Vai al contenuto

Luglio 2015

EXPO col trucco: i numeri si smentiscono da soli

expoIl commissario Giuseppe Sala continua a mentire sui numeriExpo. “C’è trasparenza totale”, dichiara. Ma su quanti sono i visitatori c’è il buio più fitto. Pubblichiamo dunque i file degli ingressi giorno per giorno di maggio e giugno. Dimostrano lafalsificazione dei dati. Sala ha dichiarato che a maggio erano 2,7 milioni, invece sono 1.927.600 (772.400 in meno). A giugno 3,3 milioni, invece sono 2.258.450 (1.041.550 in meno). I dati che pubblichiamo sono comunque “expottimisti”, perché i tornelli registrano democraticamente anche chi lavora nel sito, gli addetti ai padiglioni, i volontari, i vigilanti e gli omaggi: sono almeno 10 mila persone al giorno, circa 300 mila ingressi al mese. Tolte queste, i visitatori veri, quelli che pagano un biglietto, non sono più di 1,6 milioni a maggio e 1,9 a giugno: non più di 3,5 milioni nei primi due mesi di Expo.

Dopo i primi dati diffusi dal Fatto quotidiano, mentre i giornaloni restavano zitti e facevano finta di non vedere e non sentire, la politica si è decisa a chiedere a Sala la verità sugli ingressi Expo, un dato difeso come si trattasse di un segreto politico-militare.Il presidente del Consiglio comunale di Milano, Basilio Rizzo, ha scritto una lettera al prefetto, chiedendo quanti siano davvero i visitatori. Alle richieste di trasparenza si sono via via aggiunti i rappresentanti di Forza Italia e di Alleanza nazionale. Ora si sta muovendo anche la Lega: l’avvocato Domenico Aiello, che rappresenta Regione Lombardia nel consiglio d’amministrazione di Expo spa, uomo di fiducia del presidente Roberto Maroni, ha chiesto di mettere all’ordine del giorno del prossimo cda, il 21 luglio, anche “l’andamento ingressi (articolo apparso sul Fatto, in ordine alla polemica del consigliere Rizzo)”. Che cosa risponderà Sala al rappresentante della Regione, che con il Comune di Milano è il grande azionista di Expo? Continuerà a dire che va tutto bene? Negherà i dati veri anche al cda? Maroni mostra segni d’insofferenza nei confronti di Sala anche a proposito di altre tre questioni, sulle quali ha chiesto di fare chiarezza nel prossimo consiglio d’amministrazione: quella delle bonifiche (non fatte?) dei terreni Expo, come denunciato in una lettera al presidente della Regione inviata dal gruppo Cinquestelle al Pirellone; quella dell’affidamento senza gara a Oscar Farinetti (Eataly) dei ristoranti regionali dell’esposizione; e quella dell’assemblea nazionale del Pd che si terrà dentro Expo. Sala ha già risposto sull’assemblea Pd: “I regolamenti non prevedono alcun divieto di ospitare all’interno del sito espositivo, in idonea location, il congresso di un partito. Non vi è pertanto la base legale per rispondere negativamente alla richiesta, dal momento che saranno applicate le tariffe normalmente corrisposte per i numerosissimi soggetti che hanno già organizzato o programmato appuntamenti nel corso dei sei mesi dell’Esposizione Universale. Tutti i partecipanti inoltre acquisteranno regolarmente i biglietti di ingrasso ad Expo 2015”. Così: Sala scrive freudianamente “ingrasso” invece che “ingresso”. Poi cita i già avvenuti o programmati convegni di Confindustria, Coldiretti, Confagricoltura, Consob e Caritas. E rivela che il Pd pagherà per l’auditorium 20 mila euro al giorno, per gli allestimenti e il catering tratterà “direttamente con il gestore dello spazio (Fiera Milano-Mico)”. E i biglietti li acquisterà “da nostri rivenditori”. Non dice però a quanto.

Intanto i supersconti continuano. Biglietti addirittura gratis per chi ha un imponibile inferiore ai 10 mila euro, con accredito attivo da ieri sul sito dell’Inps. Trenitalia partecipa alla promozione offrendo agli accreditati biglietti a metà prezzo su Frecce o Intercity per Milano. “I visitatori”, ha dichiarato Sala, “non sono inferiori alle attese”. Veramente arduo da dimostrare, visto che le previsioni erano di 4,1 milioni per maggio e 4,7 per giugno. Luglio sta andando anche peggio. E l’imbarazzo sta contagiando anche gli amministratori pubblici (Atm trasporti, Ansa rifiuti, Trenord treni regionali…) costretti a organizzare i servizi sulla base di dati drogati. Grave soprattutto la situazione di Trenord, che ha ridotto i servizi ai pendolari per mandare a Expo treni che arrivano e ripartono sempre vuoti.

(Pubblicato il 16 luglio 2015 su IlFattoQuotidiano)

Crocetta: l’intercettazione che non esiste e nessuno che smentisce

Scrive bene Luca Sofri qui:

crocetta-espressoMartedì un articolo di Fanpage che al momento non è stato smentito e contraddetto da nessuno, proponendosi come molto informato sulla genesi dello “scoop” dell’Espresso e vicino a fonti intime di quella storia, ha detto una cosa che improvvisamente – non del tutto improvvisamente: l’avevamo cominciata a mettere in conto qui – pone un’altra questione, che non riguarda né Crocetta né la Sicilia né il PD: riguarda come funziona lo Stato italiano, e tutti quanti.
Quella ricostruzione dice infatti che “apparati dei carabinieri” avrebbero autonomamente e illecitamente compiuto quella – solo quella? – intercettazione, a prescindere da un’autorizzazione di un magistrato. È una cosa di una gravità spaventosa.

