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vito crimi

L’impolitica

La sola idea che basti il nome di Mario Draghi perché l’Italia torni a volare è il sintomo più lampante della decadenza di una classe politica che si è fatta implodere e di una classe culturale eternamente appesa al prossimo salvatore

C’è un’aria frizzante questa mattina tra politici e commentatori, quasi tutti felici per avere demolito l’esistente e tutti subito attaccati alle braghe del commissario, tutti con quella felicità della classe che ha appena scoperto che oggi ci sarà il supplente e quindi sicuramente non interroga, non controlla i compiti fatti a casa e forse se va bene non si fa nemmeno lezione.

La giornata di ieri del resto è stata una convulsa regressione verso il gnegneismo che si possa ricordare. Tutti in fila a dare il peggio di sé dentro una trattativa politica che è stata uno spettacolo indecente: i Cinquestelle con Vito Crimi (il pro tempore più duraturo nella storia delle reggenze politiche) issato a difendere perfino l’indifendibile, il Partito Democratico come spesso accade trascinato dalla corrente, Renzi e la sua ciurma a fare finta di trattare come a una recita di fine anno mentre alzava la posta in gioco ogni minuto che passava e divertendosi come un matto. Uno spettacolo indecoroso mentre là fuori morivano le solite 500 persone a cui ci siamo abituati come se fossero brina mattutina.

E così quelli che per settimane ci hanno sfrantumato dicendo che la politica si fa con le idee e non si fa con i nomi ieri sera sono andati a dormire tutti esultanti perché sono riusciti a demolire gli avversari e si sentono rassicurati dall’arrivo del nuovo logo Mario Draghi, come se bastasse un’etichetta per nobilitare un Parlamento farcito di capetti viziati e capricciosi che si sono litigati la merenda fino all’ultimo minuto dell’intervallo e che ora esultano per un probabile governo verde loden. La sola idea che basti il profumo di Draghi perché l’Italia torni a volare è il sintomo più lampante della decadenza di una classe politica che si è fatta implodere, di una classe culturale eternamente appesa al prossimo salvatore e di un giornalismo rassicurato dall’essere fedele al prossimo padrone.

Alla fine in mezzo ai bambini è arrivato il Presidente Mattarella che ormai appare l’unico adulto là dentro e che prova tutti i giorni a metterci una pezza a questa immatura inconcludenza. Ma è lo stesso Mattarella che ieri nel suo discorso ha parlato di un governo «che non debba identificarsi con alcuna formula politica» e vedere esultare la politica per un governo impolitico rende perfettamente l’idea della crisi di rappresentanza democratica che sforna soluzioni costituzionalmente legittime ma che sono tutt’altro che una vittoria. Mario Draghi inevitabilmente perseguirà, com’è nell’anima di ogni governo, interessi e valori che probabilmente riusciranno a cementare una certa idea di centro (tendente a destra) che tanto piacciono a Renzi, a Berlusconi, a Calenda e a tutta quella compagnia di giro ma forse in mezzo a tutta questa esaltazione varrebbe la pena ricordare che le scorie del governo Monti portarono all’esplosione del populismo e di certa destra salviniana. Esulterei un po’ meno, ecco tutto.

Se invece il gioco è quello di convincerci che peggio di com’eravamo messi non potrebbe andare e quindi bisogna esultare perché “un governo Draghi non può fare peggio di questo governo” allora si rientra nel campo del fideismo da tifoserie e nell’infantile speranza che riesce ad accendersi solo quando vede le macerie. E si torna al punto di partenza: un impolitico gioco di specchietti per le allodole. Manca la politica, appunto.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Italia Viva pretende 4 ministeri: ma non aveva detto che le interessava solo il programma?

“Non è una questione di poltrone, non ci interessano le poltrone, quello che conta è il programma”: è stata la frase più ripetuta dall’inizio di questa crisi di governo e tutti si aspettavano (meglio, speravano) che davvero questi giorni di consultazioni fossero un’esplosione di idee sul futuro del Paese, sulle priorità da discutere e su innovativi piani per uscirne tutti presto, tutti meglio.

Del resto sarebbe stato il minimo sindacale non assistere alla sfrenata corsa a questo o a quel ministero, almeno per non farsi attanagliare dalla sensazione di perdere tempo prezioso per i piccoli egoismi dei piccoli capi di piccoli partiti. E invece la cronaca di queste ultime ore del mandato esplorativo di Roberto Fico è tutto un assembramento di posizioni, di ministeri, di rivendicazioni, posti da occupare e presunzioni di credersi determinanti.

