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Telejato

Quale antimafia? (di Salvo Vitale)

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Ancora un articolo di Salvo Vitale. Da leggere.

UNA CONDANNA PRESTABILITA

Le vicende di Pino Maniaci suggeriscono alcune riflessioni. Partiamo dall’affermazione del giudice Teresi, sparata proprio nel giorno della conferenza stampa di un’operazione che doveva  essere quella dell’arresto di nove mafiosi di Borgetto e nella quale è stato “infilato” anche Maniaci. Non abbiamo bisogno dell’antimafia di Pino Maniaci, dell’antimafia a fini personali”.

Partiamo dalle azioni della Procura e dei carabinieri di Partinico. L’obiettivo era chiaro: assimilare Maniaci con i mafiosi, metterlo assieme con quelli che sono stati bersaglio delle sue denunce, fare di tutta l’erba un fascio, cioè suggerire l’idea che l’antimafia di Maniaci non serve come strumento di lotta alla mafia, ma che non c’è nessuna differenza tra il mafioso e Maniaci, tra Nicolò Salto, Giambrone e chi li chiama invece Pezzi di Merda. Insomma, nessuna differenza tra Maniaci che chiede il “pizzo” più IVA al sindaco di Borgetto, il quale si mette in bella vista sotto l’occhio della telecamera mentre conta i soldi, e chi taglieggia tutti i titolari degli esercizi commerciali della zona senza comunque rilasciare fatture. Anzi, a giudicare dal numero di pagine dedicate nell’ordinanza a Maniaci (circa 300) e quello dedicato ai nove mafiosi (circa 200), sembra che le vicende di Maniaci interessino colui o coloro che hanno commissionato le intercettazioni più di quelle dei mafiosi borgettani. Per non parlare delle modalità: alle tre di notte si presentano due capitani a casa di Maniaci per intimargli “lo sfratto”, cioè il divieto di soggiorno. Perché tale divieto e tale orario? C’è una tale pericolosità nel soggetto, da richiederne l’esilio immediato? No, ma si tratta di una misura preventiva che può essere assunta, a parte il carcere, senza bisogno di processo. In realtà è una misura “d’immagine”: mostrare che comunque un provvedimento è stato preso perché ci sono saldi elementi criminosi per giustificarlo. E poi il video, otto minuti che condensano quasi due anni d’intercettazioni: ancora una volta un preciso obiettivo maligno: mostrare a tutta Italia, prima dell’inizio di qualsiasi procedimento, che Maniaci chiede soldi, cioè estorce, che dice che Renzi è stronzo, che il premio che gli hanno regalato è un “premio del cazzo”, che ha l’amante e che interviene in suo favore presso il sindaco di Partinico obbligandolo a darle un lavoro, una carrozzella per la figlia malata, un sussidio. Anche qua salta tutto, ovvero viene fuori che, con i rapporti personali, tipo raccomandazione, si può ottenere tutto in barba a ciò che prescrive la legge. Altro che legalità! Ci troviamo davanti a un soggetto che, usando lo spettro del suo microfono e della sua telecamera, crede di poter fare tutto e di fottersene persino di quella stessa antimafia che egli dice di praticare. Si tratta, a un’attenta lettura, di mosse preventivate, studiate, accantonate al momento, cioè quand’è scoppiata la vicenda Saguto,  e poi tirate fuori “a scurdata”. In pratica “fare fuori” l’uomo attraverso la distruzione della sua immagine, vista l’inconsistenza penale delle accuse nei suoi confronti. Domanda: Perché?

GIORNALISMO E ANTIMAFIA

Assumiamo sempre come linea guida l’affermazione di uno dei giudici che si occupa del caso, Vittorio Teresi, la quale, è stato notato dall’ex collega Ingroia, che difende Maniaci, sembra già una sentenza di  condanna prima che si faccia il processo. Che ne sa Teresi dell’antimafia fatta da Telejato, di giorni e giorni con la telecamera in giro per documentare favori, abusi, disfunzioni, cattura di boss, sequestri e confische, manifestazioni, interviste alla gente comune, agli studenti,agli studiosi, ai fedeli, agli scettici? Che ne sa di imprenditori venuti in redazione per denunciare le ingiustizie nei loro confronti, in nome dell’antimafia? Delle interviste messe in onda a gente che, in nome dell’antimafia e per azione della legge aveva perso tutto, soprattutto il lavoro, ma che ci teneva a salvare almeno la dignità? Che ne sa delle riprese al matrimonio della figlia di Totò Riina (QUI), di quelle per l’arresto dei Lo Piccolo, di quelle a Montagna dei Cavalli nel covo di Provenzano? Che ne sa di ragazzi con la telecamera in mano che vanno a fare le interviste e si ritrovano aggrediti e malmenati, anche da parte di coloro dei quali volevano trasmettere la voce e le idee? Si potrebbe rispondere che altro è l’antimafia di alcuni ragazzi, l’antimafia di Salvo Vitale, che da Radio Aut ha continuato il percorso iniziato con Peppino Impastato, altro è l’antimafia di Pino Maniaci, ovvero che c’è un’antimafia di Telejato e una di Pino Maniaci, ma non è così, perché non c’è l’una e l’altra, è tutto la stessa cosa. Che ne sa degli estenuanti viaggi in tutta Italia, non per ritirare un “premio del cazzo” intestato agli “eroi del nostro tempo”, ma per parlare a centinaia di ragazzi e trasmettere loro il messaggio che senza i mafiosi il mondo è migliore? E allora, se di questa antimafia che usa il mezzo d’informazione televisivo come uno strumento per propagandare le iniziative di legalità, per far cambiare mentalità alla gente, per distruggere l’immagine di “uomo di rispetto” che il mafioso si porta addosso, per far conoscere le facce di malandrini, per diffondere i comunicati sull’operato delle forze dell’ordine, che denuncia le malefatte, anche le disfunzioni, da qualsiasi parte esse provengano, non ce n’è bisogno, qual’è l’antimafia giusta, di quale antimafia c’è bisogno?

