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Giulio Cavalli

Orbán e Borrell ai ferri corti, cordone sanitario Ue all’Ungheria

Il giochetto di Orbán antieuropeista da presidente del Consiglio dell’Ue rischia di essere già al tramonto. Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri, ha riperso la pazienza nei confronti del primo ministro ungherese Viktor Orbán. Il motivo è la cosiddetta “missione di pace” di Orbán, che includeva incontri con Vladimir Putin a Mosca e Xi Jinping a Pechino, durante il semestre di presidenza ungherese del Consiglio dell’Ue. Borrell ha definito il comportamento di Orbán “puramente vergognoso”, sottolineando che la Russia è l’aggressore e l’Ucraina sta esercitando il suo diritto all’autodifesa.

La critica di Borrell alle politiche di Orbán

Borrell ha ribadito che tutti i membri dell’Ue devono sostenere attivamente la politica estera comune, in linea con l’articolo 24.3 dei Trattati dell’Ue, e che le azioni di Orbán rappresentano una mancanza di cooperazione leale. Ha inoltre annunciato che la riunione informale dei ministri degli Esteri, originariamente prevista a Budapest, si terrà a Bruxelles, aggiungendosi al boicottaggio già annunciato dalla Commissione Europea.

Orbán e il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjártó, hanno criticato le forniture di armi dell’Ue a Kiev, definendole una “politica a favore della gUerra”. Borrell ha risposto che l’unico favorevole alla gUerra è Putin, non l’Unione Europea. Ha anche denunciato il perenne veto dell’Ungheria all’assistenza militare dell’Ue per l’Ucraina, che attualmente blocca 6,6 miliardi di euro di rimborsi.

L’annuncio di Borrell è stato un colpo significativo per l’Ungheria, che da tempo è in disaccordo con Bruxelles su vari temi, tra cui lo stato di diritto e la libertà di stampa. La presidenza ungherese del Consiglio dell’Ue, iniziata con grandi aspettative, ha subito un duro colpo con qUesto boicottaggio. I funzionari dell’Ue hanno espresso preoccupazione per l’indipendenza giudiziaria in Ungheria e le violazioni dei diritti umani, sottolineando che qUesti problemi mettono in discussione la capacità dell’Ungheria di guidare l’Unione.

Borrell ha concluso dichiarando di aver “perso la speranza” che Budapest cambi posizione a breve, avvertendo che l’assenza di rimborsi potrebbe disincentivare ulteriori aiuti militari a Kyiv. Ha insistito sulla necessità di un fronte unito e coerente all’interno dell’Ue per affrontare le sfide geopolitiche, specialmente con l’aggressione russa in corso.

Il futuro dell’Ungheria nell’UE

La presa di posizione di Borrell riflette una crescente impazienza all’interno dell’Ue verso le azioni di Orbán, che spesso sembrano andare contro i principi fondamentali dell’Unione. Mentre l’Ungheria cerca di mantenere relazioni diplomatiche bilaterali con la Russia e la Cina, molti stati membri dell’Ue vedono qUeste mosse come una minaccia alla solidarietà e alla sicurezza collettiva dell’Unione.

L’atteggiamento di Orbán ha sollevato interrogativi sul futuro dell’Ungheria nell’Ue e sulla sua capacità di rispettare i valori e le regole comuni. I prossimi mesi saranno cruciali per determinare se l’Unione riuscirà a mantenere la coesione interna di fronte a queste sfide, o se le divisioni interne porteranno a un ulteriore indebolimento della sua posizione globale.

Dopo giorni di speculazioni, Borrell ha confermato che il prossimo incontro informale dei ministri degli Esteri, noto come Gymnich, originariamente previsto a Budapest alla fine di agosto, sarà invece ospitato a Bruxelles. Il cambiamento si aggiunge al boicottaggio già annunciato dalla Commissione europea, che consiste nell’inviare funzionari pubblici, anziché commissari, agli incontri informali in Ungheria.

Orbàn si conferma il capo ideale per i patrioti europei. Utilizza l’istituzione europea per fomentare la propaganda e poi si lamenterà – sicuro – di essere stato messo ai margini. Possiamo già indovinare la retorica sui “poteri forti”, incapace di riconoscere le regole della democrazia. 

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Strage di Cutro, chiusa l’inchiesta: 6 indagati tra Finanza e Guardia Costiera. I Pm: “Inerzia e ritardi, la tragedia si poteva evitare”

Che non si tratti di una semplice “tragedia” come frettolosamente etichettata dalla presidente del Consiglio Meloni e dal ministro dell’Interno Piantedosi lo credono in molti. Da oggi ne è ufficialmente convinta anche la Procura di Crotone che ha chiuso le indagini sulla strage che ha provocato la morte di 94 migranti, tra cui 35 bambini, oltre a una decina di dispersi. 

