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L’omofobo seguace di Orban beccato nell’orgia gay: il lato oscuro (e represso) dei moralisti

Uomo e donna, famiglia tradizionale, valori cristiani, una dichiarata omofobia sventolata con fierezza: Joseph Szajer, eurodeputato ungherese del partito di Orban, è uno di quelli che ha puntato tutta la sua carriera politica sugli orientamenti sessuali degli altri, uno di quelli convinti che il compito della politica sia quello di gestire gli aspetti più personali degli elettori come se fossero affare di Stato e addirittura indice di salute pubblica. Peccato che il contrappasso sia degno di un film, uno di quei film dove il protagonista vien sonoramente sbugiardato secondo l’antico adagio “fate quello che dico ma non fate quello che faccio”.

Szajer è stato beccato dalla polizia in un pub nel pieno centro di Bruxelles mentre brigava in un festino sessuale con altre 24 persone, un’ammucchiata in piena regola con un alto tasso alcolico e di droghe. Con lui diversi diplomatici e funzionari della Commissione europea: due degli arrestati hanno addirittura invocato l’immunità diplomatica mentre la polizia li denunciava per avere violato le norme sanitarie disposte per il Covid e per possesso di stupefacenti.

Sono spesso così i moralizzatori: pretendono di giudicare gli altri confidando di non essere giudicati. Ma basta grattare poco poco sotto la superficie per scoprire, spesso, che sono semplicemente dei repressi che ardentemente desiderano ciò che condannano, si costruiscono intere carriere su principi (spesso retrogradi e restrittivi delle libertà degli altri) che infrangono nel buio della propria cameretta e interpretano il ruolo dei conservatori professando una fede che loro stessi riconoscono restrittiva.

Immaginatevi la scena: la polizia ha fatto irruzione nel locale e Joseph Szajer, codardo come sono spesso codardi da quelle parti ideologiche, ha tentato di fuggire (pure ferendosi una mano) per poi invocare un’immunità parlamentare che invece per legge non gli spetta (perché loro sono dei gran saggi dei comportamenti ma spesso fallaci sulla conoscenza delle leggi).

Parliamo di un uomo di punta di Orban, quell’Orban che ha voluto aggiungere alla Costituzione la frase “L’Ungheria proteggerà l’istituzione del matrimonio come unione di un uomo e una donna …”. Complimentoni, davvero.

Ma c’è un altro punto interessante in tutta la vicenda: nel suo comunicato con cui annuncia le proprie dimissioni dal Parlamento europeo, il moralizzatore decaduto Joseph Szajer chiede scusa alla sua famiglia, ai suoi colleghi e ai suoi elettori chiedendo loro “di valutare il mio passo falso sullo sfondo di trent’anni di lavoro devoto e duro” e dicendo di avere tratto con le sue dimissioni “le conclusioni politiche e personali”. Capito? Sono fatti suoi. E quello che ha giudicato tutti ora chiede di essere giudicato secondo il suo metro di giudizio: niente, non ce la fanno proprio, fino alla fine.

Leggi anche: Orgia in un bar di Bruxelles durante il lockdown: denunciato Joseph Szajer, europarlamentare di Orban

L’articolo proviene da TPI.it qui

In Ungheria il populismo non ha più il popolo

Ne parlano poco perché si sa, Viktor Orban dovrebbe essere il modello di autorevolezza a cui qualcuno dalle nostre parti aspira, l’uomo che respinge i migranti senza se e senza ma, colui che secondo alcuni assicura l’ordine nonostante “l’ordine” sia solo il sinonimo marcio della perdita della libertà.

Bene: in Ungheria da giorni protestano lavoratori e sindacati per una legge che alza a 400 ore il tetto di straordinari e che spalmano il pagamento delle ore in più in tre comodi anni per il datore di lavoro. Una legge “del più forte” che è un favore a chi, da imprenditore, può tenere sotto scacco i lavoratori con un ritorno agli anni 60 in tema di diritti. Stupisce? No, per niente.

Tra le riforme contestate tra l’altro c’è anche quella che riguarda la giustizia (ma va?) e che affida al governo il controllo su materie come le gare d’appalto pubbliche e i contenziosi elettorali. Sì, avete letto bene, i contenziosi elettorali.

Sotto l’occhio della protesta sono finiti anche i media pubblici, accusati di essere supini alla volontà di Orban e del suo governo. Anche in questo caso stupisce che ci si stupisca: la libertà di stampa da quelle parti è considerata come libertà di scegliere come assoggettarsi al potere. Nient’altro.

