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Minacciare non è una trattativa

Dopo un incontro di oltre due ore, Italia viva sigla una tregua con Conte. Ma quanto ineleganti e irresponsabili sono stati i chili di minacce e di urlacci che i renziani hanno sparato in questi giorni

Dunque il presidente Conte ha incontrato la delegazione di Italia viva e le minacce urlacciate in questi ultimi giorni (con enormi esercizi di narcisismo del solito Renzi) alla fine si sono sciolte come neve al sole. Hanno fatto un cosa semplice: hanno discusso, si sono confrontati e hanno trovato un compromesso.

I dirigenti di Italia viva dopo due ore e mezza di incontro si sono detti soddisfatti perché, ha spiegato Teresa Bellanova, «è scomparsa tutta la questione sulla governance che si voleva portare con un emendamento in legge di Bilancio, e finalmente si comincia a discutere nel merito».

In sostanza il presidente del Consiglio ha rassicurato che tutti i passaggi e tutte le proposte passeranno dal Consiglio dei ministri e dal Parlamento. Quelli di Italia viva dicono che non ci sarà più “nessuna task force” e in realtà è una mezza verità: il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola ha chiarito che «la struttura la chiede l’Europa, ma non sostituirà i ministeri, e il Parlamento verrà coinvolto in tutti i passaggi».

Sono anche uscite le prime bozze del Recovery plan che contengono i capitoli di spesa e gli indirizzi per i prossimi mesi. Ora verranno condivise anche con le altre forze politiche di maggioranza e poi si fisserà entro la fine dell’anno un Consiglio dei ministri per trovare il punto d’incontro per tutti.

Insomma ieri semplicemente si è fatta politica, quella che andrebbe fatta con il senso di responsabilità di chi sa di essere al governo di un Paese, soprattutto in un’epoca di pandemia. Verrebbe da pensare a quanto siano ineleganti e irresponsabili i chili di minacce e di urlacci che i renziani hanno sparato in questi giorni ritagliandosi spazio nei media. Lo so già, qualcuno obbietterà che se non avessero fatto così non avrebbero ottenuto nulla. Peggio ancora. Significa che sono una manica di dilettanti, ma tutti, tutti.

E se volete capire quanto sia più forte di loro continuare con il ricatto allora potete leggere le parole di Bellanova appena uscita dall’incontro: «Il governo deve stare sereno se fa le cose. Se no è inutile». Non riescono proprio a stare sereni e a dismettere i panni dei bulli (con un partito da 2%). E vedrete che tra poco ricominciano di nuovo, con lo stesso atteggiamento, sul Mes. Perché quando gli incapaci sono troppo irrilevanti per aprire un dibattito (irrilevanti non solo nei numeri ma anche nei modi) allora provano a convincerci che la minaccia sia una trattativa. Fanno sempre così.

Buon mercoledì.

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Toh, hanno scoperto la Libia

Da destra accusano Conte di aver fatto troppo poco per i pescatori trattenuti in Libia, dove vengono violati i diritti umani. Ma come, a loro avviso il Paese non era un “porto sicuro”?

«Subito dopo sono stato picchiato dai militari libici, che mi hanno dato schiaffi, calci, ginocchiate. E mi minacciavano di tagliarmi la gola. E le gambe. È stato terribile. Ho avuto paura di non rivedere più la mia famiglia. È stato un incubo durato più di tre mesi». Sono le parole di Bernardo Salvo, uno dei 18 pescatori sequestrati e liberati in Libia. Anche la famiglia di Salvo ha capito guardando le prime fotografie giunte in Italia dopo il sequestro: «Fino ad oggi non abbiamo detto nulla – spiega il cognato Vito – il momento era delicato, ma in quelle immagini si vedono chiaramente il viso gonfio e un braccio nero. Ora vogliamo sapere cos’è successo».

«Abbiamo visto dei detenuti picchiati selvaggiamente», ha dichiarato Jemmali Farhat, uno dei due pescatori tunisini a bordo dei mezzi sequestrati.

