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Arte

fantascienza.com recensisce #IMangiafemmine

Anche fantascienza.com recensisce IMangiafemmine (grazie!)

Speriamo che rimanga fantascienza.

C’è un genere che sta affiorando nella narrativa italiana, un genere che potremmo definire “quasi distopia”. Spesso non ha origine da autori che appartengono al mondo del fantastico ma piuttosto a quello del sociale e della politica. Sono romanzi che immaginano sviluppi disastrosi da un contesto del tutto presente e reale. Quindi “quasi” non nel senso che lo scenario non sia distopico, ma nel senso che lo scostamento dalla realtà è in effetti piccolo. Sono difficili da classificare nel fantastico, ci rientrano appena appena, e dopo averli letti il lettore si augura con tutto il cuore che ci restino il più a lungo possibile.

Un esempio è la trilogia di Giulio Cavalli che dopo Carnaio e Nuovissimo testamento si completa ora con I mangiafemmine, un romanzo che affronta il tema di una destra di governo incapace di affrontare i problemi e del dilagare del femminicidio. 

Il libro

A un passo dalle elezioni, la placida vittoria di Valerio Corti – uomo forte dei Conservatori – è minata da una vera e propria epidemia di donne, di donne ammazzate a casa, dai mariti, dagli amanti, dagli ex fidanzati, donne fatte a pezzi da compagni devoti.

Ma il candidato premier non intende occuparsene, perché le donne sono sempre morte, perché le donne per bene, normali, le madri di famiglia, le fidanzate discrete non corrono rischi.

Oltre ogni strategia politica però pare che la strada della sua incoronazione a presidente del consiglio sia lastricata di sangue, con l’opinione pubblica che chiede conto e le poche voci delle attiviste che gridano al massacro.

Ma c’è davvero un’epidemia di donne? C’è davvero un problema? E che cosa succede quando la politica, un’intera classe politica, uno Stato, il problema non sono in grado di risolverlo?

Con I mangiafemmine Giulio Cavalli firma la sua opera più radicale e provocatoria, con lo stile riconoscibile di un narratore raffinato che non ha paura di raccontare un mondo che già c’è.

DF è ora più che mai lo specchio oscuro di una società in cui non vorremmo mai guardarci.

L’autore

Scrittore e autore teatrale, dal 2007 vive sotto scorta a causa del suo impegno contro le mafie. Collabora con varie testate giornalistiche e ha pubblicato diversi libri d’inchiesta, tra i quali ricordiamo Nomi, cognomi e infami (2010), L’innocenza di Giulio (Chiarelettere 2012), Santamamma (Fandago 2017) e Carnaio (Fandango 2018). È stato membro dell’Osservatorio sulla legalità e consigliere regionale in Lombardia. Nel 2015 pubblica per Rizzoli Mio padre in una scatola da scarpe.

Giulio Cavalli, I mangiafemmine, Fandango, 204 pagg., euro 18, ebook 9,99.

https://www.fantascienza.com/29457/i-mangiafemmine-la-distopia-di-giulio-cavalli

La recensione di Leggere Distopico e Fantascienza Oggi sul mio romanzo #IMangiafemmine

«una storia cruda e mozzafiato per intensità e portata»

La recensione di Leggere Distopico e Fantascienza Oggi sul mio romanzo #IMangiafemmine

(grazie)

TRAMA DEI MANGIAFEMMINE

A un passo dalle elezioni, la placida vittoria di Valerio Corti – uomo forte dei Conservatori – è minata da una vera e propria epidemia di donne, di donne ammazzate a casa, dai mariti, dagli amanti, dagli ex fidanzati, donne fatte a pezzi da compagni devoti. Ma il candidato premier non intende occuparsene, perché le donne sono sempre morte, perché le donne per bene, normali, le madri di famiglia, le fidanzate discrete non corrono rischi. Oltre ogni strategia politica però pare che la strada della sua incoronazione a presidente del consiglio sia lastricata di sangue, con l’opinione pubblica che chiede conto e le poche voci delle attiviste che gridano al massacro. Ma c’è davvero un’epidemia di donne? C’è davvero un problema? E che cosa succede quando la politica, un’intera classe politica, uno Stato, il problema non sono in grado di risolverlo? Con I mangiafemmine Giulio Cavalli firma la sua opera più radicale e provocatoria, con lo stile riconoscibile di un narratore raffinato che non ha paura di raccontare un mondo che già c’è. DF è ora più che mai lo specchio oscuro di una società in cui non vorremmo mai guardarci.

