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Giugno 2014

Io, vi prego, anche se non siete giornalisti

Di prendervi il tempo di ascoltare la riunione della Commissione plurilaterale al Dipartimento Informazione ed Editoria di Palazzo Chigi presieduta dal Sottosegretario on. Luca Lotti in cui si decide “l’equo compenso” per i giornalisti. E magari di fare una riflessione su una professione che diventa sempre di più volontariato:

Quando il tempo era Migliore

“Si disconosce il luogo comune e pubblico del confronto, si disconosce la validità delle sedi collettive del partito e però si vuole mettere di fronte al fatto compiuto il partito nel suo complesso dicendo ‘siete voi che ci rendete la vita impossibile'”.

marzo 2007, Gennaro Migliore parla di Turigliatto.

Decimata la cosca Molè. C’è anche “l’attore” romano Stefano Sammarco

arresti-ndrangheta-in-manette-attore-stefano-sammarco-600x300Operazione del Ros e dei carabinieri di Roma e Reggio Calabria, denominata “Mediterraneo”, contro la cosca Molè della ‘ndrangheta: 54 le ordinanze di custodia cautelare in carcere che i militari stanno eseguendo dalle prime ore della mattina in diverse regioni. Sequestrati beni e quote societarie per un valore complessivo di circa 25 milioni di euro. Gli arrestati sono accusati di associazione mafiosa, traffico di armi e stupefacenti ed intestazione fittizia di beni.

GUARDA IL VIDEO DELL’OPERAZIONE

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GUARDA L’ELENCO DEGLI ARRESTATI

Dei 54 arresti solo 25 sono stati eseguiti nella Piana di Gioia Tauro. Tra questi sono finiti in manette le nuove leve della cosca Molè, tra cui i giovani rampolli della famiglia, due ventenni. Sono scattate le manette anche per gli armieri della cosca e alcuni affiliati ritenuti “importanti”. Una ventina di arresti, invece, sono stati eseguiti tra la Capitale e l’Umbria, dove avveniva il reimpiego dei soldi illecitamente accumulati dalla cosca. Poco meno di una decina di arresti sono stati eseguiti anche in provincia di Catanzaro.

Al centro delle indagini del Ros, coordinate dalla procura distrettuale antimafia reggina, le attività illecite di quella che viene considerata una delle più potenti cosche della ‘ndrangheta, con diramazioni in tutta Italia e all’estero. Le indagini, in particolare, hanno documentato i “consistenti interessi” della cosca in ramificate iniziative imprenditoriali e commerciali in Calabria, Lazio ed Umbria, oltre alla gestione di ampi settori della distribuzione delle slot machine su tutto il territorio nazionale.

Accertati anche, sottolineano gli investigatori, “rilevanti traffici di armi dai paesi dell’est europeo e l’importazione di ingenti carichi di stupefacenti dal nord Africa”. Secondo gli inquirenti, inoltre, ci sarebbero “consistenti interessi” della cosca ramificate in iniziative imprenditoriali e commerciali in Calabria, Lazio ed Umbria, oltre alla gestione di ampi settori della distribuzione delle slot machine su tutto il territorio nazionale.

C’è anche l’attore romano Stefano Sammarco tra i 54 arrestati nell’operazione antimafia “Mediterraneo”. L’accusa per lui è pesantissima: associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. L’attore era già stato arrestato nel 2012 per spaccio di hashish.

A proposito della scomunica ai mafiosi

Le parole “sante” sono di Don Maurizio Patriciello:

“Mafiosi fuori dalla Chiesa, non siano ammessi ai sacramenti. La Cei dia però indicazioni vere e regole chiare, che siano valide per tutti i sacerdoti”.