«Ci hanno trattati malissimo, non ci picchiavano ma minacciavano di farlo – ha confermato nel suo racconto uno dei due pescatori senegalesi sequestrati -. Gridavano, ci facevano mettere con la faccia al muro. É stato un incubo. Ci facevano fare pipì in una bottiglia».

In tutte le celle che hanno ospitato i marinai non c’era un materasso o un cuscino. I 18 pescatori reclusi, è emerso tra le altre cose nei vari racconti, hanno dormito per terra sul pavimento: «Ho visto film di guerra sul Vietnam, ma quello che ho visto in Libia è stato incredibile – ha aggiunto il tunisino Jemmali Farhat – gli agenti erano peggiori degli animali, sono loro i terroristi, altro che i detenuti».

Cominciano a uscire informazioni su cosa sia la Libia, su come siano valutati lì i diritti umani e una certa stampa e una certa politica grida allo scandalo accusando Conte di non avere difeso i pescatori. Peccato che siano gli stessi che per anni ci hanno detto che la Libia sia un porto sicuro.

E quindi? Come la mettiamo? Hanno scoperto cos’è la Libia. Anzi, peggio, hanno invertito la narrazione perché gli torna comodo. Bravi, tutti.

Buon martedì.

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Il Natale di Salvini

Nella bieca rincorsa a ritagliarsi un posto al sole per ottenere un po’ di visibilità e per andare “contro” al governo Matteo Salvini si è inventato un’altra delle sue invitando tutti a disubbidire alla zona rossa natalizia: “tutti fuori a fare volontariato”, dice Salvini, nel tentativo di incastrare con i buoni sentimenti la sua fregola di essere irresponsabile.

Peccato che la frase, nonostante possa fare breccia tra i suoi fan, non significhi assolutamente nulla, che sia assolutamente priva di senso e sia in netto contrasto con il suo modo di agire, di pensare e di parlare. “Fare volontariato” è una cosa terribilmente seria che non ha nulla a che vedere con il farsi foto insieme a qualche senza tetto. Fare volontariato significa impiegare il proprio tempo e il proprio ruolo in attività organizzate che garantiscano la dignità, se non il benessere, delle persone in difficoltà. Fare volontariato ad esempio significa anche riconoscere la povertà, vederla, conoscerla, abitarla: l’esatto opposto di quello che fece il vicesindaco di Trieste Paolo Polidori quando dichiarò di avere buttato via le coperte dei senzatetto “con soddisfazione” (disse proprio così), l’esatto opposto di quello che fece l’assessora leghista di Como che tolse la coperta a un senza tetto pubblicando tutta fiera il video su Facebook (lì a Como dove nel 2017 venne vietato proprio dalla Lega di dare un latte caldo proprio ai clochard).

Se invece vogliamo rimanere su Salvini allora sarebbe da capire come intenda il volontariato se proprio i suoi senatori hanno acceso una gazzarra in Parlamento mentre si archiviavano quegli orrendi decreti sicurezza dell’ex ministro.

Se Salvini vuole fare volontariato allora potrebbe benissimo ascoltare volontariamente i racconti dei pescatori da poco liberati in Libia che raccontano come quella detenzione fosse al di fuori di qualsiasi diritto umano. Proprio quella Libia che Salvini ritiene “un porto sicuro” in cui ammassare tutti i senza tetto del mondo che provano a trovarlo, un tetto.

Oppure potrebbe ammettere che anche la bontà in fondo per lui è solo un feticcio da sventolare alla bisogna. E potrebbe riconoscere che con questa sua uscita da finto filantropo fa sanguinare le orecchie per la contraddizione che contiene. Perché i buonisti sono naturalmente molto aperti ma non sopportano le minchiate.

Buon lunedì.

