Vai al contenuto

Blog

La sinistra che “gioca vecchio”

sinistraitaliana

L’analisi di Ilaria Bonaccorsi:

«Sui grandi giochi si scriverà. Scriveranno tutti. Su chi ha vinto pure. Sul fenomeno M5s che costringe al ballottaggio un Pd brutto leggeremo i pezzi migliori. Io mi fermo solo per scrivere un pensiero veloce sulla Sinistra a cui avrei tenuto. L’ho osservata in silenzio, da febbraio. Dal congresso fondativo di Sì, alla candidatura “sciolta” di Fassina, ai veleni, ai doppi giochi di Sel, a nessun gioco in generale.
Ho un amico che quando perdo, o mi incastro in situazioni ferme, mi sfotte dicendomi «Hai giocato vecchio». È l’unica cosa che riesco a dire oggi di quella che dovrebbe essere la mia parte. «Avete giocato vecchio». E in quel vecchio c’è tutto. C’è non vedere, non riconoscere, non cercare, non andare al di là di quello che avete già visto, cercato, riconosciuto. Siete rimasti là.

Facciamo l’esempio di Roma, uno per tutti: Fassina scarta e si presenta contro tutto e tutti. Contro una Sel che gioca a briscola col Pd, pochi fuoriusciti malmentati da Renzi, un Possibile che non riesce ad essere alternativo, a unire, a forzare, ad allargare. Niente. Che si mette in scia silenzioso e forse consapevole del futuro massacro. La Sinistra non c’è. Non nella politica, non siamo “pochi ma belli”, siamo pochi e malmessi (neanche il 5%).

Sarebbe bastato poco, che è molto moltissimo. Sarebbe bastato non ripetersi. Non riproporre sacrosante tematiche sociali senza mai far volare. Senza mai far capire cosa avrebbe fatto stare bene le persone se ci avessero votato. Perché la Sinistra è lì. Deve capire e dire cosa fa stare bene le persone. In piena trasparenza, con grande coerenza. Senza fare appelli a papi o ad antenati senza più carne né ossa. Al contrario dovrebbe trasmette un hic et nunc forte come una casa. Imperdibile. Un “qui ed ora” senza macchie. Perché poi bastava poco che è tantissimo, mi ripeto.»

(continua qui)

La lezione di Antonio

seggio

Al di là delle analisi da cui oggi saremo ricoperti, l’intervista più politica di queste ore è quella ad Antonio Tassora. No, nessun candidato particolare e nemmeno un analista: Antonio ha 104 anni e ha votato alle elezioni amministrative del suo paese, Beverino, in provincia de La Spezia.

Una storia minima in un paese microscopico che contiene però tutto il cuore che sembra andato perso nelle metropoli italiane: dice Antonio che ha voluto votare perché «70 anni fa ho votato per la Repubblica e il voto è un diritto-dovere che io intendo esercitare fino a quando ne avrò le facoltà». E così, in un colpo solo, il vecchietto dà una lezione di democrazia a tutti quelli che hanno bisogno di nemici o rottamazioni per sentirsi vivi.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Il giornalista (secondo Miriam Mafai)

Foto da criticaletteraria.org
Foto da criticaletteraria.org

Scriveva Miriam Mafai:

«Sono entrata in un giornale perché “conoscevo qualcuno”, e questa resta ancora – a tanti anni di distanza – la strada principale di accesso alla professione. Le porte dei giornali si aprono solo all’interno: è inutile bussare o dare spallate se non c’è qualcuno da dentro che socchiude almeno uno spiraglio. Per questo si dice tra di noi che il primo consiglio da dare a un giovane che voglia fare il giornalista è di nascere figlio di giornalista, o figlio di un amico di un grande giornalista.»

Ora il suo saggio esce in nuova edizione in un libro da leggere. Lo trovate Qui.

Qui invece trovate un interessante articolo di Federica Privitera sul libro.

