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2010

Morti di lavoro

Alla fine due settimane di agonia non sono servite: Arun Zeqiri è morto durante la notte tra venerdì e sabato mentre fuori Milano si beveva il week end. Arun è uno degli operai albanesi rimasti feriti dopo lo scoppio alla Eureco di Paderno Dugnano. Operosa Padania: dove gli stranieri rubano e scippano sempre di più sui comunicati stampa che nelle statistiche, dove i migranti si arrampicano per elemosinare “sensibilità” istituzionale in mezzo al pantano di una legge indegna e nemmeno funzionale (la “Bossi-Fini”, dove Fini sta per quel nuovo eroe di “legalità e Costituzione” che vorrebbe darci a bere il suo nuovo grembiulino da vergine), e dove gli albanesi “legali” rimangono legalmente cotti dentro il proprio posto di lavoro.
Arun Zeqiri era ricoverato al Centro Traumatologico di Torino dove hanno cercato di spegnere le ustioni che avevano ricoperto l’80% del suo corpo. La sua morte si aggiunge a quella di Sergio Scapolan.
Le misure di sicurezza sul lavoro che funzionano più di tutte in Italia sono i moti di solidarietà post mortem: arrivano pochi secondi dopo il primo lancio dell’Ansa e durano per un paio di giorni. A Arun è andata peggio. Morire così tanti giorni dopo ti lascia galleggiare nell’oblio dove anche i comunicati stampa si sono affaticati. Eppure non è così lontana quella notte tra il 5 e 6 dicembre in cui sette operai vennero investiti (proprio come a Paderno) da olio bollente. Morirono tutti uno dopo l’altro. In molti urlarono << mai più Thyssen! >>. A vederlo da fuori veniva quasi voglia di crederci. Veniva quasi voglia di essere ottimisti che per davvero l’imprenditoria italiana avrebbe imparato che la sicurezza sul lavoro fosse l’investimento migliore per la propria azienda, lasciando da parte una volta per tutte quel vecchio adagio sicurezza=costo che sembrava un comandamento più degno di un clan che di uno Stato sociale. Avevamo partecipato alle tavole rotonde dove si chiedeva al Governo (di qualsiasi colore) che i controlli non fossero passerelle giusto per il tempo di emettere fattura quanto piuttosto l’esercizio severo della Responsabilità dello Stato verso i propri cittadini. Avevamo sentito (e auspicato) un’imprenditoria che voleva essere veramente “moderna” e “europea” nella visione di sicurezza, applicandosi più sui metodi che sulle carte messe a posto. Poi il dibattito piano piano sulla stampa e sulla televisione “di pancia” (quella che disinforma il 75% degli italiani) si è spento. Le morti sul lavoro sono continuate rispettando le più tetre statistiche, senza funerali di Stato o bandiere.
È rimasto soltanto l’eco di quel “mai più Thyssen!”: non ha fatto in tempo a spegnersi e la Thyssen è arrivata qui. A Paderno Dugnano.

Cosa c’entra la Lega con le mafie

Piuttosto basito per un Ministro dell’Interno che ha così tanto tempo e così tante energie per incagliarsi in una discussione che ha assunto subito i contorni del duello, sconfortato nel vedere come si continui a ritenere che sia poco notiziabile la situazione di uno stato che non riesce più a parlare di lavoro (o meglio ai lavoratori che non arrivano a fine mese o non vedono all’orizzonte il prossimo impiego sicuramente precario), di economia (che oggi in Europa è un’asticella che tende disperatamente verso il basso) e diritti civili (che sono diventati privilegi da elemosinare in prefettura) oggi alle 14.30 mi imbatto in un ANSA che in poche righe sintetizza il pensiero. Non sono parole di politici sinostrosi o pericolose bande: è un magistrato della Direzione Nazionale Antimafia:

