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violenza sulle donne

Fa uccidere l’ex moglie e usa la figlia come alibi: l’orrore del femminicidio di Ilenia Fabbri a Faenza

Contiene tutti i caratteri che ci sono in tanti ex mariti assassini e per questo la storia di Ilenia Fabbri, l’ennesimo femminicidio avvenuto a Faenza lo scorso 6 febbraio, va raccontata. Ieri le forze dell’ordine hanno arrestato Claudio Nanni, 53 anni, ex marito di Ilenia ritenuto mandante dell’omicidio e Perluigi Barbieri, 51 anni, un picchiatore conosciuto lì in zona, un professionista di spedizioni punitive e di vigliaccheria che è già stato condannato per atti di violenza contro un disabile.

Negli atti del gip c’è il solito uomo che ritiene sua moglie, anche se ex, una proprietà privata che non ha nessun diritto di sopravvivere alla fine di un rapporto e che deve essere annientata per espiare la sua colpa di essere libera: Nanni dal 2017 aveva continuato a minacciare e aggredire l’ex moglie, era preoccupato per una causa che lei gli aveva intentato per il lavoro che aveva svolto nella sua officina di famiglia senza mai essere pagata, non versava i 500 euro mensili per la figlia Arianna e aveva deciso che l’omicidio sarebbe stato il modo migliore per risolvere il problema.

“Avido, paranoico del controllo, privo di scrupoli”, scrive di lui il gip Corrado Schiaretti che ha ripercorso le tappe dell’omicidio: il 10 dicembre Nanni è rinchiuso in casa per Covid e contatta Barbieri per fare “tutte le cose che bisogna fare”, il 20 e il 29 dicembre i due si incontrano, si scambiano le chiavi di casa, pianificano il percorso del killer nell’abitazione e probabilmente fanno un sopralluogo.

All’alba del 6 febbraio Claudio Nanni passa a prendere la figlia Arianna, 21 anni, al mattino presto, ha intenzione di usarla come alibi mentre il killer le uccide la madre. Barbieri entra in camera da letto ma Ilenia combatte, scappa per le scale, lui la massacra di botte e infine la sgozza.

In casa però c’è la fidanzata di Arianna che sente il trambusto, chiama Arianna, padre e figlia tornano indietro, Arianna chiama la polizia e urla al padre di accelerare. Nanni a quel punto, scrive il gip, piange in maniera incontrollata, consapevole di ciò che sta accadendo invita la fidanzata della figlia a non uscire dalla stanza e nascondersi.

Quando arrivano davanti alla casa, Nanni non scende dall’auto, non ha bisogno di vedere, sa già tutto. Manda la figlia. Un uomo che ha usato la figlia come alibi e che l’ha delegata a vedere il corpo morto di sua madre. La sua messinscena di una rapina andata male è fallita. Ora è in carcere e ancora una volta noi siamo qui a scrivere di una donna che prima di Natale aveva confidato alla sua avvocatessa di volere fare testamento. Ed è finita proprio come temeva. Perché l’assassino delle donne, qui in Italia, ha quasi sempre le chiavi di casa della sua vittima.

Leggi anche: 1. Violenza sulle donne, le scarpe rosse di Loredana Bertè a Sanremo non bastano più /2. Massacrata dall’ex, Clara si era pagata il funerale da sola: già sapeva di morire e nessuno ha fatto niente /3. Tremavo, ero un corpo vuoto: vi racconto cosa si prova durante uno stupro” | VIDEO TPI 

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Uomini che ammazzano donne

Nei primi dieci mesi del 2020 sono 91 le vittime di femminicidio. Una ogni tre giorni. E le misure restrittive imposte dall’emergenza pandemica hanno aggravato il fenomeno

I numeri emergono dal VII Rapporto Eures sul femminicidio in Italia. Nei primi dieci mesi del 2020 sono 91 le vittime di femminicidio. Qualcuno oggi strumentalmente vi dirà che sono meno delle 99 donne dello scorso anno ma in realtà sono diminuite le vittime femminili della criminalità comune (da 14 a 3 nel periodo gennaio-ottobre 2020) mentre risulta sostanzialmente stabile il numero dei femminici di familiari (da 85 a 81) e, all’interno di questi, il numero dei femminici di di coppia (56 in entrambi i periodi); in aumento (da 0 a 4) anche le donne uccise nel contesto di vicinato. Per dirla facile facile: nel 2020 l’incidenza del contesto familiare è dell’89%, superando l’85,8% dell’anno scorso.