 

Sul referendum un manicheismo che fa male a tutti

firmacostituzione

Bravissima Nadia Urbinati su La Repubblica di oggi:

Rispondendo alla domanda di Ezio Mauro se non avesse paura di passare per renziano confessando di votare Sì al referendum costituzionale, Roberto Benigni ha rivendicato il diritto di votare come pensa e non per conformarsi a chi non si conforma. E il diritto di votare implica il diritto di schierarsi: “Non voglio rimanere neutrale, lavarmene le mani dicendo che faccio l’artista, voglio essere libero.”

E la libertà non serve a nulla se non ti assumi la responsabilità di scegliere ciò che credi più giusto”. Risposta pertinente perché coerente ai due principi aurei della democrazia liberale e non plebiscitaria: votare con la propria testa e non con quella del leader, e rivendicare il valore del voto che è e non può che essere partigiano. Voto schierato non voto plebiscitario. È questa la distinzione che oggi è difficile fare e mantenere. All’origine della difficoltà vi è stata la decisione di Matteo Renzi di identificare il Sì con la sua persona e il suo governo, trasformando il No automaticamente in un giudizio sulla sua persona e in una causa di instabilità politica.

Questa trappola ci impedisce di battagliare da “partigiani amici”, come direbbe Machiavelli, e ci fa essere “partigiani nemici”. I primi sono quelli che si schierano nella libera competizione delle idee per favorire o contrastare un progetto politico. I secondi sono quelli che personalizzano la lotta politica mettendo nell’arena pubblica non le ragioni pro e contro un progetto, ma le rappresentazioni colorite delle tipologie di chi sta da una parte e dell’altra. I primi si rispettano come gli avversari di una battaglia legittima, i secondi si offendo e creano le condizioni per un risentimento che sarà difficile da dimenticare.

È da anni, da quando Silvio Berlusconi “scese in campo”, che la lotta politica ha preso la strada dello stile teatrale, della rappresentazione estetica — con forme mediatiche che hanno lo scopo di colpire le percezioni per mobilitare le emozioni e rendere la contesa radicale, non dialogica. Di creare identificazioni non forti nelle convinzioni ideali, ma forti nella vocalizzazione e nella pittorica rappresentazione. Come se ogni battaglia fosse l’ultima, come se la catastrofe e il diluvio seguissero ad una vittoria o ad una sconfitta. È questo stile populista del linguaggio estetico e tutto privato (ingiudicabile con la ragione pubblica) che ha corroso negli anni la nostra abitudine alla lotta partigiana, trasformandola in un Colosseo, uno spettacolo che vuol vedere il sangue che colora di rosso l’arena.

Le ragioni a favore o contro passano in secondo piano. Questo succede oggi. Per cui i blog e i social network assalgono chi si schiera con il Sì come fosse un rinnegato, e offendono gravemente chi vota No come fosse un nazi-fascista, un “falso” partigiano. A chi vota Sì è affibbiato il titolo di lacché del potere, a chi vota No è appiccicata l’immagine della “palude”. Chi vota No sarebbe per la conservazione e chi vota Sì sarebbe per l’innovazione e intanto non si riesce a spiegare senza essere sbeffeggiati e sbeffeggiare che cosa si vuole preservare e che cosa di desidera innovare.

Siccome i sacerdoti del Sì non possono vantare, proprio come quelli del No, alcuna privilegiata saggezza, mettiamo sul tappeto le questioni reali implicate in questa battaglia sulla nostra Costituzione: parliamo del carattere di questa nuova versione della Costituzione e degli effetti che potrebbe generare, soprattutto se accoppiata con l’Italicum.

Dicevano i teorici e i politici settecenteschi che hanno teorizzato e/o scritto le costituzioni che queste devono essere scritte per i demoni non per gli angeli. E come Peter sobrio che scrive le regole per Peter ubriaco, le carte di regole e di intenti servono proprio per esorcizzare e contenere il potere, in particolare quello istituzionalizzato, nell’eventuale occorrenza che venisse tenuto da mani sconsiderate.

