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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Un’intervista

Il sito originale è qui. L’intervista è di Federica Angelini.

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Tra gli appuntamenti del “Grido della Farfalla“, sabato 21 giugno (ore 21.30) in piazza Unità d’Italia, spicca quello con l’attore e autore Giulio Cavalli che a Ravenna porterà “Nomi, cognomi, infami“ dedicato ai temi della mafia su cui Cavalli da tempo concentra il suo impegno artistico, tanto da vedersi assegnata una scorta per motivi di sicurezza.

Perché usare il teatro per raccontare la mafia? Cosa è possibile dire con lo spettacolo che con la cronaca non si riesce a mostrare?
«Innanzitutto, nel teatro c’è il contatto diretto con il pubblico che ti permette, se vuoi, di essere anche più cattivo. E poi perché da sempre l’ironia e la giullarata hanno funzionato per prendersi gioco della prepotenza dei potenti. E in fondo la criminalità organizzata è innanzitutto questo: un potere prepotente. È una tradizione che pesca dal giullare del Cinquecento e arriva a oggi, cercando di essere contemparanea. Non parliamo di chi c’è stato ma di chi si presume che ci sia».
Come ti documenti? Il lavoro preparatorio è simile a quello del giornalista?
«Sì, sicuramente. Come un’inchiesta giornalistica parto dagli atti processuali o da  elementi di indagine. Infatti molto spesso, per preparare i miei spettacoli, mi avvalgo più dell’aiuto dei magistrati, per dire, che di operatori teatrali. Lo spettacolo poi si crea cammin facendo. A un certo punto, mentre si raccoglie materiale, si scopre che quella frase può essere importante o che permette di prendere la storia da questo o da quel punto di vista rendendo la vicenda più fruibilie. Lo scopo è creare un trauma buono. Siamo stati in questo paese tacciati di allarmismo. Noi vogliamo un allarmismo sano ed etico».
Sei stato tra i primi a preoccuparti delle possibili infiltrazioni nell’Expo di Milano.  Te l’aspettavi? Cosa bisogna fare?
«Non era dfficile. In fondo cos’è la criminalità organizzata? Un sistema che mette insieme poteri politici e imprenditoriali. Nelle regioni del nord si fa più fatica a vederla perché si crede sia altro. C’è stata una specie di narcotizzazione, sembra che un’intera generazione non se ne sia accorta, nonostante i processi che si sono svolti negli anni Ottanta e Novanta, dove già era emerso tutto il marcio che avrebbe dovuto far scattare una reazione su Milano».
Ma la criminalità organizzata è la mafia o l’ndragheta che si sposta al nord o il nord ha comunque evoluto una sua criminalità diciamo endogena?
«La criminilità organizzata è uno strumento. Ci sono imprenditori lombardi, emiliani o romagnoli, che non rispettano le regole e hanno un braccio anche armato o prepotente. La storia degli imprenditori del nord schiavi e vittime dei calabresi non me la bevo».
Potrebbe capitare che non sappiano in realtà con chi si stanno associando?
«La storia degli imprenditori che non sapevono è una scusa. Ma non credo che siano i soli responsabili, sia chiaro. Andiamo a vedere anche i bancari che concedono fidi o presitti inspiegabili a persone che risultanto nullatenenti. Credo ci si una responsabilità collettiva a tutti i livelli».
Come se ne esce?