RECENSIONE DEI MANGIAFEMMINE

I mangiafemmine, edito Fandango, è una distopia di stampo femen made in Italy che giunge al momento opportuno.
Le pagine di cronaca nera odierna pullulano di casi di femminicidi, e Giulio Cavalli immagina – ma è davvero così lontano dalla realtà? – che il governo decida di prendere un radicale provvedimento su questo fenomeno: emanare una nuova legge.
Bene, penserete, ma non è esattamente così.
Perché il disegno di legge anziché mettere un freno a quest’impennata di omicidi sempre più inarrestabile, decide di “legalizzarli”.

Continua ad accadere ciò che è sempre successo, non cambia niente, non è cambiato niente. Hanno semplicemente codificato l’orrore in una legge.

L’autore ci offre un punto di vista che è l’antitesi del politicamente corretto, da un lato l’aspirante leader che non riesce a dissimulare l’opinione misogina che ha delle donne e dall’altro fulminanti esempi di questa lunga scia di sangue si alternano alla sua scalata al potere.
Prendiamo un momento il dizionario Treccani, cito testualmente, alla voce “femminicidio” la definizione data è la seguente: 

(feminicidio), s. m. Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale.

Un libro, questo, che mostra una realtà che ti colpisce con la veemenza di uno schiaffo in viso, all’apparenza lontana anni luce da noi ma che, invece, strizza l’occhio al quotidiano. “Il re è nudo” lo hanno visto da sempre tutti quanti, però nessuno proferisce parola.
Il tema, infatti, è tristemente molto attuale ma ritengo che testi del genere rappresentino un mezzo fondamentale ed efficace proprio per la loro impetuosità, in grado di farci aprire gli occhi su una spirale di violenza che non accenna a placarsi.
L’autore, con uno stile scevro da qualsivoglia orpello stilistico, espone una chiave di lettura differente, affronta di petto la tremenda società in cui le donne sono vittime di un sistema che tutela i loro assassini. Un romanzo impattante – nato dall’urgenza del momento che stiamo vivendo – che nella sua brevità lancia un messaggio, anzi un appello disperato e accorato: è ora di un vero cambiamento.
Viviamo in un tempo in cui le donne non possono e non devono continuare a venir decimate così; è necessario – fin dall’infanzia – educare uomini e donne alla parità e all’affettività ma soprattutto al rispetto, affinché ciò non accada più e che ogni vita strappata non sia vista semplicemente come una goccia in mezzo all’oceano. Non dobbiamo mai smettere di indignarci né di percepire l’assurdità di ciò che accade, non dobbiamo farci anestetizzare da un fenomeno che sembra quasi diventato storia di ordinaria amministrazione.
Giulio Cavalli ci propone un’attenta e originale interpretazione di questa piaga sociale, ha scritto una storia cruda e mozzafiato per intensità e portata.
È un libro forte e necessario che vi consiglio caldamente di recuperare. È una storia che si risolve in un centinaio di pagine, ma non è stato facile leggerla e tantomeno scriverne cercando di serbare la lucidità necessaria, evitando di diventare preda di una forte rabbia, senso di impotenza e frustrazione.

Elisa R

Il Cittadino sullo spettacolo “A casa loro”

Lunedì dopo 15 anni sono tornato a Lodi, al Teatro alle Vigne, con lo spettacolo “A casa loro” scritto con Nello Scavo. In scena con me Federico Rama alla chitarra e Ivan Merlini al pianoforte.

