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Agosto 2014

Bentornati dalle vacanze: morto un operaio

Un operaio è morto nel crollo avvenuto in un cantiere di costruzione di una fognatura a La Cassa, nel torinese. L’incidente è avvenuto in borgata Mattodera. Sul posto sono intervenuti i carabinieri, il 118 e lo Spresal dell’Asl di Zona.

Io non so se succede anche a voi di sognare una politica che stupisca senza effetti speciali o grandi proclami ma semplicemente intervenendo prima che sanguini una tragedia abbastanza copiosamente per diventare un caso. Ecco, le morti bianche ce le abbiamo sul tavolo da qualche decina d’anni, ma niente.

Nun c’è niente de più bello

Nun c’è niente de più bello de na persona in rinascita. Quanno s’ariarza dopo na caduta, dopo na tempesta e ritorna più forte e bella de prima. Con qualche cicatrice in più ner core sotto la pelle, ma co la voglia de stravorge er monno, anche solo co un sorriso.

(Anna Magnani)

Perché produrre con noi “L’amico degli eroi” secondo Carla

berlusconi-mangano-dellutriCarla ci scrive i motivi che l’hanno spinta a coprodurre con noi il progetto “L’amico degli eroi”. Se volete (e potete) darci una mano potete farlo anche voi qui.

Teramo, 23 agosto 2014

Ciao Giulio, sono passate circa due settimane dalla mail con cui chiedevi di scrivere o registrare il perché dell’adesione alla tua produzione sociale “L’amico degli eroi”. Ho provato a farlo in video, ma per ora non viene bene. Riproverò. Forse con le citazioni ho appesantito il mio discorso. Porta pazienza: è deformazione professionale… ed anche un po’ timore che le mie sole parole non bastino a rendere l’idea. Ed allora ecco:

aderisco ai contenuti, alla rabbia, all’indignazione, ai modi, ai toni, al colore, al desiderio, che vedo nel tuo impegno e che per me sono i presupposti per la costruzione di una nuova antropologia: “Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.” (Pier Paolo Pasolini)

aderisco soprattutto al COME di questo progetto. Mi riempie di gioia leggerti quando dici “Ho scritto e detto dappertutto che il lavoro vogliamo svolgerlo insieme a tutti i nostri produttori, quindi voi, e insieme raccoglieremo tutti gli eventuali suggerimenti e eventuali critiche”. Trovo sia un grande salto quantico. E’ quello che si chiama “coevoluzione”. La diponibilità, l’apertura all’altro sguardo, la fatica che ne consegue rappresentano il tipo di esperienza che dovremmo imparare a vivere. “Sta diventando generale, ai nostri tempi, una grottesca incapacità dell’intelletto umano a intendere che la vera garanzia della propria persona non si raccomanda già agli sforzi dell’individuo isolato, ma all’universale comunanza umana”. (Fëdor Dostoevskij)

aderisco alla grande voglia di futuro che si respira sempre nelle tue storie e che mi aiuta a riflettere sulle bugie che ci raccontiamo: quelle piccole e quotidiane, quando la vita ci dice di andare avanti ma noi ci fermiamo per paura pigrizia opportunismo o quando c’invita a respirare consapevolezza davanti al bivio per evitare l’inerzia; quelle grandi e collettive, quando scegliamo di fingere di non vedere oppure di opporci. Aderisco alla tua “finzione” (non fiction) perché ho imparato che certe volte fingere serve ad opporsi. “Insomma, gli era presa quella smania di chi racconta storie e non sa mai se sono più belle quelle che gli sono veramente accadute e che a rievocarle riportano con sé tutto un mare d’ore passate, di sentimenti minuti, tedii, felicità, incertezze, vanaglorie, nausee di sé, oppure quelle che ci s’inventa, in cui si taglia giù di grosso, e tutto appare facile, ma poi più si svaria più ci s’accorge che si torna a parlare delle cose che s’è avuto o capito in realtà vivendo.” (Italo Calvino)

aderisco alla felicità di portare nel tuo progetto il mio “sacro poco”, che non è “poco sacro”. “è come andare per il mondo incinti di quello che il mondo, di fatto, al momento, non è, non sa, non può” (Luisa Muraro). Buon lavoro e spero a presto. Ma, soprattutto, Grazie della tua fiducia.

L’educazione camorrista

Un articolo da tenere di Giovanna Sorrentino per “Il Mattino”:

Torre Annunziata. «Se non stai zitto ti sparo al petto», si sente urlare per gioco da un bambino al suo cuginetto. Parole dette a gran voce nel cortile interno di Palazzo Fienga, torre di guardia del clan Gionta a torre Annunziata. Tre bambini giocano con pistole e mitra giocattolo, seduti sulle scale situate di fronte all’entrata principale. Francesco prende in giro Nicola chiamandolo «femminuccia» perché ha paura di un cane. Nicola risponde all’offesa puntandogli la pistola contro. «Stai zitto, o ti sparo».

