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Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega

Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega

La bellezza dei numeri è che stanno là, non si possono piegare, ed è sempre buffo quando qualcuno prova a invertirli come se fossero propaganda, malleabili alle bugie. I numeri della Lombardia sulla capacità di contenimento del virus e sulla capacità di vaccinazione sono sotto gli occhi di tutti, erano settimane che lampeggiavano evidenti nonostante il clan di Fontana fosse concentrato a impantanarli con quintali di fondotinta, e non è un caso che alla fine la narrazione “vincente e operosa” usata come scudo sia crollata sotto gli strilli di Bertolaso, di Letizia Moratti e infine di Fontana stesso.

Una bugia non può durare per sempre: prima o poi ci si infiltrano i numeri e alla fine crolla. In Lombardia la Giunta regionale ha puntato il dito contro una partecipata voluta dalla Giunta stessa, sperando di scaricare la propria responsabilità su conto terzi.

Non sta funzionando, non funzionerà e non sarà un successo nemmeno il finto pugno di ferro di Salvini che promette punizioni esemplari che si sono risolte nella morbida richiesta ai vertici di Aria di dimettersi. Non li hanno nemmeno cacciati, questi che vorrebbero essere i giustizieri della notte: hanno detto loro “Per favore ve ne andate? Che dite? Vi sembra una buona idea?”.

Ma i numeri dicono che la media nazionale delle somministrazioni dei vaccini è all’82,4% delle dosi che sono state consegnate. E i numeri dicono che le Regioni governate dalla Lega di Salvini sono di fatto tutte sotto la media nazionale.

Insomma, non è questione solo di Lombardia ma qui sorge più di un legittimo dubbio che si tratti proprio di un’incompetenza diffusa: la Sardegna di Solinas (indipendente ma sostenuto dalla Lega e sponsorizzatissimo da Salvini) brilla all’ultimo posto con il 70,5% delle dosi somministrate, la Liguria di Giovanni Toti (un altro che Salvini ci pone da sempre come esempio di capacità amministrativa) si attesta più o meno sulla stessa percentuale, la Calabria di Spirlì (che Salvini vorrebbe addirittura come candidato presidente) sta al 71,5%, al 78,3% la Lombardia, 80,1% per il Veneto di Zaia, 81,6% per l’Umbria di Donatella Tesei e 82% per Fedriga in Friuli Venezia Giulia.

Sono tutti, tutti, sotto la media nazionale. Sarà sfortuna? È un terribile complotto ordito dai poteri forti? Le fiale del vaccino sono comuniste e scappano dalle mani degli infermieri nelle Regioni governate dalla Lega? Su questo sarebbe bello sentire la risposta di Salvini. Ma Salvini, vedrete, non risponderà. Al massimo twitta la foto di lui con un panino.

Leggi anche: È ora di commissariare la Sanità lombarda: lettera al ministro Speranza

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Facce toste

Tra i politici, in questi giorni, è tutto uno smentirsi senza nemmeno avere qualche remora. Senza nemmeno sentirsi in dovere di spiegare. E non è un bel vedere

Sono giorni frizzanti questi perché, mentre il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi continua il suo giro di consultazioni, abbiamo l’occasione di toccare con mano lo spessore politico dei partiti in Parlamento, quei partiti che da anni vorrebbero perfino essere portatori di etica e che si combattono dando lezioni di moralità uno contro l’altro mentre poi nel loro piccolo cortile riescono a dare il peggio di sé.

Ieri l’europarlamentare Antonio Rinaldi, il fondatore e uomo di punta della corrente “no euro” della Lega di Salvini, è riuscito a rilasciare un’intervista alla giornalista Annalisa Chirico in cui candidamente afferma di non avere «mai detto di voler uscire dall’euro». Una roba immonda che racconta perfettamente come sotto il paravento di una “responsabilità” fasulla (che poi consiste nell’occasione di ambire a mettere le mani sui miliardi che arriveranno dall’Europa) i partiti siano disposti addirittura a rinnegare se stessi. Dice Rinaldi che le sue panzanate contro l’euro erano «solo una speculazione accademica», che «dall’euro non si esce» e parlando della Lega afferma: «Non siamo noi a esserci avvicinati all’Europa. È l’Europa che si è avvicinata a noi».

