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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Da Brescia le parole senza democristiana educazione

Sarà che ogni tanto credo si debba essere rissosi e maleducati, nel senso molto terso della buona educazione tutta democristiana che vorrebbero imporci. Sarà che ho sempre voluto bene ai ragazzi della Rete Antimafia della Provincia di Brescia perché come tante altre associazioni antimafia è stata osteggiata sul nascere (anche da “altissimi” antimafiosi) per la loro bella abitudine di fare nomi e cognomi e di sfanculare mafiosi di centrodestra e di centrosinistra, ma questo loro post me lo stampo, lo piego e lo tengo in tasca con affetto, nonostante le troppe parolacce:

Io sono nato e cresciuto a Brescia, e a Brescia c’é la mafia. E se la mafia in Lombardia non si é impossessata della regione,  se comunque abbiamo un barlume di civiltà e di speranza è grazie ad un gruppo di persone che si é opposto.
Lo sapete perché queste persone mi mettono in crisi? Perché non sono dei Santi, sono fatti di carne e di ossa esattamente come me. Hanno dei pregi e sicuramente dei difetti, esattamente come me. Io spesso incontro gente che è sotto scorta perché è nel mirino della mafia, e può capitare che queste persone siano egocentriche, paranoiche, orgogliose, vanitose, fissate con il sesso, testarde, ritardatarie, egoiste, presuntuose, ingrate, stronze. Insomma può capitare che abbiano tutti o qualcuno dei difetti che posso avere io. Ed è questo quello che mi mette in crisi: che sono esattamente come me, che quello che hanno fatto loro potrei farlo anche io. Quanto farebbe bene alla mia coscienza se fossero dei Santi del Paradiso, ma nonostante siano come me, loro sono quelli che fanno il lavoro sporco al posto mio.
Pensare che una persona in prima fila nel combattere la mafia debba necessariamente anche avere il carattere di San Francesco forse è da ingenui. Se un giornalista scrive di mafia io non mi chiedo perchè scriva di mafia, non mi chiedo se così abbia avuto più successo con le ragazze, non mi chiedo se così si sia arricchito, io mi chiedo se quello che scrive sia vero, mi chiedo se quello che scrive dia fastidio alla mafia, mi chiedo se leggendolo la mia conoscenza e la mia coscienza siano migliorate.
Io mi sono rotto i coglioni di aspettare che una persona venga ammazzata prima di rivalutarla. Sarò ingenuo, ma ho visto troppa gente a casa mia disprezzata in vita ed apprezzata in morte, e così,  ingenuamente, sosterró tutti coloro che sostengono che la mafia, la camorra, la ndrangheta, la sacra corona unita e la stidda debbano essere non tollerate, ma sconfitte, e per fare questo mettono in gioco la loro vita. E le ascolterò anche se eventualmente saranno egocentriche, paranoiche, orgogliose, vanitose, fissate con il sesso, testarde, ritardatarie, egoiste, presuntuose, ingrate o stronze.

E’ tutto qui.

Ma questo silenzio dei vivi?

Forse, la verità è che per cambiare il racconto della frontiera non servono altri esperti. Ma servono racconti, servono storie, servono soggetti. Possibile che ancora non abbiamo visto un’intervista ai superstiti? Che ancora non abbiamo sentito le parole dei loro cari che li aspettavano a braccia aperte nelle città di mezza Europa? Possibile che non sappiamo niente del lutto che ha colpito i quartieri di Asmara per i suoi trecento figli ingoiati dal mare?

da ⇨ Il silenzio dei vivi, la fabbrica dei luoghi comuni e quelle storie che cambieranno l’estetica della frontiera

Ma nessuno sente questo silenzio dei vivi? Non ci manca un pezzo?