Secondo quanto riferiscono fonti vicine ai Carabinieri quelle intercettazioni sarebbero state realizzate da apparati che si sono mossi prima dell’autorizzazione da parte del giudice. In altri termini si tratterebbe di un’intercettazione acquisita in maniera irregolare e, pertanto, mai annessa agli atti.

Ovvero, è passata una settimana in cui sull’esistenza di quell’intercettazione non solo non ci sono state risposte chiare e restano due versioni apparentemente opposte (L’Espresso e la Procura di Palermo), ma nessuno su giornali e media sembra più interessato a cercare delle risposte: leggete gli articoli e i commenti e troverete ovunque espressioni variabili di dubbio o incertezza sull’autenticità della storia dell’Espresso, ma neanche uno che – come ha fatto Fanpage – sembri interessato a capire e spiegare la verità, lavoro presunto dei giornalisti.
E in questo contesto arriva la ricostruzione di Fanpage, con una sua logica interna e non contraddetta da niente e nessuno (per esempio non dall’Espresso così intimamente tirato in ballo), e quella ricostruzione passa nelle redazioni e nel dibattito come un soffio di vento, non percepito. Nessuno la definisce falsa come meriterebbe se lo fosse, nessuno la assume come vera facendola diventare il caso che meriterebbe se lo fosse, nessuno va a verificarla e approfondirla. Nessuno ne chiede al procuratore Lo Voi. Nessuno chiede a Fanpage di confermare queste informazioni.

Nelle quali si dice che ci sono persone nei carabinieri che registrano illecitamente delle telefonate di uomini politici, e poi fanno arrivare il contenuto di quelle telefonate ai giornali, ottenendone lo screditamento e forse la fine politica. E nessuno se ne allarma, si direbbe: sono tutti impegnati a dare e fare interviste sul futuro politico di Crocetta o sui suoi struggimenti personali.

Ed è per questo che Lo Voi afferma il vero quando dice che quell’intercettazione non esiste. Perché in Procura, a Palermo, quell’intercettazione non è mai arrivata (e nemmeno a Caltanissetta). O meglio, non esiste agli atti ma qualcuno ne ha custodito copia fino al 16 luglio scorso, giorno in cui “facce che non si vedevano a Palermo dai tempi di Andreotti” sono intervenute per assicurarsi che quel nastro – ottenuto chissà come – non fosse più disponibile.

Il risultato è che noialtri che non ci informiamo solo sui giornali più famosi o dai telegiornali oggi abbiamo una risposta sola alla domanda “esiste o no quell’intercettazione?”. È la risposta data da Fanpage e immaginata qui. Che sia la risposta giusta non lo sappiamo: ma che sia sbagliata non lo ha sostenuto nessuno, finora.
E se è giusta è abbastanza terrificante.

Crocetta e l’intercettazione che non esiste: vuoi vedere che avevamo ragione noi?

Ne scrivevamo giusto ieri e sul Corriere  della Sera di oggi esce un’intervista che vale la pena leggere:

Nell’ufficio al secondo piano del palazzo di giustizia — dove i suoi predecessori hanno affrontato decenni di stragi, delitti, misteri e veleni — il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi si dice sorpreso per la vicenda dell’intercettazione fantasma contro l’ex assessore alla Sanità Lucia Borsellino, che rischia di travolgere il governo regionale guidato da Rosario Crocetta.
Che cosa c’è che non va, procuratore? 
«Mi dispiace constatare che, ferma restando la libertà di stampa e il diritto-dovere dei giornali di esercitare il controllo su ogni tipo di potere, compreso quello giudiziario, ci siano ancora molti che continuano a credere all’esistenza di un’intercettazione nonostante le ripetute smentite di un organo dello Stato come la Procura della Repubblica che ho l’onore di guidare, dopo lo svolgimento di accurati accertamenti le cui conclusioni mi sono state consegnate per iscritto. Forse è la conseguenza della tormentata storia vissuta da questo Paese, ma siamo al di fuori della fisiologia dei rapporti istituzionali».
Però L’Espresso conferma, e le intercettazioni agli atti non sono indicative di buoni rapporti tra alcuni indagati e Lucia Borsellino. 
«Certamente le registrazioni che abbiamo a disposizione dipingono un clima di ostilità nei confronti di Lucia Borsellino, nonché i motivi di disagio che l’hanno spinta alle dimissioni. Ma proprio il fatto che abbiamo dovuto ricostruire quel contesto attraverso una faticosa opera di connessione e incastro fra tanti discorsi spezzettati nel tempo è un’ulteriore conferma che l’intercettazione di cui tanto di discute non esiste».
Perché? 
«Se fosse esistita l’avremmo certamente utilizzata nel procedimento, perché nei termini in cui è stata diffusa sarebbe stata la dimostrazione plastica dei rapporti difficili all’interni del sistema sanitario regionale. Avrebbe fatto comodo alla tesi dell’accusa, ma non c’è».
Senza la rivelazione di quel presunto colloquio, però, il caso Crocetta-Borsellino non sarebbe esploso nei termini dirompenti che invece ha avuto. 
«È vero, e anche questo dovrebbe essere motivo di riflessione. La lettera di dimissioni consegnata venti giorni fa da Lucia Borsellino era stata trattata come polvere nascosta sotto il tappeto. Ed è il sintomo di un’altra anomalia italiana».
Quale? 
«La tentazione di agganciare ogni tentativo di ribaltamento degli equilibri politici a qualche iniziativa della magistratura; come se la politica avesse sempre bisogno di un appiglio giudiziario a cui attaccarsi, prima di muoversi. Talvolta anche aggrappandosi a fatti inesistenti, come in questo caso. È una situazione che si protrae da tempo, anch’essa indice di rapporti istituzionali alterati; se si vuole modificare un determinato quadro politico, a livello nazionale o locale, lo si faccia, ma senza tirarci in ballo».
Sta denunciando l’ennesima delega della politica alla magistratura? 
«Che la magistratura sia stata caricata di compiti di supplenza è una realtà sotto gli occhi di tutti. Ma non si può pretendere che svolgiamo questa supplenza su questioni tipiche della politica, come il mantenimento o meno della maggioranza a sostegno di un governatore regionale».
Dunque dovreste porvi il problema delle conseguenze delle indagini? O, come in questa vicenda, delle smentite? 
«Credo che dobbiamo essere attenti alle conseguenze della nostra attività, come auspicato dal vice-presidente del Csm Legnini, ma anche a non farci condizionare da esse nello svolgimento del nostro lavoro. Come sostiene autorevolmente il procuratore di Roma, che di recente ha guidato inchieste che hanno provocato non pochi effetti collaterali sul piano politico, il nostro compito è fare indagini e processi, non altro. Senza doppi fini. E senza intenti pedagogici, aggiungo io».
La smentita dell’intercettazione dello scandalo, tuttavia, è un sostegno alle tesi del governatore Crocetta, che immagina complotti ai suoi danni. 
«Non è corretto interpretare un intervento dovuto, proprio per l’oggettiva rilevanza del caso, a favore o contro qualcuno. Ho ritenuto di dover dare un contributo di verità, mettendo a disposizione di tutti un dato oggettivo: quell’intercettazione non esiste agli atti di questa Procura. In nessuna forma: registrata, trascritta o riassunta. Quanto alle ipotesi, sono poco incline a credere ai complotti. Abbiamo aperto un’indagine per verificare se sono stati commessi dei reati, e tentare di mettere un po’ d’ordine. Credo che lo dobbiamo anche alla famiglia Borsellino».

Ha verificato se l’intercettazione è agli atti di altri uffici? 
«No, perché non è mio compito. Del resto se un procuratore venisse a chiedermi cosa c’è nei miei fascicoli avrei buon gioco a rispondergli che non sono affari che lo riguardano. In ogni caso L’Espresso ha ribadito che l’intercettazione sarebbe stata registrata in un’indagine palermitana, e io non posso che confermare la smentita».

Quanto durerà l’indagine? 
«Il tempo necessario. L’ufficio si sta dedicando con ritrovato e rinnovato e impegno al contrasto di fenomeni criminali di ogni tipo, da Cosa nostra ai reati contro la pubblica amministrazione. Tuttavia non mancheremo di dedicare le dovute energie a questo accertamento».

Crocetta: ognuno ha le fonti che si merita (e forse nemmeno più le prove)

intercettazioni-telefoniche-strumentoMolti mi chiedono un parere sull’intercettazione che non si trova. L’Espresso non pubblica l’audio perché non ce l’ha. E quell’intercettazione non è nemmeno tra gli atti secretati: al massimo era “fuori dai termini” e chi l’ha fatta ascoltare (anzi: l’ha addirittura “dettata” al telefono) al giornalista sembra non volerla esibire. Anzi, qualcuno dice che non esiste più. Con i colleghi di Fanpage abbiamo provato a fare il punto qui.

Il lodigiano che si finge ‘ndranghetista

5E3F51E2-14C0-11

Prima avrebbero cercato di fare affari con lui, proponendogli di creare insieme una medaglia celebrativa dell’Expo da immettere in commercio. Poi avrebbero cercato di estorcergli 100mila euro con la minaccia di una pistola. Soldi che la vittima, un collezionista di filatelia e numismatica di 57 anni di Pavia, avrebbe dovuto consegnare nel giro di 15 giorni. Uno dei ricattatori, per essere più convincente, avrebbe anche millantato di essere un affiliato alla ’ndrangheta del clan dei Papalia e quindi persona da temere. Ma il ricatto si è infranto contro la denuncia della vittima. E ieri mattina all’alba i carabinieri del nucleo investigativo provinciale di Pavia hanno arrestato Luca Condò, 34 anni, di Giussago, e Franco Bisi, 37 anni, di Valera Fratta, in provincia di Lodi. Il provvedimento nei confronti dei due indagati, che devono rispondere di tentata estorsione, è stato firmato dal gip Erminio Rizzi e chiesto dal sostituto procuratore Mario Andrigo, che ha coordinato le indagini.

