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truffa

Spesso è una truffa, la competizione

C’è questa storia minore, così poco importante anche rispetto ai drammi del momento, che però merita attenzione perché porta con sé un germe che si scrolla e diventa seme e merita di essere letta, così di prima mattina, prima di tutti i bombardamenti e la propaganda che ci piovono in testa.

Il protagonista è uno chef francese, Sébastien Bras, figlio di quel Michel Bras (entrambi in foto, ndr) che ha sbancato negli ultimi anni tra la guida Michelin, libro di culto nel mondo della competizione culinaria. Sébastien Bras ha scritto al comitato esecutivo della guida Michelin per chiedere di essere escluso dall’edizione del 2018, per “tagliarsi fuori dalla competizione” come direbbero i felini briatorini e farinettiani dalle nostre parti:

«Oggi voglio offrire il meglio di me, con la leggerezza di sentirmi libero, senza chiedermi se le mie creazioni soddisfino gli ispettori Michelin o no», ha detto Bras in una lunga intervista a Le Monde, perché «mia moglie ed io vogliamo essere liberi per poter creare senza tensioni, far vivere la nostra Maison con una cucina, un’accoglienza e un servizio che sono l’espressione del nostro spirito e del nostro territorio. A quarantasei anni voglio dare un nuovo senso alla mia vita: professionale, sì, ma anche alla mia vita in generale e di ridefinire i valori essenziali».

Ora, per carità, non che io pensi che questa sia una lezione di vita da archiviare tra i memorabilia di questo secolo, ma l’intervista dello chef Bras mi ha riportato alla frase di un caro amico che da anni mi spiega del “capitalismo morale” che attraversa molto più del lavoro: siamo arrivati al punti, dice lui, per cui ci stremiamo per essere all’altezza e poi ci dimentichiamo esattamente all’altezza di cosa. Che è un po’ quello che dice Bras, che più che dal lavoro di cucina sembra essere schiacciato piuttosto dall’obbligo di “primeggiare in una competizione” che col tempo poi (stando a quel che ci dice lui) ha scentrato il punto.

E succede a noi tutti. Spesso, spessissimo. Così terribilmente affaccendati nella preoccupazione di affaccendarci, così ammaestrati all’esibire la voglia dell’esser primi in tutto, così mitragliati da chi ci dice che “la competizione” è il succo, che alla fine abbiamo distolto l’attenzione da altro che avremmo dovuto tenere d’occhio. Né leggeri né liberi.

Buon venerdì.

(continua su Left)

L’etica della bonifica dei Grossi nelle loro telefonate

soldi che servivano per la bonifica e la post-gestione della discarica sparivano in Lussemburgo. E finivano in auto di lusso, appartamenti e persino un castello da ristrutturareDopo gli arresti ordinati giovedì dalla Procura di Latina nei confronti di sei manager del gruppo Green Holding, colosso lombardo dello smaltimento rifiuti, accusati di peculato per aver sottratto 34 milioni di euro destinati alle bonifiche della discarica Indeco di Borgo Montello, dalle intercettazioni dell’inchiesta della squadra mobile di Latina emergono gli interessi dei “signori dei rifiuti”. I manager di Green Holding – tra cui Andrea Grossi, figlio di Giuseppe, il “re delle bonifiche” lombardo coinvolto nell’affare Montecity-Santa Giulia – parlano di appartamenti, ristrutturazioni al castello di Brignano Gera d’Adda a Bergamo acquistato dalla holding di Segrate, auto sportive da 450mila euro da immatricolare in Polonia e progetti di “impiantini” da realizzare di fronte all’Ilva di Taranto. In esclusiva ecco le intercettazioni dell’indagine “Evergreen” dei pm Nunzia D’Elia e Luigia Spinellidella Procura di Latina.

La Lamborghini con targa polacca e il castello

Parlano Andrea Grossi e Vincenzo Cimini, amministratore del gruppo. Il giudice annota che “in altre conversazioni Andrea Grossi riferiva che stava provando un’autovettura sportiva da 450mila euro, paragonabile alla Lamborghini”. Inoltre, la Green Holding è “proprietaria di un castello a Brignano Gera d’Adda in provincia di Bergamo, acquistato da Giuseppe Grossi padre di Andrea”.