‘NDRANGHETA: PM CISTERNA, ALLE COSCHE PIACE IL FEDERALISMO

MAGISTRATO DNA,AVVANTAGGIATE SE NON DECIDE MINISTRO MA ASSESSORE (ANSA) – ROMA, 18 NOV – ”Con il federalismo e i centri di spesa a livello locale le cosche hanno a portata di mano non solo la politica ma anche l’amministrazione”.Lo sostiene in un servizio che sara’ pubblicato dall’Espresso Alberto Cisterna, il procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia che sta seguendo gli sviluppi delle inchieste di Milano e Reggio Calabria sulla penetrazione della ‘ndrangheta in Lombardia, ma nel suo ragionamento allarga lo sguardo alla strategia che sembra unire la criminalità organizzata. ”Il disegno federalista risale per Cosa nostra al periodo anteriore alle stragi del 1992. Anche in Calabria alcuni clan vennero accoppiati a movimenti autonomisti locali. Il loro obiettivo è elementare: se a decidere non è più il ministro della Sanità ma l’assessore è chiaro che questo li avvantaggia. Riduce il braccio: li possono raggiungere e minacciare sul loro territorio e non hanno più bisogno del referente nel governo di Roma”. E questo, stando alle indagini, è colpa anche del sistema elettorale: ”Paradossalmente la peggiore legge elettorale che il Paese abbia mai avuto è la migliore per quanto riguarda il contrasto alle infiltrazioni nelle politiche nazionali: candidare alle Camere soggetti vicini alla criminalità organizzata è diventato più difficile”. Una situazione che ha spinto Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta a concentrarsi sulle elezioni locali: ”Tutta la tensione applicativa delle cosche si è scaricata sul sistema federale, che sta diventando un sistema finanziario federale in cui le risorse verranno sempre più gestire a livello locale: ad esempio per il federalismo demaniale c’è il rischio che molti beni messi in vendita vengano acquistati sul territorio con il concorso degli enti locali collusi dai mafiosi”.Federalismo e business rischiano di intrecciarsi, in un meccanismo perverso che – senza forti controlli – potrebbe autoalimentarsi: «I mafiosi hanno talmente tanto denaro che il loro problema è investirlo direttamente, evitando i costi alti del riciclaggio: vogliono fare gli imprenditori, con le carte in regola. Comprendo che dopo aver regolarizzato all’estero 100 miliardi di euro grazie allo scudo fiscale, questo è un Paese che potrebbe diventare mafioso senza accorgersene: rischia di finire in mano a una fortissima partecipazione economica mafiosa, che non mostrerebbe la sua origine. Sarebbe il peggio del peggio: combatteremmo contro un nemico invisibile perché assolutamente integrato nel sistema”.

A Milano il cinema si è infiltrato nella politica

Devo ammettere che quando me lo hanno proposto c’ero rimasto di sale: mica per disagio o disaccordo con la proposta che da subito ho trovato profumata, ma più che altro per l’ottimismo insito nell’idea. Fare politica esercitando la memoria con l’arma del cinema è una piccola rivoluzione. E allora con molto piacere vi invito a partecipare ad un percorso di proiezioni per un anniversario dell’unità d’Italia che non commemori la memoria, ma si rimbocchi le maniche per provare ad esercitarla in questa Milano che si prepara alle amministrative.

IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE DEL
150° ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA

IDV LISTA DI PIETRO, MILANO CITTA’
PRESENTA
A CINEMA CON IL NONNO
(CINEFORUM CURATO DA MARIO ERCOLE)
PRESSO ACQUARIO CIVICO
VIA GEROLAMO GADIO 2- MILANO

21/11/2010 H15:30 “ALLOSANFAN” DI PAOLO E VITTORIO TAVIANI
5/12/2010 H15:30 “QUANTO E’ BELLO LU MURIRE ACCISO” DI ENNIO LORENZINI
19/12/2010 H15:30 “BRONTE- CRONACA DI UN MASSACRO CHE I LIBRI DI STORIA NON HANNO RACCONTATO” DI FLORESTANO VANCINI
6/01/2011 H15:30 “1860” DI ALESSANDRO BLASETTI
30/01/2011 H15:30 “VIVA L’ITALIA” DI ROBERTO ROSSELLINI
13/02/2011 H15:30 “SENSO” DI LUCHINO VISCONTI
27/02/2011 H15:30 “NUOVOMONDO” DI EMANUELE CRIALESE
13/03/2011 H15:30 “PROCESSO ALLA CITTA’” DI LUIGI ZAMPA

DOPO OGNI PROIEZIONE SEGUIRA’ UN BREVE DIBATTITO.

Milano, non perdiamo questo vento

Sono personalmente molto contento della vittoria di Giuliano Pisapia. C’è un vento buono che non bisogna lasciare appoggiare su delle primarie che non mi sono mai piaciute in alcuni modi ma che ha indubbiamente messo in campo quattro belle personalità che hanno scelto di metterci la faccia. Ho sorriso con una certa soddisfazione nel vedere i nostri iscritti godere di un’autonomia reale nella scelta di chi sostenere. Alcuni “politici” e alcuni giornali hanno cercato di raccontare di un nostro “vuoto politico” mentre il nostro atteggiamento veniva rivendicato come diritto-dovere da una buona parte del popolo delle primarie. In queste settimane il filo diretto con i candidati ha chiarito quali sono le nostre priorità e i nostri punti fermi per una Milano bella, vivibile, solidale e soprattutto non più “gelatinosa” sulle amicizie del cemento. Oggi (e solo oggi) c’è da sedersi intorno al tavolo per scrivere, discutere, progettare e fissare i propri paletti. Dicevamo che le primarie dovessero disegnare programmi e coalizioni come un buon piatto cucinato a fuoco lento: ora qualcuno è pronto e qualcuno (forse) è fin troppo bollito.
Al lavoro.

