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Giugno 2014

E’ rientrato l’amico degli eroi

Alla fine Marcello Dell’Utri è stato estradato e sono state mantenute le promesse. Nonostante ultimamente non se ne facesse più cenno le trattative dipolmatiche hanno portato i frutti sperati e ora dovremo fare i conti con questa storia che sembra avere raggiunto la propria conclusione giudiziaria passando liscia il dibattito pubblico.
Noi facciamo la nostra parte cercando di non perdere nemmeno una briciola di un arresto che illumina decenni di storia che si fatica a raccontare con il nostro libro e il nostro spettacolo. Per scriverlo e portarlo in scena vi chiediamo una mano, qui.

“Nessuno ha diritto di veto”

La gestione del dissenso è sempre la prova di maturità più difficile per un leader di partito. Abbiamo urlato tutti allo scandalo contro Silvio, contro Di Pietro e poi contro Grillo e Casaleggio per le diverse sfortunate uscite scomposte quando non hanno trovato unanimità su alcune proprie decisioni. E abbiamo fatto bene perché la nostra democrazia si merita governanti maturi non solo nel cavalcare il consenso momentaneo ma anche e soprattutto nel costruire unità sul percorso delle riforme. Ecco perché la frase di Matteo Renzi su Mineo (e altri) è immaturità politica oltre che della solita spocchia: considerare veto una differenza di idee significa avere un senso piuttosto preoccupante del dibattito e rende ancora meno sopportabile l’amicizia affettuosa con Alfano e gli altri.

EXPO: magari escluderli?

Quello che dico e scrivo da qualche giorno (finalmente) viene spiegato anche da Mario Portanova:

E adesso le aziende rimaste escluse chiedono di rientrare negli appalti di Expo 2015. Viziati dalle mazzette, a quanto emerge dalla recente inchiesta della procura della Repubblica di Milano e dalle ampie confessioni di diversi indagati. Il gruppo di imprese arrivato secondo nella gara per learchitetture di servizio del sito Expo, un affare da 55 milioni di euro, ha presentato un ricorso al Tar contro Expo 2015 e il commissario Giuseppe Sala. L’obiettivo è subentrare nei lavori al posto della Maltauro, azienda al centro dell’indagine. Motivazione: da quello che è emerso finora, “l’aggiudicazione all’Ati (Associazione temporanea d’imprese, ndr) Maltauro sarebbe frutto di atti corruttivi tra l’allora legale rappresentante Enrico Maltauro e il direttore generale di Expo 2015 spaAngelo Paris, anche tramite altri soggetti (G. FrigerioL. GrilloS. CattozzoP. Greganti, ecc.), che avrebbero influenzato la commissione giudicatrice”.

I personaggi citati sono tutti indagati nell’inchiesta su Infrastrutture lombarde – la società di Regione Lombardia che è stazione appaltante di Expo 2015 – che ha portato a otto arresti il 20 marzo scorso. “Le circostanze della dazione di denaro a fini di corruzione sarebbero altresì palesi da confessione resa dagli interessati, in particolare Enrico Maltauro e Angelo Paris”, scrivono i legali milanesi Sergio Colombo ed Elvira Poscio.

Le archietture di servizio di Expo consistono in bar, ristoranti, servizi igienici, spazi commerciali, assistenza, servizi per la sicurezza e così via. Le imprese che chiedono di prendere possesso dei cantieri al posto di Maltauro sono Costruzioni Perregrini srl di Milano (capofila), Panzeri spa, Milani Giovanni & C. srl. Alla gara indetta il 20 febbraio 2013 da Expo 2015 spa, questa Associazione temporanea d’imprese è arrivata seconda dopo il duo Maltauro-Cefla, con solo “lo 0,40% di sconto” in meno rispetto ai concorrenti, si legge nel ricorso, e un tempo di realizzazione inferiore di 31 giorni.

La chiave per rientrare nel business sta, secondo i legali, nel Protocollo di legalità siglato tra Expo 2015 e la Prefettura di Milano il 13 febbraio 2013, diventato parte integrante di tutti i contratti, proprio per – lo dice la parola stessa – evitare che gli appalti multimilionari dell’Esposizione universale finissero a ingrassare tangentisti e mafiosi. Anche Maltauro, per poter dare il via ai lavori, ci ha messo la firma. Il protocollo, sottolinea il ricorso al Tar, obbliga a “dare notizia al Prefetto e a Expo di ogni tentativo di condizionamento di natura criminale in qualunque forma esso si manifesti (richiesta di tangenti ecc.); di denunciare all’Autorità Giudiziaria ogni illecita richiesta di denaro (…) e ogni illecita interferenza nelle procedure di aggiudicazione, informandone la Prefettura ed Expo”.