Personalmente non credo all’antimafia della magistratura e a quella delle forze dell’ordine: quella non è antimafia, è lavoro, è il loro lavoro. Essere mafiosi è un reato, perseguire i mafiosi, da chi è pagato dallo stato per farlo è un obbligo, un dovere. Sulla correttezza di questo lavoro, ma non di tutto il lavoro, qualche dubbio è d’obbligo: quattro giorni prima dell’inizio dell’operazione denominata Kalevra le imputazioni a Maniaci e l’indagine su di lui erano state anticipate sapientemente da un articolo di Francesco Viviano su “La Repubblica”: lo stesso giornale ha tenuto una linea d’accusa e di condanna prestabilita anche nei successivi articoli. Domanda: chi ha fornito le informazioni a Francesco Viviano? C’è stato un disegno preventivo per incastrare Maniaci, l’azione è stata progettata predisponendo attentamente ogni mossa? Il discorso si allarga al rapporto strettissimo tra alcuni giornalisti e i magistrati della Procura di Palermo. Non ci vuole molto a rispondere su chi fornisce a costoro informazioni riservate, frammenti d’indagine, testi delle intercettazioni. Ma questo stretto rapporto può diventare funzionale ad alcune strategie che i magistrati adottano quando vogliono andare oltre le comuni garanzie che tutelano i diritti della persona sotto indagine, nel tentativo di aggiungere ulteriori tasselli al materiale probatorio di cui dispongono. Il giornalista è uno strumento che può gonfiare o distruggere l’immagine e la credibilità di qualsiasi persona. Il sospetto, il “pare che…” “si dice…”, “secondo voci di corridoio” “negli ambienti bene informati gira voce che…” sono premesse professionali indispensabili per poter dire ciò che non è provato, di cui non si hanno completi riscontri. A volte basta buttare un cerino acceso, basta ingenerare il sospetto. Supponiamo che io dica: il procuratore Vittorio Teresi ha lavorato fianco a fianco della Saguto nell’ufficio misure di prevenzione: se qualcuno non conosce Vittorio Teresi e non sapesse delle sue posizioni di distacco dall’operato della Saguto, potrebbe pensare che egli stia agendo per “vendicare” l’azione di Telejato nei confronti della collega.

E qua entra il giornalismo di Maniaci, quello che non fa sconti a nessuno, neanche ai due sindaci di Borgetto e Partinico, neanche alle associazioni antimafia o alle icone intoccabili dell’antimafia ufficiale, a cominciare da Ciotti per finire a Giovanni Impastato, senza per questo voler metterne in discussione l’operato e i meriti di nessuno. A questo giornalismo d’assalto, spesse volte aggressivo e istintivo, sino a colpire la dignità della persona accusata, si contrappone quello di coloro che Maniaci chiama “porgitori di microfono”, pronti a scrivere un articolo col telecomando, magari a colpi di copia-incolla, dimentichi dei rischi e ormai incapaci di portare avanti un’inchiesta sul campo. In questo contesto si possono leggere le interviste piene di incensamenti, vedi quella fatta da Leopoldo Gargano alla presidente Saguto nello scorso maggio, quasi contemporanea all’articolo sull’attentato farlocco alla stessa Saguto, che portò a un rafforzamento della scorta e alla possibilità di disporre di una nuova macchina blindata. Nelle intercettazioni si legge della volontà della stessa Saguto di mettere a disposizione di Gargano, e quindi dell’ordine dei giornalisti un appartamento confiscato, in zona centrale a Palermo. E comunque a Gargano va riconosciuto di avere raccolto nel suo archivio un’enorme mole di materiale di ogni provenienza sulle vicende dell’antimafia in vetrina.

Fuori discussione l’antimafia dei politici: è passerella, vetrina, in qualche raro caso è rivisitazione della memoria, ma non lascia tracce operative. Una fiaccolata, un corteo, un’inaugurazione di una targa, un convegno e l’antimafia si esaurisce nella sua improduttiva doverosa formalità.

Meno che mai è esente da dubbi  l’antimafia degli imprenditori che dicono di non pagare il pizzo, che fanno convegni e invitano altri imprenditori a ribellarsi. Non so e lo lascio decidere a chi legge, se abbiamo bisogno dell’antimafia di questi giornalisti, di questi magistrati, di questi uomini politici, di questi imprenditori. E allora di quale antimafia abbiamo bisogno?

L’ANTIMAFIA DIFFICILE

La definizione risale a un convegno organizzato a Cinisi nel ventennale della morte di Peppino Impastato i cui atti furono pubblicati da Umberto Santino. Allora ci si riferiva alla difficoltà di operare in un ambiente ostile e ostinatamente richiuso nella difesa dei suoi valori spesso arcaici. Certamente è difficile l’antimafia che si pratica nelle scuole. Con tutti i suoi limiti, con le ostilità di docenti che non vogliono “sottrarre” ore di lezione e che si sentono quasi “derubati” della loro presenza o “obbligati” ad assicurarla darla quando sono annunciate iniziative che coinvolgono tutta la scuola, con l’atteggiamento spesso distaccato e menefreghista di buona parte degli studenti che accoglie tali iniziative solo per fare “vacanza”. Le scuole sono un luogo naturale dell’antimafia, dove possono essere individuati e portati avanti gli elementi, i principi educativi per promuovere e realizzare una società in cui tecniche, metodi e strategie mafiose possano essere messi nell’angolo. Il principio dell’informazione e della comunicazione  che, dal docente passa all’alunno, non è diverso da quello che dal giornale o dal teleschermo passa al lettore o al telespettatore. Si tratta, per il giornalista, di individuare contenuti deontologici e comportamentali da tenere come faro guida e di non scordare che si tratta di un mestiere a rischio. Soprattutto se, assieme alle persone di cui si parla c’è anche lo Stato, che progetta sino ad otto anni di carcere per la diffamazione a mezzo stampa, anziché accontentarsi, come nei paesi civili, di una rettifica o di una presa d’atto. In tal senso l’operato di Maniaci, tra le pressioni per un aiuto a una ragazza, individuata frettolosamente come la sua amante e tra l’oscura e ancora irrisolta vicenda dei cani uccisi (Chi ha ucciso e impiccato i cani a Telejato?, ndr), si configura penalmente irrilevante, ma eticamente problematica.