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Le siringhe e Arcuri

Il Commissario all’emergenza Covid ha pubblicato un bando per 150 milioni di siringhe “ad avvitamento”, molto più costose e difficili da trovare delle normali. E non si capisce il perché di questa scelta

Il super mega ultra turbo commissario Domenico Arcuri, delegato all’emergenza Covid, in qualsiasi altro luogo di lavoro che non sia quello del governo italiano avrebbe già fatto le valigie da un pezzo. Eppure nonostante i ritardi sulle mascherine, nonostante le consulenze milionarie sugli acquisti (ne parleremo nei prossimi giorni) e nonostante la barzelletta dei banchi a rotelle continua serafico nel suo ruolo, ostentando la sua solita sicumera e addirittura minacciando di querela chi fruga nei suoi affari.

Sulle siringhe che serviranno per la prossima campagna vaccinale nazionale Arcuri ha pubblicato un bando di offerta pubblica di 157 milioni di siringhe. Di questi 157 milioni ben 150 milioni dovranno essere “luer lock” (ad avvitamento) che sono più difficili da trovare, che richiedono tempi più lunghi di produzione e che costano parecchio di più.

Quando qualcuno ha fatto notare il punto (anche tra i produttori italiani che riforniscono gli altri Stati europei con le normali siringhe e che invece si sono ritrovati tagliati fuori dalla gara qui da noi) l’ufficio stampa di Arcuri ha precisato che la scelta è stata fatta perché le siringhe sarebbero «più precise e performanti». E poi ha scritto: alla redazione di Tagadà, che ha ricostruito la vicenda e denunciato questa anomalia: «Tali indicazioni sono state formulate dal Cts-Iss, in collaborazione con l’azienda produttrice e sono molto importanti», lasciando evidentemente intendere che il Comitato tecnico scientifico, l’Istituto superiore per la sanità e la società produttrice del vaccino (Pfizer) avessero dato questa indicazione.

Bene, il Cts ha dichiarato che «non è mai stato investito da quesiti relativi a vaccini, alle siringhe e alla catena di distribuzione», smentendo di fatto Arcuri.

«L’Iss non è stato coinvolto nella definizione delle specifiche tecniche sulle siringhe da acquistare», fanno sapere dall’Istituto superiore per la sanità.

Pfizer ha dichiarato che «la somministrazione richiede l’utilizzo di aghi comunemente utilizzati».

Quindi si può sapere perché sono state scelte quelle siringhe? Aspettiamo, poco fiduciosi.

Buon venerdì.

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Se l’Italia non si indigna per le agghiaccianti torture degli 007 egiziani su Giulio Regeni

Nel 2016 le commesse tra Italia e Egitto si aggiravano sui 10 milioni di euro l’anno. Nel 2019 gli scambi con l‘Egitto per l’Italia hanno superato gli 800 milioni, comprese due fregate della Marina Militare italiana che sono state vendute al Paese guidato da Al-Sisi. Ecco qui tutto il punto che dovrebbe farci indignare, gridare e continuare pervicacemente a scrivere sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore ucciso in Egitto dopo 9 giorni di sequestro.

E, se serve qualcosa per rendersi conto della feroce brutalità di cui si sta parlando, allora basta leggere le conclusioni dei pm di Roma che hanno chiuso l’inchiesta sull’uccisione del ricercatore friulano e che parlano di torture, di sevizie con oggetti roventi, di lame e di bastoni che causarono “acute sofferenze fisiche” uccidendo lentamente Giulio.

Ora ci sono, nero su bianco, anche i reati: sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Nelle carte si legge di di violenze perpetrate per “motivi abietti e futili e con crudeltà”, che hanno provocato “la perdita permanente di più organi”: Giulio è stato torturato “con acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanza di più giorni attraverso strumenti affilati e taglienti e di azioni con meccanismo urente”.

I colpevoli? Uomini della National Security egiziana, vicinissimi al governo: rischiano il processo il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif: “È lui ad aver torturato e ucciso Giulio”, scrivono i pm, che hanno raccolto le testimonianze di cinque testimoni oculari. Uno dei testimoni racconta di avere visto Giulio Regeni “incatenato nella sede della National Security. Era magro e aveva i segni delle torture”.