Ogni volta che incrociamo il calore del pubblico e ci immergiamo nell’umano sbigottimento di fronte alle testimonianze su ciò che accade in Libia e in Tunisia ci convinciamo ancora di più che anche il teatro può essere uno strumento di resistenza. Insistiamo: non si tratta di questioni politiche. Si tratta di questioni umanitarie, che vengono prima di ogni politica.

Questo non è un Paese con il cuore duro, come scrive qualcuno. Insistiamo attraversando il Paese. Qui l’articolo de Il Cittadino.

Il Cittadino sullo spettacolo “A casa loro”

[Lunedì si torna a casa con lo spettacolo scritto con Nello Scavo. L’articolo di Fabio Ravera per Il Cittadino di Lodi]

«Il mare non uccide. A uccidere sono le persone, la povertà, le politiche sbagliate e le disuguaglianze che rendono il mondo un inferno se nasci dalla parte sbagliata». Dopo l’anteprima di “Odio gli indifferenti”, Giulio Cavalli torna in scena a stretto giro a Lodi, sul palco delle Vigne in via Cavour, con uno spettacolo «molto più teatrale e doloroso». Si tratta di “A casa loro”, un testo scritto insieme a Nello Scavo, giornalista di “Avvenire”, reporter internazionale e cronista giudiziario, portato in tutta Italia durante gli ultimi due anni.

L’appuntamento è fissato per lunedì alle 21 (ingresso gratuito): la serata è promossa da Sai (Sistema di accoglienza e integrazione) del Comune di Lodi – Progetto Insieme ODV ETS, con il sostegno del Comune di Lodi. La prenotazione non è obbligatoria ma è consigliata in caso di gruppi numerosi: per info scrivere a eros.invernizzi@sprarlodi.org o info@sprarlodi.org. «Il tema centrale è quello delle detenzioni illegali in Libia, denunciate più volte dalle organizzazioni internazionali – racconta Cavalli che sul palco sarà accompagnato da Federico Rama alla chitarra e da Ivan Merlini al piano -. Spesso si sente la frase “Aiutiamoli a casa loro”: ci è sembrato importante raccontare cosa succede davvero a casa loro. Il testo raccoglie inchieste condotte sul campo da Nello Scavo per “Avvenire”». Partendo dalle coraggiose inchieste del reporter, il monologo di Cavalli prova a raccontare quella parte del mondo che ci illudiamo di conoscere e di poter giudicare guardando le immagini dei profughi, mentre invece ci viene nascosta nel buio delle notizie non date. “A casa loro” è anche la scelta di versare sul palco quel pezzo di mondo «che ignoriamo per assolverci e invece la storia ce ne renderà conto perché la solidarietà non sta nei regolamenti, nei trattati internazionali e nemmeno negli editoriali – continua l’attore, scrittore e giornalista lodigiano -. E per questo forse anche uno spettacolo teatrale serve: i furbi parlano molto di solidarietà, ma ne parlano troppo con chi avrebbe bisogno di riceverla, piuttosto che parlarne con chi avrebbe bisogno di farla. Il Mediterraneo è il cimitero liquido dei nostri scheletri ma lì intorno, nelle regioni che scendono per l’Africa, quelle sulla rotta balcanica e nella zona impigliata tra i fili spinati della Turchia, ci sono le persone.

Persone, semplicemente, con il fardello delle loro storie che hanno l’odore di carne viva, senza valigie ma con quintali di paura, costretti al macabro destino di stare sulle pagine dei giornali o sulle bocche più feroci della politica e poi davvero non avere un posto dove stare». +++ Se volete organizzarlo nel vostro teatro, nel vostro comune, nella vostra scuola, con la vostra associazione o nel vostro festival potete scriverci a organizzazione@giuliocavalli.net

Ultima Voce recensisce I Mangiafemmine

[@Ultima Voce recensisce #IMangiafemmine]

Nella penombra di un mondo distorto, dove la realtà s’incaglia con la fantasia più buia, Giulio Cavalli conduce il lettore nel labirinto di DF. L’oscurità di questo paese diviene uno specchio rovesciato della società, un riflesso che svela gli abissi dell’animo umano.

Un’epopea cruda e inquietante si dipana tra le pagine di “I mangiafemmine”, tessendo una trama tanto attuale quanto disturbante.