«C’è una generazione che sta cominciando a indignarsi, a studiare e analizzare quanto succede e questa è una buona notizia. Vedo un nuovo interesse nelle scuole e persone che si muovono in comitati, associazioni, realtà varie della società civile che si sta sostituidendo al compito della politica. Prima o poi questa generazione diventerà classe dirigente, e sarà una classe dirigente che conosce il tema: chi ci dovesse capitare dentro sarà condannato anche dal punto di visto etico. A quel punto, qualcuno che nega la mafia o è un mafioso o è un imbecille».
Intanto però scoppia lo scandalo Mose a Venezia…
«Con l’Expo si diceva che non ci poteva essere una figura internazionale  peggiore, e invece, eccola.  Credo che l’affare Mose andrebbe studiato, un po’ come Gladio, perché  va molto oltre la politica, interessa imprenditori, ma anche magistrati, un generale della Guardia di Finanza. Sta emergendo una sorta di loggia che cura i propri interessi, che è ciò di cui si occupa l’articolo  416 del  codice penale».
C’è anche un problema di regole?
«C’è sicuramente un problema di regole, perché l’appalto al massimo ribasso ormai è provato che non funziona. Poi questo agire sempre in condizioni di urgenza. Se ci pensi, l’urgenza per un’opera in ritardo è un’idea kafkiana, di per sé teatrale. Questo è il paese delle regole e delle deroghe. E il problema è che spesso le carte  sono a posto. I professionisti delle “carte a posto” sono più ad ampio raggio».
Nemmeno la trasparenza dei dati pubblici ci salverà?
«A oggi la questione della trasparenza non ha trovato uno sbocco. Il problema riguarda una filiera di classe dirigente fatta di inetti e collusi e poi la dimostrazione più palese che la criminalità organizzata riesce a operare perché c’è un meccanismo che più o meno consapevolemente copre quello che sta succedendo. Il problema è morale e regolamentare, bisogna trovare i buchi nelle regole.  Basti dire che questo paese non ha recepito la legge sull’antiricilaggio della comunità europea, considerata da tutti fondamentale in questa battaglia».
E quale deve essere il ruolo della politica?
«Credo che la politica possa fare il suo mestiere alfabetizzando un popolo o mettendo il proprio paese in condizione di poter lavorare. La secondo ipotesi mi pare lontana, almeno qualche decennio, quindi mi concentrerei sulla prima. L’alfabetizzione è un compito politico. Un ruolo che dovrebbe essere istituzionale. Ma abbiamo avuto ministri degli Interni accusati di concorso esterno. Questo è un paese dove i prefetti rasserenano gli animi e gli attori allarmano: c’è qualcosa di un po’ storto. Sarebbe bello che Renzi si concentrasse su questi temi, anche se non necessariamente deve essere un esperto. Il fatto che non sia mafioso mi pare già qualcosa, l’importante è che si circondi di persone competenti, capaci di  denunciare gli interessi del proprio partito, come Pio La Torre. Va detto che la commissione antimafia sta facendo un buon lavoro, al momento».
Saviano ha dichiarato che la sua vita sarebbe stata migliore se non avesse scritto Gomorra. Anche tu vivi sotto scorta, un rischio che avevi calcolato?
«C’è molta gente che è a casa senza lavoro con un mutuo e dei figli da mantenere, credo che ognuno viva i propri drammi in base alla propria scala di valori. Io faccio la mia vita, sono sorridente, allegro, felice. Per me uscire di casa accompagnato non è una così grave limitazione, è un contratto tra me e lo stato che mi permette di fare il mio lavoro. No vedo tutta questa epicità nell’avere la scorta. In fondo, anche Galan è scortato».