L’ANTIMAFIA SOCIALE

E infine c’è quella cui ha fatto riferimento lo stesso Teresi, l’antimafia sociale, quella che interessa i vari strati della società civile, che si pratica nei luoghi di lavoro, nelle manifestazioni per il lavoro o per i diritti civili, tra i senzatetto, in mezzo ai quartieri degradati della città o alle storie di violenza nascoste dentro le case dei paesi, quella che ci porta a diretto contatto con le vittime del sistema, con gli estorti, con i figli dei mafiosi, con i ragazzi che si trovano a scegliere se iniziare una carriera criminale veloce o la lenta ma onesta ricerca di un lavoro che non c’è.  L’antimafia di chi si ribella al pizzo, denuncia gli estorsori, ma si ritrova solo e, per colmo, con i beni sequestrati, grazie a una legge sulle misure di prevenzione che può consentire di travalicare i normali diritti del cittadino, anche sulla base di sospetti.

L’antimafia di coloro ai quali viene affidato un bene confiscato ai mafiosi e che devono studiare come renderlo attivo e produttivo. Attivo, se si tratta di luogo destinato ad utilità sociale, luogo d’incontro e di lavoro culturale comune, produttivo se si tratta di luogo da destinare ad attività economiche che possano realizzare la vittoria di un modello di gestione diverso da quello mafioso, nel rispetto delle garanzie di chi ci lavora o vi partecipa. Non è facile. Si potrebbe pensare ad Addio Pizzo e a Libera e chiuderla lì, ma si troverà, se si vuole, ugualmente qualcosa da dire: magari che si fa antimafia per fini economici o, secondo l’accusa di Teresi a Maniaci, per il proprio tornaconto. Che tornaconto poi possa avere uno che ogni mese è costretto ad elemosinare i soldi per tenere aperta la televisione, è da discutere.

ASSALTO ALL’ANTIMAFIA

Da alcuni mesi c’è un attacco senza precedenti all’antimafia. L’attacco più violento è stato sferrato a Libera, alla gestione autoritaria di Don Ciotti, ad alcune disfunzioni al suo interno, al monopolio che essa detiene nell’assegnazione dei beni confiscati, al mancato rapporto tra quanto prodotto e quanto messo in vendita ecc. Non meno criticati i ragazzi di Addio Pizzo che, attraverso un’agenzia di viaggio lucrerebbero su progetti di itinerari di turismo civile. Nel mirino ci sono in particolare alcuni imprenditori, Helg, Montante, Lo Bello, Catanzaro che sono finiti in inchieste giudiziarie a causa di relazioni con il mondo che hanno combattuto. Di tutto si fa un bel fascio e si tenta di dargli fuoco. Difficile dire le motivazioni di questo “obiettivo antimafia”. Cosa c’è dietro queste manifestazioni critiche? Un’ipotesi provocatoria potrebbe essere quella della mafia nascosta nel nostro subconscio, legata a lontane origini mai cancellate, a messaggi sepolti, ma sempre attivi, per cui la mafia è nell’ordine naturale delle cose e l’antimafia rappresenta il suo sommovimento, un’ipotesi di ribellione rispetto a tutto quello che è stato sedimentato da secoli. Per dirla con Salvo, cioè con me, nel film “I cento passi”“E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo! Non perché fa paura, ma perché dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace! Noi siamo la mafia”.

L’altra ipotesi è quella del purismo: l’antimafia, nella sua sacralità, nella sua scelta di costruire un mondo nuovo, non può lasciarsi coinvolgere da tentazioni economiche non può essere “usata” a fini di lucro”, quasi che il denaro sia sporco, mentre c’è invece chi ne profitta per arricchirsi. Anche Telejato lo ha fatto nella convinzione, che l’antimafia non dovrebbe diventare affare.

Vengono fuori voci, spesso messe in giro ad arte, particolarmente da chi non ha tagliato il cordone ombelicale con la sua “mafia sommersa”, di finanziamenti di cui i destinatari si sarebbero appropriati, di fondi male usati e senza il conseguimento degli obiettivi, di soldi chiesti in cambio di prestazioni le cui motivazioni erano educative, di protagonismo, di millantato credito, di testimonianze di presenze e di azioni e collaborazioni che non ci sono state ed altro. L’intenzione, che qualcuno teorizza è di rifondare l’antimafia, di reimpostarla su una “sacralità” che nulla a da spartire con l’altra ipotesi più concreta, ovvero di come l’economia può ripartire con un corretto uso degli strumenti della legalità. Il pericolo nascosto, la destinazione finale di queste critiche è di smontare l’antimafia, di prospettarla come un’emergenza ormai inutile,di lasciare tutto in mano allo stato e ai suoi rappresentanti, gli unici deputati ad agire. In pratica, smontare l’antimafia per lasciare la mafia: se così è non ci sto e credo che non ci stiano tanti altri. Migliaia di altri…

(fonte)

Il lato oscuro dei beni sequestrati

Quando Pio La Torre ha immaginato la misura di prevenzione patrimoniale per i beni accumulati illecitamente con metodo mafioso aveva in testa un’idea bellissima: riportare alla collettività ciò che era stato deturpato dalla mafia. Rubare al ladro per restituire: il senso è altissimo.