Medioevo Brescia

La vicenda di Brescia è una storia di lavoratori. Truffati. Che siano immigrati, migranti, extracomunitari o negri è solo sbobba buona per gli intestini molli e gli istinti leghisti. Gli operai che da giorni stanno appesi sopra ad una gru sono persone che hanno lavorato in un paese dalla solidarietà costituzionale regredita al peggiore Medioevo: c’è una legge (la Bossi-Fini) che oggi mostra violentemente tutta la sua inadeguatezza istituendo un reato che non esiste (quella clandestinità bollata come sciocchezza da un uomo certo non di sinistra come Mirko Tremaglia), le promesse truffaldine di un datore di lavoro che promette sotto pagamento un diritto che in Italia ha il sapore primitivo del privilegio (una truffa costosa e in piena regola degna dei pacchisti d’altri tempi) e una strategia di trattativa che gioca sul freddo e sulla fame. Da anni in Italia il lavoro è tema per lo scontro sociale con intanto la politica e un bel pezzo dei sindacati che imbarazzati osservano semi nascosti aspettando che si abbassi la polvere.

A Brescia si consuma la pochezza politica di questo tempo buio con la Lega che, dopo tanto abbaiare, non riesce a racimolare nemmeno qualche neurone per costruire una soluzione politica, il Ministro Maroni troppo impegnato a coprire le bagatelle pisellose del Presidente del Consiglio e il popolo razzista leghista che osserva e ride con la bava dello spettatore da rodeo. Se quei lavoratori sono stati illegali scendano dalla gru e si riprendano tutto quello che hanno costruito negli ultimi mesi di lavoro. Smontino i muri delle cucine che hanno impastato per le tranquille famigliole che sorridono indifferenti guardandoli al tg della sera, bussino alla cassa previdenziale per riprendersi i loro spicci, denuncino il proprio titolare per il fatturato dopato dalla “clandestinità” e si carichino tutto sul loro gommone: qualunque altro sia l’approdo troveranno un futuro più civile.

La politica smetta di cincischiare: da una parte chi è dalla parte dei truffati e dei lavoratori per la Costituzione (art. 3: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese) e dall’altra tutti gli altri.

Giù dalla gru si lasci respirare l’articolo 21 della Costituzione e la libertà di espressione. E soprattutto si smetta di governare con il manganello. “Ordine pubblico” è svolgimento lineare della democrazia, non desertificazione. Lo Stato che si atteggia a prepotente per l’imbarazzo di non sapere governare è un Re nudo d’altri tempi. Da Medioevo. Appunto.

Presidio: non mollare l’acqua pubblica!

Ciao, vi ricordo il presidio di sabato alle 10 in Fabio Filzi sotto il pirellone, perchè nonostante il milione e 400 mila firme per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua, delle quali ben 237 mila raccolte nella sola Lombardia, la giunta regionale il 26 ottobre ha approvato un progetto di legge (http://www.circoloambiente.org/acqua/pdl_acqua_lombardia_26102010.pdf) che anticipa i tempi di appl…icazione del decreto Ronchi, in pratica obbliga a privatizzare le gestioni del servizio idrico lombardo prima del referendum, che dovrebbe svolgersi la primavera prossima.

Qui potete trovare il video della conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa svoltasi oggi pomeriggio e il comunicato stampa diffuso

http://www.youtube.com/watch?v=_neFvd68M8o

COMUNICATO STAMPA

I Comitati lombardi per l’acqua pubblica si mobilitano contro il progetto di legge regionale sui servizi idrici

La Lombardia manifesta per bloccare la legge che privatizza l’acqua!