Giulio Cavalli. Note biografiche: classe 1977, milanese, dal 2001 calca le scene teatrali e dal 2006 il suo lavoro è sempre più incentrato su un teatro di denuncia sociale e politico. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Nel dicembre 2009 è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che gli ha portato la propria solidarietà per la vita sotto scorta a causa delle minacce da cosche mafiose. Nel gennaio 2010 è stato premiato a Catania con il premio Pippo Fava. Dall’aprile 2010 è stato eletto consigliere regionale candidato indipendente nella lista di Idv in Lombardia. Ha aderito successivamente al gruppo di Sel. È autore dei libri Linate 2001: la strage e Nomi Cognomi e infami (edizioni Verdenero). Nel 2012 esce per  Chiarelettere il suo L’innocenza di Giulio sui rapporti tra Giulio Andreotti e la mafia. Ora sta lavorando a un nuovo spettacolo su Marcello Dell’Utri che sta cercando di autoprodursi (tutte le info sul suo sito giuliocavalli.net) perché il «vento di Beirut spira ancora forte in Italia e l’ombra di Marcello è molto lunga».

Il Credito cooperativo ‘ndranghetista

Anche nel campo del credito la ‘ndrangheta si sostituisce al sistema bancario tradizionale. Per prepotenza, certo, e per l’inefficienza del secondo. Ecco l’articolo di Lucio Musolino:

La banca della ‘ndrangheta. La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha fatto luce su un “sistema creditizio parallelo” gestito dalle cosche che erogavano finanziamenti e prestiti, a tassi usurari, a imprenditori calabresi e lombardi in difficoltà. L’operazione “’ndrangheta Banking”, condotta dal Ros e dalla Dia di Reggio Calabria, ha messo sotto scacco la cosca Condello-Imerti di Archi, ma anche le famiglie mafiose dei Pesce e Bellocco di Rosarno: 17 arrestati (di cui 5 in Lombardia) e altri 10 indagati ai quali il procuratore Federico Cafiero De Raho e il sostituto della Dda Giuseppe Lombardo contestano i reati di associazione mafiosa, usura, estorsione, esercizio abusivo dell’attività creditizia e intestazione fittizia di beni.

Il gip ha disposto anche il sequestro preventivo dei beni aziendali e di quote societarie per un valore di otto milioni di euro. L’inchiesta ha preso le mosse dall’operazione “Meta” del 2010, e ruota attorno alla figura di Gianluca Favara, imprenditore nel settore della distribuzione per alberghi e titolare di una lavanderia. Sarebbe stato lui a gestire il credito ad usura a commercianti calabresi e milanesi. In Lombardia, e in particolare nel locale di ‘ndrangheta di Lonate-Pozzolo, Favara aveva stretti contatti con la famiglia Lampada di Milano fino a quando quest’ultima non è stata travolta dalle inchieste giudiziarie che hanno riguardato la cosca Condello. Il sistema era semplice: Favara avrebbe contattato gli imprenditori in difficoltà ai quali avrebbe proposto prestiti a tassi usurai del 20% mensili. Prestiti che le vittime non riuscivano a onorare e per questo venivano prima intimiditi allo scopo di ottenere automobili o la sottoscrizione di preliminari di vendita di immobil, e in alcuni casi aggrediti.

A tirare i fili, secondo la Procura, è stato Domenico Condello, cugino del mammasantissima Pasquale Condello detto il “Supremo”. Tra gli arrestati spuntano anche alcune conoscenze della politica locale. Il gip Cinzia Barillà, infatti, ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per l’imprenditore della sanità calabrese Pasquale Rappoccio, massone della Gran Loggia regionale d’Italia e già coinvolto in altre inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Reggio. In sostanza, sarebbe stato uno dei mediatori tra Favara e gli imprenditori per i quali garantiva la restituzione dei prestiti a strozzo. Rappoccio ha spesso avuto a che fare anche con la politica calabrese. Negli anni è stato sponsor di Scopelliti, ma anche del Pd e di Raffaele Lombardo in Sicilia. “Lele ha fatto tutto, quando può vedere il sindaco?”. È questa un’intercettazione del 2006 registrata dalla guardia di finanza. Dall’altro capo del telefono c’era Giuseppe Scopelliti, all’epoca sindaco di Reggio: “Salgo con mia moglie a Milano, così con la scusa mi vedo pure la finale di Coppa Italia”.

Tra gli indagati, infine, ci sono i fratelli Domenico e Vincenzo Barbieri. Il primo è già in carcere perché condannato per mafia nel processo “Meta”. Sono gli stessi fratelli Barbieri che, nel 2006, invitarono Scopelliti alla festa per l’anniversario di matrimonio dei genitori.

I Miglioristi

migioreClaudio Fava e Gennaro Migliore si dimettono da SEL (dimostrando che la scissione dell’atomo a sinistra è sempre possibile) e dichiarano “venuta meno la fiducia”.

Hanno ragione: è venuta meno la fiducia di un congresso che ha deciso una linea politica che loro hanno finto (male) di sopportare e la maggioranza di SEL ha votato per non essere stampella del PD, ancora meno con Renzi. Hanno fatto bene. Avete fatto bene: in epoca di “veni, vidi, Renzi” si sapeva che prima o poi ci sarebbero stati anche i “miglioristi” di SEL. Ma non è propriamente Sel a perdere pezzi, sono loro che tornano a casa.