Come Benigni, anche altri sostenitori del Sì riconoscono che il nuovo Senato è pasticciato; diversi, anche nel Pd, si preoccupano degli effetti combinati della riforma con l’Italicum, che contrariamente a quanto succede per i sindaci premia non chi ha raggiunto il cinquanta per cento, ma il quaranta per cento. È legittimo farsi queste domande e voler discutere di queste questioni. È legittimo che i cittadini democratici si preoccupino di sapere quanto potere resterà a loro, quanta forza avrà la loro voce.

E invece il clima, già da quando la proposta di revisione costituzionale era ancora in Parlamento, è stato rabbuiato dalla retorica del plebiscito. Il manicheismo fa spettacolo ma non fa prendere decisioni sagge — la deliberazione democratica deve poter contare sul fatto che si entra in una discussione con un’idea e se ne può uscire con un’altra.Ma in questa campagna referendaria abbiamo dismesso i panni della discussione: ciascuno resta dell’idea che aveva all’inizio, mentre gli incerti e gli indifferenti saranno probabilmente più colpiti da una battaglia personalizzata che ragionata. Chi sta con Renzi e chi sta contro Renzi.

Per dirla con Benigni — ci facciamo tutti conformisti. A questo si giunge quando la Costituzione è fatta oggetto plebiscitario, o usata come un programma elettorale — per contare nemici e amici. Di costituzionale vi è davvero poco. Figuriamoci se questo fosse stato il clima dei Costituenti! Avremmo avuto la guerra civile non settant’anni di vita civile.

Erasmus in Palestina

Schermata 2016-06-04 alle 22.46.36

Si tratta di un progetto Erasmus+, denominato Erasmus Plus Palestine Project e coordinato dall’Università di Siena, che prevede borse di mobilità per studenti dell’Università di Siena che intendono svolgere un periodo di studio in Palestina, nonché per docenti e studenti palestinesi che intendono fare altrettanto nella città del Palio.

La cultura che fa politica. La cultura politica, insomma. Dategli un occhio. Qui.

A Corleone il santo in processione si ferma sotto casa Riina

corleone

E ogni volta che si parla di religione e politica vale la pena leggere Salvo Ognibene:

«Mafia e chiesa. Ci risiamo. E questa volta accade in quel paese siciliano tanto conosciuto al mondo a causa dei vari Navarra, Leggio, Provenzano, Riina. Già, Riina. E forse non è un caso che dopo l’”inchino” della Rai e di Vespa al figlio del capo dei capi, ora leggiamo dell’”inchino” della statua di San Giovanni Evangelista davanti casa di Ninetta Bagarella. Maggiori dettagli li trovate qui e qui ma sappiamo che il commissario di polizia e il maresciallo dei carabinieri, che erano presenti, hanno subito lasciato la processione e inviato una relazione alla procura distrettuale antimafia.

La devotissima famiglia Riina ha sempre goduto di particolari privilegi da parte di alcuni uomini di chiesa. Dal matrimonio tra la Bagarella e il latitante “Totò” Riina, celebrato in gran segreto da tre parroci (tra cui Agostino Coppola), alla raccolta firme promossa da Catarinicchia, oggi vescovo emerito di Mazara del Vallo, per protestare contro il presunto accanimento giudiziario nei suoi confronti (la Bagarella era stata proposta per il soggiorno obbligato dopo essere stata licenziata dalla scuola in cui insegnava). A distanza di qualche anno il parroco è intervenuto dicendo: “mai e poi mai ho raccolto o promosso raccolte di firme”.»

Il coraggio è volontà civile

lienzo-tela-don-quijote-y-sancho-e-m-simon-72x90-cm-594411-MLM20559937751_012016-F

Coraggio, soprattutto a livello individuale, è anche volontà civile e responsabile di non rassegnarsi all’incalzante degrado morale. E infine quella buona cosa che consiste nel saper pagare sulla propria pelle i propri errori: virtù assai rara oggigiorno ma per questo ancor più apprezzabile.