Il 13 novembre una Manifestazione davanti al Pirellone
Milano, 11 novembre 2010 – “Alt alla legge regionale che rischia di privatizzare l’acqua della Lombardia”. È questo lo slogan della Manifestazione organizzata per sabato 13 novembre a Milano dal Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati per l’Acqua Pubblica. L’intento della protesta è quello di bloccare l’approvazione in Consiglio
Regionale del progetto di legge votato dalla Giunta Formigoni lo scorso 26 ottobre che, applicando il cosiddetto Decreto Ronchi, obbligherebbe a cedere ai privati la gestione dei servizi idrici. Il rischio è che l’acqua di tutta la Lombardia finisca nelle mani di poche imprese private interessate solo a fare profitto; in tal modo si porrebbe fine alle virtuose gestioni pubbliche che, in particolare nella città e nella provincia di Milano, risultano all’avanguardia a livello europeo.
La Manifestazione per l’acqua pubblica si terrà sabato 13 novembre dalle ore 10 alle ore 13 a Milano in via Fabio Filzi, davanti al Pirellone. Parteciperanno i comitati per l’acqua pubblica di tutta la Lombardia, oltre alle associazioni, sindacati, consiglieri regionali, sindaci; ci
saranno anche momenti di divertimento con la partecipazione di alcuni artisti, tra cui: Diego Parassole, Renato Sarti, Gianluca De Angelis, Flavio Pirini, Eugenio Chiocchi, Luca Klobas, Luca Bassanese e le incursioni della Contrabbanda.
All’“Appello per l’acqua pubblica in Lombardia”, lanciato dal Coordinamento regionale, hanno già aderito decine di associazioni, oltre a sindaci, consiglieri regionali, sindacati (in particolare CGIL Lombardia) e centinaia di cittadini. Sono infatti i cittadini lombardi a chiedere che l’acqua non venga mercificata: a sostegno dei 3 Referendum contro la privatizzazione dell’acqua, in Lombardia sono state raccolte ben 237 mila firme, su un totale nazionale di 1
milione e 400 mila (www.acquabenecomune.org).
I Comitati per l’acqua pubblica chiamano alla mobilitazione anche tutti i Comuni lombardi, che rischiano, con l’approvazione della legge regionale, di perdere le competenze in materia di acqua. Infatti se passasse il progetto di legge così come elaborato dalla Giunta Regionale, le competenze sui servizi idrici, che ora sono in mano ai Comuni (riuniti negli A.T.O. – Ambiti Territoriali Ottimali), verrebbero affidate alle sole Province. In tal modo i Comuni, ovvero gli Enti più vicini ai cittadini, verrebbero esautorati dalle decisioni su un
bene vitale qual è l’acqua, cancellando il tanto sbandierato Federalismo comunale.

Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati per l’Acqua Pubblica

Milano, i giovani e le “ronde di responsabilità”

Frediano Manzi, presidente dell’associazione SOS RACKET E USURA, qualche settimana fa aveva parlato chiaro: la mobilitazione che molti cittadini milanesi si aspettavano per denunciare ancora con più forza ed alta voce lo scandalo del racket degli alloggi popolari in città non si stava accendendo. Insomma, come spesso succede, semplicemente un’associazione (o forse sarebbe meglio dire una “battaglia”) aveva bisogno di gente. Mani, teste, cuori per dispiegare un esercito buono. I ragazzi di IDV Lombardia (e “ragazzi dentro” di Milano città) in poche settimane hanno organizzato un’invasione pacifica che ieri ha invaso 10 diverse zone “calde” della città: ronde di ascolto senza ridicole posture militare che, armate di banchetti e questionari, hanno chiesto agli abitanti della zona quali sono i nomi, quali i cognomi e possibilmente chi sono gli infami. Come un abbraccio che garantisca presenza, tutela ma soprattutto persone. Presenti, in prima linea che ci mettono la facci di fianco a Frediano e, senza nessun timore, anche il simbolo del proprio partito. Partito che ieri più che mai è stato un gruppo di persone organizzate con lo stesso obbiettivo. Per questo ieri Milano profumava di responsabilità e IDV tornava a fare quello che vogliamo e sappiamo fare meglio: metterci la faccia.

http://www.youtube.com/watch?v=E6FQE8fG6Es

Signori e signore, Radio Formigoni

Questa mattina leggendo la posta mi sono imbattuto in una esilarante mail di Radioformigoni. Innanzitutto vi tranquillizzo, non ho mai ascoltato né visitato il sito web della radio del nostro caro Presidente della Regione. Non l’ho mai fatto sino ad oggi.

L’oggetto della mail è “moralisti d’accatto”. Non ho resistito e ho letto il testo inviato non solo a me ma a tutti i consiglieri della Regione Lombardia.

“Non bastava la D’Addario e i continui sbeffeggiamenti dei comici de noartri sulla vita amorosa e sessuale di Berlusconi ché, adesso scoppia il caso della giovane marocchina finita sotto la protezione del Cavaliere.

Repubblica in testa, con il solito D’Avanzo, giornalista di punta che ama scrivere di politica dal buco della serratura e, a seguire, tutti gli altri giornaloni e giornalini, silenti sui casi degli amici di parte e sempre pronti a dargli al Cavaliere per i suoi, a loro detta, ‘anomali’ comportamenti morali. E in ballo c’è sempre il sesto comandamento”.

Così inizia uno dei testi più imbarazzanti, mistificatori e sgradevoli che mai mi sia capitato di leggere.

L’attacco a Repubblica e ai suoi giornalisti è talmente abituale che non merita neppure risposta. Mi soffermerei, invece, sul resto. Non so chi sia l’autore di questo testo, che è solo riflesso di pura propaganda di regime, e, quindi, sono obbligato a rivolgermi direttamente a Roberto Formigoni, dal momento che Radioformigoni è sicuramente diretta espressione del pensiero del governatore lombardo.