Secondo gli inquirenti quella tragedia si poteva evitare e per dimostrarlo hanno raccolto migliaia di documenti, approfondimenti, consulenze, valutazioni, chat e immagini. La chiusura delle indagini aggiunge anche un quarto indagato tra gli uomini della Guardia di finanza e la riduzione degli indagati della Guardia costiera da tre a due. Nelle prossime ore verranno notificati gli atti e emergeranno con maggiore chiarezza le responsabilità ipotizzate dalla Procura. Nei diciassette mesi passati dalla strage l’inchiesta ha esaminato ogni azione e soprattutto ogni inazione di quella notte tra il 25 e il 26 febbraio del 2023. 

La chiusura delle indagini e nuove scoperte

Per il pubblico ministero Pasquale Festa e il procuratore capo Giuseppe Capoccia i quattro indagati della Guardia di Finanza avrebbero gestito in modo errato la segnalazione del caicco avvistato a 40 miglia dalle coste calabresi e le comunicazioni con la Guardia costiera. In particolare, si contesta loro di aver trattato l’evento come un’operazione di polizia “low enforcement” anziché come un’emergenza di soccorso in mare (evento Sar).

La Guardia di finanza comunicando di intervenire lei come low enforcement disse: “Ce ne occupiamo noi, mare permettendo”, e quel “mare permettendo” avrebbe dovuto – secondo la procura – allertare di più la Costiera, che sapeva bene che quella notte c’era mare grosso e la situazione meteo era in peggioramento.

Responsabilità e inazione delle autorità

Per questo i due ufficiali di ispezione della Guardia Costiera sono sotto accusa sostanzialmente per la non azione. Come spiega il Corriere della sera “sia pure indotti in errore dai finanzieri, dice la procura, non si preoccuparono di informarsi e di far scattare un eventuale evento Sar, cioè di soccorso in mare, e lasciarono che se ne occupasse la finanza come evento di low enforcement, cioè come operazione di polizia”.

Tra gli indagati esce dall’inchiesta il responsabile della sala operativa della Guardia costiera di Reggio Calabria. Entra invece il capoturno della sala operativa della Finanza di Vibo Valentia, accusato di aver fuorviato la capitaneria con informazioni operative che erano solo intenzioni. Per esempio, spiega la Procura, comunicò via radio che “un nostro mezzo in pattugliamento sta aspettando il target (la barca con i migranti, ndr) a due-tre miglia dalla costa” mentre in realtà quel mezzo stava rientrando in porto per rifornirsi di carburante.

Ad oggi per quella strage sono stati condannati con rito abbreviato a vent’anni di reclusione e tre milioni di euro di risarcimento (difficilmente esigibili) due scafisti mentre gli altri tre sono sotto processo con rito ordinario sempre pendente dinanzi al Tribunale di Crotone che vedrà la prossima udienza, una delle ultime, il prossimo 30 luglio. 

La diocesi di Locri-Gerace si era sobbarcata i costi di vitto e alloggio per la trentina di persone arrivate da buona parte d’Europa in quei giorni facendosi carico anche dei biglietti aerei per consentire ai parenti i quattro diversi luoghi dove erano custodite le vittime. Caritas e Croce rossa non hanno ancora ricevuto compensazione delle spese sostenute. Nemmeno i 25 mila euro spesi per ripulire la spiaggia dai rottami della strage sono stati restituiti al Comune.

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Le accuse infondate contro Unrwa e i proiettili

Il Regno Unito, come molti altri Paesi nel mondo, aveva sospeso a gennaio i finanziamenti all’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che garantisce gli aiuti ai profughi palestinesi. Erano i giorni in cui lo stato di Israele accusava alcuni dipendenti dell’agenzia di essere stati coinvolti nell’attacco compiuto da Hamas lo scorso 7 ottobre. 

Quelle accuse non sono mai state dimostrate se non addirittura smentite dai più autorevoli media del mondo. L’effetto di affamare ulteriormente i palestinesi profughi nella loro stessa nazione è stato ottenuto. 

Il ministro degli Esteri britannico David Lammy ha detto che il suo governo fornirà all’agenzia delle Nazioni Unite 21 milioni di sterline (circa 25 milioni di euro) spiegando che la malnutrizione a Gaza è ormai così grave che le madri non riescono più a produrre il latte per nutrire i loro bambini e le loro bambine: «gli aiuti umanitari sono una necessità morale di fronte a una tale catastrofe» e «l’Unrwa è assolutamente centrale per fornire aiuti ai civili sul posto».