Numeri perbene

Ho letto qualcuno che ieri ironizzava sulla mia pubblicazione della vignetta di Staino sull’infelicissima uscita di Grillo e Casaleggio (e uso “infelice” per cortesia). Parlando del tema e, soprattutto, confrontando i numeri (che servono sempre per una buona analisi, eh) vale la pena riprendere, stampare e tenere in tasca il post di Giovanni Giovannetti:

Sui costi sociali dell’immigrazione provo allora a dare qualche numero. A partire dall’Inps, che senza il loro flusso contributivo non saprebbe come pagare la pensione ai nostri anziani, affidati a oltre un milione di badanti (quasi il doppio dei dipendenti del sistema sanitario nazionale) delle quali l’80 per cento lavora in nero. Nel 2008 i lavoratori stranieri assicurati (nell’insieme sono 2.727.254, il 12,9 per cento, un ottavo dei 21.108.368 lavoratori iscritti all’Inps) hanno versato nelle casse dell’ente previdenziale 7,5 miliardi di euro. Insomma, gli stranieri danno molto più di quanto ricevono, poiché i pensionati stranieri (110.000 persone nel 2010) incidono appena per il 2,2 per cento. Vista l’età media nettamente più bassa di quella degli italiani (31,1 anni contro 43,5), è un andamento destinato a durare per molti anni. Il 63,2 per cento dei lavoratori immigrati assicurati opera alle dipendenze di aziende, oppure sono lavoratori domestici (17,6), operai agricoli (8,5), lavoratori autonomi (10,8). Dunque, ogni 10 lavoratori immigrati, 9 sono impiegati nel lavoro dipendente e uno solo svolge attività autonoma. Nel settore familiare, in un Paese con almeno 2,6 milioni di persone non autosufficienti e una popolazione composta per oltre un quinto da ultra-sessantacinquenni, l’apporto dei lavoratori immigrati, soprattutto donne, consente alla rete pubblica un risparmio quantificato dal ministero del Lavoro in 6 miliardi di euro. Anche in agricoltura gli immigrati incidono per oltre un quinto sul totale degli addetti. Il loro contributo è sempre più rilevante, sia tra gli stagionali che tra gli operai a tempo indeterminato, specialmente nell’allevamento, nella floricultura e nelle serre.

Nel 2012 oltre 20.000 immigrati sono rientrati in patria. Secondo Andrea Stoppini, «se consideriamo uno stipendio medio (dati Inps) di 12.000 euro lordi l’anno, i contributi previdenziali versati dai lavoratori dipendenti ammontano a quasi 4.000 euro l’anno; per una media di due anni e mezzo di permanenza in Italia, significano circa 10.000 euro. Se la stima di 20.000 lavoratori rientrati sarà confermata, nel complesso si tratterà di circa 200 milioni di euro che questi lavoratori avranno perduto, a meno che non riescano in futuro a ottenere un nuovo rapporto di lavoro in Italia, e che l’Inps potrà legittimamente trattenere nel suo bilancio. Per inciso, si tratta di una cifra analoga al costo annuo sostenuto per i circa 45.000 stranieri che vivono negli alloggi di edilizia residenziale pubblica, e dei quali tanto si parla nelle regioni settentrionali». E così commenta Riccardo Staglianò: «I precari italiani, se la loro condizione non migliora, tra una ventina d’anni prenderanno sì e no una pensione da 500-600 euro. Ma per gli stranieri che lavorano e pagano le tasse in Italia potrebbe andare ancora peggio. Nel senso che, se tornano nel loro Paese prima dei fatidici 65 anni e non c’è un accordo di reciprocità, i contributi versati qui rimarranno qui. Dal loro punto di vista li avranno buttati via. Dal nostro, sarà un gradito (quanto ingiusto) regalo alle casse dell’Inps». Insomma: «Quando incontrate un leghista che si indigna per il fatto che anche agli immigrati danno le case popolari (almeno non a loro insaputa), ricordategli questo dettaglio contabile» (le due citazioni sono riprese da Repubblica.it.webarchive).

Persone perbene

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La vignetta di Staino su L’Unità di oggi. E la differenza tra la politica e l’essere umani.

Condannato Tagliavia per le stragi mafiose del 1993. Cosa vuol dire.