È tutto l’orrore del mondo che la mamma di Giulio Regeni aveva dichiarato alla stampa di avere ritrovato sul viso del figlio. È l’orrore di una violenza che si è burlata della giustizia italiana (i magistrati non hanno ottenuto nessun tipo di collaborazione dall’Egitto) e della nostra politica. È una storia che sanguina anche della mollezza e dell’indifferenza dei nostri governi, che con le mani sporche di sangue di Al-Sisi continuano a firmare contratti e a stringere affari.

Abbiamo le carte che ci raccontano di uno Stato assassino che noi continuiamo a rifornire di armi. Non c’è da girarci troppo intorno: l’omicidio Regeni è un granello di sabbia in un meccanismo che continua serenamente a funzionare. Ma a volte la sabbia riesce a ottenere risultato insperati. La magistratura ha fatto la sua parte, il governo invece latita.

LEGGI ANCHE Omicidio Regeni, inchiesta chiusa: quattro 007 egiziani verso processo. “Giulio legato con catene di ferro”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Sorvegliata specialmente: Eddi Marcucci

Da marzo l’ex combattente nel conflitto dei curdi contro l’Isis è sottoposta a sorveglianza speciale. Con motivazioni inconsistenti e in virtù di una norma di dubbia costituzionalità

Siamo quasi a dicembre e Eddi Marcucci, 29 anni, continua a essere sottoposta a sorveglianza speciale dal mese di marzo. La “colpa” di Eddi (qui intervistata proprio sulle pagine di Left) è quella di avere combattuto per nove mesi nella battaglia dei curdi contro l’Isis, una guerra che sarebbe spettata a noi e che invece è stata celebrata nelle fasi iniziali e poi volutamente, consenzientemente dimenticata se non addirittura condannata. Eddi è partita nel 2017 per il Rojava con lo scopo di affiancare gli Ypj curde contro gli islamisti che controllavano il Nord della Siria.

Secondo il tribunale di Torino l’essere addestrata all’uso delle armi sarebbe un potenziale pericolo, non si sa bene per chi, e per questo le è stato ritirato il passaporto, ritirata la patente, imposto di stare nella sua abitazione dalle 21 alle 7 ed è obbligata a comunicare tutti i propri spostamenti. Entro Natale la Corte d’appello di Torino deciderà sul ricorso presentato da Marcucci contro la sorveglianza speciale. Le erano anche stati negati i social che ieri sono stati riattivati. Nessuna spiegazione sul perché siano stati tolti e nessuna spiegazione perché ora siano tornati indietro. Niente.

La sorveglianza speciale (eredità dei regi decreti dell’epoca fascista, quando veniva usata come strumento di repressione) è una misura che non viene presa come reazione a un reato commesso ma al fine di prevenire eventuali reati. Si basa sostanzialmente su una serie di indizi sul possibile reato senza nessun riscontro, rimanendo nel campo delle ipotesi. Si pongono ovviamente anche dei dubbi costituzionali su una misura così arbitraria (lo ha sottolineato anche nel 2017 la Corte europea dei diritti umani) che intacca la presunzione di innocenza e che comporta comunque afflizione. Sulla vicenda tra l’altro c’è un gran bel libro edito da People (Dove sei?) scritto da Roberta Lena, madre di Eddi.

Tra le limitazioni c’è anche il divieto di parlare in pubblico e di fare politica: in sostanza non può raccontare la propria storia e quello che le sta accadendo. Per questo vale la pena raccontarla. E per questo sarebbe il caso di sapere quali sarebbero gli “indizi” di questa misura così straordinaria. Anche perché se si tratta solo dell’essere stata addestrata a maneggiare armi allora ci sarebbe qualche milione di persone con un servizio militare alle spalle che andrebbero sorvegliati, subito, qui da noi. No?

Buon venerdì.