Ma le intuizione legislative (e la legge Rognoni – La Torre è stata la migliore idea antimafiosa del Parlamento italiano) hanno bisogno di un continuo perfezionamento per essere del giusto gradi di contemporaneità e, soprattutto, funzionali. Funzionali, appunto.

La confisca di beni mafiosi funziona se la restituzione alla collettività comporta un miglioramento aziendale non solo nel rispetto delle regole, ma anche in termini di produttività e reddito dei lavoratori: lo Stato vince se riesce a dimostrare di essere più competente e competitivo delle mafie. Altrimenti è solo simbolo, e allora bastava la poesia mica la legge.

Sulle assegnazioni e sulla gestione dei beni confiscati Telejato sta portando avanti un’inchiesta che è precisa e chiara e che forse farebbe comodo anche al popolo dei politici con il braccialetto per intraprendere una strada chiara sulla gestione e assegnazione dei beni confiscati.

Questo è solo uno dei tanti casi di imprese che lo Stato ha condannato al fallimento. Tuttavia esistono eccezioni che confermano la regola. 
La storia della Calcestruzzi Ericina a Trapani è l’eccezione in questione.
I proprietari erano i figli di Vincenzo Virga, imprenditore trapanese condannato per mafia. L’azienda, dopo la confisca è stata assegnata ad una cooperativa costituita dai dipendenti. La nuova gestione ne ha garantito una competitiva presenza sul mercato ed ha inoltre installato un impianto per lo smantellamento dei rifiuti netti edili. Alla mafia tutto questo non piaceva, ha cercato per ben due volte di distruggerla. Il sostegno decisivo alla cooperativa è arrivato dall’ex prefetto Fulvio Sodano. Peccato che come premio per il suo operato virtuoso sia stato trasferito e accusato di turbativa del libero mercato dall’ ex segretario agli Interni ora senatore Antonio D’Alì (Pdl). Quello stesso senatore imputato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, da poco a Bruxelles per rappresentare il Parlamento italiano in seno all’Assemblea parlamentare Euro Mediterranea. D’Alì è stato confermato nell’organismo parlamentare europeo dal presidente del Senato, nonché ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, che ha raccolto l’interrogazione parlamentare del Pdl.

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La legge Rognoni – La Torre

La legge n. 646, del 13 settembre 1982, nota come legge “Rognoni-La Torre”, introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali.

Il testo normativo traeva origine da una proposta di legge presentata alla Camera dei deputati il 31 marzo 1980 (Atto Camera n. 1581), che aveva come primo firmatario l’on. Pio La Torre ed alla cui formulazione tecnica collaborarono anche due giovani magistrati della Procura di Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

In questa sezione sono raccolti gli atti e i resoconti delle discussioni parlamentari relative all’approvazione della proposta di legge. La bibliografia offre un’ampia serie di riferimenti a monografie e saggi per conoscerne meglio i contenuti ed il valore innovativo nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata.

Documenti
Iter Camera
Iter Senato
Bibliografia essenziale sulla legge Rognoni – La Torre:

Incendiano Telejato, accendiamo la voce

Un incendio doloso ha danneggiato gravemente la postazione di Telejatosu Monte Bonifato. Una denuncia è stata sporta dal direttore Pino Maniaci presso la caserma dei Carabinieri di Alcamo. I danni calcolati ammontano a 25mila euro. Che l’incendio fosse doloso non ci sono ormai dubbi, quel che non è chiaro è come sia possibile che le uniche apparecchiature danneggiate siano quelle di Telejato. Si sospetta che il rogo sia partito proprio dal gabbiotto della tv partenicese. Mancano solo tre giorni all’inaugurazione della nuova sede, da cui Telejato comincerà a trasmettere nelle province di Palermo Trapani e Agrigento. La sua voce si sta allargando. E questo fa paura. (qui la notizia)

A Pino Maniaci e a tutta la redazione di Telejato va il mio abbraccio. E va l’abbraccio di tutti coloro che preservano le voci libere in una terra che Pino riesce sempre a perdonare e coltivare di speranza mentre continua a riceverne minacce. Ora vedremo cosa fare e come farlo. Pino non può essere lasciato solo.

Telejato si fa in cinque

Ne abbiamo parlato, abbiamo alzato la voce (qui, qui, qui e qui). Oggi Telejato (e noi tutti che le vogliamo bene) ha vinto:

La tv antimafia locale diretta da Pino Maniàci continuerà a trasmettere in consorzio con TeleMed, Radio Monte Kronio e Il Tirreno. Disporrà di cinque canali. Il primo sarà attivo il 4 luglio sul canale 273. Appello per acquistare le attrezzature e ottenere un bene confiscato alla mafia in cui lavorare. La battagliera emittente  ringrazia le  associazioni che l’hanno sostenuta e mette un canale a disposizione delle 40 emittenti che non hanno  superato la soglia dello switch off.

Partinico, 10 giugno 2012 – TeleJato ha superato la difficile prova del passaggio al digitale terrestre. La piccola emittente dal 4 luglio sarà sul canale 273 ed entro la fine dell’anno potrà attivare altri quattro canali. Dunque Telejato non chiude e si fa in cinque. La bella notizia è arrivata con la pubblicazione delle graduatorie provvisorie per l’assegnazione delle frequenze TV del Ministero dello Sviluppo economico, rese note pochi giorni fa.