Un pentito di mafia (a Roma) sta raccontando Carmine Fasciani

imageUn mafioso di Roma. Affiliato da Cosa nostra in Sicilia, ma diventato boss nella capitale dove per vent’anni ha rappresentato la famiglia di Siracusa e tenuto i rapporti con i clan locali. Uno che conosce a fondo i padrini che hanno messo le mani sulla metropoli e il suo litorale. E che due anni fa ha deciso di collaborare con le autorità. Sebastiano Cassia è di fatto il primo pentito della nuova mafia romana, che ha visto prosperare fino a prendere il dominio di interi quartieri.

La sua collaborazione è partita in modo rocambolesco. In pieno luglio si è presentato negli uffici della Squadra Mobile, chiedendo di parlare con Renato Cortese, il capo degli investigatori: «Aiutatemi, mi vogliono uccidere». Cassia è un cinquantenne che si sente finito: stufo di una vita di carcere e reati, pronto a dare prove in cambio di protezione. Si è accusato di estorsioni e commerci di armi. E gli agenti, dopo avere verificato le primissime rivelazioni, lo hanno portato davanti al procuratore Giuseppe Pignatone e al pm Ilaria Calò, che hanno messo a verbale le sue parole. Oggi la sua testimonianza è l’asse portante del grande processo per mafia che si celebra nell’aula bunker di Rebibbia.

Il cuore del suo romanzo criminale è Ostia, una città nella città, dove vivono centomila persone. Un territorio controllato da due organizzazioni. La più importante è quella di Carmine Fasciani, che guidava il suo clan anche dalla clinica dove scontava gli arresti, alleato con il napoletano Michele Senese. I loro complici-rivali erano i siciliani Triassi, messi da parte negli scorsi anni dalla brutale ascesa degli Spada. Il racconto del pentito parte dall’industria delle estorsioni, che sono diventate il sistema per lo sviluppo imprenditoriale dei nuovi boss. «I Fasciani subentrano nelle attività economiche di Ostia costringendo i titolari a cedere le aziende, chi si rifiuta viene pestato a sangue. Più che riscuotere il pizzo cercano di mettere “sotto botta” le vittime, per poi prendersi le loro attività: non gli interessa incassare 500 euro al mese, a loro interessa l’attività commerciale. Perché i Fasciani con tutti i soldi che hanno potrebbero pure fare a meno di chiedere il pizzo, ma lo fanno ad Ostia per ricordare a tutti il loro “titolo mafioso”»

Da leggere Lirio Abbate qui.

ExpoLeaks

A seguito dell’ondata di arresti avvenuti a marzo 2014 che ha coinvolto numerosi persone del circuito Expo, il paese è stato travolto dall’ennesimo scandalo di malagestione di opere pubbliche. È per questo che crediamo ci sia un reale bisogno di ExpoLeaks, un progetto che fonde giornalismo e tecnologia per favorire la trasparenza e contrastare la corruzione che danneggia l’imprenditoria onesta e la cosa pubblica.
ExpoLeaks è concepita per dare uno spazio a tutti coloro che sono coinvolti nella mostra universale, dai cittadini ai funzionari pubblici, dagli operai ai dirigenti, dai volontari agli imprenditori. Chiunque potrà ora condividere, in modo completamente anonimo e sicuro, informazioni e documenti relativi a possibili irregolarità e forme di illecito. Tutti i cittadini potranno così contribuire al corretto svolgimento dell’Esposizione Universale.

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Dove eravamo: ci vediamo venerdì

Schermata-05-2456058-alle-11.50.431Al Teatro Nebiolo, per l’ultimo appuntamento della stagione, si propone il recupero dell’incontro con presentazione del libro “Dove eravamo”. Vent’anni dopo Capaci e via d’Amelio” per ripercorrere quei tragici momenti, ma anche per riflettere su quanto è stato fatto e quanto ancora c’è da fare in Italia per contrastare le mafie.

Per l’ultimo appuntamento della stagione teatrale “Numerosette”, VENERDÌ 13 GIUGNO ALLE ORE 21:00, il Nebiolo rinnova l’appuntamento con il Centro di Documentazione per il Teatro Civile proponendo le venti testimonianze raccolte nel libro dello scrittore siracusano Massimiliano Perna, per ricordare i vent’anni dalla strage di Falcone e Borsellino. Ne discuteranno insieme al pubblico l’editore Alessandro Gallo, il curatore Massimiliano Perna e uno degli autori, Giulio Cavalli.

23 maggio e 19 luglio 1992: la mafia e i suoi complici di Stato uccidono Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, otto agenti delle scorte e Francesca Morvillo. L’Italia è in ginocchio, scossa, ferita. Sembra il colpo mortale alla speranza di battere la mafia. E invece c’è una cittadinanza che reagisce, c’è il coro “fuori la mafia dallo Stato” urlato di fronte alla cattedrale di Palermo, ci sono i fischi e gli insulti alle autorità, le lenzuola bianche, le associazioni antimafia. Dove eravamo noi in quel momento? Come abbiamo guardato al futuro, in che misura siamo cambiati e quanto le stragi del ‘92 hanno inciso sulla nostra vita e sulle nostre scelte? A vent’anni dagli attentati di Capaci e via D’Amelio, questo libro prova a raccontare quei giorni drammatici attraverso la testimonianza di chi li ha vissuti. Non solo familiari, magistrati, giornalisti, poliziotti, persone all’epoca già in prima linea nella lotta alle mafie, ma anche donne e uomini che, a partire da quei giorni, hanno iniziato, ognuno nel proprio ambito, a combatterle.