Gentile Formigoni, in un paese laico, concetto per Lei sfuggente, non è necessario citare i comandamenti o le leggi di Dio per affermare che un comportamento è moralmente inaccettabile, soprattutto se proveniente da un rappresentante delle istituzioni. Mi meraviglio un po’ di Lei, sempre così attento alla morale, alla famiglia, all’orientamento sessuale altrui e così svogliatamente disattento nei confronti della condotta morale del presidente del suo partito.

Tant’è che il testo da Lei sicuramente approvato continua: “inflessibili quando si tratta di un uomo che ‘ama la vita e le donne’, rispettosi e ossequienti quando si tratta di conclamate abitudini omosessuali o, peggio, diffuse frequentazioni di viados e transessuali di ogni tipo.” Noto con un certo rammarico che Lei è molto più informato di me, perché io non sono a conoscenza dei vari ‘tipi’ di transessuali, ma confido che forse un giorno potrà illustrarmi le varie ‘tipologie’. Eppure continuo a non capire… Per quale motivo avere frequentazioni con minorenni è meno grave di avere rapporti omosessuali con adulti consenzienti? Forse l’immagine del maschio latino è valorizzata di più da feste con minorenni nelle tenute private di un Presidente del consiglio?

“E al coro di questi pennivendoli si aggiunge il solito Don Sciortino che, dalle colonne di Famiglia cristiana, il settimanale della nostra infanzia in parrocchia tra canonica e sacrestia, ridotto a permanente libello antiberlusconiano, alza il ditino contro il Berlusca, come già fece la ‘sciura Veronica’, accusandolo di essere un ‘ammalato’ di sesso e fuori controllo.

Si preoccupasse un po’ di più, l’intransigente monsignore, di ciò che accade tra alcuni suoi confratelli nella nostra amata Chiesa cattolica e un po’ meno di ciò che avviene nelle case e nelle alcove di noi poveri diavoli, per i quali, semmai, dovrebbe usare la comprensione propria di coloro che sono deputati all’esercizio del sacramento della confessione, con cui ci si affida alla misericordia di Dio”.

È sempre piacevole vedere come Lei utilizzi a suo uso e consumo la dottrina cattolica. Mi dispiace ricordarLe che la morale cattolica non è valida solo se approvata da CL e che la libertà di espressione è diritto di tutti, non solo del movimento ecclesiale di cui fa parte. Per quanto riguarda l’indecoroso invito ad occuparsi di altro, ritengo che l’attacco stesso dimostri la pochezza argomentativa dell’accusatore.

“I più indecenti, però, restano quelle mammole degli oppositori politici che, anziché contrastare il Presidente del consiglio per i suoi programmi e le scelte del suo governo, ne reclamano, come Enrico Letta, le dimissioni; udite, udite, poiché potenzialmente ‘ricattabile’ dalle frequenti ospiti ai suoi banchetti.

Peggio ancora quello stinco di falso santo del Tonino da Montenero di Bisaccia che si erge a moralista d’accatto, proprio lui con i suoi edificanti comportamenti passati alle cronache, e a giudice di quelli privati del Cavaliere, contro cui, per l’ennesima volta, annuncia la presentazione di una mozione di sfiducia.

Per non parlare del segretario del PD, On. Bersani, la cui ‘intransigente opposizione’ si misurerà sulla richiesta di indagine per appurare che cosa effettivamente il Cavaliere avrebbe detto in quella telefonata alla questura di Milano a favore della povera Rudy.

Insomma: amare le donne e la vita è un peccato, pubblicizzare la propria omosessualità o transessualità è un dato di fatto da rispettare e guai a chi, come l’amico Buttiglione, osi parlare di devianza e/o di comportamenti discutibili, estranei e collidenti con la nostra concezione della morale personale e familiare.

E, come se non bastasse, Berlusconi rappresentato sempre e comunque come l’archetipo di tutti i mali: caimano, satrapo, indemoniato del sesso. Meglio, molto meglio, vuoi mettere un Nichi Vendola: cattolico romano, col suo orecchino in bella vista per l’orgoglio gay e del tutto inossidabile ai conti sballati dei suoi bilanci regionali. E, allora: sotto con lo sputtanamento quotidiano di giornali, riviste e battute dei soliti comici ormai privi di altre cartucce.”

Mi sembra che l’opposizione all’azione di governo non possa precludere una dura critica a comportamenti privati inaccettabili per un Presidente del Consiglio. Un vero uomo delle istituzioni non può e non deve essere ricattabile, poiché può subire pressioni esterne sul suo operato politico. Non mi sembra un concetto così difficile da comprendere, eppure da questa pessima disamina sull’atteggiamento dell’opposizione, nulla traspare sulla gravità della ricattabilità di un uomo che anche all’estero dovrebbe rappresentare il nostro paese.