Pensare che in questo video (uno tra i tanti) dichiarava che dalla moneta unica europea si dovesse uscire subito e che per farlo sarebbe bastato un decreto. A proposito: quel video è sulla pagina del Movimento 5 stelle Europa, sì, quando anche loro insistevano tutti belli felici sull’antieuropeismo per riuscire a racimolare qualche voto degli arrabbiati. Vi basta fare un giro in rete per ritrovare centinaia di eventi (di Lega e di M5s) contro l’euro. Ora vi stanno dicendo che era tutto falso, niente di niente. Chissà che ne pensano gli elettori, sempre a proposito della “crisi di fiducia verso la politica”.

Badate che contro l’euro, nonostante in questi giorni siano pochi a ricordarlo, si scagliava simpaticamente anche Silvio Berlusconi: nel gennaio del 2018 in un’intervista al Corriere dell’Umbria l’ex Cavaliere disse (sempre per solleticare gli sfinteri degli elettori): «Rispetto a 24 anni fa, l’Italia è peggiorata per colpa dell’euro. L’introduzione della moneta unica con quelle modalità e a quei valori, improvvidamente accettati da Romano Prodi, ha dimezzato i redditi e i risparmi degli italiani». E questo concetto l’abbiamo sentito ripetere migliaia di volte in questi anni tanto che è arrivato intonso fino a noi.

Notevole anche la dichiarazione di Carlo Sibilia, ex sottosegretario per il M5s, il partito che avrebbe dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e non allearsi con nessuno, che dice candidamente: «Abbiamo digerito Lega e Pd, possiamo digerire anche Berlusconi in maggioranza con noi». La scatoletta di tonno ormai se la sono mangiata e non hanno nemmeno avuto bisogno della citrosodina per sistemarsi lo stomaco.

E così via: è tutto uno smentirsi senza nemmeno avere qualche remora. Meno di un mese fa, ospite da Gruber alla trasmissione Otto e mezzo, il democratico Andrea Orlando (attenzione, meno di un mese fa), rispondendo a una domanda del direttore di Domani Stefano Feltri che gli chiedeva se il Pd fosse disposto a governare con Salvini nell’ipotesi di un governo Draghi, il parlamentare Pd rispose sornione e bello convinto: «Nemmeno se venisse Superman». Chissà cosa ne pensano gli elettori.

Ora, vedete, il problema non è cambiare opinione (come succede nella vita e nella politica quando cambiano le situazioni e i contesti). Ciò che lascia basiti è che non assistiamo a un’onesta narrazione di se stessi in cui i politici dicono di dover prendere una decisione inattesa per questo o quel motivo: questi addirittura si rinnegano senza nemmeno sentirsi in dovere di spiegare. E non è un bel vedere.

Infine: ieri Giorgia Meloni si è lanciata nella sempre ridicola proposta di una “flat tax progressiva” che è un ossimoro indecente. Ha ragione Civati quando scrive che ora le manca solo “una patrimoniale per i senza tetto” e poi siamo al punto massimo della ridicolaggine. Ma c’è un aspetto che conviene sottolineare: allo stato attuale a Fratelli d’Italia, che risulta essere l’unico partito all’opposizione, spetterebbero i presidenti delle commissioni Vigilanza Rai, Copasir, e vigilanza su Cdp. Qualcuno ci ha pensato?

Buon mercoledì.

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Nelle Marche Fratelli d’Italia dice no all’aborto: “Senza nascite ci sarà una sostituzione etnica”

L’aborto? Non è una priorità. Secondo il capogruppo di Fratelli d’Italia nella Regione Marche Carlo Ciccioli bisogna occuparsi di una presunta “sostituzione etnica” che starebbe sconvolgendo l’Italia mettendo a rischio la natalità e l’identità di una nazione. Sembra una barzelletta e invece sono le parole che rimbombano dall’ultimo consiglio regionale delle Marche, dove la mozione dell’ex assessora Manuela Bora del Partito Democratico ha chiesto che venissero applicate le linee guida ministeriali sulla somministrazione della Ru486.

