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Scrivere

Le motivazioni di Lisa Ginzburg per la presentazione de I mangiafemmine al Premio Strega 2024

“Con I mangiafemmine, Giulio Cavalli costruisce una lucidissima distopia che non ha nulla di distopico. Si addentra nell’abominio dei femminicidi tratteggiando personaggi maschili dalla bieca e cieca natura, e lo fa in modo impietosamente verosimile, così come immagina e restituisce donne i cui disgraziati destini risultano anch’essi assolutamente contigui alla realtà. Il risultato è un romanzo che è attuale a ogni pagina, ma la cui forza letteraria in nulla disobbedisce alle ferree regole della trasposizione e dell’invenzione. Un libro che si legge d’un fiato, con totale coinvolgimento per come affonda nel nervo del possibile, eppure sentendosi costantemente nutriti dalla cruda pienezza della fantasia. Dialoghi, frangenti, intrecci: tutto è terso e stringente come solo accade quando lo sguardo di uno scrittore sa essere chirurgico per come nitido e coraggioso, quasi una lama quando affronta quel che sta per tagliare senza in nulla arretrare davanti alla precisione del suo proprio gesto. Il mondo di DF, luogo/spazio immaginario il cui acronimo condensa nel suo enigma distopia e denuncia, è specchio convesso che riflette senza deformare una troppo vasta porzione del mondo in cui viviamo. E come succede nella letteratura quando è tale, riprovazione, scandalo, angoscia, paura, dolore, ogni moto d’animo suscitato nel lettore genera a propria volta un processo di associazione con la vita vera che indirettamente rafforza lo spessore dell’immaginazione narrativa. Un libro che parla di esistenza e di pulsioni di morte, di violenza di genere, di frustrazione e di soprusi, di abissi morali e di rapporti di forza. Una vicenda densa di voci maledettamente azzittite ma su cui, stendendosi come una scia, rimbomba sonora l’eco che quelle stesse vittime lasciano nell’aria, grido acuto di allarme, anatema.

Per lo stile preciso e la struttura compatta, per come reinventando la realtà in senso antropologico e politico sa narrarla dal di dentro, per come incuneandosi nel buio riesce a sviscerare di quel buio ogni singola ombra, I mangiafemmine è romanzo importante, che con convinzione mi sento di presentare al Premio e agli Amici della Domenica.”

Lisa Ginzburg

Roba da donne recensisce il romanzo “I mangiafemmine”

Giulio Cavalli immagina un mondo in cui il femminicidio è legalizzato. O meglio, quella trasfigurata dalla fantasia dello scrittore è, a ogni evidenza, un’Italia guidata da una classe politica populista e misogina che, per mettere a tacere le istanze femministe e perpetuare il sistema patriarcale, approva il Decreto Legge n. 55/4231: Misure straordinarie per la regolamentazione temporanea dell’attività venatoria speciale/ straordinaria del femminicidio.
Giulio Cavalli immagina un mondo in cui il femminicidio è legalizzato, e l’aspirante presidente del Consiglio Valerio Corti, uomo forte dei Conservatori, minimizza l’impressionante epidemia di donne e la lunga scia di sangue che macchia l’Italia spiegando che “le cose sono sempre andate così”; che le donne sono sempre morte ammazzate, e che non c’è nessuna urgenza in corso.
Cavalli, che con Carnaio aveva già tracciato l’incubo di un’umanità deragliata da qualsiasi legge morale in nome del profitto, dà qui vita a una distopia capace di delineare i contorni della nostra realtà, che molto condivide con la fantasia perversa. Realtà, la nostra, dove le donne pagano l’affronto di aver voluto l’indipendenza e l’autonomia, e le vittime se la sono sempre andata a cercare.
Più che una distopia, Cavalli mette nero su bianco l’inconfessabile desiderio punitivo di un nutrito gruppo di uomini, spaventati dal non si può più dire niente(e neppure molestare più le donne come un tempo), e di donne propositive ed entusiaste ancelle del patriarcato, che auspicano il ripristino di uno status quo in cui il maschio faccia il maschio e la femmina stia al suo posto. Peccato che per molti questo posto sia ancora e sempre vicino al caminetto, e nei luoghi di potere solo se ciò serve a sancire il privilegio maschile e rafforzare la retorica della brava donna, moglie e madre devota.
Come ha detto Chiara Valerio introducendo l’ultima fatica dell’autore, tra gli altri di Santamamma, Disperazione e Nuovissimo Testamento (editi da Fandango Libri):
“Leggere fornisce le parole e più parole si hanno, meno man si alzano”
E questa ci sembra infine la ragione più valida per mettere nella nostra libreria I Mangiafemmine di Giulio Cavalli.