Nicoli Cristiani era così innocente che adesso vuole patteggiare

Ecco la notizia:

L’ex vice presidente del Consiglio Regionale della Lombardia Franco Nicoli Cristiani e l’ex dirigente dell’Arpa Giuseppe Rotondaro, nel corso dell’udienza preliminare per la discarica a Cappella Cantone (Cremona), hanno chiesto di patteggiare, mentre altri 7 imputati, tra cui l’imprenditore Pierluca Locatelli hanno presentato istanza di processo con rito abbreviato. La proposta di patteggiamento da parte di Nicoli Cristiani è arrivata, quasi a sorpresa e via fax, in udienza ma la pena definitiva deve ancora essere «limata» in accordo con il pm Paolo Filippini.

Lucrare sul sangue

Se la memoria avesse la sua stessa etica sarebbe finita male:

“Yara Gambirasio, Salvini: troppi stranieri, ecco i risultati”

(Matteo Salvini, 6.12.2010, Repubblica)

Il pezzo che sempre manca, sempre sottovoce, sempre timidamente

Il pentito Iovine parla. Hanno esultato tutti, giustamente, per potere ascoltare le parole del capo dei Casalesi. Qualcuno ha (ovviamente) preso i meriti perché da Maroni in poi si può magnificare un arresto di latitante semplicemente per il fatto di essere parlamentare, nell’antimafia elettorale funziona così. Anche le gomorriadi hanno beneficiato dell’arresto nonostante non si sentano più quelli che con faciloneria (e sono tanti illustri antimafiosi) ci dicevano che Roberto Saviano e Rosaria Capacchione non rischiassero nulla mentre Iovine conferma il contrario. Però Iovine non sta parlando solamente di quegli elementi funzionalissimi di merda e sangue così buoni da dare in pasto all’opinione pubblica, no, ha dichiarato di avere dato soldi a destra e a sinistra ai sindaci del territorio e ultimamente ha aggiunto altro:

«C’era tutta una struttura che girava nel Tribunale di Napoli che riusciva ad aggiustare i processi. Me lo ha detto l’avvocato Michele Santonastaso. Mi disse che occorrevano 250mila euro. I soldi servivano per corrompere i giudici. E non era la prima volta che Santonastaso mi chiedeva soldi per aggiustare i processi in Corte d’Appello»

Questi, i giudici o gli avvocati o i magistrati o i membri delle forze dell’ordine corrotti, rimangono sempre sotto traccia, sotto voce, come se fossero una malattia passeggera mentre i fatti dimostrano (e non mi stancherò mai di scriverlo) che ci vogliono parecchi corruttibile per rendere possibile uno Iovine e abitabile per lui l’ambiente tutto intorno.

Operazione “Fiume” scardina lo Zen

GUIDO-kElG-U43020613315640AC-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443Una vasta operazione antimafia, denominata in codice ‘Fiume’, è stata eseguita stamane a Palermo. Cento gli agenti della Dia coinvolti, 17 le ordinanze di custodia cautelare con le accuse di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti ed estorsione. Tra gli arrestati figura anche Guido Spina, indicato dagli investigatori come il capomafia dello Zen. Numerosi tra gli arrestati gravitano nel quartiere Zen, uno dei più degradati alla periferia occidentale della città.

La droga arrivava a Palermo dalla Calabria e dalla Puglia. Cocaina che veniva spacciata a fiumi allo Zen. Il traffico era in mano a Spina, che nella sua villa bunker ripeteva di essere stato investito direttamente dai capimafia di un tempo.
Spina nelle intercettazioni chiamava i boss i “cristiani buoni”. L’uomo, 49 anni, sapeva come fare contenti i residenti dello Zen: nel quartiere periferico di Palermo nel corso di una festa a sue spese ha invitato il suo cantante preferito, il neomelodico Gianni Vezzosi. Il cantante, molto noto nei quartieri popolari palermitani, quella sera ha cantato ai boss “O killer”, la storia di un sicario di mafia, e “Lettera a papà”, la giornata di un detenuto.
L’operazione ha smantellato le cosche che operano nello storico mandamento di San Lorenzo e Tommaso Natale. Spina ordinava numerose estorsioni sia nei confronti di esercizi commerciali sia ai danni degli abitanti dei cosiddetti padiglioni dello Zen. Avrebbe gestito anche la cassa della famiglia mafiosa, provvedendo al mantenimento in carcere degli affiliati detenuti.

