questa tua intollerabile coltre che ti si è appoggiata sul cuore, questo velo mendace che il 19 luglio ci ritroviamo tutti insieme a provare a sparecchiare. Anche io “so”, Salvatore, che quel giorno saremo lì, tutti insieme, per svestirici dal lutto, buttare le corone di fiori e, se serve, anche per mano, sporgerci senza paura per guardare dentro a quel buco.