La coppia continua a rappresentare il contesto relazionale più a rischio per le donne, con 1.628 vittime tra le coniugi, partner, amanti o ex partner negli ultimi 20 anni (pari al 66,2% dei femminici di familiari e al 48,7% del totale delle donne uccise) e 56 negli ultimi dieci mesi (pari al 69,1% dei femminici di familiari e a ben il 61,5% del totale delle donne uccise). Gli autori sono “per definizione” nella quasi totalità dei casi uomini (94%), con valori che nel corso dei singoli anni oscillano tra il 90% e il 95%. Le misure restrittive imposte dall’emergenza pandemica hanno fortemente modificato i profili di rischio del fenomeno: osservando i dati relativi ai femminicidi familiari consumati nei primi dieci mesi di quest’anno si rileva come il rapporto di convivenza, già prevalente nel 2019 (presente per il 57,6% delle vittime), raggiunga il 67,5% attestandosi addirittura all’80,8% nel trimestre del dpcm Chiudi Italia. Quando, tra marzo e giugno, ben 21 delle 26 vittime di femminicidio in famiglia convivevano con il proprio assassino.

L’omicidio però è spesso solo l’atto finale di una violenza che si consuma. Il femminicidio all’interno della coppia è spesso soltanto il culmine di una serie di violenze pregresse: violenze psicologiche (20%), violenze fisiche (17,7%), stalking (13,3%) e violenze note a terzi (11,1%). Violenze però denunciate solo nel 4,4% dei casi.

Poi c’è la violenza delle parole, sì anche quella. Nel suo rapporto Barometro dell’odio Amnesty International ha analizzato i commenti sui social. Le donne continuano a essere vittime di una società profondamente maschilista e sessista, nei luoghi pubblici, all’interno delle mura domestiche e anche sul web. Guardando al dibattito in modo ampio, su oltre 42.000 post e tweet analizzati, più di 1 su 10 (il 14%) è offensivo, discriminatorio o hate speech. Di questi il 18% rappresenta un attacco personale a un influencer, uomo o donna, tra quelli osservati; nel caso delle influencer, tale incidenza sale al 22%. Un terzo di questi ultimi commenti è sessista e si concretizza in attacchi contro i diritti di genere, la sessualità, il diritto d’espressione. Comuni gli insulti di carattere “morale” che bollano la donna come immorale o “prostituta”, che la classificano per il modo di vestire o per la sua vita sentimentale. A partire dalla presa di posizione di queste donne contro la discriminazione di genere, a favore del diritto all’aborto, o alla parità tra i sessi o alla libera espressione delle proprie scelte sessuali.

Scrive Amnesty: «In sostanza, si aggredisce la donna che si presenta come autonoma e libera nelle proprie scelte, o perché la stessa si esprime a favore della altre categorie fatte oggetto d’odio, come accade con migranti e musulmani. Una vera e propria catena di montaggio dell’odio, che mette insieme idee, comportamenti, identità, scelte che rappresentano i diritti e le libertà delle persone, per farle oggetto di pubblico ludibrio e di discriminazione violenta».

Buona giornata contro la violenza sulle donne. Con i numeri in mano.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Sul caso Genovese auguri al carnefice e attenuanti alla vittima: il mondo rovesciato di Vittorio Feltri

È dura essere Vittorio Feltri. Ogni mattina si sveglia e deve riuscire a intercettare gli umori peggiori dei più bassi discorsi da bar e metterli su pagina per manganellare qualcuno. Oggi il “giornalista” se la prende con la vittima di Alberto Genovese e lo fa con un editoriale che si racconta già dal titolo: “Ingenua la ragazza stuprata da Genovese”.