Incurante della realtà e delle smentite lo stato di Israele si appresta a dichiarare Unrwa “organizzazione terroristica”, alla faccia del diritto internazionale. Dopo avere inventato accuse che non sono riusciti a provare il governo israeliano continua imperterrito sulla sua strada. 

Intanto un convoglio delle Nazioni Unite è stato colpito ieri dalle Forze di difesa israeliane (Idf) nella Striscia di Gaza. Lo ha annunciato Philippe Lazzarini,  commissario generale dell’Unrwa, con un post su X. Il veicolo blindato è stato colpito da “almeno cinque proiettili” mentre era in attesa a un posto di blocco a sud di Wadi Gaza, che divide il nord e il sud dell’enclave.

Buon martedì. 

Nella foto: quel che rimane dell’ufficio Unrwa a Gaza City (dalla pagina fb Unrwa)

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No, il Pnrr non va bene come dicono

Giorgia Meloni si dice “fiera di quanto fatto” sul Pnrr e ricorda che “la fase due non ammette errori e ritardi”. Esulta anche il ministro Fitto, che con il Pnrr spera di avere abbastanza rincorsa per meritarsi un posto a Bruxelles. Scorrendo le dichiarazioni si potrebbe credere di essere di fronte a un trionfo. E invece no, non è così. 

Partiamo dai numeri: nel 2024 è stata effettuata una nuova revisione del Pnrr che ha influenzato anche la programmazione dei flussi finanziari. Attualmente, scrive Openpolis, il 56% delle scadenze del Pnrr sono ancora da completare, con molte posticipate al 2025 e 2026.

Nel contesto del piano europeo Next Generation EU, all’Italia spettano 194,4 miliardi di euro, distribuiti in diverse rate condizionate al raggiungimento di specifici traguardi e obiettivi verificati semestralmente dalle istituzioni europee. Dopo il versamento della quinta rata, che deve ancora essere autorizzato dal Consiglio dell’Unione Europea, l’Italia avrà incassato 113,5 miliardi di euro.

Nel 2023, il governo ha operato una significativa revisione del Pnrr italiano. Dopo l’approvazione di tale modifica, l’erogazione della sesta rata doveva essere condizionata al completamento di 39 scadenze per un valore di circa 9,2 miliardi di euro. Tuttavia, la richiesta italiana è stata inferiore di 700 milioni di euro rispetto al previsto. La revisione del 2024 ha comportato una riprogrammazione del quadro delle scadenze fino al giugno 2026, influenzando i flussi finanziari delle future rate.

Questa riprogrammazione non ha risolto tutte le criticità. Più della metà delle scadenze relative alla realizzazione del Pnrr devono ancora essere conseguite. È quindi cruciale proseguire nell’attività di monitoraggio. A giugno 2026 è previsto il completamento di 173 scadenze, un obiettivo ambizioso e rischioso.

Le modifiche del 2024, passate quasi inosservate, hanno interessato 24 misure. L’investimento “Partenariati per la ricerca e l’innovazione – Orizzonte Europa” è stato eliminato per insufficienza di domanda, mentre altre misure sono state riprogrammate. L’importo della sesta rata è stato ridotto di 700 milioni di euro rispetto alla versione del 2023.

Il nuovo programma di erogazione delle risorse Pnrr prevede che l’Italia debba incassare 28,6 miliardi di euro entro la fine del 2024. Anche se la quinta rata ha visto un incremento di 500 milioni di euro, passando da 10,6 a 11,1 miliardi, l’importo totale è ancora inferiore rispetto al cronoprogramma iniziale di 6,9 miliardi di euro.

Per ottenere tutti i fondi del Pnrr, l’Italia deve realizzare 618 traguardi e obiettivi suddivisi su 10 rate. Supponendo che non ci siano problemi sull’ottenimento dei fondi legati alla sesta rata, le scadenze ancora da conseguire sarebbero 349. La settima rata, da richiedere entro la fine dell’anno, ha visto una riduzione delle scadenze programmate da 74 a 69.

Il governo italiano ha adottato misure per accelerare l’implementazione del Pnrr, inclusa l’eliminazione di alcuni progetti per ridurre il rischio di mancato completamento entro il 2026. Tuttavia, le motivazioni per il definanziamento di specifiche misure non sono sempre chiare, come rilevato dal Prof. G. Viesti dell’Università di Bari. Con il decreto Pnrr quater, il governo ha anche previsto l’uso di poteri sostitutivi e il commissariamento delle opere in ritardo.