Gentile Formigoni, voglio ricordarLe che amare le donne non significa usare le donne né tantomeno ritenere che si possa far partecipare una minorenne a un festino privato sul cui sfondo si staglia lo strano rito del ‘bunga bunga’, insegnato dal caro amico libico Gheddafi.

In quanto alle bieche accuse a Nichi Vendola credo che la libertà sessuale sia un diritto di ognuno e che non si tratta di misurare chi è più cattolico di altri, anche se so che questo è un concetto quasi sconosciuto agli ambienti di CL, convinti di essere i detentori della verità e dimentichi che per i cristiani la verità è Dio, non CL.

“La verità è che, incapaci di contrastare il Cavaliere sul piano politico ed elettorale si tenta di rovesciarlo con i soliti giochi del trasformismo parlamentare o, peggio, attraverso la via giudiziaria.

Ed è proprio su questo fronte, quello del rapporto tra politica e magistratura, e sul chi comanda davvero in Italia che si tratterà di capire, una volta per tutte, come stanno le cose e cosa si dovrebbe fare per riequilibrare una situazione nella quale, perduta sciaguratamente la norma sull’immunità parlamentare, si è creata una condizione in cui il parlamento e i suoi componenti, così come il governo, sono sottoposti alla permanente spada di Damocle di un avviso di garanzia o di un tintinnar di manette del solito Pubblico Ministero d’assalto.

Potere unico ed esclusivo, quello della magistratura, lasciato nelle mani di un ordine autoreferenziale, autonomo e senza mai responsabilità delle proprie decisioni, che sta lottando con le unghie e con i denti per impedire anche la più flebile delle riforme della giustizia. Ahimè con fini e i finiani che sembrano ormai disponibili e pronti allo show down finale.”

L’attacco alla magistratura ormai è diventato un rituale che Lei e i suoi compagni di partito utilizzano come arma impropria nei confronti di uno Stato di diritto che state calpestando in ogni modo e con ogni mezzo. La consolo e Le dico che anche se Berlusconi fosse ritenuto innocente dal potere giudiziario, sarebbe comunque inopportuna la sua posizione istituzionale. Un uomo che disprezza le donne, utilizza le minorenni, abusa del suo potere ordinando alla questura di lasciare andare una ragazzina solo perché ha frequentato i suoi salotti, non merita di rappresentare il nostro paese. Anzi, per essere più chiari, l’Italia non merita di essere rappresentata da un moderno Caligola che certo non nomina senatore il suo cavallo, ma ha permesso a condannati in Appello per concorso esterno in associazione mafiosa come Marcello Dell’Utri di sedere tra i banchi del Parlamento.

Il testo, infine, chiude in bellezza. “Bisogna prepararsi a ogni eventualità. È questione di poche settimane, anzi, probabilmente, di pochi giorni.” Mi dispiace solo che tra queste eventualità non sia contemplato un sussulto di dignità anche da parte Sua presidente Formigoni.

Lea Garofalo sciolta nei sedili della nuova Metro

Nella classifica dei morti ammazzati da ricordare e da raccontare Lea Garofalo scivola veloce verso le posizioni di coda. L’omicidio della testimone di giustizia (conclusosi con il cadavere sciolto nell’acido il 25 novembre scorso nel quartiere monzese di San Fruttuoso) ha tutti i crismi per accendere compiti minuti di silenzio e piazze a lutto ma ha un solo, insuperabile, neo: è avvenuto qui giù al Nord, dove i morti ammazzati sono un livello d’allarme che è sempre meglio scavalcare perché altrimenti si sporca il grembiulino di questa Lombardia scolaretta disciplinata dell’antimafia per educande.

Eppure sono stati in molti a pensare (per l’ennesima volta) che quel cadavere di donna sbriciolato dentro l’acido sia capitato per caso nelle civilissime e padanissime periferie brianzole per un’orda di sudisti che a Milano è venuta con un tocca e fuggi prima di ritornare nel peloso sud. Sembra che sia sfuggito a molti che l’omicidio di Lea Garofalo è fallito a Campobasso ed è stato possibile con un furgone acceso nel centro di Milano. Come se Milano rispondesse meglio alle condizioni ambientali (e indifferenti) per consumare in pieno centro sequestri di persona di testimoni di giustizia. Questa è la prima brutta la notizia.

La seconda è stata scritta da Roberto Galullo qualche giorno fa ed è uno schiaffo ancora peggiore:  i carnefici di Lea Garofalo sono milanesi più dei milanesi, inseriti nel tessuto sociale, economico e imprenditoriale fino a mettere le mani (callose e sporche di sangue) negli appalti pubblici.