Attraverso il libro “I mangiafemmine”, pubblicato da Fandango Libri, Giulio Cavalli ci trascina nuovamente nel cupo territorio di DF, un luogo che si erge come un sinistro specchio della società attuale, un posto in cui molti preferirebbero non affacciarsi mai. Questo romanzo, crudo e incisivo, si rivela un’opera imprescindibile per coloro che si appassionano alla narrativa distopica e sono alla ricerca di storie in grado di stimolare profonde riflessioni. È la conclusione della trilogia di DF, che aveva preso il via con i titoli “Carnaio” e “Nuovissimo Testamento“.

L’autore, firma forse il suo lavoro più radicale e provocatorio, abbracciando uno stile narrativo riconoscibile, senza timore nel dipingere un mondo già esistente.

Esaminando attentamente la nuova opera di Cavalli, emerge in modo spaventoso il parallelo tra la distopia che l’autore dipinge e la realtà che ci circonda, una realtà che, però, spesso fatichiamo ad ammettere. All’interno di questa storia si presentano figure politiche inventate, contrassegnate da simboli partitici generici, ma che non nascondono affatto le tendenze, le ipocrisie e la corruzione diffuse nella classe politica, non soltanto in Italia ma anche al di là dei confini nazionali.

DF diviene lo specchio deforme di una società in cui affiora un’epidemia di violenza contro le donne, un’epidemia ignorata da una classe politica in piena campagna elettorale. Donne uccise, smembrate dai propri compagni, mentre il candidato premier, Valerio Corti, trascura il problema, ritenendo le vittime come “normali” e non degne di considerazione.

Il romanzo di Cavalli riflette, in modo pauroso, il paradosso di una distopia che trova riscontro nella nostra realtà, con politici fittizi ma facilmente riconducibili alla corruzione diffusa, alle ipocrisie e alle posizioni vuote della politica contemporanea.

L’autore dipinge scene televisive e scontri verbali fra rappresentanti politici che imbarazzano l’intero sistema, distogliendo l’attenzione dai problemi reali. Corti stesso, in una disastrosa intervista, rivela il suo disprezzo verso le donne, negando qualsiasi responsabilità sociale nel caso di violenza su Frida, vittima di un omicidio perpetrato dal compagno.

Ma non è solo nella finzione di Cavalli che si annida il sessismo: la realtà, purtroppo, riflette tali atteggiamenti. Uomini violenti, incapaci di accettare il rifiuto, usurpano il corpo delle donne come oggetto di piacere e possesso. Cavalli, con uno stile chirurgico e freddo, sottolinea questo orrore, spingendo il lettore nell’abisso della misoginia dilagante.

Il romanzo si fa voce di una verità scomoda: il problema non sono solo gli uomini violenti, ma anche coloro che temono di diventarlo, evidenziando la fragilità di una società intrisa di patriarcato.

Le parole di Clementina Merlin, nel romanzo giornalista e attivista, rappresentano la cruda essenza del patriarcato, sottolineando la necessità di una rivoluzione culturale per rompere questo circolo vizioso di violenza e colpa auto-inflitta dalle vittime.

“I mangiafemmine” è un libro claustrofobico, una lettura che stringe lo stomaco e afferra l’attenzione, portando l’angoscia del lettore a livelli estremi. Cavalli adotta uno stile ruvido e crudo, sconvolgente ma necessario per far emergere la drammatica attualità del tema trattato.