La Corte dei Conti ha evidenziato ritardi significativi nella realizzazione dei progetti pubblici, un settore tradizionalmente lento per l’amministrazione pubblica italiana. Nonostante l’Italia sia riuscita a ottenere i fondi relativi alle prime cinque rate del Pnrr, il futuro e i risultati sono meno facili e meno scontati di come vengono raccontati. I numeri parlano, per questo sono così odiati dalla propaganda. 

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Spararne una al giorno, gara aperta nella Lega

Ogni mattina qualcuno dalle parti della Lega di Salvini si alza e sa che dovrà correre più veloce dei suoi compagni di partito per spararla grossa e meritarsi un posto al sole. L’operazione è perigliosa e complicata poiché nella savana dei leghisti abitano esemplari irraggiungibili nell’istigazione. Qualche giorno fa il senatore leghista Manfredi Potenti ha pensato che sarebbe stata una buona idea multare fino a 5 mila euro chi chiama al femminile le cariche o i titoli rivestiti dalle donne (tipo sindaca o avvocata). Un multa per utilizzo non condiviso della lingua è una legge troppo ambiziosa perfino per Putin o per Kim Jong-un. Ogni giorno la stampa deve perdere tempo, spazio e fatica per riportare in cronaca le gesta di qualche parlamentare naïf. Inevitabile è anche lo sdegno misto alla risata imbarazzata dei lettori e degli elettori.

Ogni mattina qualche dirigente della Lega deve svegliare presto il suo addetto stampa per vergare un comunicato in cui il partito prende le distanze dalle affermazioni di un suo parlamentare. Ieri è accaduto al capogruppo al Senato della Lega Massimiliano Romeo per dirci che i vertici del partito “non condividono quanto riportato nel ddl Potenti il cui testo non rispecchia in alcun modo la linea della Lega che ne ha già chiesto il ritiro immediato”. A coloro che da fuori osservano la scena, che quasi quotidianamente si ripete, rimane la sensazione che ogni proposta di legge squinternata sia anche il modo per tastare il polso della fattibilità, una sorta di test di marketing politico per capire a quanti metri dell’abisso sia finito l’elettorato. E chissà che prima o poi non ci sia più bisogno di smentire. L’elettorato sarà pronto, l’autocrazia finalmente splenderà.

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Rinnovabili, in Italia storico sorpasso sui fossili nel 2024

Nel primo semestre del 2024, l’Italia ha compiuto un passo da gigante verso un futuro più verde. Per la prima volta nella storia del nostro Paese, la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ha superato quella da fonti fossili. Un traguardo che fino a poco tempo fa sembrava un miraggio e che invece oggi è realtà. 

I dati forniti da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, parlano chiaro: tra gennaio e giugno, la produzione di energia da fonti rinnovabili ha segnato un incredibile +27,3% rispetto allo stesso periodo del 2023. Un balzo in avanti che sa di rivoluzione energetica.

Un’impennata idroelettrica senza precedenti

Vero protagonista della svolta in questo semestre è stato l’idroelettrico. Le centrali idroelettriche hanno macinato gigawattora su gigawattora, favorite dalle abbondanti piogge primaverili che hanno gonfiato i fiumi del nord Italia. Mentre al sud e nelle isole la siccità mordeva, al settentrione le turbine giravano a pieno regime, producendo la bellezza di 25,92 TWh. Un’impennata del 64,8% rispetto all’anno precedente, quando ci si era fermati a 15,73 TWh.

E mentre l’acqua faceva il suo dovere anche il sole e il vento non sono stati da meno. La capacità rinnovabile in esercizio è aumentata di 3.691 MW, di cui ben 3.341 MW di fotovoltaico. Un incremento del 41% rispetto al 2023, che dimostra come l’Italia stia finalmente prendendo sul serio la sfida della transizione energetica.

Il risultato? Nel primo semestre del 2024, le rinnovabili hanno coperto il 43,8% della richiesta di energia, contro il 34,9% dello stesso periodo dell’anno precedente. Un record storico su base semestrale che fa ben sperare per il futuro. E se guardiamo solo al mese di giugno, il quadro è ancora più roseo: le energie pulite hanno soddisfatto il 52,5% della domanda elettrica, contro il 43,8% di giugno 2023.

Il crollo del carbone e la promessa del futuro

Ma la vera notizia, quella che fa tremare i polsi ai baroni del fossile, è un’altra: il crollo verticale della produzione di energia da carbone. Un tonfo del 77,3% che sa di requiem per questa fonte sporca e inquinante. Il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin ha ribadito l’impegno dell’Italia a interrompere la produzione di energia elettrica dal carbone entro la fine del 2025, con la sola eccezione della Sardegna. Una promessa che, alla luce di questi dati, sembra finalmente realizzabile.