11 dicembre 2009, ore 18.39. Il cellulare di “Uorco” chiama un uomo straniero avisando che si trovava “di sopra, dove esce il cemento”. “Uorco” è il nome in codice di Vito Cosco detto Sergio che telefona passeggiando sul cemento del cantiere della linea 5 della metropolitana milanese. Per la precisione cantiere di Viale Zara. Vito Cosco è il fratello di Carlo. Carlo Cosco: mandante, secondo gli inquirenti, dell’omicidio di Lea Garofalo. Il pentito Salvatore Sorrentino il 30 aprile di quest’anno aveva dichiarato “Sergio e Giuseppe Cosco organizzavano anche il lavoro degli scavi della quinta linea della metropolitana milanese tramite i loro mezzi di movimentazione terra, probabilmente in ambito di subappalto”. Gli stessi Cosco che gestiscono (a Milano) gli affitti abusivi dell case popolari in via Montello e in Corso Como. Tutto questo mentre i fratelli si permettono di non comparire in nessun registro delle imprese. Unica segnalazione: un’attività di commercio all’ingrosso di materiali di costruzione intestata a Carlo. Sede legale in via Montello 6. A Milano.

Un assassinio becero tutto lombardo, milanese di casa. E nemmeno un minuto di silenzio, un secondo di riflessione dalla città da bere. “E’ Cosa loro”. Dicono. Come Letizia Moratti ci insegna.

La strafottenza della Giunta Lombarda: l’acqua è privata!

Alla fine, quatti quatti ce l’hanno fatta (per ora, prima che si passi in Commissione): l’acqua lombarda ora è privata per Progetto di Legge. Lo scrive bene e ce lo spiega Roberto Fumagalli del Contratto Mondiale sull’Acqua

Salve,

nonostante la mobilitazione dei Comitati Acqua della Lombardia e le oltre 7 mila e-mail inviate ieri agli Assessori regionali, oggi pomeriggio la Giunta della Regione Lombardia ha approvato il Progetto di Legge sulla gestione dell’acqua, che di fatto consegnerà ai privati la gestione dell’acqua di tutta la Lombardia!

La Giunta Formigoni con la solita mistificazione respinge le accuse di privatizzazione, intitolando il proprio comunicato stampa (che potete leggere qui sotto): “Riforma del servizio idrico: l’acqua rimane un bene pubblico”.

La verità è invece che l’affidamento della gestione dei servizi idrici (che nel comunicato appare solo alla fine con 2 righe) avverrà secondo i dettami del Decreto Ronchi, cioè tramite gara europea o tramite società miste pubblico-private, quindi di fatto sarà una vera e propria svendita degli acquedotti ai privati e alle multinazionali!

Inoltre le competenze in materia di servizio idrico vengono consegnate alle Province (ma resta l’ATO della città di Milano, ) e pertanto sottratte ai Comuni, i quali si dovranno accontentare di esprimere un parere alla loro Provincia.

Il progetto di legge passa ora al vaglio del Consiglio Regionale, che dovrà votarlo il prossimo 23 novembre.

L’invito è quindi quello di partecipare numerosi sabato 13 novembre (dalle ore 10) alla manifestazione a Milano in piazza Duca D’Aosta (Pirellone), organizzata dal Coordinamento Regionale dei Comitati Acqua, col sostegno della Cgil Lombardia.

Saluti fraterni,

Roberto Fumagalli

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LN-LOMBARDIA.RIFORMA SERVIZIO IDRICO: L’ACQUA RIMANE PUBBLICA

LA GIUNTA REGIONALE HA APPROVATO OGGI IL PROGETTO DI LEGGE

RAIMONDI:FALSI ALLARMI DA CHI URLA A SCANDALO PRIVATIZZAZIONE

(Ln – Milano, 26 ott) L’acqua è e rimane un bene pubblico, le

tariffe non aumentano, le Province assumono le competenze delle

ex AATO (Autorità di Ambito Territoriale Ottimale) e i Comuni

vanno ad acquisire un ruolo di fondamentale importanza

all’interno della Consulta nella quale saranno inseriti. Questi,

in sintesi, i contenuti del Progetto di legge di riforma del

Servizio idrico integrato, approvato dalla Giunta regionale

lombarda, su proposta del presidente Roberto Formigoni, di

concerto con l’assessore all’Ambiente, Energia e Reti Marcello

Raimondi. Il testo, prima di essere definitivamente trasformato

in legge, dovrà passare al vaglio del Consiglio regionale.