La sua villa, sempre allo Zen, sarebbe stata una vera e propria roccaforte, dotata di sofisticati sistemi di sicurezza e trasformata in una sorta di supermercato della droga all’ingrosso e dettaglio. Una vera e propria catena di montaggio, sostengono gli inquirenti, in cui veniva impiegato tutto il nucleo familiare.
La cosca non si occupava solo dello spaccio di cocaina e del pizzo ai commercianti e agli imprenditori: vessava anche chi occupava le case popolari nei padiglioni dello Zen; un “obolo” in cambio di acqua e pulizia.
Spina, pluripregiudicato per droga e mafia, era agli arresti domiciliari per motivi di salute. Le microspie piazzate dagli uomini della Dia hanno però accertato che stava bene. Adesso è in carcere al 416 bis.

Il direttore nazionale della Dia, Arturo De Felice, commentando in conferenza stampa il blitz, ha detto: “Il valore aggiunto in questa operazione è quello sociale. Siamo riusciti a penetrare in un quartiere roccaforte della mafia dove fino a qualche tempo fa era impensabile penetrare”. “È il frutto di un lavoro lungo e difficile, ottenuto grazie alla sinergia con la Procura distrettuale antimafia e alla professionalità dei nostri uomini – ha aggiunto -. La guerra prosegue, in nome dei cittadini onesti. Parecchie persone, benché timidamente e con discrezione si sono affacciate sull’uscio per manifestare un momento di sollievo e fiducia nelle istituzioni”.

“Allo Zen le cose cambiano molto lentamente – ha aggiunto il procuratore Francesco Messineo –. Si palesa come una zona franca, nonostante gli sforzi investigativi c’è molto da fare. Al lavoro incisivo delle forze di polizia e della magistratura non si accompagna una analoga operazione da parte delle altre autorità”. Messineo ha poi descritto l’ambiente del quartiere Zen. “È una zona con abusivismo imperante. Si registrano estorsioni di piccole somme, riscosse settimanalmente, pagate da chi abita nella zona – ha aggiunto –. È un vero e proprio prelievo tributario. Nell’ottica di un anno è una sorta di piccola Imu che viene riscossa per segnare il territorio. Per fare capire che c’è qualcuno a cui bisogna rendere conto. C’è da sperare che vi siamo piccoli segni di cambiamento. Il fatto che non ci sia stata la reazione del quartiere contro le forze dell’ordine è già un segno di speranza”.

Non la pensa allo stesso modo l’aggiunto Teresa Principato: “Speranza, ottimismo? Non mi sento sinceramente di nutrire questi sentimenti. Innanzitutto perché per lo spaccio queste persone erano già state arrestate. Una di queste gestiva l’organizzazione dagli arresti domiciliari. Il collaboratore Salvatore Giordano – ha spiegato – ci dice che annotava le entrate per riferire tutto a Guido Spina. Ritroviamo una forte componente familiare nell’attività di spaccio, questo significa che in quel quartiere afflitto dal degrado ancora oggi intere famiglie vivono di droga. L’organizzazione riesce a superare eventi come il sequestro di notevoli quantitativi di stupefacenti, che significa perdita di grosse somme di denaro. Riesce a superare gli arresti e le collaborazioni di giustizia. Riteniamo, dunque, che l’organizzazione sia ben strutturata e radicata. Elemento nuovo dell’operazione – ha concluso – è il fatto di ritrovare la Puglia come canale di approvvigionamento della droga”.

