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Arte

A Casa loro in scena a Recanati

A Recanati con “A casa loro”, lo spettacolo scritto con Nello Scavo per raccontare ciò che ci si ostina a non voler vedere: la Libia è il sacchetto dell’umido dei nostri errori e dei nostri orrori. La storia ci giudicherà. 

Portare in tournée la realtà della Libia e del Mediterraneo è un dovere civile. 

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Se volete organizzare uno spettacolo nel vostro teatro, nel vostro comune, con la vostra associazione o nel vostro festival estivo oppure potete scriverci a organizzazione@giuliocavalli.net

Cavalli e Scavo “A casa loro” tra inchiesta e palcoscenico

(da Il Cittadino)

La premessa è che «il mare non uccide». E che «ad uccidere sono le persone, la povertà, le politiche sbagliate e le diseguaglianze che rendono il mondo un inferno se nasci dalla parte sbagliata». Parte dalle coraggiose inchieste di un reporter internazionale come Nello Scavo – classe 1972, dal 2001 firma di “Avvenire”, le sue inchieste sono state rilanciate dalle principali testate di tutto il mondo -, per «provare a raccontare quella parte del mondo che ci illudiamo di conoscere e di poter giudicare guardando le immagini dei profughi mentre invece ci viene nascosta nel buio delle notizie non date», lo spettacolo “A casa loro” firmato dal lodigiano Giulio Cavalli, giornalista (La Notizia, Left, Oggi), autore teatrale, attore, questa sera sul palcoscenico del Teatro Bello di Milano (via San Cristoforo 1) insieme a un altro lodigiano, il chitarrista Federico Rama, come lodigiano è anche il supporto tecnico di Mario Raimondo. «Una nuova piccola comunità teatrale in nuce a Lodi – spiega Cavalli che, dopo essersi concentrato sulla scrittura (il suo Carnaio, Fandango Libri, è stato finalista al premio Campiello 2019) ha deciso di tornare al teatro civile e sul palcoscenico -: con la giullarata “Falcone, Borsellino e le teste di minchia” abbiamo fatto il tutto esaurito, e lasciato fuori un centinaio di persone, a Milano. La verità è che la risposta del pubblico in questo ritorno a teatro è stata eccezionale». E con la giullarata pungente per deridere le mafie, con cui Cavalli pesca nel lavoro fatto con Dario Fo, mercoledì è stato anche a Catania, al Piccolo Teatro di Città, nell’ambito dell’iniziativa della Fondazione Fava che si conclude con la consegna del premio Fava Giovani 2023. 

«Al progetto “A casa loro”, nato come un libro per People, io e Nello Scavo abbiamo iniziato a lavorare quando ancora il tema della migrazioni non era risalito come è accaduto poi – sottolinea Cavalli – e attraverso gli stralci di reportage e le testimonianze raccolte da Nello e da me, si concentra sulle condizioni di detenzione illegale che lo Stato Libico applica ai migranti. Dopo la tragedia di Cutro si è diffusa lancinante comprensione del dolore che obbliga tutti a uscire dalla dialettica politica per rendersi conto che si tratta di un’emergenza umanitaria. Il fenomeno delle migrazioni può essere gestito in base alla propria sensibilità da parte delle forze politiche, soccorrere invece è un pre-requisito dell’essere umani. Su questo tema, il mondo della Chiesa si muove con molto coraggio». •

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Quotidiano Di Sicilia sullo spettacolo “Falcone, Borsellino e le teste di minchia”

(fonte)

Lo spettacolo, organizzato dalla Fondazione Fava, in collaborazione con il Piccolo Teatro di Città, è dedicato ai due magistrati

“La parola contro le mafie funziona. Questo significa che possediamo tutti le armi per combatterle”. La tagliente e profonda lingua di Giulio Cavalli ci ricorda che di mafia bisogna parlare, che sulla mafia bisogna riflettere, capire, domandare. E che la memoria va esercitata, sempre. Lo fa dal palco del Piccolo teatro di Catania dove ha portato in scena lo spettacolo “Falcone, Borsellino e le teste di minchia”.