https://libri.robadadonne.it/libro/i-mangiafemmine-di-giulio-cavalli/

I Mangiafemmine: intervista al Corriere Torino

Anatomia di un Mangiafemmine: «Chiunque tenga in tasca il proprio privilegio come un’arma da sfoderare per riempirsi lo stomaco di una turpe voglia qualsiasi. I mangiafemmine si nutrono di donne per definire la propria identità e per mostrarsi al branco come capaci alla caccia». È veramente distopico (non usiamo altri aggettivi in sostituzione di uno che si ripropone come la cipolla a colazione) e speriamo non preveggente, il romanzo che Giulio Cavalli presenta oggi alle 18.30 al Bistrò di Off Topic. «Quando il governo di DF smette di tollerare il bollettino quotidiano dei femminicidi emesso dall’Istituto Superiore della Naturalità resta una soluzione: la legalizzazione… Il rispetto della donna — dice la presidente di DF, scelta in quanto donna poco prima dell’importante riforma — si esercita dicendo la verità. La verità è che le donne soppresse dai loro mariti sono un argine al populismo di genere che ha intossicato il vivere civile».

Sul serio ha scritto il libro in 18 giorni?
«Sedimentava da molto. Ogni volta che da giornalista mi ritrovavo di fronte a una notizia utile alla costruzione di un mondo fallocratico mi si aggiungeva uno strato di consapevolezza».

Quanti mangiafemmine vede intorno a sé?
«Ne vedo e ne ho visti moltissimi. Ci sono quelli conclamati, quelli in incubazione, i sieropositivi al mangiafemminismo asintomatici, quelli ormai colti da demenza mangiafemminica, i consapevoli, gli inconsapevoli, i fascinorosi da non confondere con gli affascinanti. Io mi ritengo un mangiafemmine culturale. Sono nato in quei tempi lì, cresciuto in un mondo che aspirava alla piccola borghesia specializzandosi nel benpensantesimo. Riconosco i genomi di quelli che mostrifichiamo per dichiararci assolti».

Qual è la riflessione che possono e devono fare gli uomini?
«Serenamente coltivare la consapevolezza che il patriarcato è una componente millenaria della storia che ci ha portato fin qui. Avere la dignità di riconoscere una responsabilità culturale che è collettiva e che richiede di collettivizzare una riforma sociale che non può che partire dai maschi. In questi mesi abbiamo assistito a moti dovuti da eccesso di difesa che avevano l’aria di essere un mezza confessione. Quando gli oppressori si dichiarano oppressi non c’è nulla di buono all’orizzonte».

C’è un fatto che l’ha ispirata?
«Durante una riunione di redazione ho proposto un pezzo su un femminicidio avvenuto in un coppia anziana. Mi hanno spiegato che quel delitto non aveva nessuna caratteristica particolarmente notiziabile perché era “scontato”. Mi sono detto: l’abbiamo normalizzato».

C’è un filo sottile tra distopia e realtà, già scavallato in molti casi. Accadrà ancora?
«Qualcuno leggendo il libro ha parlato di iperrealismo. Un aggettivo molto più responsabilizzante».

Lei dice che ha fiducia nella lotta. In quale?
«Giro per le scuole e tocco un progresso fulminante. Sono stato usato come molla di assemblee in cui le donne rivendicano il diritto e il dovere di non stare al loro posto. Nei piccoli abusi quotidiani travestiti da innocenti scherzi mi capita di vedere maschi che non sorridono ed esprimono il loro fastidio. Credo che il mondo sia pieno di persone che ogni mattina provano a essere migliori e smettere di mangiare femmine è una materia obbligatoria».

E la sua, di lotta, qual è?
«Riconoscere i fallimenti. Se ti dichiari fallibile ti scrolli di dosso il paternalismo, uno degli elementi inquinanti del patriarcato. Da giornalista insisto per trovare spazio a ogni femminicidio e alle testimonianze delle donne sopravviventi. Mi illudo che le ripetitività degli abusi possa dare le dimensioni del dirupo».

https://torino.corriere.it/notizie/cultura/24_febbraio_01/giulio-cavalli-e-il-suo-ultimo-libro-siamo-tutti-mangiafemmine-e-la-responsabilita-e-collettiva-190ca4d5-f39d-4128-a014-b3c9ade55xlk.shtml

Rivista Blam recensisce “I mangiafemmine”

Giulio Cavalli, giornalista e autore teatrale che dal 2007 vive sotto scorta per il suo impegno nella lotta contro le mafie, firma con I mangiafemmine (Fandango, 2023) la sua opera più paradossale e provocatoria, completando la trilogia di romanzi distopici ambientati nell’immaginario Paese di DF. Dopo i misteriosi ritrovamenti dei cadaveri di Carnaio (Fandango, 2018) e la diffusione incontrollata di focolai di empatia e sentimentalismi di Nuovissimo testamento(Fandango, 2021), in I mangiafemmine Cavalli racconta la decisione del governo di DF di legalizzare il femminicidio parificandolo a un’attività venatoria che ha lo scopo di ristabilire l’equilibrio tra i generi.