Gli ultimi aggiornamenti del desolante quadro dicono che il PD vorrebbe mantenere tutti i suoi ministri, magari aggiungendone uno che dovrebbe essere Andrea Orlando; il M5S non vuole cedere posti anche se ormai da quelle parti sanno tutti che la missione sarà impossibile; Conte (nel caso in cui si vada verso il Conte ter) vorrebbe tenere i suoi uomini; poi ci sono i cosiddetti “responsabili” che ovviamente pur volendo passare da costruttori frugano tra le macerie per trovarsi un posticino, si bisbiglia che sia Tabacci e che potrebbe finire alla Famiglia.

E poi ci sono loro, quelli di Italia viva, quelli che non erano interessati alle poltrone e invece si accapigliano chiedendone addirittura 4. Gli sventolamenti di Maria Elena Boschi sono una significativa cartina di tornasole: ieri è stata data in mattinata come nuova ministra della Difesa, poi al Mise o alle Infrastrutture, poi si racconta che abbia furiosamente litigato con Renzi che intanto spingeva per Elena Bonetti al Lavoro o all’Interno o all’Università o all’Agricoltura.

Solo per intervento del Quirinale Italia viva non ha preteso il ministero all’Economia che dovrebbe rimanere saldo a Gualtieri. Il M5S intanto per i suoi equilibri interni spinge Buffagni, magari spostando Patuanelli e assiste all’autocandidatura di Vito Crimi (capo politico che avrebbe dovuto essere pro tempore e invece rimane saldissimo da mesi).

E il programma? Quello si abbozzerà di corsa, nel caso, pronto per essere declamato e per nascondere il mercimonio sui nomi. E poi ricominceranno la solfa del cambio di passo, della ripartenza, delle priorità e di tutto il resto. Sotto sotto, intanto, s’accapigliano sui nomi e sulle poltrone. Quelle poltrone che non interessavano a nessuno.

Leggi anche: 1. Basta assurdi egoismi, rendiamo pubblici i brevetti per produrre i vaccini anti-Covid / 2. Rendiamoci conto: con questa crisi si torna a parlare di Berlusconi presidente della Repubblica / 3. Conflitto d’interenzi (di Giulio Gambino)

L’articolo proviene da TPI.it qui

M5S, Giarrusso a TPI: “Così ci facciamo male”

Dino Giarrusso, 8 milioni di voti persi: c’è un problema reale nel M5S?
Il problema c’è, ma non ha senso parlare di 8 milioni di voti persi perché quando si va a votare per i presidenti di regioni o per i sindaci scatta il meccanismo per cui l’elettore vota uno dei due favoriti per non “sprecare” il voto, votando altri che non possono vincere. Quindi non paragonerei le nazionali con le comunali e con le regionali. Ogni voto ha regole diverse. Qui ci sono le preferenze. Alle nazionali esistono sostanzialmente tre poli – centrosinistra, centrodestra e M5S – e scegli fra tre. In Campania soltanto De Luca aveva 15 liste, più quelle di Caldoro: noi ci presentavamo con una lista soltanto. Un conto è essere 1 su 25, un conto 1 su 3. Mischiare le pere con le mele.

Ma il calo c’è…
Al netto di questo c’è un reale calo di fiducia, di voti e di affezione. Questo è vero e non dobbiamo sottovalutarlo. Non parlerei di 8 milioni di voti: parlerei di una stanchezza e di un calo psicologico. Glielo dico perché ho girato moltissimo nei territori e vedo più smarrimento, meno entusiasmo e meno persone spesso.

Di Maio ha messo in dubbio le scelte politiche nelle regionali dicendo che lui avrebbe agito diversamente, indirettamente mettendo sotto accusa il capo politico Vito Crimi. Che ne pensa?
Non credo accusasse Crimi, ma questo dovrebbe chiederlo a Di Maio. Noi abbiamo deciso di andare da soli in tutte le regioni tranne la Liguria e siamo andati male in tutte le regioni compresa la Liguria. Tutti stanno puntando il dito sulle alleanze, ma la realtà sta lì, se la vogliamo guardare: quando qualcuno dice che c’è un problema di alleanze bisognerebbe mostrargli le campagne di Puglia e Campania, dove abbiamo fieramente detto di non essere alleati e siamo andati malissimo come in Liguria, dove invece ci siamo alleati, secondo me con un candidato che non aveva un grande appeal. Posso dire cosa avrei fatto io.