Con lo switch off del segnale analogico e il passaggio alla televisione digitale terrestre in Sicilia, TeleJato ha seriamente rischiato la chiusura. Come Pino aveva spiegato aOssigeno , la legge ha previsto regole restrittive circa i titolari dei requisiti necessari per accedere al nuovo sistema di trasmissione. In particolare, non consentito alle piccole televisioni comunitarie come TeleJato di accedervi. La prospettiva era di spegnere il segnale.

L’ostacolo è stato superato da Telejato costituendo un consorzio con altre tre emittenti televisive: TeleMed, Radio Monte Kronio e Il Tirreno. «Sono state le altre emittenti, soprattutto l’emittente regionale TeleMed – spiega Maniàci -, a consentirci di raggiungere il punteggio richiesto per passare al nuovo sistema. Da soli non ce l’avremmo fatta». Adesso TeleJato diventa operatore di rete, oltre che fornitore di contenuti, nel nuovo sistema televisivo italiano.

Dunque Pino Maniàci ha vinto, con i suoi famigliari, con le associazioni e i singoli cittadini che hanno sostenuto la battaglia per tenere viva una voce che si è distinta per coraggio e spirito di libertà e impegno contro la mafia. «Noi di TeleJato ringraziamo – tiene a dire Pino Maniàci – tutti coloro che ci sono stati vicini in questa battaglia di democrazia. Soprattutto le associazioni, i giovani, il comitato “Siamo tutti TeleJato” e le scuole che hanno scritto una lettera al presidente della Repubblica Napolitano e al ministro Passera. Continueremo a batterci perché lo stesso diritto sia riconosciuto alle altre emittenti rimaste fuori».

L’articolo di Ossigeno Informazione lo potete leggere qui.

‘Siamo stanchi, Signor Presidente, di essere disincantati’: la lettera degli studenti per salvare Telejato

Questa lettera sta circolando ora nei licei bolognesi, e via via in molte altre scuole. La trovate anche su diecieventicinque.it, la testata bolognese della rete dei Siciliani. “Dieci e venticinque”, il nome del sito, a Bologna vuol dire qualcosa. Bologna che resiste, Bologna allegra e dura, Bologna di tutti noi.

Riccardo Orioles la rilancia e ne ha tutti i motivi. La legga, Signor Presidente. Qua dentro c’è l’Italia che vogliamo.

Egregio Signor Presidente,

ragazzi di tutt’Italia si rivolgono direttamente a Lei, quale massimo rappresentante dello Stato, per trovare una voce all’onda di rancore che sta seppellendo la nostra generazione.

Per l’importanza del documento che Le sottoponiamo, ci auguriamo caldamente che riterrà di renderne note alla Nazione le parole più significative.

Il cuore della presente lettera consiste senza dubbio di un proposito di natura pratica. D’altro canto, la sua causa profonda sta nell’impotenza in cui siamo costretti dalle attuali democrazie rappresentative, sta nell’angoscia di agire, e nella consapevolezza di vivere, proprio per quei principi di progresso che, sebbene continuamente negati da squallore e ottusità, trainano la civiltà europea da che si aprì la ricerca per un criterio di giustizia. E, in verità, il cuore amaro della nostra lettera sta proprio nel valore dell’educazione, della scuola, modello di vita e di politica.

In principio vorremmo tuttavia parlarLe dell’episodio che è stato l’innesco del nostro movimento, e degli interventi che ci siamo auspicati sarebbero seguiti all’appello. Nel corso di un viaggio d’istruzione in Sicilia, all’interno di un itinerario organizzato dall’associazione “Addiopizzo“, alcuni di noi, tra cui i redattori della presente, hanno conosciuto la piccola realtà di Telejato, una rete televisiva comunitaria totalmente dedita all’erosione del potere mafioso. Attraverso lo scherno dei miti e dei bassi modelli dell’illegalità, Telejato ci ha stupiti per determinazione, costanza, per la volontà ferma di migliorare il territorio, e di essere efficace. Valore, l’efficacia, che stiamo lentamente dimenticando, essendo ormai i cittadini italiani abituati a delegare le responsabilità, a lasciare il proprio dovere civico in eredità ad anonime reti amministrative.

Il confronto con Pino Maniaci, proprietario di Telejato, curiosamente, anzichè vertere su temi riguardanti la Mafia in modo specifico, si è concentrato proprio su questo, cioè sulla possibilità dell’individuo di partecipare al bene comune.

Certamente non tutti possono gestire televisioni antimafia, ma l’antimafia vera e propria è forse quella che si crea a partire dall’onestà e dall’interesse per il territorio dei singoli: questa la conclusione cui eravamo insieme giunti, e che, in parte, aveva placato l’insoddisfazione di vederci come al solito disincantati spettatori degli equilibri di potere.

Siamo stanchi, Signor Presidente, di essere disincantati. La conoscenza degli istinti meschini che sembrano dirigere la storia oramai non può più rassicurarci. Quello che le generazioni che ci hanno preceduto ignorano, è che il nostro disimpegno non è stato dovuto a stupidità o leggerezza, ma piuttosto al cinismo nato dalla lucida osservazione della realtà, e dall’abitudine alla sconfitta. Tuttavia, per l’improvvisa incombenza di un disastro sul nostro futuro, quello della crisi, quello di un’inadeguatezza di tutte le istituzioni vigenti – da quelle ideali a quelle concrete – a fronteggiare un passaggio di epoca, guardarvi serenamente non ci è più possibile.