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Tempi duri per Trenord: senza contributi regionali tagli in vista su servizi e costo del personale


Trenord, la società che si occupa del trasporto ferroviario regionale in Lombardia, sta attraversando tempi difficili. Nell’anno 2020 dovrebbero mancare circa 150 milioni. In assenza di contributi regionali aggiuntivi che permetterebbero l’equilibrio costi-ricavi, una delle soluzioni, prospettate dalla società, sarebbe il taglio di circa il 20 per cento dei servizi e conseguentemente il taglio del costo del personale.
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La vergogna del San Raffaele di Milano: con centinaia di morti al giorno sminuisce la pandemia

Accadono cose di cui sfugge il senso, di cui non si coglie il nesso e che raccontano perfettamente la guerra tra uomini di scienza che si gioca sui metodi di narrazione piuttosto che sui dati scientifici. Sarebbe poco male, una battaglia interna che sicuramente poco appassiona se non fosse che da mesi, sotto questi duelli tra virologi e professionisti, ci sta un Paese che inevitabilmente costruisce le proprie tesi e le proprie paure proprio sulle parole di quelli che improvvisamente sono diventati divulgatori scientifici. E la divulgazione scientifica è una cosa sera, terribilmente seria, importante quasi quanto un nuovo vaccino o una nuova cura.

Per questo sarebbe curioso chiedere a qualcuno del Gruppo San Donato e dell’università Vita-Salute San Raffaele il senso del loro comunicato stampa in cui prendono le distanze da un tweet del medico Roberto Burioni, che sembra non dire nulla di particolare. Partiamo dall’inizio. Burioni twitta: “Alcuni dicono che i pronto soccorso sono affollati da persone in preda al panico, e può essere vero. Ma quelle centinaia di persone che finiscono ogni giorno al cimitero a causa di Covid-19, sono spinte dal panico? Basta bugie. Basta bugie. Basta Bugie”.

L’intento appare perfino scontato: mentre abbiamo passato mesi a sentire esimi virologi che ci dicevano che il virus fosse “clinicamente morto” oppure che fosse una semplice influenza (in capo a tutti proprio quel professor Zangrillo del San Raffaele di Milano per cui Burioni lavora) forse sarebbe il caso di rendersi conto che la sottovalutazione del virus (e la conseguente morbidezza sull’attenzione che occorre tenere per non fomentare l’epidemia) è un rischio reale e enorme.

Il Gruppo San Donato risponde con un comunicato in cui dice: “Pur riconoscendo l’autonomia di espressione, il Gruppo San Donato e l’università Vita-Salute San Raffaele lo invitano a considerazioni più rispettose della verità e del lavoro altrui”. Ora: i Pronto Soccorso sono affollati, lo dicono i numeri e basta una veloce ricerca su internet per valutare il livello di stress. Si affollano anche i ricoveri ordinari e straordinari. Si incrementa, purtroppo, anche il numero dei decessi quotidiani.

Quindi quali sarebbero le “considerazioni” poco “rispettose della verità” esattamente? Qual è il punto che ha fatto saltare i nervi all’azienda tanto da costringerli a prendere carta e penna? Non è una domanda da poco perché un cittadino qualsiasi, un osservatore esterno, rimane incastrato proprio su questo punto. E sarebbe importante saperlo, no?

Leggi anche: Il San Raffaele smentisce Burioni che dice che ogni giorno ci sono centinaia di morti: “Considerazioni infondate, non conosce situazione”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Kamala Harris

Trump ha perso. Insieme a Trump perde anche quel sovranismo populista condito di niente che ha attraversato il mondo, quel modo muscolare di fare politica pescando nel torbido per non affrontare i problemi, quella politica che ancora si innamora dell’uomo forte per potersi concedere di non occuparsi dei deboli che sono da sempre i nemici di certa destra. Diritti e dignità, forse, ce lo auguriamo tutti, trovano almeno uno spazio nel dibattito pubblico dopo essere stati oscurati come inutili lamentosi che avrebbero solo potuto rallentare la produttività del Paese.