La vittima, per altre vicende giudiziarie, era stato in carcere nel 2013, a San Vittore a Milano. Qui aveva conosciuto Condò, che si trovava agli arresti per reati contro il patrimonio. Terminato il periodo di detenzione, i due hanno modo di incontrarsi e la vittima decide di coinvolgere l’amico nel progetto che prevede la realizzazione di una medaglia celebrativa per Expo. Condò, dal canto suo, ci avrebbe messo le sue conoscenze: l’uomo, infatti, vanta amicizie importanti. Tra queste, Franco Bisi, che sostiene di conoscere chi avrebbe potuto sostenere il progetto. E infatti l’uomo, secondo quanto accertato dai carabinieri, avrebbe messo in contatto in seguito la vittima con esponenti del comitato organizzativo di Expo.

A maggio la vittima va nell’abitazione del compagno di cella, a Giussago. Ma in seguito viene portata in aperta campagna. Qui Condò, insieme a due persone non ancora identificate, sotto la minaccia di una pistola gli avrebbe chiesto 100mila euro e due orologi preziosi, da consegnare nel giro di due settimane. Denaro destinato, secondo l’accusa, in parte anche a Bisi. Un ricatto al quale la vittima non ha ceduto. La sua denuncia ha messo in moto le indagini coordinate dalla procura guidata da Gustavo Cioppa. Ieri mattina, insieme alla notifica delle ordinanze di custodia cautelare, sono state anche perquisite le abitazioni degli indagati, dove i carabinieri hanno sequestrato alcune munizioni.

(fonte)

Intervista a Giulio Cavalli: “Con L’amico degli eroi racconto un’umanità di cui Dell’Utri è paradigma”

(L’intervista è uscita qui per Lostivalepensante.it)

20150507_Amico_Degli_EroiSi prepara a tornare in scena Giulio Cavalli, dopo una pausa artistica dovuta anche alla parentesi politica in Regione Lombardia. Lo fa con uno spettacolo liberamente ispirato alla vita di Marcello Dell’Utri, accompagnato dalle musiche di Cisco Bellotti, eseguite dal vivo. Lo spettacolo, insieme ad un romanzo, è una produzione sociale attivata su produzionidalbasso.com e conclusasi con successo. Il ritorno “molto teatrale” dell’attore, drammaturgo e scrittore di Lodi, partirà presto dal Nuovo Teatro Sanità di Napoli.

Marcello è un giovane e intraprendente siciliano, nato da una famiglia borghese, ma decadente, del centro di Palermo. Marcello e il fratello Alberto vivono in simbiosi una giovinezza di lusso apparente, mentre subiscono le difficoltà economiche di un padre che si ritrova fuori gioco negli ambienti che contano, per l’arresto di alcuni elementi a cui faceva riferimento. Per questo Marcello cresce con un insito odio nei confronti della magistratura, vista come la causa della decadenza famigliare. Silvio è uno studente prepotente, egocentrico e scaltro che è stato educato dal padre ad una continua ossessiva ricerca delle scorciatoie ad ogni costo. Vive in un paese della provincia milanese, ma lo stesso giorno che ha l’occasione di accompagnare il padre nella banca in cui lavora, nel cuore della Milano bene, si innamora di questa città di eleganza, soldi e affari e decide di diventare, da adulto, un uomo a cui tutti sognano di stringere la mano. Vittorio è mafioso, figlio di mafiosi. Senza giri di parole e senza nascondenti anzi: con una venerazione assoluta per i codici medievali che gestiscono i meccanismi sociali e imprenditoriali di Cosa Nostra in Sicilia. E’ conosciuto tra gli amici per la sua abilità nell’esercizio della prepotenza che sia vocale, manesca o armata. Si diletta in missioni di prepotenza che lo rendono temuto e affascinante per molti e sviluppa un astio per la borghesia siciliana a cui aspira. Come la volpe con l’uva. Tutti e tre amano il calcio.

Perché hai scelto di attivare una produzione sociale per “L’amico degli eroi”?

Guarda, perché la produzione di uno spettacolo in un paese così complesso per le produzioni teatrali come l’Italia, complesso nel senso peggiore del termine, cioè ricco di condizionamenti politici, non è una cosa facile. Questi ultimi, bene o male, poi ne dettano la linea. “L’innocenza di Giulio”, spettacolo a cui io sono molto legato, ci ha raccontato perfettamente come essere ospiti di un teatro “stabile” nel circuito teatrale convenzionale, risultasse molto difficile per questioni politiche, che poi fondamentalmente sono delle beghe tra assessori, il “mestruo” di un dirigente dell’ufficio cultura, non c’è un isolamento concordato e organico. Allora, a questo punto, poiché il mio circuito è sempre di più fortemente politico, non partitico, e molte delle mie date non sono organizzate da un teatro, ma il teatro è solo il luogo che viene affittato da comitati cittadini o associazioni, ci siamo chiesti: perché non stringiamo un patto fin dall’inizio direttamente con loro? Inoltre, credo che andare in giro, come è capitato a me con il logo di Regione Lombardia su una produzione, sia anche abbastanza ipocrita. Purtroppo vieni macchiato come colui che ha intrattenuto rapporti con la pubblica amministrazione e che, avendo beneficiato di contributi, spesso a pioggia e non elargiti da una precisa scelta artistica, va in scena grazie a loro.