#lamicodeglieroi su ilmegafono, produciamolo insieme

La nostra “produzione sociale”, se ne parla:

Siccome l’antimafia è una cosa seria ed è fondamentale che una parte della lotta comprenda la sfera culturale e intellettuale, noi crediamo che Giulio Cavalli in questa antimafia ci rientri di diritto e debba continuare a dare il suo prezioso contributo culturale. Il 13 giugno, dopo molti anni, ha annunciato il suo addio al teatro Nebiolo di Tavazzano (Lodi), il luogo nel quale tutto ha avuto inizio, il palco che ha ospitato le sue produzioni teatrali, piene di verità e denuncia, quelle che hanno dato fastidio a coloro che speravano nel silenzio per poter continuare indisturbati a infiltrarsi in ogni maglia del tessuto economico e sociale del nord Italia. Una scelta dolorosa e forzata, in un momento in cui forse attorno a lui si sta sviluppando un pericoloso isolamento.

Di fronte a tutto questo, ad un tipo di teatro che disturba, a una cultura che, con la scusante della crisi, non riceve adeguato sostegno dalle istituzioni preposte, ecco che si opta per un’altra forma di sostegno, ormai molto popolare in diversi ambiti artistici: una produzione sociale attraverso il crowdfunding. Una raccolta fondi per la produzione e realizzazione di uno spettacolo e di un libro ispirati liberamente alla vita e alle “opere” di Marcello Dell’Utri. Il titolo è “L’amico degli eroi”, un monologo scritto da Giulio Cavalli e con musiche di Cisco, ex leader dei Modena City Ramblers, che da tempo collabora con lui.

L’autoproduzione, dunque, una soluzione ormai diffusa per ovviare all’assenza di fondi e di impegno da parte di chi in Italia dovrebbe promuovere il teatro e la cultura in genere. L’artista propone il suo progetto, ne condivide la trama e dei passaggi (una sorta di concept), lo spiega e fissa una serie di quote differenti di contribuzione, a cui rispondono delle ricompense (ad esempio, una o più copie del libro o uno o più biglietti di ingresso allo spettacolo o entrambi, e così via). Si dà, insomma, al pubblico la possibilità di godere di un’anteprima privilegiata e scegliere se finanziarla, per poi poterne disporre concretamente.

“Fare cultura in questo tempo – scriveva tre settimane fa Giulio sul suo blog – è un lavoro terribilmente politico, inutile fingere, soprattutto se raccontando storie si decide di dichiarare la propria posizione. Fa politica ciò che dici, come lo scrivi, il pubblico a cui decidi di rivolgerti, la storia che scegli e l’editore e il produttore. […] Ora c’è la stagione da programmare: saranno due nuovi spettacoli e uno dei due è uno spettacolo (e un romanzo) su Marcello Dell’Utri. Si intitolerà L’amico degli eroi e vuole essere un lavoro diverso da L’innocenza di Giulio nell’uso più cattivo della fantasia. Ne scriverò. Però stasera pensavo che un progetto così ha bisogno di una produzione politica, un editore del libro e un produttore dello spettacolo che siano un segno e un’indipendenza chiara e per questo mi è balenata l’idea di una ‘produzione sociale’, crowdfunding semplificherebbe qualcuno, che sia partecipazione nella presa di posizione. Ci sto pensando. Voi che ne dite?”.

La risposta della gran parte degli utenti è stata positiva, anche se qualcuno si è detto contrario in linea generale al sistema della raccolta fondi, facendo notare che dovrebbero essere le istituzioni a farsi carico della cultura e finanziare i progetti di qualità, indipendentemente dalle aspettative di immediato successo. Tant’è, la situazione italiana al momento è questa (lo è da molto tempo, in verità) e bisogna trovare i rimedi. “La battaglia per una politica culturale giusta – risponde Cavalli in un altro post – è sacrosanta soprattutto in questa Italia che negli ultimi governi di tutti questi anni non ha voluto e saputo fare niente di più che tagliare in modo lineare […] ma io sono un teatrante e quindi ho l’obbligo di curare le mie produzioni per vivere e per esistere, quindi se aspettassi un’economia di settore giusta sparirei ben prima che questa avvenga come avviene per tutte le imprese del sistema italiano. Quindi produco e porto avanti una battaglia politica, contemporaneamente, e trovo lineare non modificarmi geneticamente per accedere al sistema che combatto”.