Lo spettacolo al Piccolo Teatro 

Lo spettacolo, organizzato dalla Fondazione Fava, in collaborazione con il Piccolo Teatro di Città, è dedicato ai due magistrati: un monologo pungente che deride le mafie e che porta avanti, al contempo, quella mai sopita esigenza civile di scoprire la verità ancora nascosta sulle stragi del 1992 e su quello che ne è conseguito.

Voce e chitarra per esercitare la memoria 

Accompagnato dalla chitarra suonata da Enzo Pafumi, Cavalli inchioda lo spettatore alla sedia, lo coinvolge e lo bombarda di parole, aneddoti, riflessioni su Cosa nostra, sull’assuefazione di un popolo, quello italiano, capace di indignarsi ma anche di fare dei boss mafiosi modello. Quanto meno televisivo. Cavalli porta in scena, dunque, il teatro civile di Pippo Fava, che ha lasciato un segno indelebile, un messaggio potente e attuale e che sopravvive al giornalista e ne accompagna la memoria.

Migranti, la “denuncia” di Giulio Cavalli. “Prima del mare, i migranti li abbiamo inghiottiti noi”

(fonte)

In un certo senso, il suo è un debutto. Giulio Cavalli arriva a Palermo e con “A casa loro”, monologo sulle migrazioni scritto a quattro mani con il giornalista Nello Scavo, e per la prima volta si esibisce di fronte ad una platea composta in larga parte dai protagonisti dell’opera. In arido gergo burocratico li chiamano “minori non accompagnati”, ma sono i circa duecento ragazzi migranti che negli ultimi due anni hanno seguito il percorso di Harraga2, il progetto del Ciai, in collaborazione con Cledu, Send, Cesie e Comune di Palermo, che con loro ha costruito un percorso di formazione e inserimento nel mondo del lavoro. “È una bella responsabilità – dice Cavalli poche ore prima dello spettacolo in programma stasera al Biondo –  ed anche una sorta di verifica di quello che diciamo e come lo diciamo”. Attore impegnato, drammaturgo, scrittore, giornalista, più volte minacciato dai clan e per questo in passato obbligato ad accettare la scorta, torna al teatro. “In un momento in cui tutti siamo invasi da informazioni sempre più mediate, anche solo dagli strumenti che usiamo, è il ritorno a una presenza fisica che permette a chi ascolta che può verificare anche l’onestà intellettuale di chi è sul palco”. E quello delle migrazioni è tema caro, “profondamente umano oltre che tecnico, ancor prima che politico”.

Questo spettacolo ha uno scopo, un obiettivo?

“Riportare la discussione nell’alveo dell’emergenza umanitaria e non della gestione di flussi, parlare di persone. E in questo senso il teatro può essere il mezzo più adeguato”.

“A casa loro” non è stato scritto di recente, ma rimane di straordinaria attualità

“La prima versione è stata scritta quando c’era ancora Gino Strada. Di recente, Nello Scavo e io lo abbiamo rimaneggiato e aggiornato, ma la storia rimane la stessa. È cambiata la narrazione che viene costruita sopra, ma si continua a morire e anche gli appelli, che arrivino da Papa o dall’Onu, rimangono in un circuito endogamico, per cui li legge e li ascolta chi è interessato al tema. I morti li cominciamo a notare solo quando sporcano il tappeto dei salotti, allora andiamo nei salotti”

La strage di Cutro pensi abbia modificato la percezione in Italia?

“In parte sì. Dal mio angolo di osservazione vedo persone xenofobe che sono in difficoltà. Per la prima volta mi capita di vedere persone che sentono la necessità di scrollarsi di dosso una tragedia, quindi vuol dire che la tragedia è particolarmente appuntita. Certo, dover fare dei progressi sociali sulla pelle della gente è di un cinismo devastante”

Un italiano che va all’estero è “un cervello in fuga”, chi viene qui spesso un invasore. Perché?

“Primo, perché gli italiani hanno la fortuna di arrivare in Paesi più civili. In generale, c’è chi non capisce che queste persone non possono salire su un aereo perché non hanno un passaporto che glielo permetta”.

Come si è arrivati a questo?