E tra l’altro se metti in scena uno spettacolo che racconta di “Stato e politica” potrebbe esserci anche un lieve conflitto d’interessi nel ricevere fondi pubblici…

Si, perché poi o tu mi produci “Andreotti” (L’Innocenza di Giulio, ndr) perché concordi sull’idea civile dello spettacolo o altrimenti non funziona. Il teatro civile solo in Italia è l’ammorbidente dell’indignazione generale. Nasce in realtà per “essere contro” qualcuno, ognuno con le proprie modalità. Il 99 per cento delle volte la postura di chi ti ospita, parlo di una pubblica amministrazione, è solo un attestato di fiducia per il teatro civile come se fosse avulso poi il tema che vai a trattare. Quando ho messo in scena “Linate” (monologo sul “disastro aereo” dove persero la vita 118 persone, ndr), spettacolo prodotto da tanti piccoli comuni, quelle amministrazioni concordavano con noi sul fatto che fosse stata una strage e non un incidente. Andreotti, invece, non concorda nessuno di quelli che lo hanno prodotto o che sono stati costretti a comprarlo, sul fatto che sia stato un criminale etico di questo Paese. Ti dicono che è giusto dare voce anche a Cavalli che lo considera un criminale.

photo by www.giuliocavalli.net

Quindi avevi bisogno del crowdfundig per poter raccontare di Marcello Dell’Utri?

Credo proprio di sì. Dopo aver fatto politica l’isolamento a livello artistico, intorno a me, si è acuito. Quello che mi ero costruito, e parlo anche delle relazioni economiche poi, è andato via via sparendo. Ma non per la posizione politica. Gli isolatori in Italia sono tutti coloro che hanno paura di dover prendere una posizione, non che non condividono la tua, e quelli che condividono il tuo punto di vista hanno paura di sclerotizzarsi su quest’ultimo. E’ banale tutto questo. Inoltre, la mia attività quotidiana di giornalismo o blogging, prende molto spesso posizioni nette. Ogni scritto, magari aumenta la fiducia e la vicinanza dei lettori ma fa crescere anche il sospetto da parte delle istituzioni. Quindi, anche se sarebbe molto più eroico dire di no, dal punto di vista economico, senza il crowdfunding, avrei fatto più fatica. Sarei dovuto scendere a un compromesso, anche taciuto o sottointeso. E poi, mi fa piacere sapere che c’è stata della gente, non necessariamente miei elettori, che la mia pausa artistica dovuta anche alla politica, l’ha vissuta con tranquillità e che si è resa disponibile nel partecipare con me alla produzione de “L’amico degli eroi”.

Credo ci sia un po’ di confusione su quello che artisticamente sei, forse proprio perché hai fatto politica, o perché fai un tipo di teatro particolare in Italia…

Perché qui abbiamo bisogno di categorizzazioni semplici e facilmente leggibili. I teatranti non mi amano, al di là delle mie posizioni politiche, dicono che Cavalli è un giornalista. Se fai l’attore devi fare solo l’attore e così via. Se decidi di esprimerti su diversi fronti, quasi nessuno ha le chiavi di lettura per osservare se c’è una coerenza di base, un filo rosso.

La produzione, comunque, comprende oltre allo spettacolo anche un libro…

Si, sembra che in questo Paese ci sia una guerra tra editoria tradizionale ed “editoria a km 0”. Perché devo essere costretto a scegliere? C’è il Cavalli scrittore, quindi romanziere, e allora il mio libro uscirà con “Rizzoli”, ad esempio, e quella è una strada che mi interessa percorrere. Poi c’è il libro che invece nasce da un mio spettacolo e che inevitabilmente non sarà mai un romanzo, perché nascono insieme. E quando le persone mi chiedono se lo spettacolo è tratto dal libro, io rispondo che non lo so. Questa è una semplificazione che abbiamo noi operatori culturali e penso il pubblico non abbia. Il mio poi è un teatro che va molto letto, è poco recitato, vado in giro a fare lo spettacolo per promuovere la parola. Sono fratelli spettacolo e libro, secondo me.

photo by www.giuliocavalli.net

Ma quando andrà in scena “L’amico degli eroi”?

Entro la fine del mese dovremmo essere pronti. Saremo a Napoli e sarà una sorta di “numero zero” al Nuovo Teatro Sanità, poi cominceremo a girare l’Italia.

Perché hai scelto di fare teatro civile?

Dario Fo mi dice sempre che noi teatranti facciamo sul palco quello che avremmo dovuto fare nella vita. Probabilmente io nella vita avrei dovuto fare il giornalista d’inchiesta e quindi uso il palco per questo. Ho sempre sofferto la mancata contemporaneità del teatro italiano. Mi annoia tutto ciò che è elegiaco, quindi ho sempre pensato che il teatro, con lo spettacolo e i suoi spettatori riuniti, dovesse avere la valenza di un’agorà e dovesse essere “sul pezzo”. Ad esempio, mi capitava spesso di discutere dell’andreottismo e mi chiedevo perché queste discussioni molto spesso ricche e stimolanti, non dovessero andare in scena… Poi, purtroppo, la mia vicenda privata mi ha spinto ad una certa specificità anche nei temi, che però sono quelli che amo…

Quindi l’aver ricevuto minacce mafiose e l’essere diventato tuo malgrado testimonianza hanno solo accentuato la voglia di approfondire certe tematiche?