Certo, la strada verso una completa transizione energetica è ancora lunga e tortuosa. La domanda di energia continua a crescere, trainata dalla diffusione delle auto elettriche, dall’aumento degli impianti di aria condizionata e dal futuro divieto di vendita di nuove caldaie a gas naturale imposto dall’UE dal 2040. Sfide che richiederanno investimenti massicci in infrastrutture e tecnologie innovative.

I segnali però sono incoraggianti. Il governo ha annunciato nuove misure per sostenere lo sviluppo delle rinnovabili, tra cui incentivi fiscali per le aziende che investono in tecnologie verdi e la semplificazione delle procedure burocratiche per l’installazione di nuovi impianti. Passi necessari per raggiungere obiettivi ancora più ambiziosi nei prossimi anni.

Rinnovabili: la partita è ancora da giocare

La partita, insomma, è ancora tutta da giocare. Ma l’Italia ha dimostrato di avere le carte in regola per essere protagonista della rivoluzione verde. Un cambio di passo che non solo contribuisce a ridurre le emissioni di CO2, ma migliora anche la sicurezza energetica del nostro Paese, riducendo la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili. 

Ora non resta che abbandonare la retorica della conservazione e gli occhiolini ai negazionisti climatici. L’Italia è in prima fila nella transizione energetica. Se smettesse di vergognarsene per accarezzare un certo elettorato si potrebbe perfino osare di più. 

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Lingua di Stato

«Io voglio essere libero di continuare a chiamare sindaco anche le sindache donne, voglio essere libero di chiamare “il presidente” anche la presidente». Ogni volta che qualcuno da destra spreca fiato, inchiostro e comunicati stampa per ribadire questo squinternato concetto alcuni sorridono e alcuni si preoccupano.

Quelli che sorridono ci spiegano con un certo snobismo che non sono certo questi i problemi che preoccupano gli italiani. Solitamente questi sorridono anche di quelli che si preoccupano ritenendoli allarmisti o comunque esagerati. 

Nei giorni scorsi il senatore leghista Manfredi Potente ha presentato il suo disegno di legge dal titolo “Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere” che vieta “in qualsiasi atto o documento emanato da Enti pubblici o da altri enti finanziati con fondi pubblici o comunque destinati alla pubblica utilità, è fatto divieto del genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato”. C’è anche la multa: fino 5 mila euro. 

Il ddl molto probabilmente non diventerà mai legge ma contiene almeno due aspetti preoccupanti. C’è l’ignoranza di chi non sa che i femminili esistono dai tempi antichi – la sociolinguistica Vera Gheno si sgola da tempo per ricordarlo (lo testimoniano i suoi libri pubblicati da Einaudi come Grammanti e Potere alle parole)- e c’è la pericolosa idea di legiferare sulla lingua, segno particolare di ogni dittatura. Volendo ben vedere c’è anche la terza più significativa caratteristica: per libertà qualcuno intende il diritto di vietare agli altri ciò che non si condivide o ciò di cui non si è all’altezza. 

Buon lunedì. 

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Come le teorie complottiste di QAnon stanno infettando pure il dibattito sul clima – Lettera43

Un’inchiesta denuncia la propaganda su Telegram degli estremisti di destra Usa, che è arrivata anche in Europa. Prima la pandemia e i vaccini, ora il negazionismo sul riscaldamento globale: lo schema è sempre lo stesso. Cioè sfruttare le teorie cospirazioniste sulla presunta privazione delle libertà personali.

Come le teorie complottiste di QAnon stanno infettando pure il dibattito sul clima

Le teorie del complotto di QAnon stanno gettando ombre inquietanti sul dibattito attorno al clima in Europa. È quanto emerge da una vasta indagine condotta da Lighthouse Reports, che ha analizzato oltre 100 milioni di post su canali Telegram legati al movimento cospirazionista nato negli Stati Uniti. Il risultato è un’allarmante fotografia di come le narrative negazioniste sul cambiamento climatico stiano guadagnando terreno nel Vecchio Continente, cavalcando l’onda lunga della paura.

Sfruttano reti di influencer e siti di “notizie alternative”

L’inchiesta di Lighthouse Reports svela quella che viene definita la “ricetta della viralità“, un mix di ingredienti che permette a queste teorie di diffondersi rapidamente e di attecchire nell’immaginario collettivo. Il primo elemento è il timing: approfittando del calo di interesse per le teorie legate al Covid e alla guerra in Ucraina, i canali QAnon hanno iniziato a focalizzarsi sul negazionismo climatico. Il secondo ingrediente sono le reti di influencer e siti di “notizie alternative” che amplificano questi messaggi. Infine, c’è l’uso strategico di un vocabolario condiviso che collega le nuove teorie a quelle già radicate nel mondo QAnon.