Tutti i bambini del mondo giocano con le armi per imitare le scene dei film. Pochi però, hanno visto davvero un adulto puntare una pistola contro qualcuno. E loro, i piccoli che vivono a Palazzo Fienga, sono tristemente abituati a queste scene di violenza. Crescono nei rioni dimenticati, dove spaccio e cultura del crimine sono la faccia della camorra vera, chiusa nelle quattro mura di una roccaforte pericolante.

A raccontare le loro storie sono i volontari dell’oratorio dei Salesiani, ad sempre in trincea per strapparli in tempo alla morsa della malavita. Babypusher, vedette della droga: queste le loro mansioni. Fin dai primi anni di età vengono portati sui luoghi degli agguati perché devono abituarsi alla violenza.

Di notte spesso si svegliano di soprassalto perché i militari fanno irruzione nelle loro case: gli portano via i genitori, perché accusati di essere camorristi. «È capitato che le forze dell’ordine siano entrati nelle loro stanze mentre dormivano, rovistando sotto i loro cuscini alla ricerca di armi o droga. Per loro questo diventa un trauma – racconta Luciano Donadio, coordinatore dell’oratorio dei Salesiani nella Basilica della Madonna della Neve, a pochi metri da Palazzo Fienga.

Verso i sette anni arriva la prima responsabilità: devono girare per i quartieri dello spaccio a controllare se arrivano le “guardie”. Non possono avvicinarsi alle forze dell’ordine per accettare regali, altrimenti vengono etichettati come “venduti” dai più grandi. Verso i 14 anni imparano a sparare dove nessuno li vede».

Scegliere la cattiva strada però, spetta a loro. «I genitori non li obbligano a prendere quella sbagliata – prosegue Donadio – se la trovano davanti e non hanno niente da perdere, perché hanno perso già tutto. Devono solo conquistare qualcosa: il bene o il male». I soldi facili, la sensazione di «grandezza» che si prova quando il rispetto è dovuto perché si è figlio o il nipote del boss: questi i motivi che portano i ragazzi a seguire la via della criminalità, nei quartieri senza futuro.

Ndrangheta in Svizzera. Ovviamente.

Svolgeva indisturbata i propri traffici da 40 anni in Svizzera, ma conservava un rigido legame con la base in Calabria, la cosca scoperta dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria che hanno dato esecuzione ad un provvedimento di fermo della Dda nei confronti di 18 persone con l’ausilio delle autorità elvetiche.

L’organizzazione criminale operava nella città svizzera di Frauenfeld, capoluogo del Cantone elvetico di Turgovia. Dalle indagini è emerso che l’organizzazione, legata al “locale” di Fabrizia (Vibo Valentia) ed ai Mazzaferro di Marina di Gioiosa Ionica, è di fatto un clone del modello calabrese ed è strettamente dipendente con l’organismo di vertice in Calabria. Anche dal punto di vista gerarchico, la cosca svizzera ha riprodotto la struttura calabrese con riferimento a ruoli, cariche e gradi ed agli incontri in “società” con le stesse modalità, formule e rituali. 

C’era dunque una suddivisione “verticale” tra “maggiore” – di cui fanno parte gli esponenti più anziani e con pregressa militanza nelle cosche reggine – e la “minore” di cui fanno parte gli esponenti di più recente affiliazione. Nel corso delle riunioni, il presunto boss Antonio Nesci impartiva le disposizioni per la conduzione delle attività illecite, incitando i più giovani ad occuparsi del traffico di droga (“chi vuole lavorare può lavorare, c’è il ‘lavoro’ su tutto: estorsioni, coca, eroina! 10 chili, 20 chili al giorno ve li porto io! Personalmente!” – si sente nelle intercettazioni). Altri riferimenti ad attività delittuose sono emersi dalle intercettazioni, quando i presenti facevano riferimento ad altri “locali”, a ‘ndrine ed a regole mafiose, a contrasti con altri “locali”, alla dipendenza da Fabrizia, ad omicidi ed estorsioni la cui decisione era demandata a chi disponeva di cariche speciali (“se dobbiamo parlare di omicidi, di estorsioni, ci riuniamo quei tre, quattro, cinque, come ho sempre detto”).