Quando al termine dell’incontro siamo venuti a sapere che Telejato avrebbe chiuso il 30 giugno, al momento dell’entrata in vigore del digitale terrestre in Sicilia, nuovamente siamo rimasti a bocca aperta: nuovamente, le maglie della burocrazia, addirittura le leggi dello Stato sembravano soffocare l’impegno civile da cui esse stesse erano nate. Proprio allora la figlia di Maniaci, Letizia, coraggiosa, rinomata giornalista, è sgattaiolata tra di noi per uscire dallo studio televisivo, a capo chino, come cercando di non farsi notare. Proprio lei che, così giovane, riprende gli scoop e rende possibile il servizio di informazione di Telejato, incurante del rischio che grava sulla famiglia. Per quell’esempio di modestia e di abnegazione in quel momento siamo esplosi in un applauso, ritenendo d’altra parte che null’altro avremmo potuto fare, che le nostre azioni corrette non sarebbero bastate, che Telejato avrebbe chiuso, qualunque cosa ne pensassimo: che il fatto sia giusto o che non lo sia.

Ora, la riflessione che vogliamo proporre alla Nazione è in merito al significato della parola “politica”. In fondo, l’antimafia è politica. Poichè, se si considera la Mafia come quel fenomeno sociale di affidamento del territorio a interessi esclusivamente patrimoniali, l’antimafia è quel dovere di amore per il territorio, per la Nazione, per la propria comunità, che va ben oltre gli egoismi di parte. E se un certo amore per il bene comune è un dovere civico, allora certamente l’antimafia è politica: perchè non dimentichiamo che “politica” non significa insieme di partiti, lotta di classi o di capitali, ma “questioni della vita cittadina”, e che un tempo aveva traduzione “Res Publica”, e che ora, estesisi i nostri Stati da città a popoli interi, trova significato come “vita comunitaria”. Questa la nostra convinzione.

Quale comunità giovanile avremmo potuto chiederLe in merito a giustizia, meritocrazia, rottura delle briglie della finanza, Unione Europea, e a tante delle idee che animano i nostri dibattiti. Invece, La preghiamo di garantire una qualche forma di sopravvivenza a Telejato.

Da atti concreti, mirati vorremo ripartire, e fatti significativi. Riteniamo che dare vita a Telejato, come emittente di diverso genere oppure riservando una percentuale di frequenze alle reti comunitarie, sia oggi, proprio oggi, una priorità. Riteniamo sia questo il momento giusto – il momento di scarse risorse – per investire sullo spirito comunitario, e che solo in questo modo avremo un’occasione per salvare l’Italia, armonizzare l’Europa e governarla.

Infine, per lo meno, La preghiamo di tutelare la famiglia che di Telejato costituisce l’esistenza.

Noi siamo nati da quella famiglia. Se l’Italia ha come nucleo fondamentale la famiglia, allora è in una famiglia che costruisce i valori civici dell’Italia che la Nazione trova le proprie radici. Siamo cresciuti in un sistema di principi tipicamente familiari, nonchè nella nozione di lavoro come riscatto dell’uomo dall’assoggettamento alla sua fame, e alla sua voracità, per i simili che ama. Purtroppo, questi capisaldi della nostra società civile, abbandonati da molte famiglie, li hanno raccolti soltanto le scuole, realtà che sono state volutamente avulse dal potere ma che, lo si voglia o meno, hanno formato i nostri ideali. E noi riteniamo sia maturato il tempo per cui quegli ideali, dalle famiglie che resistono all’istruzione che li alimenta, passino finalmente al potere effettivo, al potere politico.

Se verrà salvata Telejato e la sua famiglia, si darà un significato alla nostra educazione politica, unica fonte della Nazione stessa. E vedremo fin dove le istituzioni che politiche sono dette, nate per unirci, siano voci della Nazione, e dunque avverse alla Mafia.

1. Liceo Galvani, BO

2. Liceo Minghetti, BO

3. Liceo Fermi, BO

4. Liceo Righi, BO

5. Liceo Copernico, BO

6. Liceo Sabin, BO

7. Istituto Laura Bassi, BO

8. Liceo Manzoni, BO

9. I.I.S. Bartolomeo Scappi, Castel San Pietro Terme (BO)

10. Liceo da Vinci, Casalecchio di Reno (BO)

11. Istituto Giordano Bruno, Budrio (BO)

12. Liceo Mattei, San Lazzaro di Savena (BO)

13. Liceo Tassoni, MO

14. Liceo Parini, MI

15. Liceo Marco Polo, VE

16. Liceo Gioberti, TO

17. Istituto Baldessano-Roccati, Carmagnola (TO)

18. Liceo Cascino, Piazza Armerina (EN)

19. I.I.S. Marzoli, Palazzolo sull’Oglio (BS)

20. Consulta Provinciale Studenti di Brescia

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Se si spegne Telejato

Pino Maniaci e Telejato devono essere spenti. La notizia è di quelle che gelano il sangue perché Pino Maniaci e Telejato (con il suo telegiornale più lungo del mondo) da anni lottano per non essere spenti dalla mafia e invece alla fine a spegnerli sarà lo Stato. Non si sa se per superficialità, per miopia o per convergenza di interessi: certo quando lo Stato compie l’azione che la mafia ha tanto desiderato ne esce sconfitto il buon senso, la tutela del coraggio e la custodia delle fragilità attive.

Non serve solidarietà pelosa. Telejato, Pino e la sua famiglia ne hanno ricevuta a tonnellate in questi anni (buona e non buona). Serve mobilitarsi con un obiettivo chiaro: sappia il Governo cosa sta spegnendo, decida dopo aver conosciuto la vita, il progetto e le lotte di Telejato e dia delle spiegazioni. La mobilitazione deve puntare a chiunque possa scrivere un’interrogazione, un ordine del giorno o una mozione tra gli scranni del Parlamento. E noi possiamo chiederlo (e dobbiamo chiederlo) con insistenza: come Pino quando tiene in mano il microfono.