Si comincia instillando un dubbio: “Certo, gli piacevano le donne e non credo che faticasse a procurarsene in quantità – scrive Feltri. Che necessità aveva di rincorrere allo stupro per impossessarsi di una ragazza bella e giovane dopo averla intontita con sostanze eccitanti? Ciò è incomprensibile sul piano logico”.

E così il dubbio è subito bello e servito. Ma Feltri dà il peggio di sé nella descrizione dello stupro: “Dicono che Genovese sia andato avanti tutta la notte a violentare Michela, una ragazzina di 18 anni la quale pare fosse la terza volta che si recava nell’abitazione del nostro “eroe” del menga […] Come si fa a darci dentro per tante ore. Io, anche quando ero un ragazzo, dopo il primo coito fumavo una sigaretta…”.

Finito qui lo schifo? No, no. Feltri ci dice “personalmente ho constatato che si fa fatica a farsi una che te la dà volentieri, figuratevi una che non ci sta”. Capito? Per Feltri, come per tanti sostenitori del giornalismo fallocratico, non c’è differenza tra violenza, stupro e un normale rapporto amoroso: è tutto solo un atto sessuale, è tutto solo quella cosa lì, tutto uguale, sempre uguale.

Il finale poi è un manifesto di indegnità giornalistica. Feltri si domanda se la vittima “entrando nella camera da letto dell’abbiente ospite” pensava “di andare a recitare il rosario”, senza sospettare “che a un certo punto avrebbe dovuto togliersi le mutandine senza sapere quando avrebbe potuto rimettersele” e scrive che “sarebbe stato meglio rimanere alla larga da costui”. Insomma, se l’è cercata.

Il vomitevole editoriale si chiude con “lui” che “adesso la vedrà brutta o non la vedrà per anni (indovinate cosa, nda) con l’augurio di “disintossicarsi in carcere”. E la vittima? Scrive Feltri: “Alla vittima concediamo le attenuanti generiche. Ai suoi genitori tiriamo le orecchie”. Auguri al carnefice e attenuanti alla vittima: il mondo rovesciato di Vittorio Feltri è tutto qui.

Qualcuno dice che non bisognerebbe sottolinearli certi pezzi, qualcuno dice che bisognerebbe fare finta di niente. Ma c’è una responsabilità sulle parole che ritorna proprio in questo periodo ancora più prepotente: la violenza sulle donne inizia quasi sempre con la parola, è lì che si infila la prima fallocrazia. Qualcuno dice che Feltri fa così per provocare, benissimo, allora mettiamoci d’accordo su quale sia il limite delle cosiddette “provocazioni” che poi non sono altro che articoli che vogliono parlare a un pubblico ben preciso: i maschi che per sentirsi maschili sanno solo essere maschilisti. La violenza sulle donne è qualcosa di troppo grave e di troppo serio per essere lasciata in mano a Feltri e per questo c’è da continuare a sottolineare qualsiasi sua schifezza, soprattutto se pubblicata su un giornale di tiratura nazionale.

Del resto ci sono articoli scritti bene, articoli scritti male, articoli giusti, articoli sbagliati e articoli scritti con il cazzo dentro la penna. E in questi ultimi Feltri (e quelli di cui fieramente si fa portavoce) è un maestro. L’Ordine dei giornalisti non ha niente da dire?

Leggi anche: Il triste declino di Vittorio Feltri: da erede di Indro Montanelli a provocatore pro-Salvini (di F. Bagnasco)

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Una multa da 90 a 350 euro per chi molesta le donne in strada: in Francia pronta la legge

La Francia pensa a una multa per le molestie di carattere “sessuale o sessista” in strada. Cinque mesi dopo essere stati incaricati dal governo di lavorare ad una possibile contravvenzione per “molestie di strada”, cinque parlamentari di diverso colore politico – dal partito di maggioranza La République En Marche fino a La Nouvelle gauche e i centristi dell’ Udi – hanno presentato un rapporto sul tema. “Permettere un cambiamento delle mentalità” e combattere quella sottile “zona grigia” tra corteggiamento e molestie: questo l’obiettivo del rapporto consegnato ai ministri Marlène Schiappa (Parità), Nicole Belloubet (Giustizia) e Gérard Collomb (Interni).

