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Gennaio 2014

Intanto spuntano le candidature multiple

Sono perfettamente d’accordo con Alessandro Gilioli (ma anche Pippo Civati e la “renziana” Cristiana Alicata, per dire) sulla vergogna delle candidature multiple all’interno della nuova legge elettorale. Per questo firmo e vi invito a firmare l’appello qui:

Nella discussione sulla riforma elettorale in corso alla Camera il Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano vuole inserire, all’interno dei listini bloccati, la possibilità che una stessa persona si candidi in più circoscrizioni, cioè appunto in più listini bloccati.

Questa ipotesi ha già ottenuto il placet di Forza Italia ed è ora sul tavolo della possibile mediazione con le altre forze politiche.

Aldilà di qualsiasi valutazione sul resto della proposta Italicum, la candidatura plurima è inaccettabile e vergognosa.

Essa ha scopi ed effetti evidenti, per quanto indicibili da chi la propone.

Primo, serve a garantire alla lista l’effetto civetta: si mette il nome noto e popolare in alto per trascinare il simbolo, anche se questo nome noto poi opterà per un altro collegio; si inganna quindi l’elettore, facendogli credere di essere rappresentato da una persona che in realtà rappresenterà altri.

Secondo, serve a conservare la poltrona in Parlamento ai big: con l’attuale sistema di redistribuzione dei seggi, i big dei partiti temono che alla fine l’elezione di un loro parlamentare scatti in collegi in cui loro non si sono presentati; quindi – per non rischiare – preferiscono candidarsi in più posti.

Terzo, serve ad aumentare il potere dei segretari e dei vertici: che con la loro opzione (cioè con la loro scelta sulle circoscrizioni in cui lasciare il posto al candidato successivo) possono cooptare ulteriormente gli ‘yes men’ a loro più vicini.

Quarto, serve a portar dentro gli amici impresentabili: li si mette al quarto o quinto posto nel listino in modo che non risaltino e poi, con il meccanismo delle opzioni, questi amici impresentabili entrano in Parlamento.

I firmatari di questo appello, pur nella loro diversità per visione politica e nel giudizio complessivo sull’Italicum, chiedono con la massima decisione a tutte le forze politiche e a tutti i parlamentari che questa proposta vergognosa venga bloccata sul nascere.

“Profonda sintonia”

Caris­sime com­pa­gne e compagni,

Mi dispiace che i miei nume­rosi impe­gni non mi hanno per­messo di essere con voi nell’inaugurazione del vostro con­gresso. Il vostro con­gresso si svolge in un momento molto cri­tico per la nostra casa comune: l’Europa. Un’Europa che dopo un periodo ven­ten­nale di con­senso neo­li­be­rale è stata chia­mata di pagare il prezzo della recessione.

Per almeno quat­tro anni l’Europa del Sud è distrutta da una dura ed inu­mana poli­tica neo­li­be­rale, che ha fatto esplo­dere la disoc­cu­pa­zione a livelli record, ha impo­ve­rito gran parte della popo­la­zione, ha distrutto i diritti poli­tici, sociali, eco­no­mici e del lavoro che fino a ieri ave­vano con­si­de­rato invio­la­bili. I governi e le isti­tu­zioni euro­pee hanno appli­cato le poli­ti­che più anti­de­mo­cra­ti­che e anti­so­ciali dopo la guerra, col­la­bo­rando con avidi ban­chieri e spe­cu­la­tori dei mercati.

Quante gene­ra­zioni di ita­liani, greci, spa­gnoli, por­to­ghesi e irlan­desi dovremmo sacri­fi­care per pagare debiti impa­ga­bili, di rag­giun­gere impos­si­bili aggiu­sta­menti di bilan­cio e di sven­dere la nostra ric­chezza sociale a quelli che cer­cano di farci annul­lare qual­siasi dignità?

Milioni di per­sone pen­sano che la rispo­sta a que­sto mas­sa­cro sociale si trova nel ritorno al pas­sato, nelle trin­cee e nei sim­boli nazio­nali. Il nazionalismo,il raz­zi­smo, la xeno­fo­bia e il fasci­smo ritor­nano cer­cando di appiat­tire i migliori valori che abbiamo fatto sor­gere nel nostro con­ti­nente: l’umanismo, la soli­da­rietà e la giu­sti­zia sociale.