Uccidere Telejato

Sabato 24 Settembre dalle ore 14:30, dinanzi la sede di Telejato, in Via F. Crispi 33 a Partitico (PA), ci sarà un sit-in popolare per la costituzione del Comitato “Siamo tutti Telejato”. Già sono tantissime le associazioni e le organizzazioni che stanno aderendo. Il Comitato vuol esser solidale alla redazione dopo l’ennesimo atto intimidatorio che ha visto i muri della città imbrattati con il seguente messaggio “W la mafia, Pino Telejato sei lo schifo della terra”.

Noi rispondiamo dicendo “W la Sicilia, Siamo tutti Telejato”, ma non finisce qui, infatti, sarà anche il lancio di una battaglia contro la nuova normativa sul digitale terrestre, che porterà alla chiusura di tantissime tv locali come Telejato. Per questo ci sarà un tavolo tematico sulla libertà d’informazione a cui siederanno molti giornalisti. Tutte le informazioni qui.

Io sono Pino Maniaci

“Viva la mafia, Pino Telejato sei lo schifo della terra”, “Maniaci sei un figlio di puttana” e una bara disegnata accanto.

Scritte sui muri di Partinico. Lo racconta entrando nel cuore Pietro Orsatti e lo raccontano le agenzie di stampa. Ed è la notizia che arriva da Partinico e ciclicamente si ripete. E ciclicamente noi gli vogliamo stare vicini. Perché se non avessi avuto l’onore di conoscere Pino forse oggi io fare un altro mestiere.

In un’intervista di ieri Pino ci insegna: “Io dico sempre che la mia scorta migliore sono i cittadini onesti di Partinico”. Io dico che la scorta migliore di Pino sono tutti i cittadini onesti, anche fuori da Partinico. Tutti quelli che per Pino non si stancheranno mai di alzare la voce.

Intanto potete visitare il sito della sua emittente televisiva Telejato (per annusare un po’ di sano giornalismo non servile) e non lasciarlo sentire solo. Perchè le minacce sono sui muri ma la sua battaglia è nella gente. E non si è mai vista la gente arrendersi ai muri.

Intanto rileggevo il mio post di ‘qualche minaccia fa’ e lo rimetto qui. Identico. A testa alta come Pino.

Pino è un Don Quijote  ma i mulini sono cambiati come cambiano i tempi: hanno facce, mani, testa, voce, ferro in tasca, soldi in borsa e avvocati. avvocati bravi, pagati bene. Il mulino che gli è rimasto più di traverso è la Distilleria Bertolino: una distilleria che inquina come vomito di Polifemo sopra Partinico.

Pino è come il calcare, ostinato fino ad indurirsi tanto da fargli male. Di quelli che sorseggiano il gusto di “battersi” come all’inizio di un aperitivo che probabilmente finirà male. Pino appena fuori dal cancello della Bertolino, a fotografarlo dall’alto, è piccolo come un tombino.

Pino è un rubinetto rotto: lavora per erosione, ai fianchi e alle spalle con una televisione larga come un cesso ma che suona martellate di artigianato fino e continuo.

Pino è un immoderabile: nel dubbio getta l’amo ma sempre con la sua faccia in mano.

Pino è la zucca di Cenerentola: si veste sguincio da cerimonia ma non si appiattisce al diktat del valzer della moderocrazìa.

Pino è mezzo nei guai, per una condanna che aggiunta alle altre lo fa arrivare lungo. Ma nei guai ci nuota bene. Perché a mare ci buttiamo in tanti che, poco poco, organizziamo un quadrangolare di pallanuoto.

Perché a raccogliere palle in rete ci abbiamo fatto il callo, ma siamo forti nel contropiede.

Nuova minaccia a Giulio Cavalli

Nuova minaccia a Giulio Cavalli

Solidarietà all’attore dal mondo politico, dello spettacolo e della società civile

Giulio Cavalli, autore, attore e regista teatrale, ha ricevuto l’ennesima, insostenibile, minaccia mafiosa lunedì sera.

Durante le prove del suo spettacolo nel teatro di Tavazzano (Provincia di Lodi), infatti, alcuni sconosciuti hanno imbrattato, il furgone della Compagnia di Cavalli con le scritte “Smettila” con una croce accanto, “Non dimentichiamo” e “Riina Libero” – scritta, quest’ultima, che riprende quelle apparse a Palermo pochi giorni fa.

Non è la prima volta che accade. In aprile Cavalli ha ricevuto una email con minacce di morte e successivamente è stata disegnata una bara sul teatro Nebiolo di Tavazzano, di cui è direttore artistico. Le intimidazioni arrivarono dopo il suo spettacolo “Do ut Des” che ridicolizzava la mafia. A causa di queste e altre minacce da 7 mesi l’attore è sotto programma di protezione anche nelle trasferte per i suoi spettacoli.

Giulio Cavalli è da anni impegnato a teatro contro la mafia, e da tre mesi cura una rubrica, RadioMafiopoli, in onda su AgoraVox Italia e FascioeMartello, che si rifà a Onda pazza, la trasmissione di Peppino Impastato, dove l’attore  disonorava la mafia. Nella penultima puntata di RadioMafiopoli (12 novembre) l’attore si scagliava contro il boss Totò Riina e probabilmente a qualcuno, questo, non è piaciuto.