Cosa?
Un anno fa, nel momento in cui nasceva un governo nazionale si dovevano aprire dei tavoli per verificare la possibilità di creare eventuali alleanze anche nelle regioni scegliendo però insieme il programma, il candidato presidente e eventuali liste a supporto. Allearsi all’ultimo momento chiedendoci solo di fare i portatori di voti non è nel nostro dna. Ricordo però a tutti che le tante cose buone fatte dai governi di Giuseppe Conte le abbiamo potute fare solo grazie ad accordi con altre forze politiche.

I prossimi Stati Generali saranno uno scontro al vertice tra Di Maio e Di Battista?
Mi auguro fortemente di no. In questo momento, se qualcuno vuole bene al Movimento, deve lavorare all’unità e non deve parlarne male dalla mattina alla sera sui social e nelle interviste. Faccio un ragionamento semplice: la grande stampa, i grandi giornali, il potere antico italiano non ci amano e non ci hanno mai amato. Nel referendum Repubblica, che prima era a favore, ha cambiato rotta per andare contro il M5S e ha intervistato perfino Costacurta, che fa un po’ ridere come cosa. Se questi giornali di destra o conservatori di sinistra, degli Agnelli, di Vittorio Feltri, mi dessero tanto spazio mi preoccuperei. Se uno di noi spende la propria visibilità per parlare male del Movimento – non parlo di Di Battista, parlo anche di tanti altri – questo fa il male del Movimento. Filtrare tutto con occhio negativo, dire che tutto va male – ho letto qualcuno che ha scritto “siamo come l’Udeur” – si fa male al Movimento. Non mi sembra che Di Battista sia a questi livelli, ma io starei molto attento a usare ognuno la propria visibilità. Anche per non farsi strumentalizzare dai nemici. Se si va allo scontro ci facciamo del male. Dobbiamo rispettare tutte le anime, mi auguro che ci sia un gruppo e non più un solo capo politico. Oggi preparerò le mie proposte per gli Stati Generali.

Lei è ottimista?
Sono ottimista se penso che c’è ancora molto entusiasmo, molte persone per bene. Sono ottimista se penso a tutto quello che abbiamo fatto di buono rispettando i punti del nostro programma. Ma sono preoccupato quando vedo che dall’interno c’è gente che per ambizioni personali piccona il Movimento e aizza guerre locali sui territori.

Leggi anche: Elezioni regionali, Di Battista striglia il M5S: “È la più grande sconfitta nella storia del Movimento”

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L’eterno tafazzismo del centrosinistra: così l’alleanza Pd-M5S naufraga prima di nascere

Regola numero uno in politica: se decidi di parlare in pubblico di un accordo si presume che a quell’accordo intanto qualcuno ci stia lavorando, che ci siano presupposti che possano renderlo possibile e che ci sia volontà da entrambe le parti. E invece no, per la strana alleanza tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, un’alleanza annunciata e addirittura votata sulla piattaforma dei grillini, abbiamo assistito e continuiamo ad assistere alle dichiarazioni addirittura di un presidente del Consiglio, del segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti, dell’ex capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio e intanto dai territori arrivano solo rifiuti se non addirittura calci.

La candidata del M5S in Puglia risponde contrattaccando: “Mi hanno offerto poltrone e prestigio assicurato. Ma la nostra scelta deve essere più importante dei miei vantaggi personali e di quelli del premier”, dice, lasciando perfino intendere che l’accordo tra i due partiti su scala locale sarebbe solo il tentativo di prendere ossigeno nel governo nazionale. Non una gran figura, per niente.

Gian Mario Mercorelli, candidato grillino nelle Marche coinvolge perfino il gran capo dei 5 Stelle Vito Crimi dicendo: “Ho sentito Crimi, e non è in corso nessuna trattativa, né a Roma né qui sul territorio. Capisco le ragioni di Conte, è una posizione dovuta, ma è fuori tempo massimo. Un’entrata così a gamba tesa a 36 ore dalla presentazione delle liste non favorisce di certo l’equilibrio generale”.