Come le teorie complottiste di QAnon stanno infettando pure il dibattito sul clima
Un supporter di Trump con la maglietta di QAnon (Getty).

Le solite teorie sulla limitazione delle libertà dei cittadini

Per capire come funziona questo meccanismo, basta guardare a quanto accaduto a Oxford nel febbraio 2023. Come riportato da un’inchiesta di EUobserver firmata da Riccardo Coluccini, Justin Casimir Braun, Eva Constantaras e Nikolaj Nielsen, quella che doveva essere una semplice protesta contro misure di riduzione del traffico si è trasformata in un crogiolo di teorie cospirazioniste. «La protesta ha seguito proposte modellate sulla “città di 15 minuti“, un concetto introdotto nel 2016 dall’urbanista franco-colombiano Carlos Moreno», scrivono i giornalisti di EUobserver. Ma quello che era nato come un progetto per migliorare la vivibilità urbana è stato distorto e presentato come parte di un piano globale per limitare le libertà dei cittadini.

Complottismo che si basa sulla sfiducia e sulla paura

Il livestream della protesta, registrato dall’organizzazione anti-vax Children’s Health Defense (Chd), è diventato virale sui canali Telegram QAnon, con oltre 23 mila condivisioni e quasi 560 mila visualizzazioni nei mesi successivi. Un esperimento perfettamente riuscito. L’indagine di Lighthouse Reports ci dice come le teorie sul clima sfruttino abilmente le paure già radicate nella narrativa QAnon. Il senso di coercizione e di perdita delle libertà personali, emerso durante la pandemia, viene ora applicato alle politiche climatiche. Come spiega Renée DiResta, esperta di disinformazione citata nell’inchiesta di EUobserver, «le teorie del complotto spesso si basano sulla sfiducia e sulla paura e su un insieme sottostante di circostanze nel mondo offline».

Come le teorie complottiste di QAnon stanno infettando pure il dibattito sul clima
Proteste contro le restrizioni per il coronavirus in Germania, ai tempi dei primi lockdown (Getty).

Contenuti che mescolano teorie anti-vaccino, timori sul 5G e narrazioni sul clima

Il linguaggio gioca un ruolo cruciale in questo processo. L’analisi di Lighthouse Reports rivela che termini legati al Covid vengono spesso utilizzati per introdurre teorie sul clima, creando un ponte concettuale tra diverse narrazioni cospirazioniste. Questo permette di collegare eventi locali a presunte cospirazioni globali, rendendo le teorie attraenti per un pubblico internazionale. Un attore chiave in questa strategia di disinformazione è rappresentato dai cosiddetti “media alternativi”. Lighthouse Reports punta i riflettori su organizzazioni come la già citata Children’s Health Defense, fondata dal noto attivista anti-vax Robert F. Kennedy Jr. Il notiziario online di Chd, Defender, è diventato un hub per la diffusione di contenuti che mescolano teorie anti-vaccino, timori sul 5G e narrazioni negazioniste sul clima.

Come le teorie complottiste di QAnon stanno infettando pure il dibattito sul clima
Robert F. Kennedy Jr (Getty).

La disinformazione si infila anche nell’europarlamento

Secondo l’analisi di Lighthouse, i post sulla cospirazione climatica contenenti link al Defender sono stati ricondivisi quasi 1.700 volte sui canali Telegram monitorati. Un dato che evidenzia il ruolo cruciale di queste piattaforme nel diffondere disinformazione. Ma l’impatto di queste teorie non si limita al mondo online. Su EUobserver si racconta come queste narrazioni stiano influenzando il dibattito politico al più alto livello. Eurodeputati di estrema destra come la tedesca Christine Anderson (AfD) e il romeno Cristian Terhes hanno ripreso pubblicamente argomenti tipici delle narrative cospirazioniste sul clima.

Lo spauracchio delle presunte restrizioni permanenti

«I cittadini dell’Europa e del mondo ti stanno guardando: la nostra libertà e sicurezza sono nelle tue mani. Non deluderci!», recitava una lettera inviata da Chd ai deputati europei nel settembre 2021, mettendo in guardia contro presunte restrizioni permanenti legate alle politiche climatiche. Lighthouse Reports sottolinea come si stia creando un pericoloso circolo vizioso. Rappresentanti eletti o giornalisti mainstream, riprendendo queste teorie, finiscono per conferire loro una patina di legittimità. Questo processo di “mainstreaming” amplifica ulteriormente la portata e l’impatto di queste narrazioni.