Il Ministero della Salute infatti ha stabilito che la somministrazione della pillola Ru486 avvenga anche al di fuori degli ospedali, come ad esempio nei consultori ma nel nostro Paese, si sa, ogni volta che si parla di aborto fioccano parole e azioni che cancellano irrispettosamente in un solo colpo decenni di battaglie femministe: così la Regione Marche, anche con una certa baldanza, decide di non applicare la legge in nome di incredibili posizioni oscurantiste e basandosi su tesi false e razziste.

“In questo momento di grande denatalità della società occidentale, sostenere con grande enfasi questa battaglia, che aveva un suo senso negli anni ’60 e ’70 è fuori posto – ha detto Ciccioli, medico specializzato in psichiatria, criminologia clinica e neurologia – La battaglia da fare oggi è quella per la natalità, non c’è ricambio e non riesco a condividere il tema della sostituzione, cioè che siccome la nostra società non fa figli allora possiamo essere sostituiti dall’arrivo di persone che provengono da altre storie, continenti, etnie, da altre vicende”.

Perfino l’unica donna in Giunta (perché il patriarcato lo si nota da tanti piccoli particolari) l’assessora alle pari opportunità Giorgia Latini, si è dichiarata contraria all’interruzione di gravidanza. Avviene nelle Marche, vale la pena ricordarlo, dove qualche giorno fa un gruppo di anti-abortisti aveva inviato alla consigliera del PD Bora 1450 pannolini, tanti quante le interruzioni di gravidanza registrate in Regione nel 2019.

E non si tratta solo delle Marche: nella vicina Umbria c’è la presidente Donatella Tesei, che da mesi contro l’aborto sta focalizzando molta della sua propaganda. Sono le vicende utili per rendersi conto cosa siano la Lega, FdI e questo centrodestra nel momento in cui si trovano al governo: hanno l’unica priorità di intaccare i diritti degli altri per evidente incapacità di immaginarsene di nuovi. E ancora una volta a pagare lo scotto della propaganda sono le donne. Ancora.

Leggi anche: 1. Rendiamoci conto: con questa crisi si torna a parlare di Berlusconi presidente della Repubblica / 2. Grazie, Biden: dopo un anno orribile, in un solo giorno ci hai restituito la speranza nel futuro

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È la Lega, bellezza

Lombardia in zona rossa: nonostante una mail che conferma l’invio di dati errati da parte della Regione, anche Matteo Salvini, dopo il presidente Fontana, dà la colpa al ministro Speranza. E lo seguono i governatori leghisti che chiedono una «revisione immediata delle procedure». Che finora hanno sempre funzionato

Altra giornata convulsa ieri per Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, il suo capo Matteo Salvini e la distintissima Moratti, assessora al Welfare che non sta per niente bene dalle parti della Lombardia. Mentre Salvini si sbraccia e arranca e si affanna per dare la colpa dei dati sballati della Lombardia al governo nazionale ora ci sono anche le mail che testimoniano come proprio la Regione non avesse compilato tutti i campi che doveva compilare nei moduli da inviare all’Istituto superiore della sanità, esattamente come quelli che non leggono le noticine dei contratti che firmano e poi si ritrovano la casa debba di enciclopedie.

Il 22 gennaio il direttore generale del Welfare in Regione Marco Trivelli invia una mail all’Iss che dice chiaramente:

«Gentilissimi, tenuto conto della integrazione nel flusso dati trasmesso mercoledì 20 us rispetto al flusso trasmesso mercoledì 13 us, effettuata a seguito del confronto tecnico tra Iss e Dg Welfare e relativa alla riqualificazione del campo stato clinico da assenza di informazioni in merito alla presenza di sintomi in stato asintomatico nei casi con data inizio sintomi, si chiede la rivalutazione dell’indice Rt sintomi per la settimana n.35 ora per allora. Cordiali saluti».