È arri­vato il momento di cam­biare que­sta Europa. È arri­vato il momento di rico­struire que­sta Europa.

Caris­sime com­pa­gne e compagni,

Voi sapete che il Par­tito della Sini­stra Euro­pea mi ha pro­po­sto come can­di­dato pre­si­dente della Com­mis­sione Europea.

La pro­po­sta pre­sen­tata da un gruppo di per­so­na­lità per una aperta e senza esclu­sioni unità della sini­stra e delle forze vive della società e degli intel­let­tuali rap­pre­senta una seria pos­si­bi­lità per cam­biare gli equi­li­bri nell’Europa del Sud e in gene­rale in Europa.

In Gre­cia abbiamo ten­tato di dare già una rispo­sta alla crisi pro­po­nendo l’unità delle forze, dei cit­ta­dini e dei movi­menti della sini­stra e non solo. Con grande umiltà stiamo accanto a tutti quelli che col­pi­scono le poli­ti­che neo­li­be­rali e lot­tiamo per non lasciare nes­suno solo di fronte alla crisi.

Il per­corso di Syriza in Gre­cia ci ha inse­gnato che l’unità della sini­stra con i movi­menti e i cit­ta­dini che sono col­piti dalla crisi rap­pre­senta il miglior lie­vito per il rovesciamento.

Vi auguro di cuore che il vostro con­gresso rap­pre­senti un punto di svolta nel ten­ta­tivo per la più ampia unità pos­si­bile delle forze della sini­stra e della società civile.

Dob­biamo fare tutti insieme un passo indie­tro per muo­vere insieme tanti passi in avanti por­tando nel Par­la­mento Euro­peo la rab­bia, il dolore, la resi­stenza e le pro­po­ste di tutti coloro che cer­cano di emar­gi­nare la crisi, il neo­li­be­ri­smo e il popu­li­smo. Dob­biamo por­tare il mes­sag­gio della costru­zione dell’Europa dei vec­chi e nuovi cittadini.

Cam­bie­remo l’Europa.

Con i miei saluti da compagno

Atene, 25.01.2014

Ale­xis Tsipras

Pre­si­dente di Syriza e vice­pre­si­dente del par­tito della Sini­stra europea

L’interrogatorio senza giustizia (sul caso Uva)

Vi prego di guardare questo video. Il Pubblico Ministero Agostino Abate (che conduce in modo molto discutibile questo interrogatorio) ha già subito provvedimenti dal Ministero di Grazia e Giustizia. Al testimone Alberto Biggiogero e alla famiglia Uva qualcuno dovrebbe dare delle risposte. Opinione pubblica in primis.

Mastrapasqua e la disarticolazione di un Paese attraverso l’avidità

Ma come possiamo parlare di politica in un Paese in cui il presidente dell’INPS che ha altri venticinque incarichi (25!) sia indagato di reati gravi senza nemmeno  una riflessione sulla sua voracità e sulla credibilità fondamentale per l’ente che presiede?antonio-mastrapasqua-640

Cartelle cliniche truccate per gonfiare i rimborsi, all’ospedale Israelitico di Roma diretto da Antonio Mastrapasqua. Il presidente dell’Inps, che ha all’attivo 25 incarichi, è indagato dalla procura di Roma per la sua attività da direttore generale nell’ospedale della Capitale. Lo anticipa il quotidiano La Repubblica, che quantifica in 12.164, le schede di dismissione “taroccate” alla regione Lazio per ottenere “13,8 milioni di euro di rimborsi non dovuti”, a cui si sommano “71,3 milioni di euro” di presunto “vantaggio patrimoniale”. L’indagine è partita dalla denuncia del Nas di Roma del 16 settembre 2013. Ci sono casi di cartelle falsificate in cui le estrazioni dei denti sono state classificate in qualche caso come costosissime plastiche gengivali con innesto di osso. Particolare non trascurabile visto che la clinica non risulta accreditata col Servizio sanitario per odontoiatria, quindi non può esigere il rimborso delle prestazioni ambulatoriali erogate in quel reparto. Lo può fare invece per ortopedia.