Dagli Usa arriva anche la storia della prima vicepresidente donna, finalmente, una donna che non è moglie di qualche ex vicepresidente e che ha una storia da portare con fierezza. Kamala Harris è donna, nera, figlia di una biologa indiana e di un economista giamaicano, sposata con un bianco ebreo. Qualcuno dice che potrebbe “oscurare” Biden. Ma magari.

In lei molti elettori e elettrici democratici hanno intravisto il futuro di un Paese che sta diventando sempre più diversificato dal punto di vista razziale, sognando un’America inclusiva, integrata e progressista. Ex procuratore distrettuale di San Francisco, è stata la prima donna nera a essere procuratorice generale della California. Quando è stata eletta senatrice degli Stati Uniti nel 2016, è diventata la seconda donna nera nella storia della Camera. Una donna di legge che contraria alla pena di morte, favorevole ai diritti gay, sostenitrice della sanità pubblica, impegnata nel movimento Black Lives Matter.«Ogni volta che ho corso ero la prima a vincere. La prima persona di colore. La prima donna. La prima donna di colore. Ogni volta», diceva nel 2019.

Nel suo discorso inaugurale ha detto: «Penso alle donne, alle donne nere, asiatiche, bianche, ispaniche, nativo americane, che nel corso della storia di questo paese hanno aperto la strada per questo momento, si sono sacrificate per l’uguaglianza, la libertà e la giustizia per tutti noi; penso alle donne nere che troppo spesso non sono considerate, ma sono la spina dorsale della nostra democrazia. Penso a tutte le donne che hanno lavorato per garantire il diritto di voto e che ora nel 2020 con una nuova generazione hanno votato e continuano a lottare per farsi ascoltare. Stasera voglio riflettere sulle loro battaglie, la loro determinazione, la loro capacità di vedere cioè che sarà a prescindere da quello che è stato. E questa è una testimonianza della personalità di Joe, che ha avuto il coraggio di buttare giù uno dei muri che continuavano a resistere nel nostro paese scegliendo una donna come vicepresidente. Anche se sono la prima a ricoprire questa carica, non sarò l’ultima. Ogni bambina, ragazza che stasera ci guarda vede che questo è un paese pieno di possibilità. Il nostro paese vi manda un messaggio: sognate con grande ambizione, guidate con cognizione, guardatevi in un modo in cui gli altri potrebbero non vedervi. Noi saremo lì con voi».

È un buon vento, quello di Kamala Harris.

Buon lunedì.

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Fallisce la crociata di Zuccaro contro le Ong (appoggiata da Travaglio e Di Maio): ora il PM andrà a processo?

“Non lasciamo solo Zuccaro” intitolava il Blog Delle Stelle, sì, proprio lui, il magazine politico del Movimento 5 Stelle che si era schierato a testa bassa al fianco del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro nella sua ennesima battaglia contro le Ong. Furono i grillini e furono i salviniani a cadere nel solito giochetto infimo della politica quando si appoggia alla magistratura per annaspare e trovare conferma delle proprie tesi. Il pensiero politico breve e debole ha sempre bisogno di un’indagine, di un rinvio a giudizio, di qualche carta processuale per certificare la propria visione del mondo.