Quella che Trivelli chiama “riqualificazione” è semplicemente un errore. E a causa di quell’errore l’Rt della Lombardia risultava 1,4 invece che 0,88 poiché a causa del mancato aggiornamento dello stato clinico risultavano molti più sintomatici.

In un Paese normale il presidente di una Regione che commette un errore del genere (l’erronea zona rossa sarebbe costata 600 milioni alla Lombardia, di cui ben 200 solo a Milano) avrebbe provocato le immediate dimissioni dei cialtroni al governo. E invece?

Invece la Lega, per bocca del suo prode Salvini, decide di buttarsi sulla strada della menzogna e addirittura rilancia. Sentite cosa ha detto Salvini ieri: «C’è stato un clamoroso e drammatico errore di calcolo sulla pelle dei cittadini fatto dal ministero della Salute. Speriamo che Speranza sia ministro ancora per poco. Di danni ne ha fatti abbastanza». Tutto falso, ovviamente, nessuna prova a supporto della tesi, niente di niente. E se pensate che sia un comportamento solo del segretario vi sbagliate di grosso: ieri tutti i presidenti di Regione leghisti sono accorsi al fischio del padrone firmando tutti insieme una lettera in cui chiedono una «revisione immediata delle procedure» per determinare il colore dei territori in modo da «affrontare con serenità maggiore una grave situazione». Fa niente che quelle stesse procedure funzionino dall’inizio della pandemia, fa niente che solo la Lombardia abbia sbagliato mentre le altre regioni non hanno avuto problemi. Niente di niente. Massimiliano Fedriga (Friuli Venezia Giulia), Christian Solinas (Sardegna), Nino Spirlì (Calabria), Donatella Tesei (Umbria), addirittura Fontana (Lombardia) e Luca Zaia (Veneto) hanno deciso di esporsi al pubblico ludibrio. Ah, a proposito: proposte? Nessuna.

È il metodo leghista: dire una bugia, ripeterla, farla ripetere a tutti gli scherani, gridarla in coro, insistere fino a ammaestrare i propri elettori; ridurre una questione tecnica a una barzelletta di propaganda; non entrare mai nel merito delle questione ma rilanciare sempre un nuovo nemico da additare, senza nemmeno passare dalla verifica dei fatti. Poi c’è il viscido gioco delle loro amicizie perverse: Matteo Salvini, quello che indossa la mascherina che raffigura il giudice Borsellino, ha avuto il coraggio di proporre Berlusconi presidente della Repubblica. Per dire cosa riescono ad essere, dove riescono ad arrivare. Ora chiudete gli occhi e immaginate al governo delle persone così.

Buon martedì.

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Ma dai? Si torna a scuola?

Eccoci qua. Mi era capitato qualche settimana fa, eravamo ancora in pieno periodo vacanziero a ricordarmi che saremmo arrivati in ritardo con le aperture delle scuole. Era scritto, del resto: nei molti mesi che ci sono stati a disposizione per ripensare la scuola e per programmarne la riapertura ci si è consumati tra le piccole guerre tra Stato e regioni e a discutere di banchi con rotelle, di plexiglas e di indecenti attacchi sessisti alla ministra. Rimanere sul punto evidentemente era troppo difficile.

Così ora si scopre che anche i professori si ammalano (i primi risultati dicono 16 professori positivi in Veneto, 12 in Lombardia tra Varese e Como, 20 in Umbria, 4 in Trentino) e che come avviene in qualsiasi luogo di lavoro forse è il caso di fare i test. A proposito di test: si rilancia la notizia che un terzo dei professori non vorrebbe sottoporsi a tampone (che il governo ha, chissà perché, reso volontario) e ovviamente tutti ora giocano al massacro: peccato che l’indagine abbia ben poco valore statistico (si sa di interviste telefoniche a qualche centinaio di insegnanti e non si sa di che regione siano) e peccato che siano moltissimi gli insegnati che invece lamentano addirittura l’impossibilità di accedere al tampone. Tra l’altro in alcune regioni il test è gratuito e in altre no, così a caso. Sia chiaro: tutto questo a pochi giorni dall’inizio della scuola.