Il romanzo è uno spaventoso specchio della nostra realtà, una lettura urgente per tutti coloro che cercano di comprendere e combattere questa epidemia di violenza che ancora affligge la nostra società.

https://www.ultimavoce.it/lo-specchio-distopico-di-giulio-cavalli-e-la-cruda-verita-di-i-mangiafemmine/?fbclid=IwAR1f3KVxeKWefAHHQgE-bkX6B0I4dDMa8tOvT33AxpWWqtY9Q7GDGuiCUto

Il Cittadino sull’anteprima di “Odio gli indifferenti”: Il “sogno civile” a occhi aperti di Giulio Cavalli e De Magistris

Una “giullarata politica” che arriva dal futuro. Venticinque aprile 2045: un decreto legislativo obbliga tutti i cittadini, i partiti e le associazioni a rispettare la Costituzione. «In ufficio, nei bar, in casa, sul marciapiede, ovunque», dice Giulio Cavalli in apertura della prova generale di “Odio gli indifferenti – Che Paese saremmo se si rispettasse la Costituzione”, in scena venerdì sera nello spazio del teatrino San Rocco a Lodi grazie alla collaborazione del BarZaghi, il locale dell’omonima piazza che ha organizzato l’evento. Erano anni che l’attore, scrittore e giornalista non si esibiva nella sua città, a causa di vecchi “dissapori” che si sono come dissolti nell’abbraccio del pubblico, numeroso ed entusiasta. Il testo, seppure “in fieri”, è stato accolto da applausi convinti: Cavalli ha scritto un’opera geniale, divertente, a tratti commovente e pure ferocemente provocatoria. E la presenza sul palco di Luigi De Magistris, ex magistrato ed ex sindaco di Napoli, ha garantito ulteriore autorevolezza a un testo sì di fantasia ma che affonda le proprie radici nella realtà, tra gli articoli della legge fondamentale del nostro Stato. Una “carta” a lungo offesa, tradita, pugnalata. «La Costituzione non è un libro da tenere in biblioteca, ma il battito cardiaco di una democrazia», afferma De Magistris: per questo «devono essere processati tutti i traditori, perché fino al 2045 (l a data in cui è ambientata la “giullarata” , ndr) sono stati processati quelli che l’hanno rispettata». Nell’Italia che saremmo se si rispettasse la Costituzione, i poveri, gli immigrati, i diversamente abili e gli sconfitti improvvisamente si sveglierebbero con una dignità che non avrebbero mai potuto nemmeno sognare. E chi vive di rendita perché è “figlio di…” non scamperebbe all’arresto: perché l’Articolo 1, “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, entrerebbe finalmente in vigore, e soprattutto verrebbe applicato anche l’Articolo 4: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Una società in cui, nel 2045, «sarebbe tutelato il principio di uguaglianza, il principio fondamentale della Costituzione» e in cui, ironizza Cavalli, «nelle carceri finirebbero soprattutto ricchi, istruiti e con la pelle bianca, e non il 90 per cento di poveri con bassa scolarizzazione, come succede oggi». Dal 12 al 21 gennaio lo spettacolo andrà in scena al Teatro della Cooperativa di Milano: per continuare a combattere l’indifferenza (o peggio: la complicità e la connivenza) e non smettere di sognare un Paese più giusto.

(da Il Cittadino)

@CriticaLetteraria recensisce #IMangiafemmine

“Lui era un brav’uomo e rimane un brav’uomo al di là di quello che ha fatto, se l’ha fatto”, spiegherà il portiere non mancando di ripetere a tutti come Tullio Ravasi fosse dedito al lavoro: “Lavoro lavoro lavoro, solo quello, fino a tardi, dalla mattina prestissimo, e quando torna a casa si ritrova quel muso buio di una moglie ingrata, eternamente insoddisfatta”. Al radio giornale pure la madre di lei a mezza bocca dovrà ammettere che ce ne vuole per esaurire la pazienza del marito di sua figlia. “Come può un uomo che lavora tutto il giorno per garantire l’inedia della sua signora non esplodere?”, chiederà un passante senza nome e cognome da scrivere nel sottopancia del servizio televisivo. (p. 28)

La moglie “ingrata”, Frida, è stata uccisa dal tanto paziente marito che da molto tempo ormai, non le dedicava alcuna attenzione, rincasava tardi, stanco, così lui riferiva, ma nessuno sapeva che Tullio abusava nel suo ufficio, ma anche altrove, delle stagiste che avevano bisogno di lavorare e stavolta la nuova ragazza aveva avuto il coraggio di denunciare tutto. Il pericolo dello scandalo e le conseguenze legali del suo comportamento lo avevano incattivito e capro espiatorio di tanta tensione era stata sua moglie che già da tempo si era confidata con la madre, manifestando preoccupazione:

«No, mamma, non posso stare sempre zitta. […] Questa volta è diverso. Tullio non è stanco, è diventato cattivo. Ieri sera è tornato a casa, puzzava di alcol, la camicia increspata e i capelli schiacciati. […] Te lo giuro, mi guardava con odio. Odio». (p. 22)

Frida, Sonia, Clara e altre donne sono state uccise dai loro compagni, ossia dalla persone cui un giorno avevano deciso di affidare la propria vita. È la cronaca nera che dà in pasto al sensazionalismo dei media storie e retroscena di violenze, stupri e femminicidi. Nella nazione di DF, quello stato immaginario che abbiamo già visto nei romanzi Carnaio e Nuovissimo testamento, Giulio Cavalli osa provocare per l’ennesima volta, e forse anche di più rispetto ai precedenti libri della trilogia, creando una situazione paradossale: il femminicidio è ammesso dalla legge. È legale uccidere donne. A DF il femminicidio è parificato all’attività venatoria: l’uomo, il cacciatore per eccellenza, va a caccia di donne e le uccide, allo scopo di combattere l’esuberanza numerica della popolazione di sesso femminile. Quello che conta è rispettare le normali regole igieniche, seguire le istruzioni dettate dal ministero evitando di uccidere la donna in presenza di minori che possano assistere allo spettacolo di caccia. Questa è l’unica “delicatezza” concessa, per il resto l’utilizzo o meno di brutalità, l’abuso sessuale prima o dopo la caccia non è neppure tenuto in considerazione dalla normativa. L’oggettificazione della donna raggiunge allora il culmine: non solo il suo consenso non è richiesto in nessuna occasione, ma è qualcosa di cui disfarsene quando diventa molesta. È come dire che il bene-donna, nel libero mercato della nazione di DF, è un surplus di cui non se ne fa nulla, non è parificato alla persona, ma alla selvaggina ed è necessario disfarsene seguendo regole di smaltimento ben precise: eliminare donne per rispettare l’equilibrio sociale e demografico di DF.

Decreto Legge n. 55/4231 Misure straordinarie per la regolamentazione temporanea dell’attività venatoria speciale/straordinaria del femminicidio

IL PRESIDENTEVisti gli articoli 77 e 87 della Costituzione, […] Decreta:Articolo 1 – FinalitàIl presente Decreto Legge stabilisce misure straordinarie per la regolamentazione della caccia al fine di preservare l’ordine pubblico e i principi etico-sociali, nel rispetto delle nome igienico-sanitarie.

Articolo 2 – autorizzazione all’attività venatoria specialeè consentita la pratica venatoria volta all’equilibrio dei generi, secondo i protocolli e le modalità stabilite nel presente Decreto Legge. L’autorizzazione alla caccia è subordinata al possesso di una licenza rilasciata dalle autorità competenti, previo superamento di un esame attestante la conoscenza delle norme igienico-sanitarie e delle regole di sicurezza. (p. 123)