La soluzione del finanziamento dal basso, secondo l’artista lombardo, è ottima perché “garantisce trasparenza (chi paga vuole sapere esattamente i costi e il processo artistico che porta al risultato finale), assicura una libertà di manovra maggiore (avete mai avuto a che fare con assessori o commissioni?) ed è una promessa che chiede lealtà. E la lealtà è un ingrediente bellissimo per fare cultura. Per questo se qualcuno decide di acquistare un libro quando ancora non esiste e di assistere ad uno spettacolo ancora in preparazione credo che ci sia solo da essere fieri e responsabilizzati”. Insomma, quel che conta è poter realizzare spettacolo e libro e continuare a occuparsi di questioni e personaggi che hanno ancora un peso notevole nello scenario politico italiano.

Per dare ancora un contributo importante alla cultura antimafia, quella fatta bene. E allora, non possiamo che promuovere questo progetto. Per saperne di più ed eventualmente sostenerlo concretamente con una piccola quota, basta cliccare qui.

Redazione -ilmegafono.org

A chi conviene? (a Ravenna e non solo)

Che bravi che sono i ragazzi del gruppo dello zuccherificio di Ravenna che decidono di imbastire un festival che inonda le piazze della città in questo giorni di indifferenza vacanziera affrontando argomenti non convenzionali e affidandosi alle proprie forze decisionali e intellettuali senza cercare il plauso delle istituzioni o delle associazioni istituzionali. Ieri, in una piazzetta che sembrava la “sala riunioni delle persone che ci tengono”, abbiamo respirato l’aria pulita dei curiosi per passione e oggi qualcuno riprende le nostre domande:

Il giullare Giulio Cavalli ha riempito la piazzetta e, sotto lo sguardo della sua scorta, ha parlato come promesso di mafia e criminalità. Da bravo giullare ha divertito e commosso. Ci ha ricordato che «Non dobbiamo avere paura di ciò che non sappiamo, ma di ciò che crediamo sia vero e invece non lo é». E a noi ravennati, proprio noi in particolare, ha suggerito un esercizio di matematica: sommate tutti gli ipermercati della regione e scoprirete che, come in Lombardia, il numero di clienti potenzialmente necessari per tenerli tutti aperti è superiore a quello degli abitanti stessi. E oltre all’esercizio, ci ha suggerito anche una domanda, a noi ravennati: a chi conviene costruire case che già si sa che nessuno comprerà? A chi conviene costruire case che resteranno disabitate?

Marcello è molto, molto ma molto arrabbiato

Non se se influisca, certamente mi condiziona, il fatto che stia lavorando su di lui e quindi il mio libro e spettacolo L’amico degli eroi (a proposito: abbiamo bisogno di voi per riuscire a produrlo, trovate tutto qui) mi induce ad un’ossessione dellutriana, ma certo leggere che Marcello, rinchiuso come un mafioso o un politico qualsiasi nel carcere di Parma, minacci lo sciopero della fame perché ha bisogno di libri è letteratura spinta.

Ed ecco l’annuncio: “Dell’Utri sarebbe disponibile a rinunciare alla tv, all’ora di socialità diurna pur di riavere i suoi libri. Se non riesce in qualche modo a ottenerne di più (tenendo conto che già riceve poca carta, e anche le sue penne non può usarle perchè contengono alcol), per leggere, studiare e e anche scrivere, farà lo sciopero della fame. Lui lo ha annunciato alle guardie. E io lo divulgo perchè voglio che si sappia: un conto è accettare la condizione carceraria, un conto è scontare la pena, un conto è essere recluso con un caldo asfissiante anche se il reparto che lo detiene dovrebbe essere climatizzato. Ma non si capisce perchè non debba avere i libri. Non dico una biblioteca, ma un numero più adatto, almeno cinque alla volta, perchè possa fare quello che ama di più. Nelle carceri un problema grosso è la noia. Va bene espiare la pena. La tortura psicologica no, non è tollerabile”.

Capito? va bene la noia ma solo due libri alla volta no, non è tollerabile.