Bè, sì, ma penso che avrei fatto gli stessi spettacoli, forse sarebbero stati più puliti dal punto di vista scenico perché avrei avuto meno ansia di difesa sul palco. I temi però sostanziali anche oggi sono questi: corruzione, criminalità, uno Stato che non è credibile e soprattutto un Paese a cui sono stati sottratti i termini per riuscire a capire e raccontarsi ciò che sta accadendo. “L’ amico degli eroi” è un mio ritorno molto teatrale, dentro non c’è ansia di raccontare la mia storia declinandola su questa storia, capisci? Quindi è meno documentale di quello che si aspettano, non ci interessa raccontare gli episodi che indicano come colpevole Dell’Utri, c’interessa raccontare un’umanità di cui Dell’Utri è paradigma e che su ampia scala e con diverse potenze si esprime nella quotidianità.

All’inizio della tua carriera, ti saresti aspettato di andare incontro ad una vicenda così complessa personalmente e professionalmente, scegliendo questo tipo di teatro?

Sai, il teatro civile è complessità. E’ raccontare un qualcosa sotto una visuale talmente inaspettata da poter riuscire a scoprire lembi di quella storia che ci sono sempre sfuggiti. E’ quindi inevitabile che i protagonisti di quei lembi, all’interno di questa complessità, non siano felici. Però non vedo differenza tra il proiettile spedito o la querela promessa, cioè non mi ha colpito di più la minaccia mafiosa rispetto ai detrattori organici con cui mi trovo ad avere a che fare. E me lo aspettavo, si. Del resto, quando ho scritto “Linate”, in parte abbiamo scontentato anche i familiari delle vittime, a cui era stato dato in pasto come unico colpevole un controllore di volo, invece abbiamo scoperto l’esistenza di colpe istituzionali, questo è servito ad un confronto civile tra le parti. Per cui poi abbiamo ricevuto pressioni dai controllori, dall’aeroporto di Linate, dall’ENAC, una cozzaglia di scarti politici parafascisti, ricevuto minacce dall’ENAV, che non ha adempito ai suoi doveri come ente preposto a controllare la sicurezza… Poi c’è il parente del familiare che affronta l’argomento a cuore aperto e si confronta con te, l’ENAV ti fa scrivere dall’avvocato; il mafioso invece ha metodi più brutali nella forma ma non nella sostanza. Io ho ricevuto atteggiamenti mafiosi anche da illustri componenti di associazioni antimafia e li trovo più pavidi di quelli che almeno avuto il coraggio di mandarmi la lettera minatoria. Tutti questi tasselli creano la complessità e non sono altro che gli spigoli di un dibattito. Gli spettacoli li scrivo per aprire un dibattito, altrimenti scrivo un romanzo. Se uno spettacolo mette tutti d’accordo penso di aver fallito il mio obiettivo.

Non è difficile però gestire il tuo lavoro e le complessità a cui vai incontro? Quanto incide sulla tua vita privata?

photo by www.inviaggioconlamehari.it

Indipendentemente dalle minacce, la storia ci racconta che giornalisti, attori, drammaturghi, politici, che hanno deciso di seguire un professionismo nel proprio lavoro, sono sempre ben consapevoli che la propria vita privata sia intrecciata anche con esso. Mi spiego, i nostri intellettuali sono stati testimonianza (quelli credibili) di ciò che hanno scritto o prodotto. Solo in Italia esiste la figura dell’intellettuale ad interim nei dieci minuti di parentesi del programma in prima serata. Nel bene o nel male, per esempio, una figura controversa ma che non posso non amare, è stata Oriana Fallaci. Lo stesso Dario Fo è Dario Fo. Non è tutti i suoi spettacoli ma è lui. Nella sua storia, la vita privata, e quindi nel suo caso Franca Rame, è una componente essenziale come il più bel quadro che ha dipinto o il più bel testo che abbia scritto.

In una conferenza con Nino Di Matteo, nelle scorse settimane, al Teatro Apollonio di Varese, hai deviato il discorso legato alla scorta. Perché?

Perché non mi interessa parlare di scorta. Ne sono stato travolto dalla cronaca e poi quest’ultima si è fossilizzata in una simbologia per me senza senso. Inoltre continuo ad essere vittima del fatto di essere sotto protezione, dal punto di vista del giudizio pubblico. Ma questo è solo un tassello, un elemento della complessità e affezionarsi solo a questo è pericoloso, per me e per il mio lavoro ma anche per l’opinione pubblica. La stampa dimentica che tutti i prefetti sono sotto scorta e dovrebbe parlare di questo. La normalizzazione avviene non solo perché si parla di una situazione come la mia, ma perché non si parla delle altre. In Italia ci sono 800 persone sotto scorta e testimoni di giustizia rischiano la vita perché non riescono ad avere una tutela. Tu diventi l’attore con la scorta, il fenomeno da baraccone. Io sono sempre stato aspramente critico con il “savianismo” che si è voluto creare intorno alla figura di Roberto Saviano. Ma attenzione, non ce l’ho con Saviano, credo solo che il fenomeno, per molti versi indipendente da lui, gli sia sfuggito di mano. Per esempio che si parli di Giovanni Tizian, come giornalista scortato, ma si dimentichi che il padre di Giovanni è stato ucciso dalla ‘ndrangheta, significa adagiarsi su una spettacolarizzazione che oltre a rendere il banale importante, non ti fa vedere tutto il resto. Se apriamo una discussione sul fatto che in Italia la potenza del teatro è quella di disturbare ferocemente i potenti, allora è un confronto che mi interessa.