Il presidente Inps si giustifica attraverso una nota ufficiale: “Si precisa che l’inchiesta è stata avviata anche grazie all’impulso dato in passato dallo stesso Mastrapasqua e quindi ha proprio la finalità di far chiarezza ed individuare eventuali responsabili di condotte penalmente rilevanti. Nessun rilievo o interesse assumono nell’indagine il ruolo di presidente dell’Inps del dott. Mastrapasqua né tantomeno quello di Direttore Generale dell’Ospedale Israelitico in quanto i fatti ipotizzati attengono a condotte che sarebbero state poste in essere da alcuni dirigenti sanitari e non afferiscono né all’Inps né all’Ospedale Israelitico come struttura sanitaria di rinomata efficienza e professionalità; entrambe ingiustamente colpite dalla diffusione di questa notizia”.

Sempre il solito, inguaribile Ortomercato di Milano e le mafie

Questa volta c’è un Prefetto che avverte la Commissione Parlamentare Antimafia senza remore o negazionismi con una relazione di cinquantasei pagine consegnata alla Presidente Rosy Bindi e ai membri di Commissione. Nomi e cognomi che sono sempre gli stessi che continuano a circolare da decenni cambiando al massimo di una generazione raccontando benissimo come l’attività investigativa e giudiziaria non bastino per estirpare ma al massimo a “cogliere”. Il Comune di Milano ha tutti i saperi a disposizione per segnare un cambio di rotta forte e deciso e, come continua a ricordare Pisapia, una “legalizzazione” dell’Ortomercato sarebbe un successo per la città. E noi ce lo aspettiamo anzi: lo pretendiamo. Ne scrive Davide Milosa:

 Nelle 56 pagine della relazione consegnata a deputati e senatori arrivati in trasferta sotto al Duomo il 13 dicembre 2013, viene dedicato ampio spazio al rischio d’infiltrazione mafiosa all’interno dell’Ortomercato definito un “centro particolarmente esposto agli interessi dei clan”. Di più: l’infrastruttura che per la distribuzione alimentare copre un bacino di utenza di circa 10 milioni di abitanti, è “un terreno d’elezione dominato dalle diverse espressioni della mafia siciliana (in particolare quella gelese) con la quale, negli anni, hanno collaborato anche clan della camorra e cosche della ‘ndrangheta”. Da questo ragionamento emerge il dato inquietante della presenza di alcune società di movimento terra delle famiglie Trimboli e Catanzariti a loro volta legate alla cosca Barbaro di Platì che da anni pianifica i suoi affari criminali da ville e bar del comune di Buccinasco. Mafia di altisismo livello. Tanto che una recente indagine della Dda milanese ha indicato in Rocco Barbaro, detto u Sparitu, il nuovo referente della ‘ndrangheta in Lombardia.

La vicenda segnalata dal Prefetto al presidente della commissione Rosi Bindi emerge dopo un mirato controllo della Dia nel cantiere del nuovo mercato avicunicolo aperto nel Lotto 3 di via Lombroso esattamente contiguo a quello ittico. L’appalto viene vinto il 17 settembre dalla società Christan Color. Il 23 ottobre Sogemi consegna il cantiere. Quindici giorni dopo si presentano gli investigatori della Direzione investigativa antimafia. In mano hanno un decreto del Prefetto, datato 6 novembre 2013, che invita a eseguire controlli sui camion del movimento terra, settore dell’edilizia nel quale la ‘ndrangheta detiene il monopolio assoluto. Nel mirino così finiscono sei società di trasporti. Ma è su due che pesano forti sospetti di collegamenti con la criminalità organizzata. Alla base ci sono rapporti di affari tra alcuni trasportatori e gli uomini del clan, oltre a frequentazioni “rilevate nell’attività info-investigativa”. Una contiguità, ragiona il Prefetto, “desunta anche dalla presenza di automezzi su terreni nella disponibilità della suddetta famiglia”.