“Prima di essere inghiottiti dal mare, i migranti li abbiamo inghiottiti noi. Oggettivizzandoli, anzi numerizzandoli, nel senso che per noi le migrazioni sono sempre state numeri. Flussi, numeri, grafici, abbiamo tolto le facce, i nomi. Ed è successo anche  con l’aiuto di utili idioti nel mondo del giornalismo che hanno trattato questo tema come se fosse una questione di statistiche e non di persone”.

Proviamo a fare un esempio

“Basta pensare alla differenza nell’accoglienza tra gli ucraini e quelli che vengono identificati come “i negri”. Per sentirci assolti nel respingerli, dobbiamo convincerci che siano altro da noi. E quelli hanno un particolare che li renda altro da noi”.

La politica che ruolo ha avuto in questo?

“Ieri, dopo il naufragio davanti alla Libia di persone che per giorni avevano chiesto aiuto, la destra e anche pezzi del centrosinistra si sono interrogati per tutto il giorno sui metri in cui sono morte delle persone, per decidere se sia responsabilità nostra. Se ci pensi questo è espressione pura del federalismo, che poi è diventato sovranismo. E questo è il grande danno del nostro Paese, culturale e sociale: averci convinto di avere il diritto di occuparci delle cose più vicine a noi. La  frase “io penso prima ai miei figli, ai miei amici, ai miei parenti” è totalmente sdoganata. Ed è incostituzionale”.

In nome della sicurezza, sono stati approvati decreti in materia di migrazioni, mentre i magistrati lanciano l’allarme sullo smantellamento della normativa antimafia. È un paradosso?

“Quando un sistema criminale diventa sistema di potere scompare dal radar delle emergenze. E in questo Cosa Nostra, ndrangheta, camorra ci sono riuscite benissimo. Nel momento in cui loro non sono più riconosciuti come emergenza, è inevitabile che ritorni l’impunità sotto le mentite spoglie del garantismo”.

E ai migranti identificati come minaccia come si arriva?

“È la percezioni criminale avvantaggiata dall’aspetto tattile. Siccome di mafiosi non hai più la sensazione di incontrarne uno per strada, anche se magari lo hai votato, e invece i migranti li incroci per strada, è rassicurante soprattutto per quelle persone che non hanno voglia di studiare, di informarsi avere la sensazione di poter riconoscere il pericolo. La riconoscibilità del pericolo fa sentire in grado di proteggersi, tant’è che molti votano non persone in grado di affrontare gli eventuali pericoli, ma coloro che ne danno un’identificazione semplice”.

Antimafia Duemila sugli spettacoli “A casa loro” e “falcone, borsellino e le teste di minchia”

(fonte)

Ieri, al teatro comunale di porto San Giorgio è andato in scena il monologo ‘A Casa Loro’ interpretato dall’artista antimafia e giornalista Giulio Cavalli. Un monologo teatrale che nasce dai reportage di Nello Scavo (giornalista di Avvenire) e racconta il dramma di chi prova a fuggire dall’Africa per arrivare in Italia, restando spesso imprigionato in Libia.

Questa sera, invece, venerdì 24 febbraio (ore 21.15) l’Isola di Chiaravalle in via G. Bruno 3 ospiterà lo spettacolo “Falcone, Borsellino e le teste di minchia – Il ridicolo onore” scritto e interpretato sempre da Giulio Cavalli.

Recuperando i canoni dei giullari del ‘500 ma conservando il rigore del giornalismo d’inchiesta, il monologo ripercorre la storia delle mafie, smontando il presunto onore dei boss con la risata. Ridere di mafia diventa così una sorta di antiracket culturale: la parola come arma bianca con cui prendere parte ad una battaglia che non può e non deve passare di moda.

Castigat ridendo mores direbbero i latini: correggere i costumi con la risata.

I due monologhi, ha detto Cavalli, “sono i due temi su cui stiamo lavorando quest’anno e sono temi su cui io lavoro da sempre quindi quello dell’immigrazione, anzi più dell’immigrazione direi sullo sconcio accordo che c’è tra Italia e Libia e per cui l’Italia è capofila nell’Europa per pagare miliziani libici di questo stato che in realtà non è uno stato“.

L’altro ieri Giorgia Meloni diceva a Kiev ‘bisogna vedere con i propri occhi’, e io penso che il teatro e il giornalismo sia un ottimo modo per portare le persone lì senza che si debbano spostare”.