Telefonata del 20 giugno 2014

Andrea Grossi: Va bene, va bene, buono, buono, buono…no ma quei soldi lì quella macchina lì non li vale mica! Adesso, sarà quello che vuoi ma è…è…
Vincenzo Cimini: Loro han detto, infatti gli ho detto: cazzo, invece…no perché questa c’ha la…come si dice la nuova scocca, anche la piattaforma, come si chiama…il pianale
Andrea Grossi: Mhm…ho capito! Boh non te lo so dire…va beh
Vincenzo Cimini: Normalmente 235 km/h…cioè ‘sta versione qua che ci abbiamo in mano sì, ma secondo me va supportata con la Lamborghini
Andrea Grossi: Eh ma ci fanno anche un buono sconto su quella macchina lì eh…
Vincenzo Cimini: Sì infatti mi hanno dato il listino, poi te lo devo dare (…)
Andrea Grossi: Ok, ok va beh adesso vediamo dai, facciamo adesso…Provala, poi vediamo la prendiamo in Polonia…con la targa polacca
Vincenzo Cimini: Infatti…va bene dai
Andrea Grossi: Che non prendiamo manco i tutor e le multe dai…
Vincenzo Cimini: Cazzo…
Andrea Grossi: Mh mh mh…
Vincenzo Cimini: Eh è bella sta cosa dai!
Andrea Grossi: Michia! Figa Enzo più di così che cazzo bisogna fare…non lo so io, eh?
Vincenzo Cimini: Sì
Andrea Grossi: O sbaglio?
Vincenzo Cimini: Sì, sì, sì, dobbiamo mettere a posto il castello, poi veramente fanculo ci prendiamo una settimana, non un giorno

“Ho già in mente il business: un impiantino davanti all’Ilva”
Andrea Grossi e la madre (non indagata) parlano al telefono il 20 giugno 2014, dopo aver concluso positivamente le operazioni finanziarie con le società lussemburghesi.

Andrea Grossi: Michia, da Dio! Ti ho tenuto anche un appartamentino bello fresco a Margara!
La madre: (Ride)…bene, bene dai…
Andrea Grossi: Figa ragazzi…che c’ho già il business! Mi è già venuto in mente! Per fare un impiantino di selezione, e poi di fronte all’Ilva! e poi…così monetizziamo perché è nostro, lo vendiamo, così! E poi col tempo, quando incassiamo le nostre partite lo vendiamo alla società (…) e poi…un bell’appartamentino a Margara che teniamo, uno tanto si può anche permettersi di tenerlo!
La madre: Ma sì, no, lo facciamo…lo affittiamo!
Andrea Grossi: Sì, sì, lo affittiamo! Lo teniamo e lo affittiamo!
La madre: Lo affittiamo! …No?
Andrea Grossi: Sì, sì! Da Dio no!
La madre: Perfetto! Perfetto, lo affittiamo così intanto paghi l’Imu
Andrea Grossi: In tre anni glieli diamo, non ci accorgiamo…

Del progetto dell’impianto vicino all’Ilva di Taranto Andrea Grossi parla il giorno successivo anche in un’altra conversazione con Stefano Lazzari, del cda di Indeco.

Andrea Grossi: E in più mi son portato a casa il 100% della Riccia (…) dove voglio far qualcosa di fronte all’Ilva, che è un terreno che avevamo dove c’era la Smari…ed un appartamento a Margara!
Stefano Lazzari: Sei un grande! Sei un grande!!
Andrea Grossi: E perché solo mercato figa, sono un mercante!

La “puzza energetica”
Parlano Andrea Grossi e Vincenzo Cimini, amministratori di Green Holding.

Andrea Grossi: Ma che cazzo te ne fai! Ti devi vendere Margara per pagare il mutuo di Parre, poi ti rimene l’immobile a Parre, che cazzo ne fai…?
Vincenzo Cimini: Un cazzo! Devi vendere quello! …
Andrea Grossi: Eh! E chi te lo compra!
Vincenzo Cimini: Mica è così semplice! Infatti! Quello lo devi svendere di brutto…infatti…va beh, tanto mo’ l’accordo lo devono ancora…scrivere…
Andrea Grossi: Ne hai parlato di Matera?
Vincenzo Cimini: (…) la tecnologia di Matera non c’entra niente con quella sua! Là è un’estrazione…dalle due masse, quindi c’è una puzza energetica, là fa il biodiesel allora (incomprensibile e ride) sembrare un ignorante, però…
Andrea Grossi: Come va la macchina, spinge?
Vincenzo Cimini: L’ho tenuta in città…

Indeco, la discarica “fattura un milione e mezzo al mese”
Telefonata tra Andrea Grossi e Vincenzo Cimini, amministratori di Green Holding.