Tra le 23 raccomandazioni contenute nel testo, in particolare una multa dai 90 ai 350 euro per “ogni dichiarazione o comportamento o pressione di carattere sessista o sessuale” nello spazio pubblico che violi la dignità della persone a causa del carattere “degradante o umiliante”, o che crei un “contesto intimidatorio, ostile o offensivo”. Sulla delicata questione di dimostrare la flagranza di reato, il rapporto indica che gli agenti potranno, tra l’altro, consultare le telecamere di sorveglianza ma anche strumenti “innovativi di segnalazione dei fatti”, come ad esempio un semplice video realizzato con lo smartphone. Uno dei relatori, Erwan Balanant, propone l’idea di “un’applicazione per segnalare e geolocalizzare le aggressioni” oltre che una vasta campagna di sensibilizzazione dei cittadini.

“L’istruzione è la chiave del problema”, spiega Balanant, secondo cui la Francia ha un deficit in materia di istruzione sulla parità di genere”. Proposto anche un attestato scolastico per la prevenzione delle violenze come anche la creazione di un osservatorio in ogni scuola superiore. L’obiettivo, appunto è contrastare le cosiddette “zone grigie” che includono, tra l’altro, “gesti inopportuni, fischi, sguardi insistenti commenti osceni”, o seguire una persona in strada.

La multa anti-molestie potrebbe essere inclusa nel progetto di legge contro le violenze sessiste e sessuali che la ministra alla Parità, Marlene Schiappa, presenterà entro fine marzo in consiglio dei ministri per un voto in parlamento entro l’estate. Il testo prevede anche l’allungamento della prescrizione per crimini sessuali su minori da 20 a 30 anni e la definizione di una soglia minima di età per il consenso in una relazione sessuale con un adulto. Intanto, alla vigilia dei César, gli Oscar francesi, oltre cento personalità hanno firmato un appello sul quotidiano Le Monde per l’instaurazione di quote rosa nell’industria cinematografica.

(fonte)

Abbiamo un piano contro la violenza sulle donne

ActionAid ha predisposto un piano contro la violenza sulle donne che è un punto programmatico già pronto per la politica chiaro, semplice. Un gioiello.