‘Falcone, Borsellino e le teste di minchia’ “invece riprende il mio teatro più classico, quindi la giullarata, e racconta di questi trent’anni di mafia, di antimafia, di tutto ciò che non va nella narrazione che c’è stata e del fatto che abbiamo dato molto credito ai boss mafiosi – ce ne siamo innamorati non per ultimo Matteo Messina Denaro – e che ancora trent’anni dopo continuiamo a raccontare le mafie come un sistema criminale e non come un sistema di potere. L’anno scorso era il trentennale di Falcone e Borsellino e uno dei più grandi insegnamenti che ci hanno lasciato era stato proprio questo”.

“Nel primo caso lo spettacolo sulla Libia è uno spettacolo classico mentre nel secondo si ride perché sono convinto che la risata contro la mafia funzioni. Ce lo insegnano i giullari del ‘500 che i potenti ma soprattutto i prepotenti non sopportano la risata”.

E poi ancora, in merito al dibattito che si è accesso intorno al 41 bis: uno degli scopi di una “precisa parte politica del governo, mi sembra evidente, lo raccontano gli ultimi vent’anni della storia di questo Paese” sia “abolire mezzi di indagine o comunque mezzi giudiziari che servono per sconfiggere la mafia” in “nome di un garantismo che non ha niente a che vedere con il garantismo”.

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« A l’autre bout de la mer », ou l’invasion de cadavres !

Titre : A l’autre bout de la mer
Auteur : Giulio Cavalli
Editions : 10/18
Date de parution : 6 janvier 2022
Genre : Roman

Nous sommes ravis de pouvoir vous conseiller ce livre tellement étonnant ! A l’autre bout de la mer est un véritable ovni littéraire, tant pour la forme que pour le sujet.

Commençons par ce dernier : l’histoire se passe dans la petite ville côtière de DF. De bon matin, un pêcheur retrouve le cadavre d’un homme jeune à la peau sombre flottant dans l’eau. Avant que l’on ait pu l’identifier ou commencer une enquête, un second corps est découvert. Et tout à coup, dans ce village paisible, les choses dégénèrent : un amas d’une centaine de morts arrive de la mer. Fait étonnant, ce ne sont que des hommes du même âge, de la même carnation et du même gabarit. Les spéculations vont bon train : résidus d’expériences génétiques ratées, esclaves ou encore aliens !

Tandis que les autorités de la ville s’interrogent pour trouver le fin mot de l’histoire afin d’apaiser tant les anxieux que les hystériques, la première vague s’abat sur DF. On ne parle pas de covid ici mais bien de 25 000 corps qui sont à dénombrer dans ce reflux maritime. Un tsunami de cadavres qui encombrent les jardins, de poids morts qui défoncent tout ce qui se trouve sur leur chemin et de globes oculaires qui s’agglutinent de façon écœurante contre les baies vitrées. Bref, les dégâts en tous genres sont gigantesques. Face à ce phénomène aussi incroyable que répétitif, les autorités de DF sont contraintes de trouver une solution des plus étranges…

On ne vous en dira pas plus, ce serait déflorer l’idée géniale de l’auteur. Imaginez un peu une vague de cadavres déferlant sur les plages du Zoute à l’heure du Gin-to. Que ferait le gouvernement ? A l’autre bout de la mer est le premier roman de Giulio Cavalli traduit en français, espérons qu’il y en ait d’autres ! Des sujets originaux qui dépotent et qui portent à la réflexion sont devenus trop rares.

Quant à la forme stupéfiante susmentionnée, l’écriture correspond au phénomène : de grandes vagues ininterrompues de phrases. Si cela semble rebutant en début de lecture, on est rapidement happé par le récit brut et non édulcoré qui nous emporte dans son tourbillon infernal de mots sillonnant à travers les macchabées et l’eau salée. L’auteur a choisi de décrire l’histoire vue par différents personnages, allant notamment des simples citoyens en passant par le maire ou encore le médecin. Interpellant de voir jusqu’où les Hommes peuvent raisonner avant de mettre leurs limites…

Cette fable cynique d’un peu plus de 200 pages est assurément à mettre en toutes les mains !

(fonte)