Un’intervista

Il sito originale è qui. L’intervista è di Federica Angelini.

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Tra gli appuntamenti del “Grido della Farfalla“, sabato 21 giugno (ore 21.30) in piazza Unità d’Italia, spicca quello con l’attore e autore Giulio Cavalli che a Ravenna porterà “Nomi, cognomi, infami“ dedicato ai temi della mafia su cui Cavalli da tempo concentra il suo impegno artistico, tanto da vedersi assegnata una scorta per motivi di sicurezza.

Perché usare il teatro per raccontare la mafia? Cosa è possibile dire con lo spettacolo che con la cronaca non si riesce a mostrare?
«Innanzitutto, nel teatro c’è il contatto diretto con il pubblico che ti permette, se vuoi, di essere anche più cattivo. E poi perché da sempre l’ironia e la giullarata hanno funzionato per prendersi gioco della prepotenza dei potenti. E in fondo la criminalità organizzata è innanzitutto questo: un potere prepotente. È una tradizione che pesca dal giullare del Cinquecento e arriva a oggi, cercando di essere contemparanea. Non parliamo di chi c’è stato ma di chi si presume che ci sia».
Come ti documenti? Il lavoro preparatorio è simile a quello del giornalista?
«Sì, sicuramente. Come un’inchiesta giornalistica parto dagli atti processuali o da  elementi di indagine. Infatti molto spesso, per preparare i miei spettacoli, mi avvalgo più dell’aiuto dei magistrati, per dire, che di operatori teatrali. Lo spettacolo poi si crea cammin facendo. A un certo punto, mentre si raccoglie materiale, si scopre che quella frase può essere importante o che permette di prendere la storia da questo o da quel punto di vista rendendo la vicenda più fruibilie. Lo scopo è creare un trauma buono. Siamo stati in questo paese tacciati di allarmismo. Noi vogliamo un allarmismo sano ed etico».
Sei stato tra i primi a preoccuparti delle possibili infiltrazioni nell’Expo di Milano.  Te l’aspettavi? Cosa bisogna fare?
«Non era dfficile. In fondo cos’è la criminalità organizzata? Un sistema che mette insieme poteri politici e imprenditoriali. Nelle regioni del nord si fa più fatica a vederla perché si crede sia altro. C’è stata una specie di narcotizzazione, sembra che un’intera generazione non se ne sia accorta, nonostante i processi che si sono svolti negli anni Ottanta e Novanta, dove già era emerso tutto il marcio che avrebbe dovuto far scattare una reazione su Milano».
Ma la criminalità organizzata è la mafia o l’ndragheta che si sposta al nord o il nord ha comunque evoluto una sua criminalità diciamo endogena?
«La criminilità organizzata è uno strumento. Ci sono imprenditori lombardi, emiliani o romagnoli, che non rispettano le regole e hanno un braccio anche armato o prepotente. La storia degli imprenditori del nord schiavi e vittime dei calabresi non me la bevo».
Potrebbe capitare che non sappiano in realtà con chi si stanno associando?
«La storia degli imprenditori che non sapevono è una scusa. Ma non credo che siano i soli responsabili, sia chiaro. Andiamo a vedere anche i bancari che concedono fidi o presitti inspiegabili a persone che risultanto nullatenenti. Credo ci si una responsabilità collettiva a tutti i livelli».
Come se ne esce?
«C’è una generazione che sta cominciando a indignarsi, a studiare e analizzare quanto succede e questa è una buona notizia. Vedo un nuovo interesse nelle scuole e persone che si muovono in comitati, associazioni, realtà varie della società civile che si sta sostituidendo al compito della politica. Prima o poi questa generazione diventerà classe dirigente, e sarà una classe dirigente che conosce il tema: chi ci dovesse capitare dentro sarà condannato anche dal punto di visto etico. A quel punto, qualcuno che nega la mafia o è un mafioso o è un imbecille».
Intanto però scoppia lo scandalo Mose a Venezia…