L’intervento legislativo, che è nato da un lungo e serio

confronto con i Comuni e le Province durato tutta l’estate, si è

reso necessario per adeguare l’organizzazione del Servizio

idrico integrato agli obblighi normativi che derivano dalle

nuove disposizioni statali e dalle sentenze della Corte

costituzionale: “Prima di tutto – ha spiegato Raimondi – dalla

legge nazionale 42/2010, la finanziaria dello scorso anno, che

ha decretato la soppressione – a partire dal 1 gennaio 2011 –

delle AATO e ha imposto l’obbligo di attribuire le loro funzioni

ad altri soggetti, da individuarsi con legge regionale”. “Senza

di questo – ha aggiunto l’assessore – si arriverebbe alla

paralisi dei servizi idrici, perché gli eventuali atti adottati

dalle ex AATO, dal 2011, saranno illegittimi e come tali

perseguibili. Compreso il pagamento degli stipendi ai

dipendenti”.

La legge non è dunque un’attuazione del cosiddetto “decreto

Ronchi”, come falsamente sostenuto da alcuni.

Il progetto di legge fa anche chiarezza circa due sentenze della

Corte Costituzionale: la 307/2009 e la 142/2010.

A questo punto la Regione ha scelto di attribuire le funzioni

amministrative delle soppresse AATO alle Province e,

limitatamente all’ambito della città di Milano, al Comune.

La riforma in pillole:

1)LA GESTIONE TRAMITE L’UFFICIO D’AMBITO DELLA PROVINCIA –

L’organizzazione del servizio idrico integrato sarà gestita

dalle Province tramite una struttura apposita, l’Ufficio

d’Ambito, costituito come Azienda speciale (cioè soggetto dotato

di personalità giuridica), che può operare con una contabilità

separata rispetto a quella della Provincia e pertanto non

influire sul Patto di Stabilità di quest’ultima. L’istituzione

dell’azienda speciale deve avvenire “senza aggravio di costi per

l’ente locale”. Gli incarichi di presidente, consigliere e

revisore dei conti devono essere svolti a titolo meramente

onorifico e gratuito.

Un’importante novità riguarda i rapporti di lavoro: saranno

infatti garantite le condizioni contrattuali, collettive e

individuali, in godimento.

Per assicurare un coinvolgimento concreto ed operativo dei

Comuni nell’organizzazione del servizio, nel CdA dell’Azienda

speciale deve essere garantita una rappresentanza significativa

(di maggioranza, cioè almeno 3 consiglieri su 5) dei Comuni

dell’ambito.

2)LA CONSULTA DEI COMUNI – Come detto, i Comuni avranno un ruolo

di primo piano, grazie anche alla costituzione della Consulta:

ne faranno parte tutti i sindaci dei Comuni dell’ambito. La

Consulta deve rendere un parere preventivo e obbligatorio su

tutti gli atti della Provincia relativi alla pianificazione

d’ambito e alla determinazione della tariffa.

3) LA SOCIETÀ PATRIMONIALE – Gli enti locali hanno la facoltà di

costituire una società patrimoniale (proprietaria delle reti),

cui spettano le funzioni di progettazione preliminare per nuovi

interventi programmati dal Piano d’Ambito, le attività di

collaudo delle nuove infrastrutture e l’affidamento del

servizio.

Il nuovo modello di società patrimoniale è coerente con la

sentenza della Corte Costituzionale n. 307/2009, che ha

dichiarato incostituzionale il modello regionale di separazione

tra gestione delle reti ed erogazione del servizio. Infatti le

società patrimoniali non svolgeranno compiti connessi alla

gestione delle reti, che restano di competenza esclusiva del

gestore unico affidatario del servizio.

La società patrimoniale potrà reperire risorse economiche a

tasso agevolato, come è possibile a soggetti pubblici,

mettendole poi nella disponibilità del soggetto realizzatore

degli investimenti e delle manutenzioni straordinarie delle reti

e degli impianti, che ne hanno grande necessità. Ciò consentirà

di tenere le tariffe a carico dell’utente a livelli più bassi.

4) L’ESAME REGIONALE DEL PIANO D’AMBITO – Prima della loro

approvazione, i Piani d’Ambito dovranno essere inviati alla

Regione, che ne verifica la coerenza con gli atti di

programmazione e pianificazione regionale (Piano di tutela delle

acque e Piano di distretto di bacino).

Tutto ciò consentirà alla Regione di esercitare le proprie

competenze in materia di tutela della salute e del governo del

territorio, soprattutto a fronte delle diffuse criticità del

servizio di depurazione delle acque reflue sul territorio

regionale.

5) L’AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO E LE TARIFFE – Il servizio si

prevede sia affidato ad un unico gestore per ogni ambito, in

modo da poter meglio beneficiare della grandezza del soggetto,

per ottenere maggiori economie di scala nella gestione del

servizio, specialmente nel settore degli investimenti e, quindi,

ridurne l’impatto sulle tariffe.

“Chi dunque grida a un presunto ‘scandalo privatizzazione’ –

conclude Raimondi – altro non fa che seminare falsi allarmi. In

Lombardia l’acqua resta un bene pubblico”. (Ln)