(Walter Bonatti, Montagne di una vita, 1995)

Beppe Sala e le aziende fallite per colpa di Expo

beppesala

Il servizio video sui ritardati pagamenti di Expo non è un editoriale o il pezzo di penna di un opinionista incattivito: Expo 2015 ha affossato alcune delle eccellenze industriali italiane contravvenendo in toto il proprio mandato. E anche se il ministro Martina promette di intervenire “per quanto possibile e il prima possibile” (una frase sempre in tasca al governo di ogni tempo ed ogni colore) lo stallo attuale che lascia per strada 150 famiglia ha un nome e cognome: Giuseppe Sala.

Se è vero che il super manager dovrebbe essere il condensato del “grande successo internazionale di Expo” come si spingono a dirci il premier Renzi e il Partito Democratico (che mica per niente l’hanno incoronato candidato sindaco ideale di Milano) allora è proprio Sala che ci deve rispondere su tutti gli aspetti correlati e Expo 2015 ha bisogno di almeno tre valutazioni: comunicativa, finanziaria e etica.

Expo comunicativo. Ecco il capolavoro di Beppe Sala: trasformare un agglomerato di interessi, cemento e soldi in una vetrina di operosità, ottimismo e internazionalità. Expo è stato il perfetto compagno di viaggio della narrazione renziana che ha bisogno di superare ostacoli, gufi e pessimismo per brillare nella vittoria. E così la manifestazione internazionale è diventata la clava ideale per bastonare i contrari, i disillusi e la sinistra. La comunicazione, del resto, è stata la priorità di Expo e non è un caso se le spese di rappresentanza sono state considerate una priorità nei pagamenti ai fornitori. Quindi Sala è un comunicatore. Anche lui. Bene. Ma basta?

Expo finanziario. Una manifestazione senza bilancio. O meglio: un bilancio declamato in attivo ma smentito nei numeri […]

(il pezzo continua qui)

#sivotanotraloro

senato-della-repubblica

Lasciamo perdere Renzi, non diamogli questa soddisfazione e parliamo della riforma costituzionale. Proviamo, per oggi, anche a lasciare perdere chi l’abbia presentata (Boschi, Verdini o chi per loro) e immaginiamo che ce la stia proponendo la persona di cui ci fidiamo di più. Facciamo che il nostro collega o il nostro amico alla solita colazione insieme ogni giorno al bar ci dica che ha avuto una grande idea per superare il bicameralismo.

Immaginate che vi dica che il Senato viene abolito, anzi no, vi dice che in realtà non viene abolito ma sensibilmente ridotto e diventa molto meno influente nella tenuta del governo.Non vota la fiducia, per esempio ma si occupa comunque di questioni importanti per il funzionamento dello Stato e le regioni. Vi dice, il vostro fidato amico, che i senatori non saranno mica pagati. Anzi, meglio: otterranno certo la diaria e il rimborso e godranno comunque dell’impunità dei senatori.

Detta così, pensate voi davanti al cornetto e cappuccino, non sembra nemmeno troppo male. Vi verrebbe da chiedergli però come saranno scelti questi senatori che, nella storia della repubblica, per com’era pensato il senato, dovrebbero essere degli eletti di cui andar fieri. Anche perché la nuova legge elettorale (un pasticcio come tutte le mediazioni che vorrebbero mettere insieme parti che non hanno interessi convergenti, tipo Cuperlo con Formigoni, per intendersi) premia con un importante premio di maggioranza il partito vincitore e gli “eletti” in realtà sono nominati dal segretario di partito. Che poi qui da noi un segretario di partito sia anche il Presidente del Consiglio (e autore della legge elettorale e di questa deforma costituzionale) è una coincidenza particolarmente sfortunata.

(il mio buongiorno per Left continua qui)