Con in mano questi dati, l’avvocato Stefano Zani, direttore generale di Sogemi, il 17 novembre 2013 decide di chiudere il cantiere. Contemporaneamente scrive all’azienda appaltatrice e alla Rial sas, titolare del subappalto per il movimento terra, intimando entrambe a non far entrare i camion delle sei aziende di trasporti. Quindi invia un esposto alla Procura di Milano “per gli accertamenti su eventuali profili penali”. Naturalmente Sogemi come anche Christian Color non hanno responsabilità nell’aver aperto le porte dell’Ortomercato ai mezzi delle cosche. Colpe, penalmente non rilevanti, potrebbero, invece, essere date alla Rial che da subappaltatrice affida il lavoro “di sbancamento, con carico e trasporto agli impianti di stoccaggio”, alle sei società finite sotto la lente dell’antimafia milanese. In particolare, ragiona Sogemi, la responsabilità di Rial è legata alla ritardata comunicazione delle imprese poi utilizzate per movimentare la terra. Da qui l’ipotesi di revocare alla stessa Rial i lavori. Revoca che potrebbe arrivare già la prossima settimana e potrebbe diventare operativa fra 15 giorni. Intanto negli uffici della Dia in via Mauro Macchi gli investigatori del capo centro Alfonso De Vito stanno ultimando le interdittive antimafia che riguarderanno due società di trasporti.

Insomma, al di là del caso particolare sulla cosca Barbaro, i Mercati generali restano un obiettivo prediletto dei clan. Tanto che spesso dal suo monitoraggio gli investigatori prendono spunto per inchieste che poi nulla hanno a che vedere con l’Ortomercato. E’ successo poche settimane fa per l’arresto di Antonio Papalia, classe ’75, fermato per droga e associazione mafiosa. Il suo nome emerge da un fascicolo poi archiviato aperto dalla Procura di Milano su alcuni episodi di estorsione all’interno della struttura di via Lombroso 54. Stesso civico al quale faceva riferimento fino al 2009 la società di agrumi di Antonio Piromalli, figlio del capo dei capi della ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro.

I Riina e la Puglia

Giusto oggi riflettevo sullo strano legame con la Puglia della famiglia Riina: partendo da Totò che nel carcere di Opera si lascia andare allegramente alle considerazioni con il boss della Sacra Corona Unita Lorusso fino ai viaggi “pugliesi” della sua famiglia. L’idea che Cosa Nostra sia un’entità separata da camorra, ‘ndrangheta e tutte le altre organizzazioni criminali orami è superata dagli studi, dai riscontri e anche nei fatti. Ne ha scritto un articolo come sempre intelligente e interessante Lirio Abbate per L’Espresso:

170908228-b858e71d-d78e-4881-b375-73cbf6cafb86La signora Ninetta Bagarella, sposa di Totò Riina, nei mesi scorsi ha fatto un giro nel Brindisino. Dopo aver abbracciato la figlia e i nipoti che si sono trasferiti in Puglia, è andata a salutare la moglie del capomafia Giuseppe Rogoli, uno dei fondatori della Sacra corona unita, in carcere per scontare tre ergastoli. Le due donne, secondo quello che risulta a “l’Espresso”, si incontrano a Mesagne, come se fosse una visita di cortesia, e conversano da vecchie amiche, accomunate dalla stessa passione: quella per i boss. La coincidenza vuole che sia pugliese pure la “dama di compagnia”, così viene chiamato nel gergo carcerario il detenuto che trascorre ogni giorno l’ora di socializzazione con i mafiosi al 41 bis. La “dama” di Riina è Angelo Lorusso, con un passato criminale insignificante, ma ben preparato sulla storia di Cosa nostra. Della mafia siciliana il pugliese conosce tutto. Lorusso stuzzica Riina durante le passeggiate nel cortile del carcere di Opera e lo aizza sui magistrati di Palermo, in particolare su quelli che sostengono l’accusa nel processo sulla trattativa fra mafia e Stato. Lo fa parlare delle stragi, a cominciare dalla morte del giudice Chinnici fino agli attentati contro Falcone e Borsellino, criticando anche il comportamento del latitante Matteo Messina Denaro che «pensa solo a se stesso» fino alla mancanza di coraggio dei mafiosi di oggi che non vogliono delitti eccellenti. Ma contro il pm Nino Di Matteo le affermazioni del boss sono pesantissime. Riina lo vorrebbe morto «come un tonno». Ma in libertà non ci sarebbe nessuno disposto a riprendere la stagione stragista dei corleonesi. Sarà così? Lorusso incalza molto Riina, facendogli fare affermazioni e rivelazioni su stragi e omicidi che per tre mesi sono state registrate da telecamere e microspie della Dia fatte piazzare dai pm. Si vedono i due parlare a lungo, appartati in un angolo in cui Riina e Lorusso credono di essere al riparo e quindi possono discorrere liberamente. Ma chi ha voluto che Lorusso diventasse la “dama” di Riina? La coppia sembra essere stata formata dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) dopo aver ricevuto l’indicazione del nome dalla Procura nazionale antimafia. Una prassi che si ripete per tutti i capimafia detenuti. Sarà forse una coincidenza, ma anche la “dama” precedente a Lorusso assegnata a Riina era un pugliese. L’unico detenuto al 41 bis che da quasi trent’anni si rifiuta di avere una compagnia è don Raffaele Cutolo, perché non gradisce i reclusi che gli vengono assegnati per la socializzazione. E da sempre trascorre la sua detenzione in completa solitudine. La procura di Caltanissetta sta indagando su queste minacce, contenute nelle conversazioni intercettate da settembre a novembre scorso. E il Dap nei giorni scorsi ha completato il parere per sottoporre Riina a un ulteriore restringimento del carcere duro previsto dal 41 bis, che lo porterà a un ulteriore isolamento: niente più “dama di compagnia” e niente più passeggiate per sei mesi. In passato allo stesso provvedimento sono stati sottoposti Bagarella e Provenzano. Il comportamento di Riina, con l’eco mediatica provocata dalle intercettazioni, ha creato negli ultimi mesi un clima tesissimo dentro il carcere di Opera. Lì il “capo dei capi” sembrava primeggiare su tutti e rispolverare un atteggiamento spavaldo da padrino, al punto da fargli rispuntare in viso il suo ghigno da “belva”: quello che illuminava il suo volto prima di lanciarsi sulla vittima designata, descritto da tanti collaboratori di giustizia. Un’eccezione anomala. A Opera sono rinchiusi i più pericolosi criminali, ma a nessuno è permesso avere lo stesso comportamento assunto da Riina.

La cella “zero”

A proposito di diritti e di carceri:

“Erano le dieci e mezza di sera. All’improvviso, senza motivo sono stato portato giù nella cella zero: le guardie mi hanno fatto spogliare nudo, mi hanno picchiato, mi hanno umiliato”. A Fanpage.it parla un ex detenuto del carcere di Poggioreale che, con la Garante dei Detenuti della Campania, ha sporto denuncia. E ha segnalato anche la famigerata “cella zero”: “E’ una cella del piano terra dove ti puniscono, ti picchiano, è isolata da telecamere e da tutto”. L’ex detenuto ha denunciato, così, ai media e alla magistratura. Ha rilasciato un’intervista alla tv privata Piùenne e poi a Fanpage rivelando questa denuncia gravissima. Nel merito è intervenuta anche la Garante dei detenuti della Campania, Adriana Tocco: “Davanti a queste denunce io ho il dovere di portare tutto all’attenzione della magistratura. E’ un reato penale grave e ovviamente devo comunicarlo nel frattempo al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. Poi ricorda di aver presentato “da tempo una denuncia firmata da 50 detenuti per maltrattamenti, e ancora non è accaduto nulla”. “Ho sentito parlare molte volte – aggiunge – del piano zero. Io non l’ho mai visto ma prossimamente chiederò”.

 

Chissà cosa ne pensa la Cancellieri.

I banchetti tra politica, mafia e giustizia (e ‘ndrangheta)

Una notizia di Luca Rocca che (ne scrivevamo proprio oggi qui) aggiunge particolari al quadro:

banchetto2Nozze, clan e parenti stretti dei pm antimafia. Ad essere immortalato mentre partecipa al ricevimento della nipote paterna del boss Antonio Pelle, alias Gambazza, e del nipote del boss Antonio Nirta, detto «il terribile», è Vincenzo Mollace, fratello «scomodo» del magistrato antimafia Francesco Mollace, di recente trasferito dalla procura di Reggio Calabria a Roma. Lo scenario è un ristorante di Gerace, nella locride. Il dvd che ritrae il fratello del pm mentre s’intrattiene, fra un pasto e l’altro, coi più potenti boss calabresi, è contenuto in un’informativa dei carabinieri di Locri, nelle cui mani è finito praticamente per caso.