Nel mirino le politiche ambiziose del Green Deal

Un esempio eclatante è quello di Claus Strunz, all’epoca caporedattore del tabloid tedesco Bild. In un’intervista televisiva dell’agosto 2022, Strunz ha criticato le politiche di risparmio energetico del ministro tedesco per il clima, Robert Habeck, affermando: «Abbiamo sperimentato con il Covid ciò che stiamo vedendo con il clima ora». Il video dell’intervista è diventato virale, accumulando oltre 660 mila visualizzazioni su YouTube e venendo ampiamente condiviso sui canali QAnon. C’è poi un altro allarme: l’utilizzo di un vocabolario condiviso sta producendo una convergenza tra gruppi cospirazionisti precedentemente concentrati su temi diversi. Questo crea un terreno fertile per la diffusione di teorie negazioniste sul clima, proprio mentre l’Europa cerca di attuare politiche ambiziose (ma che ora andranno ritoccate) come il Green Deal.

Come le teorie complottiste di QAnon stanno infettando pure il dibattito sul clima
Effetti del riscaldamento globale in Groenlandia (Getty).

La bufala delle élite globali che vorrebbero costringerci a mangiare insetti

Le recenti proteste degli agricoltori in varie capitali europee mostrano come queste narrazioni stiano già influenzando il dibattito pubblico. Uno striscione visto durante una manifestazione a Varsavia recitava: “Lascia che Bruxelles mangi i vermi, preferiamo le costolette di maiale e le patate”, riprendendo una vecchia teoria del complotto secondo cui le élite globali vorrebbero costringere le persone a mangiare insetti. Per sapere anticipatamente dove si muoverà la retorica dei sovranisti europei contro il Green Deal e contro le politiche ambientaliste ancora una volta basta guardare verso gli Usa, dove il cospirazionismo è già nel futuro. E la possibile elezione di Donald Trump potrebbe essere il fondamentale acceleratore.

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Il Bestiario della settimana – Borghi Nostradamus, Ceccardi Miss Toscana e Vannacci decima…to

Novello Nostradamus

Era l’11 luglio e il parlamentare leghista Claudio Borghi si sgolava per dirci che il veto di Marine Le Pen sul generale Roberto Vannacci vicepresidente nel gruppo Patrioti europei era un’invenzione dei giornalisti. Scriveva Borghi: “La questione Le Pen Vannacci è di evidenza solare ed è costruita nel solito modo: Si prendono enne giornalisti di sinistra, li si fanno correre incontro a uno del RN. Tutti insieme piantano i microfoni addosso a Tizio e gli dicono: “Sa che Vannacci è un razzista Un omofobo? Lei è d’accordo con le sue frasi razziste?”. Il poveretto non sa nulla ma se dice “sì” sa che il titolo di giornale sarà “Tizio: sono razzista!” Shock a Bruxelles”. Quindi per levarseli di torno farfuglia cose ovvie del tipo: “Io sono contro il razzismo, non sono d’accordo con chi usa frasi razziste”. Basta è fatta. Titolo: “Il RN contro Vannacci, è un razzista non siamo d’accordo con lui”. Il 18 luglio Vannacci è stato fatto fuori dalla vice presidenza. Qualcuno gli chiede conto della sua ennesima previsione sballata: “Se ha risposto lui non serve nessun mio commento”. Povero Borghi. E povero pure Vannacci.

Decima…to

Pregno di contenuti politici il leghista Roberto Vannacci pubblica sui suoi social una foto mentre indossa una maglietta per ringraziare i suoi elettori. “Un ringraziamento dal mio ufficio di Strasburgo a tutti quelli con la loro Xª mi hanno permesso di rappresentarli al Parlamento Europeo!”, scrive. Poche ore dopo gli hanno messo una Xª addosso, ricacciandolo a giocare in panchina.

Premierato comunale

Nelle ultime elezioni comunali a Schiavi di Abruzzo (640 abitanti), il sindaco Luciano Piluso, rieletto per la settima volta, ha creato una pseudo lista di opposizione per evitare di candidarsi da solo. L’elenco includeva i suoi due figli, sua nuora e suo nipote. Incredibilmente ha vinto. Premierato di provincia.