Azzerare la violenza sulle donne è prima di tutto una battaglia culturale: probabilmente la più importante, capace di trasformare l’intera società. È possibile se la si assume come una priorità di tutti noi, a tutti i livelli, non solo relegata a una politica, a un dipartimento, a un Ministero, ma come sfida e impegno per tutto il Paese, in cui ciascuno di noi, a partire dai gesti più semplici che scandiscono la nostra quotidianità, può fare la differenza. Nessun candidato che ambisce a rappresentarci dovrebbe chiamarsi fuori da questo impegno, nessun partito può esimersi dall’identificare azioni chiave per perseguire questo ambizioso, ma realizzabile obiettivo. Un Ministero per le Pari Opportunità, con potere di spesa e coordinamento di azioni interministeriali è il minimo requisito per un Governo che dichiara di accettare la sfida per una società meno diseguale e meno discriminatoria.
Non può esserci vittoria nella battaglia alla violenza sulle donne senza una strategia ben chiara, definita nelle attività e programmata nel tempo. Per questo, ActionAid chiede l’attuazione del Piano Nazionale Antiviolenza 2017-2020, e che esso sia seguito da Piani successivi negli anni a venire, finanziati e monitorati, per assicurare stabilità in termini di azioni strutturali e finanziamenti. Il Piano attuale dovrebbe ispirare l’azione di istituzioni, cittadini, scuole, media per i prossimi 3 anni. I fondi sono stati annunciati e sono in aumento rispetto a quanto stanziato finora. È importante che il Piano e i finanziamenti procedano di pari passo, il più possibile in maniera integrata nella pianificazione degli interventi e nella loro valutazione. Il Piano dovrà essere conosciuto e al centro dell’azione coordinata tra i Ministeri, in uno sforzo di alto livello di impegno istituzionale.
Quote significative degli ultimi stanziamenti non sono state utilizzate. Inoltre è difficile ricostruire la filiera di spesa di larga parte delle risorse. Questa situazione fa perdere fiducia agli attori e alle attrici che lavorano contro la violenza nella capacità del sistema di usare a pieno le risorse disponibili. Affinché i fondi siano utilizzati efficacemente e le azioni tracciate e valutate, serve che entrambi questi elementi siano costantemente monitorati tramite un sistema che garantisca accesso ai dati amministrativi e finanziari, così come trasparenza e puntualità nella rendicontazione.
ActionAid chiede l’attivazione di nuove e più efficienti forme di assistenza e sostegno alle donne che subiscono violenza e ai/alle loro figli/figlie. A partire dal sostegno ai Servizi territoriali (sociali e di inserimento lavorativo) dei Centri antiviolenza e degli altri attori sociali (imprese, forze dell’ordine, sindacati) che entrano in gioco in queste circostanze, in particolare per facilitare l’empowerment economico delle donne. L’accesso al mondo del lavoro, il sostegno al reddito durante il percorso di uscita dalla violenza, strutture di accoglienza di secondo livello e il rafforzamento dei centri nella loro capacità di interpretare bisogni economici e fornire orientamento alle donne che hanno subito violenza sono azioni prioritarie sulle quali investire con determinazione.
La prima cosa di cui c’è bisogno dopo aver subito una violenza, è protezione. Per questo ActionAid chiede il rafforzamento delle reti che uniscono e mettono in collaborazione tra di loro tutte le istituzioni, le associazioni e gli organismi del privato sociale operanti nel sostegno e nell’aiuto alle donne che subiscono violenza e ai loro figli. Più sinergia, più coordinamento, più efficienza, in poche parole: più protezione.
Le nuove generazioni, i nostri figli, devono imparare fin da subito a relazionarsi in modo inclusivo, rispettoso e non discriminatorio nei confronti degli altri. Spetta alla scuola educare fin da piccoli gli adulti di domani, sensibilizzando e formando gli studenti per prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere. Le scuole e gli attori del privato sociale possono essere incoraggiati nella promozione di percorsi educativi che coinvolgano bambini, adolescenti e ragazzi oltre al personale docente e alle famiglie. Finanziamenti adeguati a tal fine vanno previsti per non far sì che restino azioni isolate o lasciate alla buona volontà delle istituzioni scolastiche.
Rifiutare gli stereotipi e non tollerare sessismo anche nella politica è una condizione imprescindibile per costruire un dibattito pubblico rispettoso, inclusivo, che sia di esempio per il dialogo tra cittadini e cittadine.
Le mutilazioni genitali femminili devono tornare a essere una priorità dell’azione di contrasto alla violenza, in un’ottica di dialogo e di integrazione delle comunità migranti presenti in Italia. Si stima che diverse migliaia di donne e ragazze abbiano subito nei paesi d’origine la mutilazione degli organi genitali. Bambine e giovani donne possono essere a rischio di subire le suddette mutilazioni al loro rientro nei paesi d’origine: un’azione di prevenzione nei luoghi educativi e nei presidi della salute e dell’istruzione italiani è cruciale. Per continuare a combattere questa pratica, chiediamo al futuro Governo italiano di assicurare azioni strutturali e continuative nel tempo per prevenire le mutilazioni femminili, con risorse adeguate e certe, valorizzando in particolare le attività che mirano al coinvolgimento delle comunità provenienti da Paesi dove il fenomeno è ancora diffuso.

Trovate tutto il materiale della campagna qui.

Donna denunciò 12 volte il marito che la uccise. Ora hanno condannato i magistrati.