Secondo il procuratore aggiunto Vittorio Teresi“Lo Zen è territorio chiuso, auto protetto e difficile da penetrare. Ecco perché soltanto individuando i vertici operativi da subito si ottengono i risultati investigativi. Guido Spina è stato posto al vertice del gruppo dello Zen 2 da chi comanda veramente, come lui stesso diceva. Dobbiamo evitare di cadere ancora una volta nella trappola di uno Spina che sfugge al carcere in quanto trapiantato di fegato – ha sottolineato l’aggiunto -. Una volta libero si muoveva con disinvoltura nel suo territorio e fuori. Insomma, non ha alcun tipo di difficoltà dovuto alle sue condizioni di salute. Speriamo che sia assicurato alle patrie galere per il tempo che sarà stabilito da un giudice. La mafia riesce a individuare il quantum da richiedere alla vittima delle estorsioni perché superando il limite di tolleranza si corre il rischio della denuncia. In via Gino Zappa tutti i piccoli commercianti pagavano cinque euro a settimana. Difficilmente si può dire di no a questa cifra anche per la capacità di intimidazione di chi te la chiede. Chiedere una somma piccola significa seminare il terrore in un’intera strada”.

Questi gli altri arrestati: Nicolò Cusimano, 34 anni; Antonino Di Maio, 61 anni; Alba Li Calsi, 47 anni; Antonino Spina, 23 anni; Angela Spina, 29 anni; Maria Valenti, 39 anni; Francesco Firenze, 37 anni; Vito Compierchio, 53 anni; Massimiliano Fanara, 40 anni; Maurizio Di Stefano, 36 anni; Paolo Meli, 54 anni. In carcere il provvedimento è stato notificato a Vincenzo Cosenza, 43 anni; Pietro Vitale, 32 anni; Salvatore Vitale 57 anni; Letterio Maranzano, 28 anni; Giuseppe Leto, 44 anni.

[Informazioni tratte da ANSAGdS.itLasiciliaweb.itLiveSicilia.it] GuidaSicilia

Deficienza politica

Nel calore della passione ogni cosa par che si sollevi con chi la porta in sé. Illusioni: bolle di sapone, che possono a un tratto diventar palle di piombo.

Luigi Pirandello, I vecchi e i giovani, 1913

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Dopo il ribollir di rabbia, la ribollita d’idiozia del leghista.

La pettegola

La pettegola sta tutto il giorno nascosta dietro la porta del suo pianerottolo e scende solo un paio di volte al giorno per dire al portinaio che ognuno deve farsi i fatti propri, che il garantismo facilita la convivenza nel condominio. La pettegola dice che ognuno a casa propria deve essere padrone, che di solito gli stranieri vengono tutti qui sul portone per rubare in casa degli altri e che “il più bel tacer non fu mai scritto”:

Eppure la pettegola la riconosci che è pettegola, però, perché è la prima a puntare il dito per quella macchia sulle scale. Anche se si pente subito dopo.

Camera - legge di stabilita'

Ora si può scrivere: il giudice è mafioso

Quando i cattivi sono quelli pagati per essere buoni:

11298fotoLa corte d’Appello di Milano ha condannato l’ex giudice del Tribunale di Reggio Calabria, Vincenzo Giuseppe Giglio a 4 anni e 5 mesi di reclusione riducendo lievemente la pena inflitta in primo grado a 4 anni e 7 mesi. Il giudice è accusato di corruzionerivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento aggravato per aver agevolato l’attività del clan della ‘ndrangheta Valle-Lampada. La corte d’Appello di Milano ha poi condannato l’ex consigliere della Regione Calabria Francesco Morelli a una pena di 8 anni e 3 mesi (in primo grado aveva avuto 8 anni e 4 mesi).

La quarta corte d’Appello di Milano ha poi condannato Raffaele Fermino a 4 anni e 8 mesi di reclusione, il medico Vincenzo Giglio a 7 anni di carcere, Leonardo Valle a 8 anni e 6 mesi, Francesco Lampada a 3 anni e 8 mesi, l’ex militare della Guardia di finanza Luigi Mongelli a 4 anni e 5 mesi di reclusione, Maria Valle a 2 anni e 9 mesi di reclusione e altri tre finanzieri, Luciano RussoMichele Noto e Michele di Dio, a 3 anni e 9 mesi di reclusione. In primo grado, questi ultimi tre, erano stati invece assolti. Le motivazioni dei giudici saranno depositate entro 90 giorni. Il procedimento concluso oggi in appello riguarda le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia.

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