Le indagini dei carabinieri hanno consentito di individuare associati, ruoli e cariche, ma, soprattutto, di verificare la dipendenza della cosca dal “Crimine” calabrese grazie a Giuseppe Antonio Primerano, indicato come il capo del Locale di Fabrizia e dipendente dal “Crimine” Domenico Oppedisano, già coinvolto nell’inchiesta denominata, appunto, “Crimine” nel cui contesto è stato condannato a 13 anni di reclusione per associazione mafiosa. Da quella indagine, secondo l’accusa, era emerso il ruolo apicale di Primerano e la sua influenza nella risoluzione delle controversie criminali, anche internazionali. E proprio a Primerano, Nesci doveva far riferimento per ottenere l’autorizzazionead estendere il dominio territoriale anche in altre località tra cui Singen – comune tedesco del Baden – Wuttemberg. E dopo il suo arresto gli affiliati svizzeri avevano dato il via ad una colletta per la sua famiglia.


L’operazione, denominata “Helvetia”, è stata avviata la notte scorsa quando i carabinieri hanno avuto conferma della presenza in Calabria di Antonio Nesci in compagnia di Raffaele Alòbanese, di 60 anni, anch’egli sottoposto a fermo.

(link)

Sulla codardia e vigliaccheria dei mafiosi

Un bell’articolo di Giorgio Bongiovanni:

Colgo l’occasione per esprimere una volta per tutte un concetto basato su fatti conosciuti a tutti: la mafia è vigliacca, gli uomini mafiosi sono assassini e codardi, individui che hanno paura.
I mafiosi, com’è noto, hanno una gerarchia militare, per esempio Cosa Nostra si divide in soldati, capidecina, capi famiglia e capi mandamento facenti parte della cosiddetta Cupola, fino ad arrivare a Totò Riina, capo dei capi. Ebbene tutti loro, nessun grado escluso, sono un branco di vigliacchi e codardi. Anche lo stesso Leoluca Bagarella, considerato un mito tra i killer di Cosa Nostra perché autore di centinaia di omicidi, rientra in questa categoria. Quasi mai questi soggetti hanno affrontato le loro vittime ad armi pari dimostrando il coraggio di affrontarle faccia a faccia, come in un vero duello. Basti pensare che per uccidere un solo uomo, solitamente i mafiosi preparano un gruppo di fuoco composto da almeno cinque killer.

Con il termine duello intendo, come raccontano la cultura e la storia, un modo di confrontarsi di due nemici che alla fine non potendo più tollerarsi vicendevolmente arrivano alla sfida diretta. Un metodo violento di confronto, che porta alla morte dell’avversario, ma senza dubbio più nobile e corretto dei metodi usati dalla mafia per eliminare i propri nemici. Vince il più forte sia esso più rapido con la pistola o con la spada. Diversamente, invece, negli omicidi di mafia i killer uccidono a tradimento, alle spalle, senza nemmeno dare la possibilità alla vittima di difendersi. Come è successo ad esempio, nelle stragi del ’92 o nell’assassinio del Generale dalla Chiesa entrambe esecuzioni a tradimento. Fu necessario, al boss Nino Madonia, un agguato per uccidere a colpi di kalashnikov il Generale e sua moglie Emanuela Setti Carraro, morta con lui, mentre percorrevano via Isidoro Carini, seguiti dall’agente di scorta Domenico Russo. Colpire alle spalle con questa azione vigliacca era l’unico modo, perché non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare il Generale faccia a faccia. Così come Aldo Ercolano che colpì alla nuca, da dietro, con cinque colpi di pistola il giornalista Pippo Fava mentre stava andando a prendere sua nipote a teatro e poi fuggì, senza che Fava avesse il tempo di capire chi gli aveva sparato.
Tutte le mafie, da Cosa Nostra, all’Ndrangheta, dalla Camorra alla Sacra Corona Unita, fino alle più grandi organizzazioni criminali internazionali del Latino America, come Los Zetas (narcos messicani, ndr) hanno come denominatore comune ammazzare a tradimento, con vigliaccheria.
Quindi mi rivolgo ai giovani di tutta Italia e del mondo: State sempre lontani da questa gente. Non solo perché sono mafiosi e criminali ma anche perché sono gente senza onore, senza anima e soprattutto non è vero che sono coraggiosi. Hanno dalla loro parte l’alto senso della criminalità, questo è vero, il fatto che sono sanguinari, ma non sono leali, né sinceri, non sono altro che codardi e vigliacchi e per usare una frase storica di Leonardo Sciascia Sono nient’altro che dei quaquaraquà.