Leggendo il nuovo romanzo di Cavalli, ci si rende conto paurosamente di quanto il paradosso, o se si vuole, la distopia che lui costruisce sia lo specchio fedele della realtà in cui viviamo, ma di cui fatichiamo a renderci conto. Nella storia vi sono personaggi politici inventati, con sigle politiche generiche, ma dietro cui non si fatica certo a trovare le posizioni, le ipocrisie e la corruzione della classe politica, italiana e non solo. Ospitate televisive in occasione delle elezioni, scontri verbali fra esponenti di forze avversarie da cui partono a razzo parolacce o ingiurie che mettono in imbarazzo l’intero partito e a cui bisogna entro il giorno dopo porre rimedio tramite social, magari con un post. È la politica che salva le apparenze, partecipa ai diversi programmi televisivi per parlare del niente e creare discorsi che mirano a infangare il partito nemico, contando sul power dressing (leggi: l’abito fa il monaco) e distogliendo l’attenzione dai problemi reali. È proprio il caso di Valerio Corti, che, partecipando a una intervista televisiva, è convinto di farcela e di fare del suo partito quello vincitore nel parlamento di DF, ma nel confronto verbale con Clementina Merlin, direttrice del giornale DF unita ed esponente del partito opposto, quello dei democratici, commette una serie di gaffe e si fa scappare di bocca commenti ingiuriosi sulla donna che gli aveva chiesto semplicemente come mai nel suo programma politico non fossero state previste misure per arginare i casi di violenza sulle donne, alla luce anche del recente omicidio di Frida per mano del suo compagno:
“Come le fa brutte le donne, l’isteria”, disse allora ammiccando storto verso la telecamera. […] Dismette la postura da damerino.“Guardi Clementina…”“Merlin”, lei lo interrompe.“Signorina”, dice Corti, “non vorrei sbagliarmi, poiché le indagini sono ancora in corso, ma questa Frida non era propriamente un’eroina. Quel che sappiamo, lo può leggere sui giornali, è che questa Frida, pace all’anima sua, ha potuto comodamente dedicarsi al solo mestiere di moglie, senza doversi alzare per andare a fare un lavoro normale. E il suo dovere non lo ha esercitato molto bene se il povero marito è stato trascinato dall’ esasperazione fino a compiere un gesto inimmaginabile a detta di chiunque lo abbia conosciuto. […] (pp. 46-48)
Discorsi maschilisti, frasi e commenti sessisti però non si leggono, ahimè, solo nei libri distopici! E Frida, come si è già detto all’inizio, in questo romanzo non è l’unica vittima di uomini violenti. Uomini che non sanno accettare un no, che non si capacitano della fine di una storia, uomini che chiedono a una donna di licenziarsi dal proprio lavoro e di dipendere solo dal maschio, uomini che approfittano dell’occasione e diventano ladri di corpi di donne, usandoli a proprio piacimento per poi disfarsene, uomini che continuano a pensare che la donna sia “roba” loro, uomini che temono la donna forte. Uomini mangiafemmine, appunto.
Un romanzo davvero provocatorio, forte, dissacrante, scritto da un artista libero, che non ha paura di esporsi, che sa dominare le pagine con uno stile davvero interessante, fluido e chirurgico insieme, volutamente freddo a volte, laddove il freddo serve per agghiacciare le coscienze.
Il problema non sono solo gli uomini che uccidono o che stuprano, il problema sono anche gli uomini che non uccidono e non stuprano ma hanno il terrore di avere prima o poi il bisogno di farlo. Nella loro testa è sempre la reazione sbagliata a una rabbia giusta. E se non delegittimiamo quella rabbia, la nostra salvezza dipenderà sempre dal buon cuore del nostro nemico. (p. 151)
Voglio chiudere la mia recensione con questa citazione, che è uno stralcio del discorso di Clementina Merlin, nel romanzo democratica e giornalista attivista per i diritti delle donne, perché trovo che sia emblematica, in quanto in essa è condensata l’essenza del patriarcato, che, ci piaccia o meno ammetterlo, ha profonde radici nella nostra tanto evoluta cultura. Tra le righe si legge infatti: «io, uomo, posso aver bisogno di farti del male, ucciderti anche, se mi dai motivo di farlo». La donna vittima di violenza – lo dicono i dati – si colpevolizza, si sente causa del suo male, prova verso sé stessa disgusto e vergogna e questo circolo vizioso che si crea è alimentato proprio dal maschilismo che continua a considerare la donna un essere inferiore e più debole bisognoso di essere guidato, mero oggetto di soddisfazione sessuale. Questo retaggio medievale, duro da combattere, ha dato sfogo alla frustrazione dell’uomo che in età recente ha visto diventare la donna sempre più libera, sempre più indipendente. La violenza è la punizione per aver osato emanciparsi. Per cominciare a fare davvero qualcosa di concreto, non bastano leggi e decreti, c’è bisogno di una rivoluzione culturale, di un nuovo paradigma su cui impostare una nuova visione del mondo veramente inclusiva e paritaria.

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