Un dato è certo: il matrimonio non si farà e risultano perfino risibili i tentativi di chi preannuncia la richiesta agli elettori di fare voto disgiunto per riuscire comunque a convergere sui candidati presidenti del PD. Il matrimonio giallorosso fallisce ancora prima di essere celebrato e il PD incassa perfino gli strattoni del capo politico pentastellato Crimi, che dice di occuparsi “prima dei contenuti che dei contenitori”, liberando, di fatto, tutte le decisioni dei territori e dichiarando addirittura, in un’intervista proprio ieri al Corriere della Sera, che l’alleanza di cui si discute da giorni non è “alleanza strutturale” e che il voto su Rosseau si riferiva a “quattro Comuni che hanno presentato un progetto”. Proprio così.

E con il senno del poi viene da chiedersi a cosa sia servita tutta questa solfa, a cosa sia servito aprire un dibattito su un progetto che non aveva nessuna possibilità di realizzazione e soprattutto perché logorare i due partiti che sostengono il governo, in questo delicato momento in cui c’è un intero Paese da fare ripartire tra qualche settimana, con un’alleanza sui territori che nei fatti era apparsa subito irrealizzabile. Anche perché ammucchiarsi contro la destra, sperando che i voti si sommino come se gli elettori fossero immobili e acritici, non ha mai portato risultato. Ma qualcuno sembra non avere imparato la lezione.

Leggi anche: 1. Vito Crimi gela Conte: “No all’alleanza M5S-Pd. Il voto su Rousseau riguardava solo 4 Comuni” / 2. Regionali, in Puglia l’alleanza col Pd non piace ai Grillini. La candidata M5S: “Piuttosto tagliatemi la testa”/ 3. Pd-M5S, scoppia la pace in tribunale: “Stop alle cause che ci vedevano contrapposti, cambiato clima politico”. Renzi: “Io non le ritiro”

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La perversione

Provate a spiegarlo ad un bambino: il Movimento 5 Stelle non vuole accordi con il centrosinistra, anzi con nessuno. E’ semplice e lineare. Si può essere d’accordo o meno ma è una decisione che ha un senso (più lucrativo di consenso che politico, forse). Il centrosinistra intanto prova in tutti i modi di trovare un punto in comune con Il M5S per costruire un “governo di scopo” che non preveda PDL e affini (e questo a Bersani va riconosciuto, ma sul serio).

Il M5S ostinatamente rifiuta il corteggiamento. Anzi, dice che è tutta una finta del centrosinistra che vuole farsi dire di no per andare con Berlusconi, e allora loro (anzi, Beppe Grillo) cosa si inventano per disinnescare la trappola? Dicono di no. Ecco.

Il PD si diluisce in mille correnti ma Bersani tenta di tenere la barra dritta. Piuttosto che con Berlusconi (dicono in molti) si ritorna al voto. E qui accade il miracolo: i capigruppi cinquestelle Crimi e Lombardi ci dicono che il voto sarebbe una sciagura. Capito? Loro.

Forse sono troppo semplice io ma un attendismo venduto come un martirio mi sembra proprio una perversione.

(Anche Pippo ne scrive, qui)

L’ingenua prova contraria

bersani-crimi-lombardi-620x350Scriveva anni fa Stefano Rodotà (che forse Bersani avrebbe anche potuto ogni tanto consultare) che l’uomo di di vetro è una metafora totalitaria. Lo riscrivo: l’uomo di vetro – l’idea stessa che il cittadino che non ha nulla da nascondere debba poter essere interamente esplorato – è una metafora totalitaria. Vale per l’ultimo di noi ma vale, almeno in parte, anche per i nostri rappresentati in Parlamento. E non è un caso che Beppe Grillo inneggi ad una sua personalissima idea di trasparenza a corrente alternata, dove l’unanimità dei parlamentari grillini è ottenuta in segreto e diventa comunicazione fiduciaria (perché come ha sostenuto la povera Lombardi oggi senza nemmeno accorgersi delle enormità che le uscivano di bocca loro sonocredibili) mentre il punto di vista di chiunque altro (tutti gli altri sono invece per definizione gli “incredibili”) resta il risultato di un commercio sottobanco fino a prova contraria. E la prova contraria, l’ingenua prova contraria nella mente dei semplici è la presenza della telecamera.

(Massimo Mantellini via manteblog)