Siamo nel gennaio 2010 e il reparto speciale «Cacciatori» dell’Arma è sulle tracce di un pericoloso latitante: Stefano Mammoliti. Irrompono nella casa di un secondo latitante di San Luca convinti di scovare la loro preda, ma non trovano nessuno. Si imbattono, però, nel dvd e nel visionarlo restano basiti: a tavola coi mammasantissima c’è infatti Vincenzo Mollace, docente universitario, fratello del pm antimafia e all’epoca dei fatti direttore generale dell’Arpacal, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente in Calabria.

Nell’informativa gli uomini dell’Arma scrivono: «Si nota di spalle con cappotto e cappello di colore scuro Mollace Vincenzo nella zona antistante il buffet, vicino a un soggetto anziano con la coppola, successivamente di fianco vicino a due soggetti di spalle e a Nirta Antonio, alias “terribile”, padre dello sposo, mentre parlano». Intorno a loro, che bevono vino, chiacchierano e mangiano, anche Rocco Morabito, «successore» del boss Giuseppe Morabito «u tiradrittu», e Bruno Gioffrè, che nella «cupola calabrese» occupa il secondo posto più importante. Fra i commensali, come riportato nell’informativa, anche due politici locali: Tommaso Mittiga, sindaco di Bovalino di area Pd, e Domenico Savica, suo «oppositore» in consiglio comunale. Il filmato rinvenuto dai carabinieri fa da riscontro a molti elementi contenuti nelle carte dell’operazione «Inganno» che un mese fa ha portato agli arresti dell’ex sindaco di San Luca, Sebastiano Giorgi, e della «paladina antimafia» Rosy Canale, coordinatrice del «Movimento delle donne di San Luca». Ed è nel corso di questa operazione che gli investigatori hanno intercettato l’ex sindaco Giorgi mentre affermava che gli incontri tra Vincenzo Mollace e i boss si sarebbero intensificati a ridosso delle ultime elezioni regionali. Gli inquirenti si soffermano anche sui rapporti tra Savica e Vincenzo Mollace e dello stesso Savica con Antonio Stefano Caridi, oggi senatore del Nuovo Centrodestra.

“E c’è andata anche bene questa volta!”: la vergogna della bonifica ex Sisas

bonificagrossi16febAll’ex polo chimico di Pioltello Rodano (periferia est di Milano) la bonifica è una questione di “carte a posto” esattamente come nella Terra dei Fuochi. Cambiano solo gli accenti delle telefonate:

«Eh, per forza! Poi i 700 sai dove vanno» «Lo so lo so… E c’è andata anche bene questa volta!» Ridono. «Ehhh. Questo Commissario è fantastico!» «Madonna santa! Incredibile! Che roba!». Isettecentomila euro – si diceva in una telefonata del 15 maggio 2011 fra due manager della società di smaltimento rifiuti Daneco Impianti – erano per Luigi Pelaggi, il «commissario» governativo «fantastico», che le tonnellate di nerofumo contenuto nell’ex Sisas, ex polo chimico di Pioltello Rodano (est di Milano), avrebbe fatto trattare come qualcosa di meno pericoloso, così da inviare (grazie alla truffa delle etichette) in siti – in Italia e a Waco in Germania – che il nerofumo non potevano contenere, ma gli esiti declassificati del suo trattemento si.