Nei giorni scorsi due deputati del partito d’opposizione LMP, Ákos Hadházy e Bernadett Szél, hanno provato ad entrare nella sede della televisione pubblica per leggere un appello e sono stati buttati fuori dall’edificio con la minaccia di una condanna “a 10 anni”.

Il governo che si vanta di avere chiuso le frontiere ha perso dal 2010 (anno di insediamento di Orban) qualcosa come seicento mila ungheresi espatriati all’estero, in particolare i più istruiti. Le aziende ungheresi intanto (tra cui anche quelle italiane che hanno delocalizzato in nome di un sovranismo che non vale evidentemente dal punto di vista fiscale) hanno seri problemi di manodopera: così il populista Orban ha deciso bene di spremere i lavoratori rimasti. Alla grande, direi.

La vicenda però racconta perfettamente un concetto essenziale: Orban è riuscito a erodere i diritti e le libertà finché i suoi ungheresi potevano avere la tranquillità di un reddito e di un lavoro, tranquilli nella propria quotidianità e addirittura soddisfatta del respingimento dei diritti degli altri, ma alla fine la lenta erosione della libertà arriva inevitabilmente per tutti, sempre. E quando ci si accorge che sta accadendo è quasi sempre già troppo tardi.

Historia magistra vitae, dicevano i latini. Già.

Buon mercoledì.

 

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/12/19/in-ungheria-il-populismo-non-ha-piu-il-popolo/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Niente quorum ma Orbàn resta

1300. Milletrecento rifugiati sono lo scoglio politico su cui Orbàn sta costruendo la proprio credibilità politica come nazionalista à la page in un’Europa che mette i brividi tutti i giorni, anche solo sfogliando i giornali. Milletrecento, per intendersi, è un numero infinitamente inferiore ad esempio agli ungheresi criminali ancora impuniti, agli evasori fiscali, ai colpevoli di omicidio o ai truffatori, agli evasori fiscali, ai ladri, ai pedofili o agli stupratori. Su una popolazione totale di quasi dieci milioni di ungheresi milletrecento persone sono l’assembramento fuori da un supermercato per qualche offerta promozionale.

Eppure su quello sparuto numero (di bisognosi) un mediocre politico come Orbàn è riuscito a fare leva per essere su tutti i giornali del mondo. Gli è bastato poco: se soffi sulla paura alla fine si perdono le dimensioni e anche gli stronzi si notano a pelo d’acqua. Così Orbàn, ne siamo certi, alla fine sarà ben fiero di avere convinto il 43,23% degli aventi diritto a prendersi la briga di votare per accreditare il suo delirio e il 95% dei votanti addirittura per dargli ragione.

Orbàn ha perso il referendum, è vero, ma del referendum se ne strafotte. A quei livelli di manipolazione della paura e di prostituzione intellettuale non ci si ferma di fronte a una consultazione andata male (per altro così poco male) e i votanti sono comunque un ottimo volano per continuare. Anche l’Ungheria entra di gran lena nel mazzo dei Paesi che rovistano nella spazzatura degli istinti umani. Questo è il punto vero. E, ancora una volta, l’Europa appare come una maestrina sciatta che non è più credibile nemmeno per gli alunni più tranquilli seduti in prima fila.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Maestra, Pal copia!

Il presidente ungherese, Pal Schmitt, coinvolto in una vicenda di plagio per aver copiato la sua tesi di dottorato vent’anni fa, si è dimesso. Lo ha annunciato lui stesso in un intervento in parlamento. In precedenza Schmitt aveva avuto un colloquio con il premier Viktor Orban.
In un intervento di dieci minuti davanti ai deputati, Schmitt ha sottolineato la sua innocenza, accusando al tempo stesso «avversari» non meglio precisati di aver voluto, con questo scandalo, screditare lui e il paese. Ma ha aggiunto al tempo stesso di rendersi conto che ormai lo scandalo divide il paese.

«Poichè, secondo la costituzione, la persona del presidente deve rappresentare l’unità della nazione ungherese, e poichè la mia persona è divenuta, purtroppo, sinonimo di divisione, sento che il mio dovere è quello di lasciare il mio incarico», ha detto Schmitt annunciando le dimissioni. 

Ecco, un Presidente che cita la costituzione non per chiedere le dimissioni di qualcuno ma per dimettersi è una cosa impensabile per noi. Parlavamo questa mattina di opportunità e l’esempio migliore arriva dall’Ungheria. E Tafanus (che ha sempre la memoria lunga) ricorda come successe anche da noi che un Governatore (della Sardegna) leggesse un discorso copiato da Formigoni. Ovviamente da noi tutto si è chiuso con un sorriso. Quello degli ungheresi, probabilmente.