I mangiafemmine di Giulio Cavalli: la trama del libro

Valerio Corti, candidato premier per la coalizione dei conservatori di destra, è ormai certo della vittoria alle imminenti elezioni politiche di DF e non si cura delle donne che ogni giorno sono ammazzate da mariti, compagni, amanti o ex fidanzati. Tutti i sondaggi sono a suo favore e la campagna elettorale procede senza intoppi, fino a quando non commette un grave errore di comunicazione nel commentare l’ennesimo femminicidio avvenuto nel Paese. Infatti, mentre le femministe manifestano nelle piazze per denunciare il massacro e l’opinione pubblica si domanda cosa farà il governo per risolvere il problema, Valerio Corti sostiene che le donne per bene non corrono alcun rischio e afferma che non intende occuparsi del problema, perché da secoli «agli uomini capita di ammazzare le donne e alle donne capita di ammazzare gli uomini». Per non compromettere la campagna elettorale e per sedare le polemiche, la coalizione impone a Corti di farsi da parte e candida come premier Marzia Rizzo che, in quanto donna, risulta meno attaccabile. Come da pronostico, i conservatori vincono le elezioni e presentano il decreto-legge n. 55 che stabilisce «misure straordinarie per la regolamentazione temporanea dell’attività venatoria speciale/straordinaria del femminicidio», legalizzando attraverso una serie di norme l’uccisione delle donne. Durante il voto in parlamento, i democratici non contestano la proposta e si limitano a chiedere maggiore chiarezza sulle regole che gli uomini dovranno seguire per rispettare la legge. L’unica a preoccuparsi delle effettive conseguenze di questo decreto è la giornalista di «Df Unita», Clementina Merlin, che crede che solo una rivoluzione culturale potrà salvare le donne dalla violenza degli uomini.

Una distopia iperrealistica che diventa specchio della nostra società

«Il problema non sono solo gli uomini che uccidono o che stuprano, il problema sono anche gli uomini che non uccidono e non stuprano ma hanno il terrore di avere prima o poi il bisogno di farlo. Nella loro testa è sempre la reazione sbagliata a una rabbia giusta. E se non delegittimiamo quella rabbia, la nostra salvezza dipenderà sempre dal buon cuore del nostro nemico».

I mangiafemmine è romanzo distopico e allo stesso tempo iperrealistico in cui il Paese immaginario di DF appare uno specchio della nostra società. Valerio Corti e Marzia Romano rappresentano l’ipocrisia di una classe politica che fonda i propri successi solo sulle apparenze e su strategie di comunicazione che curano gli slogan della campagna elettorale, le risposte confezionate per i giornalisti, il power dressing e il tono di voce basso per sembrare più carismatico. I racconti dei femminicidi che si susseguono nel romanzo riprendono dinamiche che ritroviamo anche nei fatti di cronaca reali, come la ricerca di una giustificazione al comportamento degli uomini e la colpevolizzazione delle vittime. Frida, «moglie ingrata, eternamente insoddisfatta», è uccisa dal marito Tullio, mangiafemmine allontanato dall’ufficio perché abusava delle stagiste. Sonia dopo anni di violenze subite dal marito Gianni decide di lasciarlo e lui, incapace di accettare la fine della loro storia, la ammazza prima di suicidarsi. La sedicenne Beatrice festeggia un anno di fidanzamento con Mario che, mosso dalla gelosia, le stringe le mani sul collo fino a farla smettere di respirare. Con il decreto Mangiafemmine le donne sono paragonate a un capo di selvaggina in sovrannumero di cui è necessario disfarsi, seguendo precise regole igieniche e comportamentali, come ricorda lo spot lanciato sulla televisione di Stato: «[…] la nuova legge voluta dal governo impone la tutela e il rispetto delle donne, in difesa dei diritti che per lo Stato di DF sono una priorità. Per questo […] l’abbattimento della femmina deve essere autorizzato dal comando provinciale del Corpo forestale di DF, dopo avere presentato la documentazione».

La scrittura di Giulio Cavalli in I mangiafemmine

Ispirandosi a Margaret Atwood, Roberto Bolaño e José Saramago, con uno stile crudo e diretto, Giulio Cavalli porta all’estremo quella narrazione distorta dei femminicidi ancora ampiamente diffusa nella mentalità comune. Il romanzo si caratterizza, inoltre, per un’accurata ricerca sul linguaggio che dimostra come il patriarcato sia ben evidente anche nella scelta delle parole. I conservatori, infatti, rifiutano di adottare il termine femminicidio per indicare quelli che per loro sono comuni uxoricidi, mentre Marzia Rizzo, premier del governo più patriarcaledella storia di DF, ribadisce ai giornalisti che il suo sarà un governo femminile e non femminista.

A cura di Francesca Cocchi