Il libro, edito da CARACO’, raccoglie accuratamente le testimonianze di venti protagonisti che raccontano le loro esperienze e i ricordi di ciò che è accaduto: Sonia Alfano, Salvatore Borsellino, Raffaele Cantone, Giuseppe Casarrubea, Giulio Cavalli, Lella Costa, Nando Dalla Chiesa, Pif (Pierfrancesco Diliberto), Maria Falcone, Antonio Ingroia, Pina Maisano Grassi, Pino Maniaci, Fabrizio Moro, Gianluigi Nuzzi, Moni Ovadia, Don Giacomo Panizza, Massimiliano Perna, Dario Riccobono, Renato Sarti, Salvo Vitale, I.M.D.

La ‘ndrangheta che fa politica

Concorso esterno in associazione mafiosa. E’ questa l’accusa rivolta all’assessore all’Agricoltura della Regione Calabria Michele Trematerra (Udc), indagato nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Catanzaro che stamani ha portato all’esecuzione di numerose perquisizioni. Gli indagati, una quindicina tra cui l’ex sindaco e un ex consigliere del comune di Acri, sono accusati di aver favorito la cosca Lanzino di Cosenza, nella sua articolazione territoriale di Acri guidata da Giuseppe Perri. Secondo l’accusa, gli indagati avrebbero condizionato enti pubblici quali la Regione ed il Comune “avvalendosi dell’apporto di figure istituzionali quali l’assessore al ramo Michele Trematerra e l’ex sindaco Luigi Maiorano”. 

In particolare l’assessore Michele Trematerra, è accusato di avere posto in essere una serie di “condotte materiali e procedimentali amministrative a favore dell’associazione” mafiosa dei Lanzino ed in particolare a “favore degli imprenditori facenti parte della cosca e delle rispettive società”, oltre che a favore dell’ex consigliere comunale Angelo Gencarelli. La Dda contesta fatti avvenuti nel periodo tra il 2010 ed il 2013.

(link)

A proposito di Barbara Spinelli: la lettera di Marco Furfaro

Voglio fare un inciso: conosco Marco e lo ritengo un ottimo e etico ragazzo e un ottimo politico. Ecco cosa ha scritto:

Fare il parlamentare europeo, non lo nego perché non sono ipocrita, sarebbe stato un sogno. Ma la politica, fatta da soli sotto una campana di vetro, isolati dal mondo e da tutti, non vale niente. Per questo l’affetto, il sostegno e la stima che ho ricevuto in queste ore vale e varrà sempre di più di un seggio.

In un momento di crisi totale della politica e della sua credibilità, in cui da destra a sinistra si continua a sancire che si può dire una cosa e fare l’esatto opposto, mi riempie di orgoglio sapere che i miei comportamenti, tesi ad affermare il contrario, siano così ripagati in queste ore.

Quello che è successo nelle ultime ore lo sapete tutti. Sono amareggiato, non lo nascondo. Ma non è la cosa che conta in questo momento. Voglio dirlo con forza: non importa.

Non importa se sono, anzi, siamo, perché con me c’era un’altra persona, Eleonora, stati trattati come carne da macello in questi giorni. Senza nessuna cura per le persone in una lista che recitava “prima le persone”. Non importa se in quasi 15 giorni non abbia ricevuto né telefonate né mail né nient’altro da Barbara Spinelli per comunicarmi ripensamenti o altro. Non importa se nessuno, nemmeno uno, dei garanti abbia avuto l’eleganza di farmi una telefonata. Non importa se circa 48 ore fa mi hanno chiamato alle 2 di notte per comunicarmi di “dormire tranquillo, Barbara ha mandato una lettera ufficiale, ha rinunciato, dobbiamo solo limare un punto, ma sei europarlamentare” e poi nessuno mi ha comunicato cosa fosse successo dopo. Non importa se si potrebbero dire tante cose sulle preferenze e su chi ha deciso di darle a chi aveva chiesto un voto per il progetto politico e non per se stessa. Non importa se sono andato in tv per otto giorni come “eletto” perché mi rassicuravano dicendomi “tranquillo, facciamo una cosa con voi, Moni Ovadia e Barbara Spinelli” in cui si passi pubblicamente il testimone. Non importa se Barbara Spinelli non si è sognata di presentarsi a un appuntamento post-elettorale o a un’assemblea come quella di sabato pomeriggio che le ha chiesto un confronto. Non importa se una decisione, che non riguardava me, ma un processo politico, una comunità, una speranza, è stata sequestrata, fatta in stanze sconosciute, sotto campane di vetro e in una logica proprietaria. Non importa.