Lasciarono a un marito violento la possibilità di uccidere la moglie, nonostante quest’ultima l’avesse denunciato per ben dodici volte. Per questo motivo ha corte d’Appello di Messinaha condannato i magistrati che lasciarono libero di agire Saverio Nolfo, marito di Marianna Manduca. L’uomo uccise la moglie nel 2007 a Palagonia, in provincia di Catania. ed è attualmente in carcere dove sta scontando la condanna a 20 anni per l’omicidio.

La Corte ha stabilito che ci fu dolo e colpa grave nell’inerzia dei pm che, dopo i primi segnali di violenza da parte del marito, non trovarono il modo di fermarlo, nonostante le molteplici denunce della donna. Una sentenza, quella dei giudici peloritani, che è destinata a fare giurisprudenza e che arriva dopo il ricorso di un cugino della Manduca, che ha accolto i figli della donna rimasti orfani.

Da Nolfo e dalla moglie erano infatti nati bambini: il più grande ha oggi 15 anni, il più piccolo 12. Dal 2007 sono andati a vivere nelle Marche da un cugino della madre assassinata. L’uomo, diventato a tutti gli effetti tutore dei tre ragazzi, aveva fatto ricorso alla Corte di Cassazione affinché i tre orfani potessero chiedere giustizia, sulla base della legge del 1988 sulla responsabilità civile dei magistrati. La corte d’Appello di Messina ha quindi sancito la responsabilità dei pm che avrebbero dovuto occuparsi delle denunce di Marianna Manduca, evitando che il marito potesse assassinarla.

Quello della trentaduenne Marianna Manduca era il classico caso di morte annunciata visto che la donna aveva denunciato molteplici volte le minacce e violenze subite del marito. Che alla fine l’aveva uccisa con sei coltellate al petto, ferendo anche il padre della donna intervenuto per difenderla. Poi era andato a costituirsi consegnando il coltello agli investigatori. La stessa arma che mostrava continuamente alla donna dicendo: “Io con questo ti ucciderò“.

(fonte)

Contro il femminicidio: il pianto di Ulisse

050458242-ebeb3c5b-7d9f-4e66-8a49-1d93c5c296a1Le nuove donne devono continuare a essere differenti dagli uomini e fare valere in tutti i campi la ricchezza della loro storia, della loro intelligenza, dei loro pensieri, ma devono anche cambiare nel profondo e lasciare agli uomini la loro parte di responsabilità nel nuovo mondo. I ruoli dell’uno e dell’altra, rimanendo differenti, possono sovrapporsi e prendere l’uno dall’altra. E la madre può cedere la sovranità assoluta per una libertà conquistata che apre le porte di un mondo vasto, ricco della presenza di Due diversi ma pari. E penso che il padre possa insegnare la sua nuova forza al figlio: un dominio sovrano che deve trasformarsi nell’accoglimento della differenza delle donne, della loro parità. Può insegnare al figlio a non averne paura, a parlarne, sottraendo così il dialogo sui sentimenti all’impero delle donne. Forse la nuova forza degli uomini è fatta anche del pianto di Ulisse – uomo per eccellenza – che nell’isola dei Feaci ascolta il racconto della guerra di Troia e piange, coprendosi il viso col mantello purpureo, “come donna piange lo sposo che cadde davanti alla città”. Forse l’uomo può piangere ora come uomo, senza coprirsi il viso, anche davanti al figlio, e aprirsi nel racconto all’altro da sé. E le donne al contrario possono diventare più lievi, manifestare la loro imperfezione, dare ai figli la manifestazione vera di quello che sono e la possibilità di tenere testa senza violenza alle giovani donne libere che incontreranno nella loro vita adulta. Abbiamo la fortuna di vivere uno dei cambiamenti più importanti della storia, il mutamento profondo del rapporto tra i due generi, questo mutamento può cambiare il mondo e in questo nuovo mondo le donne e gli uomini possono amarsi e comprendersi molto più di prima.

Cristina Comencini nella sua lettera agli uomini che odiano le donne.