Ma non è tutto: ora ci si accorge che i ragazzi a scuola ci devono andare e che molti ci vanno in autobus e indovina un po’? Gli autobus sono strapieni. Eh, già. Non era difficile immaginarlo, basterebbe sostare davanti a una scuola qualsiasi per accorgersene in una città qualsiasi. Fenomenale il presidente delle Marche Ceriscioli che a Repubblica dice che Burioni ha trovato la soluzione: i ragazzi nel bus devono indossare la mascherina e restare in silenzio, senza parlare. Sembra uno scherzo e invece è drammatico.

Poi ci sono i banchi: il pessimo commissario Arcuri ora parla di alcune consegne a fine ottobre e il bando di gara era talmente scritto male da dover essere corretto un paio di volte. Giunge notizia che ora il commissario stia facendo ordine a aziende extra bando. Qualcuno dice che ci vorrebbe vedere chiaro ma i costi e i contratti sono secretati “per evitare polemiche politiche” dice Arcuri, come se avesse l’autorità di decidere cosa rendere pubblico e cosa no.

Poi ci sono gli spazi: garantire distanziamento sociale in edifici che avevano già problemi di cubature in epoca pre Covid diventa una missione quasi impossibile. A tutto questo aggiungeteci il caos di un’opposizione che soffia sul fuoco piuttosto che proporre soluzioni.

Eppure proprio sulla scuola si misurerà molta della capacità di questo governo di affrontare la pandemia. Per questo vale la pena approfondire. Per questo se ne parla nel numero di Left in edicola e in digitale.

Buon venerdì.

Left del 28 agosto – 3 settembre 2020

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Come ti sconsiglio l’aborto in Umbria

In Umbria governa Donatella Tesei  la quale ha pensato bene che uno dei più annosi problemi da risolvere nella regione fosse allungare il tempo di ricovero per l’interruzione di gravidanza volontaria farmacologica, da sempre come sapete una delle fobie di leghisti e destrorsi vari che sognerebbero di abolirlo per intero, l’aborto.

Nel 2018 la Regione Umbria aveva introdotto la possibilità di abortire grazie alla pillola Ru486 entro la settima settimana di gravidanza e aveva chiesto a tutti gli ospedali di organizzarsi in modo che le donne potessero effettuare l’interruzione della gravidanza grazie a una prestazione di day hospital o anche solo grazie a un servizio di assistenza domiciliare. La possibilità di rinunciare alla gravidanza con la pillola Ru486 è utilizzata oltre il 90% dei casi in nord Europa, per il 60% in Francia e solo per il 18% in Italia.

Ora la Tesei e la sua Giunta hanno deciso che serviranno almeno tre giorni di ricovero obbligatori per accedere all’interruzione di gravidanza farmacologica, cianciando di non si sa bene quale maggiore tutela considerando che in nessun Paese al mondo l’aborto farmacologico avviene al di fuori del regime di day hospital. Per scoprire perché un’azione sia stata intrapresa basta osservare chi è il primo che esulta: in Umbria ha esultato tantissimo il senatore ultraconservatore della Lega Simone Pillon, promotore del Family Day nonché commissario della Lega in Umbria.

Sono riusciti a rendere ancora più difficilmente sostenibile, soprattutto psicologicamente, il ricorso all’interruzione di gravidanza. Non è un caso, no, è una lucida strategia che si inventa qualsiasi passaggio punitivo pur di scoraggiare un atto che non hanno il coraggio di discutere deliberatamente faccia a faccia con le donne. Il fatto poi che in tempi di Covid si aumentino i giorni di degenza, mentre i malati non riescono nemmeno a ottenere le cure che gli spettano, rende tutto talmente goffo da risultare tragicamente imbarazzante.

Buon martedì.