Andrea Grossi: E poi considera che hai delle aziende che comunque, se quando tu hai finito quella cosa del Comune ecc. ecc…già Indeco ti accumula un milione, un milione e mezzo di liquidità tutti i mesi, ho visto se li metti insieme…
Vincenzo Cimini: Adesso lunedì pomeriggio Andrea sono già al tavolo tecnico in Regione eh…proprio buono quel canale lì c’è il responsabile dell’area…dell’assessorato (…)

L’ampliamento del bacino denominato S8 della discarica Indeco di Borgo Montello, secondo il giudice, “è perseguito al fine di ottenere nuove risorse finanziarie derivanti dai nuovi invasi e colmare in tal modo le lacune dei milioni di euro post-mortem non accantonati e distratti nel corso degli anni (…) Nella conversazione che segue Grossi Andrea, commentando l’apertura di un nuovo invaso, fa comprendere che la nuova realizzazione serve anche a sistemare il post-mortem pregresso”. Telefonata del 20 giugno 2014 tra Andrea Grossi e Antonio Romei, del cda di Indeco.

Andrea Grossi: Ok, ok, ok…lì cosa dovremmo fare di fatturato?
Antonio Romei: Eh lì di fatturato faccia conto se sono 50mila tonnellate l’anno che si prevede di smaltire…son fra i tre, tre milioni e mezzo…
Andrea Grossi: Va bene, va bene, va bene…
Antonio Romei: E che quindi…durerà cinque anni, cinque o sei anni, e…però ci mettiamo a posto tutto il post-mortem
Andrea Grossi: Va bene, va bene, va bene…così almeno pure lì, sistemiamo…
Antonio Romei: Ah, ho cominciato a intermediare su Busto, infatti un po’ di rifiuti di Napoli vanno a Busto Arsizio.

(fonte)

Lo stipendio dei Graviano è nelle pompe di benzina

La Procura della Repubblica chiede il rinvio a giudizio per Angelo Lo Giudice e Rosa Bompasso. I loro distributori di carburante sarebbero stati per anni una fonte di reddito per i fratelli Benedetto, Filippo e Giuseppe Graviano. Come? Le colonnine degli impianti sarebbero state manomesse per ottenere maggiori ricavi da girare ai capimafia di Brancaccio e ai loro familiari. Da qui le accuse di truffa e riciclaggio che vengono contestate a Lo Giudice e Bompasso, marito e moglie, formalmente intestatari dei distributori Agip di viale Regione Siciliana, ad angolo con via Oreto, ed Esso di Piazza Sant’Erasmo. Entrambi gli impianti sono finiti sotto sequestro. Il primo è fallito e il secondo ha riaperto sotto un’altra insegna estranea ai fatti. Le due compagnie petrolifere, Esso e Agip, sono parte offesa dell’inchiesta e sono pronte a costituirsi parte civile con l’assistenza dell’avvocato Cristiano Galfano. Ad entrambi gli indagati i pubblici ministeri Vania Contrafatto e Francesca Mazzocco contestano l’aggravante dell’articolo 7, quella prevista per chi agevola Cosa nostra.

Nelle pompe non si vendeva solo carburante con il trucco. Sarebbero state anche due stazioni di posta del clan mafioso di Brancaccio. Il nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza vi trovò una sfilza di pizzini. E così sarebbe venuta a galla la contabilità che prevedeva stipendi sostanziosi per i parenti più stretti degli ergastolani che nonostante il 41 bis avrebbero continuato a gestire affari e potere. E cioè Rosalia Galdi, detta Bibiana, moglie di Giuseppe Graviano, Francesca Buttitta, moglie di Filippo, Nunzia Graviano, “a picciridda” sorella dei boss (pure lei è finita in carcere) a cui sarebbero spettati 4 mila euro al mese. E ancora mille euro ciascuno a Maria Anna Di Giuseppe ed Antonietta Lo Giudice, mogli di Giuseppe Faraone e Giorgio Pizzo, entrambi detenuti, e a Benedetto Graviano.

Nei due distributori i finanzieri trovarono tutto ciò che serviva per truffare, sostiene l’accusa, i clienti. C’era la calamita che diminuiva l’erogazione fino al dieci per cento in meno di quanto indicato sul dispaly. C’era l’interruttore piazzato in bagno che qualcuno pigiava quando il benzinaio azionava la pistola del carburante. Oppure il telefono che a distanza accelerava il conteggio della colonnina facendo semplicemente finta di essere impegnati in una conversazione.

Il difensore dei due indagati, l’avvocato Enrico Tignini non entra nel merito delle accuse, ma si limita a precisare che nel caso di Lo Giudice “alcune fattispecie di reato potrebbero essere già oggetto di analogo processo penale in fase di celebrazione con il rito abbreviato” (Lo Giudice è per imputato di intestazione fittizia di beni ndr). Nel caso della Bompasso, invece, “si tratta della titolare del Bar Liberty che nulla aveva a che fare con il distributore”. Anche il bar, annesso alla pompa di benzina di viale Regione Siciliana è finito sotto sequestro perché considerato di proprietà dei capimafia di Brancaccio.

(clic)