Nel 2017 fu Zuccaro a denunciare il tentativo delle Ong di «destabilizzare l’economia italiana» attraverso il massiccio sbarco di migranti sulle nostre coste al fine di «trarne vantaggi». Zuccaro aveva anche aggiunto che, a suo avviso, «alcune Ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti» perché, disse, «so di contatti» e inoltre si tratta di un «traffico che oggi sta fruttando quanto quello della droga». Si alzò un gran polverone e le parole del procuratore vennero agitate come una sciabola per affettare la discussione su diritti e immigrazione, le parole di Zuccaro vennero sventolate ai quattro venti, lui ebbe anche l’onore di essere audito dal Parlamento, i Zuccaro boys infestavano i social tutti fieri di avere scoperto che i “buoni erano cattivi” e quindi, per la proprietà inversa, i presunti “razzisti” sarebbero stati quelli che ci avrebbero salvato. Peccato che di quelle pesantissime affermazioni non rimase niente, non ci fu una controprova, non ci fu niente e tutto finì nel dimenticatoio per un anno, anche se ormai il rumore di fondo era stato generosamente sparpagliato e il governo Conte (il primo Conte, quello che non si era ancora travestito da “buono”) quando salì in carica nel 2018 con la sua formazione gialloverde poté ripetere le tesi di Zuccaro come condimento delle proprie decisioni politiche.

Arriviamo quindi al 2018, marzo, quando Carmelo Zuccaro torna a occuparsi dell’emergenza migranti nel Mediterraneo e lo fa a modo suo: mette sotto indagine il comandante della nave Open Arms, Marc Reig Creus, il capo della missione della Ong, Ana Isabel Montes Mier, e il coordinatore Oscar Camps. L’accusa ovviamente è di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. La Ong Proactiva Open Arms, secondo il teorema Zuccaro, opera nel disprezzo più totale degli accordi internazionali e del codice di comportamento firmato con il governo italiano, cercando in tutti i modi di far sbarcare migranti sulle nostre coste. Open Arms aveva soccorso 218 migranti al largo delle coste della Libia rifiutandosi di consegnarli alla cosiddetta “Guardia costiera libica” per via delle violenze e dei maltrattamenti che avrebbero potuto subire in quello che tutta la comunità internazionale ritiene un porto “non sicuro”. I migranti vennero poi fatti sbarcare nel porto di Pozzallo, in provincia di Ragusa, dopo l’autorizzazione da parte del governo italiano.

Cosa accadde poi? Il teorema di Zuccaro venne smontato dal Gip di Catania che nel confermare il sequestro aveva fatto cadere l’accusa di associazione a delinquere tenendo in piedi l’accusa di immigrazione clandestina e di violenza privata. Il fascicolo passa al Gip di Ragusa per competenza territoriale e viene disposto il dissequestro immediato della nave perché, scrive il Gip, l’Ong aveva agito «in uno stato di necessità» regolato dall’articolo 54 del codice penale (in cui si scrive di chi è «costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave»).

Ben due anni dopo quei fatti ora arriva la decisione del Tribunale di Ragusa che ha deciso il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste per il reato di violenza privata e perché non punibile per stato di necessità per il reato di favoreggiamento. L’ha deciso il Gup al termine dell’udienza preliminare. Open Arms, in una sua nota, scrive che «ancora una volta è stato dimostrato che il nostro agire è sempre stato dettato dal rispetto delle Convenzioni internazionali e dal Diritto del Mare, quello che ci muove è la difesa dei diritti umani e della vita, principi fondativi delle nostre Costituzioni democratiche».

E quindi? Quindi per l’ennesima volta molto rumore per nulla. Per l’ennesima volta sulla pelle dei migranti (e degli elettori e della dignità della politica) si è consumata una battaglia che non aveva basi giuridiche eppure ha dato l’occasione di sentenziare giudizi che si sono rivelati infondati. Ancora una volta è andata male a chi cercava un appiglio per poter essere feroce con il supporto della legge fingendo di non sapere che il gancio non c’è, fingendo di non sapere (come accade tutt’ora) che la “Guardia costiera libica” è il viatico di sofferenze che non hanno nulla a che vedere con i diritti e fingendo di non sapere di avere appaltato proprio a loro quel pezzo di Mediterraneo. La polvere si è posata e non è rimasto niente, niente di più del vociare sconsiderato di cui nessuno pagherà pegno.

L’articolo Fallisce la crociata di Zuccaro contro le Ong (appoggiata da Travaglio e Di Maio): ora il PM andrà a processo? proviene da Il Riformista.

Fonte