Per trasformare un rifiuto pericoloso in un semplice rifiuto facilmente smaltibile basta cambiare un codice, un numero, un segno di penna sulla bolla e la magia alle spese dell’ecologia e della comunità è fatta. La questione della bonifiche in Lombardia (orami uno stillicidio che dura da anni e che per anni è stato “calmierato” politicamente dall’ala protettrice di Roberto Formigoni) non è una mera questione ambientale ma soprattutto una desolante mancanza di spessore etico della politica. Basta leggere i nomi degli indagati per rendersene conto:

È stato arrestato ieri mattina Luigi Pelaggi, che vanta un pedigree di nomine politiche romane: capo della segreteria tecnica dell’ex ministro – allora all’Ambiente – Stefania Prestigiacomo, già commissario straordinario per l’emergenza idrica delle isole Eolie, e segretario tecnico della commissione che nell’agosto 2011 concesse all’Ilva di Taranto l’Autorizzazione integrata ambientale (per questo Pelaggi è accusato dalla Procura di Taranto di «avere orientato la commissione nella direzione richiesta» dagli stessi Riva).

Ed è Pelaggi a venire nominato, con decreto dell’aprile 2010 del presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi, commissario straordinario per il sito di interesse nazionale ex Sisas, per cui l’Italia rischia entro marzo 2011 la procedura d’infrazione europea da 400 milioni di euro, vista la mancata bonifica di 280 mila tonnellate, sparse in tre discariche e su 330 mila metri quadrati. La bonifica viene effettuata (l’Italia scampa la macroscopica multa), ma come?

A rispondere sono i sei arresti di ieri, eseguiti dai carabinieri del Noe di Milano e Roma, ordinati dal gip Luigi Varanelli, sul lavoro della Procura (Alfredo Robledo, Paolo Filippini e Paola Pirotta) e della Dda (Piero Basilone). In 425 pagine, il romanzo del traffico illecito di rifiuti che tra i reati snocciola corruzione e truffa aggravata allo Stato. Agli arresti, oltre Pelaggi, il presidente della Daneco Impianti Srl, Francesco Colucci, e l’amministratore Bernardino Filipponi; ai domiciliari Fausto Melli, membro del Cda della Sogesid spa, all’epoca direttore dei lavori del cantiere del sito, Luciano Capobianco, nel cda della Sogesid, e Claudio Tedesi, consulente tecnico del Commissario Straordinario ma, soprattutto, trait d’union con la grande gestione dei rifiuti che parte dalla Sadi di quel Giuseppe Grossi (deceduto) e che portò allo scandalo dell’interramento di scorie speciali e tossiche nelle fondamenta del quartiere modello Santa Giulia. E poi ci sono 38 indagati: tra i funzionari regionali, anche il direttore generale dell’Arpa Lombardia, Umberto Benezzoli.

In tutto questo tra le discariche di destinazione dei rifiuti tossici rispunta ancora una volta la discarica di Cavenago d’Adda (LO) su cui abbiamo cercato (inutilmente) di fare accendere i riflettori anche nella scorsa legislatura di Regione Lombardia. Oggi infatti:

Si legge nel testo dell’interrogazione parlamentare (presentata il 27 luglio 2011 dagli allora parlamentari Alessandro Bratti (Pd), Carlo Monai (IdV) e Chiara Braga (Pd) NDR), che cita Cavenago e l’impianto gestito da Eco Adda Srl, nel mirino delle polemiche per il progetto di ampliamento della discarica. «Non c’è stata mai la volontà politica di fare controlli alla discarica di Cavenago», denuncia il Comitato contrario all’ampliamento. Accusa pesante, dato che nella “stanza dei bottoni” di Eco Adda Srl c’è la Provincia di Lodi, che detiene una quota di partecipazione a doppia cifra. Eal Spa (società controllata dalla Provincia stessa) nel 2004 stipulò un protocollo d’intesa per rilevare quote di Eco Adda proprio con la società Daneco Gestione Impianti Spa, parte del colosso finito nella bufera ieri l’altro per le presunte mazzette pagate a Pelaggi. Il lodigiano Tedesi, 53 anni, ex segretario della Democrazia Cristiana nel Lodigiano, consulente del re delle bonifiche Giuseppe Grossi, direttore di Asm Pavia, finito agli arresti domiciliari per l’accusa di truffa, corruzione e traffico illecito di rifiuti, verrà interrogato la prossima settimana dal giudice.

E forse ha ragione Michele a scrivere che il lodigiano Tedesi sarebbe ora che venisse dimesso dalle aziende partecipate del Comune di Lodi, no?