Miss Toscana

L’europarlamentare della Lega Susanna Ceccardi, eletta per un soffio grazie all’opzione in altro collegio del generale Vannacci, ancora una volta si distingue per il suo vizio di giudicare la bellezza delle altre donne. Sembra di essere all’asilo. A dimostrazione del suo talento nel perseverare in brutte figure c’è un suo post pubblicato il 17 luglio, dove commenta con un “Pronte per la Fashion Week” una foto con Ilaria Salis e Carola Rackete immortalate insieme durante una seduta dell’Europarlamento. I commenti sono da incorniciare. “Ma a parte insultare delle donne e fare delle passeggiate per i paesini, mi spieghi per cosa stai combattendo? No perché ancora non ho capito come tu abbia fatto a finire lì”, scrive Alessandro. “Lei è veramente una donna vuota e piccola di contenuti. Come si permette di disprezzare altre donne? Si vergogni!!”, aggiunge Adriana. Alessio sposta la discussione sulle competenze: “Detta da una diplomata ripescata per il seggio europeo, al cospetto di due laureate che hanno preso più voti di te… comunque non è una gara di bellezza, ma tu non lo capisci evidentemente”. Resta sempre valida la frase che le ha dedicato Selvaggia Lucarelli: “Tra bodyshaming, meme, slogan da boomer, frasi fesse sui disabili e islamofobia la campagna della Lega sembra una vecchia pagina di sesso, droga e pastorizia. Susanna Ceccardi che poi si sente Miss Toscana mi fa morire”.

Andate in pace

Nasce Fratres Omnes, l’intergruppo parlamentare Italia-Santa Sede per rafforzare i rapporti con il Vaticano. Hanno aderito circa 30 parlamentari di maggioranza e opposizione. A promuovere l’iniziativa Nazario Pagano (Forza Italia), Presidente della Commissione Affari Costituzionali. Tra gli iscritti troviamo parlamentari di Forza Italia, Lega, FdI, Azione, IV e PD. Andate in pace.

Calcio d’angolo

Qualcuno dica ai parlamentare e leader di partito che da mesi gridano (giustamente) al pericolo del ritorno dell’autoritarismo in Italia che giocare a pallone abbracciati e sorridenti con i potenziali neo camerati non è una mossa geniale di marketing politico. “Ma era per beneficienza”, si difendono loro. Sì, a favore della credibilità della maggioranza.

Cattive maestre

Nonleggerlo su X riporta la vicenda di una maestra che diventa insegnante di ruolo a 65 anni dopo 26 anni di attesa, come racconta un articolo su Il Messaggero. Nell’articolo parla la novella maestra: “L’esperienza maturata in tanti anni nel sociale mi ha imparato molto”, dice. Forse è ancora troppo poco.

Lunga telefonata

Sul Corriere della sera si legge un retroscena: “Tra i tanti fuori-palco di Manduria, Vespa ne ricorda uno che gli è “rimasto nel cuore”. Si legge: “La sera in cui l’Inter perse la coppa c’era Salvini, che e milanista. Impazzì di gioia, come un bambino, chiamò Silvio Berlusconi al telefono e me lo passò. Sentii una voce difficile da dimenticare. Erano le 11.30 di sera. La mattina dopo Berlusconi non c’era più”. Solo che Berlusconi è morto due giorni dopo. Come nota l’utente Kataklinsmann su X deve essere stata una telefonata lunghissima.

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Renzi fa sempre il Renzi. E c’è chi si stupisce ancora

Come nella favola della rana e dello scorpione Matteo Renzi torna a fare il Renzi e ieri ha cambiato idea seguendo la sua natura. Partendo dalla foto della partita del cuore che lo ha immortalato abbracciato alla segretaria del Partito democratico Elly Schlein il padrone di Italia viva a proposito di un’alleanza con i dem e con il Movimento 5 Stelle spiega in un’intervista al Corriere della Sera che “non solo è possibile, ma è anche l’unica alternativa per evitare che ci teniamo per lustri Giorgia Meloni con sorelle, cognati e compagnia cantante. La maggioranza – spiega Renzi –  è divisa su tutto, però sta insieme grazie al potere. L’alternativa è semplice: subire o reagire. Per reagire va costruita l’alternativa, dichiarando chiusa la stagione dei veti”.

Innanzitutto balza all’occhio l’enorme fallacia logica: i veti di cui parla Renzi provengono da una parte del Pd, dal Movimento 5 Stelle oltre a Alleanza verdi sinistra. Non è certo lui quindi che può scioglierli con una scanzonata intervista a un quotidiano. Poi c’è il punto politico. Matteo Renzi ha improntato le sue recenti fallimentari campagne elettorali sull’odio verso Schlein e verso Conte, bistrattati quotidianamente sui social e sulle pagine dei giornali amici. Il cambio di strategia snatura di fatto Italia Viva e la sua azione politica degli ultimi mesi.  Per questo il suo ex amico e compagno di partito Luigi Marattin denuncia “la prospettiva” che “pare essere cambiata” e sottolinea come “a compiere la scelta più importante dalla nascita di IV (cioè quale collocazione politica avere) non saranno gli iscritti ma l’Assemblea Nazionale, i cui membri sono tutti nominati da Matteo”. Ma dai?

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