Sei stufo di essere legato a questo tipo di discorso, vero?

Si, sono diventato completamente intollerante e nel momento in cui mi accorgo che la scorta diventa motivo di stima, quasi sempre questa cosa getta una luce inquietante sulla persona che ho di fronte, che sia il Presidente del Senato o che sia il direttore del più importante teatro italiano. E adesso siccome fa parte della mia natura e del mio percorso artistico comincio a dirlo.

photo by www.giuliocavalli.net

E invece la scelta di occuparti di politica direttamente, dopo l’esperienza in Regione Lombardia, la rifaresti?

Si, l’ho fatta da uomo libero. Ho vissuto le appartenenze solo come un dovere di carta bollata per posizionarsi su una seggiola all’interno del Consiglio Regionale e perché penso che nella mia azione politica ci sia molto della produzione artistica e viceversa. Inoltre non credo che la stima in un campo debba essere collegata direttamente all’altra e quindi ho sempre apprezzato coloro che invece hanno giudicato buono un mio spettacolo e non buono un mio gesto politico. Però la rifarei. Io penso che questo sia un Paese che ha bisogno come il pane di visioni e di visionari nella politica. Non credo nell’antipolitica ma credo nell’ultrapolitica. Poi certo ho partecipato ad una legislatura deprimente e ho pagato lo scotto intellettuale, ma anche morale ed economico, quindi se tu mi dicessi lo faresti oggi, credo di no, però se la domanda è ti ricandideresti nel 2010 in quella situazione sì, lo rifarei.

Ho letto che hai condiviso e apprezzato il discorso del senatore dimissionario Walter Tocci, in disaccordo con il governo sul Jobs Act…

L’intervento di Tocci per me è cultura. La politica ogni tanto raggiunge i livelli della cultura. E io vengo stimolato nello scrivere con più impegno sapendo che esistono persone come Tocci. Quelli che ci stanno rovinando, in Italia, sono gli obbedienti.

Il problema poi nasce quando i disobbedienti non riescono a disobbedire fino in fondo, concretamente…

Il problema è che i disobbedienti acquistano valore nel momento in cui vengono seguiti. Io, per esempio, di mafia, posso cercare di parlarne nel modo più intellettualmente onesto possibile e preciso dal punto di vista documentale, ma poi la mia voce diventa importante e potente nel momento in cui fa rete. L’intervento di Tocci si fatica a leggere oggi in questo Paese. Inoltre, sulla contestazione del fatto che abbia votato comunque a favore e poi si sia dimesso, io dico che ho una grandissima idea di partito, vedo il partito con lo spirito e gli stessi valori di una comune artistica parigina. Il fatto di votare a favore e dimettersi, lo trovo coerente. Molto spesso i disobbedienti hanno il cattivo vizio, e capita anche a me, di non avere rispetto delle idee degli altri, di pensare cioè che la democrazia sia gestita da un peso numerico e qualitativo ed è la cosa che li rende in generale una minoranza cronica di questo Paese. E aver rispetto dell’idea che ritieni pericolosa e sbagliata degli altri perché espressa secondo dinamiche democratiche io lo trovo un gesto rivoluzionario. 

photo by www.giuliocavalli.net

Si potrebbe parlare di Pippo Civati allora in questo discorso…

Pippo è diverso. Lui ha avuto tra le mani e ha tra le mani, anzi forse aveva, strumenti molto più “ficcanti” di quelli di Walter Tocci. Il voto contrario di Tocci avrebbe cambiato questo Paese? No. Se Tocci avesse votato contro e fosse rimasto senatore avrebbe sicuramente toccato di più la pancia degli elettori del Paese e la sua sarebbe stata vissuta come scelta più radicale, io invece rivendico la radicalità del suo gesto, che rinuncia alla propria posizione, senza cadere, cioè rispettando il “luogo” che non condivide ma in cui è stato. Comunque questo è un Paese che non si salva con Tocci o con Civati, Vendola e Landini. Si salva se riesce a creare un blocco sociale. Non esiste un blocco sociale. Ancora una volta è tutto molto a cascata, è il leader che crea la base e non il contrario. In questo la forma partitica utilizzata con intelligenza e con etica rimane comunque la forma migliore.

Trovo, però, sia diventato piuttosto difficile poter poi sperare in un vero cambiamento politico e culturale in questo Paese…

In un Paese normale l’uscita di Tocci avrebbe dovuto far cadere in termini percentuali il PD. E’ vero che oggi in un’epoca di minus habens essere normale ti rende un intellettuale, però ha caratura politica il suo gesto, in un’Italia completamente “analfabeta”, che ha bisogno ancora di sentirsi dire che Dell’Utri è un mafioso. Non capisco come si possa pensare, infatti, che il processo sulla trattativa arrivi a qualche condanna, quando chiunque abbia un’infarinatura giuridica, ma anche semplicemente democratica, sa che difficilmente ci si arriverà e che il compito di Di Matteo e la valutazione su Nino di Matteo non è il riuscire a farli condannare ma l’essere riuscito a mettere per iscritto ciò che ha messo per iscritto. Quelli che celebrano Di Matteo non hanno nemmeno letto ciò che ha scritto. Lo celebrano perché la persona a rischio è quella con cui solidarizziamo molto più facilmente, ma non sono all’altezza dei contenuti che sta proponendo.