Soldi a forme di case

Ormai sono anni che parlo di ambienti sfigurati da soldi che hanno bisogno di assumere una forma qualsiasi, l’importante è che non abbiano la forma e l’odore dei soldi.
Bene, i soldi a forma di case trovano uno degli esempi (e degli scempi) peggiori nel piccolo comune di San Giovanni in Marignano:

La costruzione di centinaia di nuovi appartamenti è quello che i cittadini di San Giovanni in Marignano, piccola città nella provincia di Rimini, potrebbero vedere approvare oggi (18 agosto) dal loro consiglio comunale. Un piano particolareggiato, il cosiddetto “Compartone”, che prevede su una superficie territoriale complessiva di quasi 120 mila metri quadrati, la realizzazione di 333 unità immobiliari fra alloggi privati ed edilizia residenziale pubblica, suddivisi in fabbricati di diversa tipologia. Un progetto da capogiro, per di più da realizzare nel pieno centro urbano dove ci sono già numerose case sfitte o invendute, per una cittadina che conta appena 9mila abitanti.

Temete i fragili perché siete codardi

Dunque Robin Williams si è suicidato perché depresso ed era depresso perché non aveva niente a cui pensare perché ricco. Funziona così: è ‘casta’ qualsiasi cosa possa meritare invidia in una società costruita sulla bile. E intanto siamo un posto (niente di più, davvero, è la parola più dignitosa da spendere, postoincapace di cogliere la depressione come malattia. Sei depresso? è un tuo vizio, niente di più. Anzi, beato te che hai il tempo per deprimerti come se la depressione fossero avanzi che sbrodolano per forza dal superfluo. Eppure, udite udite, sono stato depresso anch’io. Mica poco. O almeno abbastanza da temere di esserlo ancora, come tutti i depressi di questo mondo. Niente di scritturabile come sceneggiatura di successo a puntate on demand ma so bene che odore ha questa stanchezza piena di sensi di colpa subito alla prima mattina o questa poca voglia di parlare con chiunque non sia lontano poco più di un metro dal proprio letto. Ho pensato alle cose peggiori, quelle che farebbero così comodo ad alcuni mafiosi, alcuni antimafiosi e i loro padrini politici e ho perso importanti occasioni della vita. Ho perso delle elezioni. Le ultime, quelle del dopo Formigoni, schiacciato tra l’elettricità di una sfera personale in piena ebollizione e un mondo politico lombardo che inseguiva il marchio pulito per nascondere la merda bipartisan. Ho perso amici, una caterva, quintali di persone vicine a cui non sono riuscito nemmeno a dire un grazie, un aspettami che poi ritorno oppure semplicemente una richiesta di aiuto.  Ho avuto il corpo e la bocca fermi mentre nel cervello passavano tutte le cose che avrei dovuto fare o dire almeno per essere educato (per chi, poi?) mentre guardavo scivolare via un aperitivo od una riunione come se fosse un brutto film in seconda serata, da spettatore passivo. Ho nascosto la malattia per la paura di sembrare un debole mentre nascondevo il marcire nelle mie debolezze. Ho urlato senza senso e poi mi sono frollato nei miei sensi di colpa, e poi ancora mi sono ucciso per il mio senso di soddisfazione nel sentirmi in colpa e poi ancora mi sono sentito in colpa per il mio stupido modo di sentirmi in colpa. Ho visto nero, dappertutto, contando le briciole degli altri per difendermi dai miei buchi che sanguinavano in giro. Sono stato depresso, insomma, depresso tutto per bene con la malattia nascosta a tutti come fanno i depressi che si convincono di farcela da soli almeno per non doverlo raccontare a nessuno.

E allora?

E allora ho pensato che non sopporto un posto (appunto) ed un momento in cui temete i fragili perché siete codardi. Perché temete di non avere energie anche per loro come se ci fosse una competizione tra malati e sani. Ho pensato che una malattia non curata per ignoranza piuttosto che per incuria è una malattia che pesa come l’onta di un peccato mortale. Mi sono detto che non avrei perdonato la superficialità con cui si affibbia a qualcuno una depressione per vizio e l’avrei combattuta tutte le volte. Con la fierezza di essere fragile. Anzi: di essere stato fragile sapendo che lo potrei essere di nuovo ogni altro momento della mia vita. E rivendico il diritto di essere debole. A tratti. Perché per qualcuno il riposo è la cura di una malattia e voglio un paese che mi accudisca. Sì. Prendendosi cura delle fragilità come un bene prezioso.

artisti minuscoli: Gabry Ponte

La gente è superba soltanto quando ha qualcosa da perdere, e umile quando ha qualcosa da guadagnare.
Henry James, L’americano, 1877


Da leggere anche le considerazioni giuridiche di Guido Scorza qui.