Nel frattempo arrivano i primi attestati di solidarietà da parte del mondo civile, dello spettacolo e del giornalismo:

Giovanni Impastato (fratello di Peppino Impastato): “Questi atti sono deplorevoli per una persona impegnata dal punto di vista culturale e artistico che cerca di contribuire a tenere alti i valori della legalità, con la stessa ironia che Peppino, che poi purtroppo è stato zittito, ha portato avanti in quegli anni con la sua trasmissione Onda pazza. L’ironia è un’arma micidiale. Come Giovanni Impastato sono solidale con Giulio Cavalli e cercheremo di stargli vicino in tutti i modi possibili

Paolo Rossi (attore con cui ha esordito Cavalli): “È  un momento molto brutto, ma questo significa che il teatro ha ancora valore e allora su quello bisogna puntare. Tutta la mia solidarietà, tutta.

Leoluca Orlando (deputato IDV): “Esprimo tutta la mia solidarietà a Giulio Cavalli in questo momento così complicato per le inaccettabili intimidazioni a chi vuole coniugare libertà ed arte a chi vuole denunciare la violenza mafiosa e i suoi inaccettabili legami istituzionali.

Antonio Ingroia (Sostituto Procuratore di Palermo): “Massima solidarietà e preoccupazione, purtroppo questo segue altri avvenimenti intimidatori come quelli di Partinico nei confronti di Pino Maniaci, e questo dimostra che c’è sempre una maggiore insofferenza delle mafie, non solo contro i giudici, ma anche contro le persone di cultura

Pino Maniaci (giornalista di TeleJato minacciato dalla mafia): “Giulio Cavalli è un autore e un attore che sta dando tanto alla Sicilia e per questo merita tutto il nostro sostegno. Sono i momenti duri in cui bisogna fare fronte comune per non lasciare che la scure della mafia cada silenziosa. Siamo tutti Giulio Cavalli

Carlo Lucarelli (scrittore). “È molto inquietante e molto importante quello che è accaduto. Molto inquietante perché in un paese civile non dovrebbe accadere, vista anche la pericolosità dell’organizzazione criminale. È un pezzo che iniziano a minacciare intellettuali e persone che fanno cultura e questo significa che la cultura fa paura, che raccontare le cose inizia a essere importante e ti porta ad essere considerato pericoloso. Non bisogna lasciare solo chi è oggetto di questo tipo di minacce, e allo stesso tempo darci da fare tutti assieme“.

Giuseppe Lumia (Senatore PD ed ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia): “La sua battaglia culturale è la nostra e deve essere fatta proprio dallo Stato, dalla parte dello stato che si vuole finalmente liberare dalla mafia. Riina padre e figlio devono essere contrastati in tutti i  modi. Col 41 bis Riina padre parla e detta funzioni per la presenza del figlio nel milanese e a Corleone. Per un ragazzo che vuole incamminarsi sulla via di cosa nostra e che vuole scalarne i gradini c’è solo una strada, quella della abiura delle famiglie mafiose e della denuncia. Altre opzioni non ne possiamo concedere.

Sergio Nazzaro (scrittore): “Come volevasi dimostrare: più che i proclami e le grandi dichiarazioni di guerra o analisi sistemiche, trionfa l’ironia. Già, perchè Cavalli prende per il culo la mafia e  li riporta a terra, togliendo l’aurea di mitologia che tanti se non troppi celebrano sempre e comunque. Prendere per il culo la criminalità, combattendola con una risata invece che con facce lugubri e pensierose, intellettual’mpegnat’ sempre pronte a spiegare. Radio Mafiopoli oltremodo cerca di dirci qualcosa: con quelle facce che hanno veramente possono tenere sotto scacco una nazione? Con l’aiuto di chi? Chissà se i grandi media daranno spazio presto all’ironia e allo sfottò su scala nazionale contro le mafie, sarebbe un passo di civiltà. Piccolo per il mondo, grande per noi italiani“.

Pino Di Maula (direttore di Left-Avvenimenti): “La redazione di Left Avvenimenti e Notizie Verdi esprime la propria solidarietà nei confronti di Giulio Cavalli e della sua compagnia teatrale per l’ennesimo vigliacco tentativo di azzittire con le intimidazioni le voci libere, indipendenti e coraggiose che denunciano il sistema mafioso attraverso l’arte e la comunicazione esponendosi in prima persona. Come fa, appunto, Giulio“.

Vito Lo Monaco (Presidente “Centro Studi Pio La Torre”): “Il fatto che avvenga a Lodi dimostra come la mafia sia ormai un fenomeno esteso su scala nazionale, conferma quello che diciamo da tempo. La mafia è un problema che riguarda tutta l’Italia non solo la Sicilia. Le politiche del governo quindi devono tener conto di questa cosa e non seguire l’emergenza del momento. Tutto questo in concomitanza con le dichiarazioni del figlio di Riina di trasferirsi al nord sembrano frutto di una strategia ben precisa. Mi associo e do solidarietà a Giulio Cavalli”.

Vincenzo Conticello (Proprietario della Focacceria San Francesco di Palermo): “Grande solidarietà a Giulio che si senta accompagnato da chi, come me, porta avanti in prima persona la lotta al racket e alla mafia. Da un altro punto di vista penso che non bisogna mai abbassare la guardia perché questo silenzio da parte di Cosa Nostra non va mai sottovalutato perché bisogna sopprimere sul nascere qualunque tipo di focolaio mafioso. Se diamo il consenso alle richieste del figlio di Riina, evidentemente, stiamo già cominciando a scardinare le regole“.

Rosario Crocetta (Sindaco di Gela) : “In Italia non si ha la possibilità di fare liberamente arte. Evidentemente sono stati toccati dei nervi scoperti, do la mia solidarietà netta a Giulio e dichiaro sin da ora la mia disponibilità a partecipare ad un incontro pubblico a Lodi insieme a lui per spiegare alla gente del luogo la mafia e la necessità di combatterla”.

Per informazioni:

Bottega dei Mestieri Teatrali:335-7686218

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FascioeMartello:redazione@fascioemartello.it 389-1855235