La tendenza all’omologazione politico – culturale è preoccupante e oggi sembra non esserci una credibile alternativa…

Infatti era l’idea di fondo di Licio Gelli, l’ha detto anche Di Matteo, ma è stato colto molto poco nel suo intervento a Varese. L’omologazione del Paese ne facilita il controllo. Ma ne facilita il controllo da un’oligarchia. Dal punto di vista culturale l’omologazione berlusconiana e quella renziana hanno gli stessi meccanismi. L’alternativa potrebbe essere un movimento politico che abbia una solida base culturale. Il problema è che non ci sono basi e visioni culturali dietro ai partiti.

Dietro a L’Altra Europa, però, le visioni culturali ci sono, o forse c’erano eppure in parte è stata un’esperienza deludente…

Certo perché poi anche quando c’è qualcuno che è portatore di valori culturali diventa spesso un cerimoniere di stesso. Abbiamo però comitati di cittadini che grazie allo studio, alla conoscenza e a visioni rivoluzionarie sono riusciti a bloccare progetti immensi, quindi l’attività politica ai livelli più bassi è ricca ancora di contenuti. Costa moltissime energie in tutti i sensi concretizzare un vero progetto politico.

Intervieni spesso sul tuo sito a proposito di Expo 2015. Cosa ne pensi? Perché non sei favorevole?

Bè, Expo per me è innanzi tutto una follia dal punto di vista economico ed imprenditoriale, perché in un paese in crisi, spendere così tante risorse (e non mi si venga a dire che sono risorse che vengono dal fuori perché significa comunque avere sprecato energie per raccogliere questi fondi), è irrispettoso. Expo oggi è una mancanza di rispetto per la situazione dello stato sociale italiano. Una scelta politica che ancora una volta è riuscita a far coagulare centro destra e centro sinistra, dimostrando che gli inetti sono sempre concordi. Dal punto di vista criminale, invece, è stata una grande festa per i presunti antimafiosi, che ancora una volta invece ci hanno dimostrato di non aver il coraggio legislativo (perché la criminalità organizzata nei lavori pubblici si sblocca con una legislazione che sia più severa) e hanno dimostrato anche di non riuscire ad amministrare. E’ un fallimento ambientale, un fallimento della classe dirigente, Pisapia incluso, e ancora una volta è una scatola preziosissima in cui al momento si cercherà di metterci dentro qualcosa di commestibile.

photo by inviaggioconlamehari.it

C’è una forte incoerenza tra i temi proposti e le politiche adottate per l’organizzazione dell’evento. Se ne parla poco di questo, non trovi?

Sì, e quelli di Expo non si possono incazzare con noi che abbiamo un ruolo pubblico o con gli italiani perché sono troppo poco interessati ai temi. Io ho avuto un confronto anche pubblico con il capo ufficio stampa di Expo che mi accusava di non affezionarmi ai contenuti. Però se il modus operandi e la scatola sono così putridi, la gente ha tutto il diritto di fermarsi sulla soglia e inorridire lì, senza volere entrare. Capisci?

Mi dicevi che Expo è stata per te anche una festa per presunti antimafiosi. Non hai molta stima dell’antimafia in generale, vero?

No, per niente. Dei movimenti antimafia in Italia per niente. Del resto sai, Lea Garofalo è stata lasciata sola dalla più grande associazione antimafia italiana, Libera. Ci sono però molte personalità antimafiose anche più “semplici” come la casalinga di Castel Volturno o la pensionata coscientissima milanese. Abbiamo una ricchezza enorme. Soltanto non credo molto nell’immagine di rete che ci viene proposta e che in realtà rete non è. E’ solo una suddivisione di potere e di interessi.

Bè, la scelta di Rosanna Scopelliti, presidente della “Fondazione Scopelliti” e personalità di spicco dell’associazione antimafia “Ammazzateci Tutti “, di intraprendere l’attività politica è stata molto discussa…

Non me la sento di dire che Ammazzateci Tutti è stata un’impresa fallimentare perché lei si è candidata. Ho conosciuto ragazzi che da giovanissimi hanno intrapreso l’”hobby dell’antimafia” grazie ad Ammazzateci Tutti, però sai, siamo un Paese che ha una classe dirigente pessima in tutti i settori, quindi non vedo perché non si possa dire che anche nell’antimafia abbiamo espresso una classe dirigente non altezza degli impegni che ha avuto. Anche perché attenzione, si sceglie di essere classe dirigente, io decido di essere drammaturgo, scrittore e attore, e mi occupo di quello, ma qualcuno che invece decide di essere classe dirigente se ne deve assumere le responsabilità. Io in questo momento non mi assumerei mai l’onere di essere classe dirigente di nessuno, al massimo un buon produttore di contenuti per chi mi legge e per chi mi viene a vedere a teatro.

Bravo! E giù di applausi per il boss

Il boss Luigi Cimmino, acclamato dai familiari quando è stato portato fuori dalla caserma che ospita la compagnia dei carabinieri del Vomero a Napoli: “bravo, bravo”, il grido di incitamento a cui sono seguiti gli applausi. Cimmino era il vero obiettivo dei killer del clan Caiazzo nell’agguato che costò la vita alla vittima innocente della camorra Silvia Rutolo, uccisa il 17 giugno 1997 a salita Arenella (riprese Giampiero De Luca, montaggio Anna Laura De Rosa)