«Con l’Expo si diceva che non ci poteva essere una figura internazionale  peggiore, e invece, eccola.  Credo che l’affare Mose andrebbe studiato, un po’ come Gladio, perché  va molto oltre la politica, interessa imprenditori, ma anche magistrati, un generale della Guardia di Finanza. Sta emergendo una sorta di loggia che cura i propri interessi, che è ciò di cui si occupa l’articolo  416 del  codice penale».
C’è anche un problema di regole?
«C’è sicuramente un problema di regole, perché l’appalto al massimo ribasso ormai è provato che non funziona. Poi questo agire sempre in condizioni di urgenza. Se ci pensi, l’urgenza per un’opera in ritardo è un’idea kafkiana, di per sé teatrale. Questo è il paese delle regole e delle deroghe. E il problema è che spesso le carte  sono a posto. I professionisti delle “carte a posto” sono più ad ampio raggio».
Nemmeno la trasparenza dei dati pubblici ci salverà?
«A oggi la questione della trasparenza non ha trovato uno sbocco. Il problema riguarda una filiera di classe dirigente fatta di inetti e collusi e poi la dimostrazione più palese che la criminalità organizzata riesce a operare perché c’è un meccanismo che più o meno consapevolemente copre quello che sta succedendo. Il problema è morale e regolamentare, bisogna trovare i buchi nelle regole.  Basti dire che questo paese non ha recepito la legge sull’antiricilaggio della comunità europea, considerata da tutti fondamentale in questa battaglia».
E quale deve essere il ruolo della politica?
«Credo che la politica possa fare il suo mestiere alfabetizzando un popolo o mettendo il proprio paese in condizione di poter lavorare. La secondo ipotesi mi pare lontana, almeno qualche decennio, quindi mi concentrerei sulla prima. L’alfabetizzione è un compito politico. Un ruolo che dovrebbe essere istituzionale. Ma abbiamo avuto ministri degli Interni accusati di concorso esterno. Questo è un paese dove i prefetti rasserenano gli animi e gli attori allarmano: c’è qualcosa di un po’ storto. Sarebbe bello che Renzi si concentrasse su questi temi, anche se non necessariamente deve essere un esperto. Il fatto che non sia mafioso mi pare già qualcosa, l’importante è che si circondi di persone competenti, capaci di  denunciare gli interessi del proprio partito, come Pio La Torre. Va detto che la commissione antimafia sta facendo un buon lavoro, al momento».
Saviano ha dichiarato che la sua vita sarebbe stata migliore se non avesse scritto Gomorra. Anche tu vivi sotto scorta, un rischio che avevi calcolato?
«C’è molta gente che è a casa senza lavoro con un mutuo e dei figli da mantenere, credo che ognuno viva i propri drammi in base alla propria scala di valori. Io faccio la mia vita, sono sorridente, allegro, felice. Per me uscire di casa accompagnato non è una così grave limitazione, è un contratto tra me e lo stato che mi permette di fare il mio lavoro. No vedo tutta questa epicità nell’avere la scorta. In fondo, anche Galan è scortato».

Giulio Cavalli. Note biografiche: classe 1977, milanese, dal 2001 calca le scene teatrali e dal 2006 il suo lavoro è sempre più incentrato su un teatro di denuncia sociale e politico. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Nel dicembre 2009 è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che gli ha portato la propria solidarietà per la vita sotto scorta a causa delle minacce da cosche mafiose. Nel gennaio 2010 è stato premiato a Catania con il premio Pippo Fava. Dall’aprile 2010 è stato eletto consigliere regionale candidato indipendente nella lista di Idv in Lombardia. Ha aderito successivamente al gruppo di Sel. È autore dei libri Linate 2001: la strage e Nomi Cognomi e infami (edizioni Verdenero). Nel 2012 esce per  Chiarelettere il suo L’innocenza di Giulio sui rapporti tra Giulio Andreotti e la mafia. Ora sta lavorando a un nuovo spettacolo su Marcello Dell’Utri che sta cercando di autoprodursi (tutte le info sul suo sito giuliocavalli.net) perché il «vento di Beirut spira ancora forte in Italia e l’ombra di Marcello è molto lunga».