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Regionali Umbria, la lezione che nessuno ha imparato: se fai come Salvini, vince Salvini


Dalle parti del governo continuano ad affidarsi a tatticismi e a balbettare sulle riforme. Forse c’è qualcuno convinto che basti fare i Salvini senza la maleducazione di Salvini per aspirare alla sopravvivenza senza rendersi conto che bisognerebbe essere radicalmente alternativi. Con coraggio. Come quel San Francesco che citano a sproposito.
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In Umbria la mafia non esiste: 61 arresti per ‘ndrangheta

Le mani della ‘ndrangheta sull’Umbria: 61 gli arresti in corso di esecuzione da parte dei carabinieri del Ros. Sequestrati beni per oltre 30 milioni. Nel mirino degli investigatori un sodalizio radicato nella regione, con “diffuse infiltrazioni nel tessuto economico locale” e “saldi collegamenti” con le cosche calabresi di origine.

Diversi i reati contestati nelle misure cautelari, richieste dalla Procura distrettuale antimafia di Perugia: associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, danneggiamento, bancarotta fraudolenta, truffa, trasferimento fraudolento di valori, traffico di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione.

I carabinieri del Ros stanno eseguendo gli arresti nella provincia di Perugia e in varie città italiane, contestualmente al sequestro di beni mobili ed immobili riconducibili agli indagati e ritenuti provento dei reati. L’inchiesta, spiegano gli investigatori, “ha documentato le modalità tipicamente mafiose di acquisizione e condizionamento di attività imprenditoriali, in particolare nel settore edile, anche mediante incendi e intimidazioni con finalità estorsive”.

I particolari dell’operazione “Quarto passo” saranno resi noti in una conferenza stampa, alla quale parteciperà il Procuratore nazionale antimafia alle 11.00, a Perugia.

Finalmente che se ne parli

E ne parlano su Calibro 075 i ragazzi del Laboratorio Musicale Fuoritempo:

Finalmente anche a Ponte Felcino, abbiamo visto e sentito parlare dei cittadini che hanno espresso una vera e propria preoccupazione e attenzione, riguardo la possibilità che anche a Ponte Felcino come a Perugia, esistano delle connivenze tra quella ristrettissima cerchia di soggetti che detengono gran parte della ricchezza economica della città e chi ha il compito di dover  fare informazione in modo giusto e trasparente, come la stampa e tutti gli organi di informazione che a Perugia non godono certo di una vera indipendenza.

Ci ha fatto molto piacere sentire come la cittadinanza NON abbia associato la presenza del crimine organizzato in Umbria solo in funzione dello spaccio delle sostanze stupefacenti, della prostituzione o delle rapine che da tempo occupano, con estrema facilità le pagine dei giornali di tutta Italia.

Mentre questi sono ambiti che, essendo già di per sé illegali, facilitano una prima e più immediata lettura di infiltrazione mafiosa nel territorio, la costruzione di una palazzina, un residence, un centro commerciale, un supermercato, azioni per loro natura legali e spesso ben accolte dai più, possono in realtà rappresentare materialmente l’anello finale di una catena non propriamente trasparente e legale.

Finalmente non sono le associazioni che da tempo si occupano di tali problematiche a denunciare lo stato attuale, ma è parte della cittadinanza e soprattutto una parte della buona politica locale ad esigere il diffondersi della cultura dell’antimafia vera e propria.

Per una volta non ci siamo sentiti i soli all’interno della cittadinanza ad aver percepito il problema di una possibile infiltrazione da parte della criminalità organizzata anche all’interno della “res publica”, oltre all’osservare come nel nostro territorio siano state fatte scelte politiche che hanno favorito il dilagare di pratiche d’illegalità, tra queste la cementificazione forsennata e priva di adeguate forme di controllo e per questo facile preda di speculatori e malavitosi che di certo non hanno a cuore il destino della città.

Quanto affrontato durante l’assemblea pubblica a Ponte Felcino, ci ha fatto capire quanto sia importante continuare a credere in un progetto che ha il dovere di far innalzare il livello di conoscenza delle dinamiche malavitose e allo stesso tempo intraprendere adeguate misure di prevenzione, incalzando le istituzioni affinché attuino dei provvedimenti e dei piani d’azione chiari e incisivi contro il diffondersi dell’illegalità, avendo anche il coraggio, quando necessario di fare “pulizia” al proprio interno.

(il resto qui)

Ogni volta che una comunità si scuote e prende coscienza un pezzo di mafie si sbriciola anche senza bisogno del sole.