La corte d’assise d’appello di Firenze ha confermato l’ergastolo al boss Francesco Tagliavia, accusato di aver messo a disposizione il gruppo di fuoco per le stragi mafiose del 1993-1994 di Roma, Firenze e Milano. A differenza dei giudici di primo grado, in appello Tagliavia è stato assolto, così come fu per il boss Salvatore Riina, per il solo fallito attentato al pentito Totuccio Contorno, nell’aprile del 1994. Tagliavia, capofamiglia di Corso dei Mille, è in carcere dal 22 maggio ’93. Quando, nel 2010, la procura di Firenze ha ritenuto di aver acquisito nuove prove sul suo coinvolgimento nella stagione delle stragi, Tagliavia era già all’ergastolo per una serie di omicidi e per via D’Amelio. L

Ma c’è qualcosa di più interessante ancora in questa condanna: Francesco Tagliavia è stato indicato fra i presenti della “celebre” riunione di Santa Flavia (dove Cosa Nostra decise l’attentato a Firenze con gli scemi piegati su cartine e libri d’arte come in un film di Quentin Tarantino) dal pentito Spatuzza. Vi ricordate Spatuzza: quello che ci avevano detto che è un pentito che si inventa tutto, che non è credibile e tutto il resto?

Le accuse dei magistrati toscani hanno preso le mosse dalle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. “La sua attendibilità – ha commentato oggi il sostituto pg Giuseppe Nicolosi – è stata confermata”.

Spatuzza è una delle voci “chiave” sul Marcello Dell’Utri e la nascita di Forza Italia in Sicilia, per dire.

Mafia? Il sonno di Roma

Da Repubblica

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La video-intervista dell’attore e regista lombardo Giulio Cavalli che racconta la sua vicenda e spiega come la criminalità organizzata abbia messo radici anche nella capitale. Dalla scorsa estate l’attore ha scelto di vivere a Roma e da poco è rimasto vittima di una nuova intimidazione: una pistola, con un colpo in canna e la matricola abrasa, è stata ritrovata nei pressi del giardino della sua abitazione. Questa mattina, un nuovo agguato in città: un imprenditore di 74 anni, proprietario di terreni, golf club e gestore di una discarica, è stato ucciso in strada a Casal Palocco.

 

A Lucca la mafia non esiste

Gli indagati, nelle province di Lucca, Pistoia, Crotone e Reggio Calabria, sono accusati di far parte di due distinte associazioni per delinquere: una finalizzata ad estorsioni, minacce, incendi e detenzione di armi, l’altra al traffico di stupefacenti.

A quello che gli investigatori indicano come capo delle due diverse organizzazioni criminali, Giuseppe Lombardo, un calabrese residente ad Altopascio da diversi anni, appartenente ad una storica famiglia di ‘ndrangheta, è contestata l’aggravante di aver agevolato la cosca Facchineri, operante a Cittanova, in provincia Reggio Calabria, e con ramificazioni in Lombardia. Lombardo infatti, secondo il giudice, non solo consegnava parte dei proventi dell’attività dell’organizzazione criminale ai parenti liberi dei Facchineri ma usava metodi mafiosi per sfruttare il potere intimidatorio della cosca di alla quale diceva di appartenere.

Agli arrestati sono contestati diversi episodi di incendi e danneggiamenti ai danni di imprenditori locali (furgoni, abitazioni, capannoni), ai quali tentavano di estorcere il pizzo, e altri incendi, violenze e minacce a mano armata nei confronti di chi tardava a pagare le partite di stupefacenti acquistate. L’organizzazione criminale, infatti, controllava il traffico della droga in zona, droga importata dalla Calabria e poi rivenduta sul mercato toscano. Le indagini hanno permesso anche il recupero di numerose armi da fuoco nella disponibilità della banda e di ingenti quantitativi di droga. Tra gli episodi al centro delle indagini c’è il lancio di una molotov contro l’abitazione di un imprenditore di Altopascio (Lucca), l’incendio dell’auto di un piccolo impresario edile, sempre ad Altopascio, e l’incendio del magazzino di una ditta di articoli industriali, a Santa Croce sull’Arno (Pisa).

(clic)

A Padova la mafia non esiste

L’amministratore delegato della Fip di Padova, Mauro Scaramuzza, e Gioacchino Francesco La Rocca, figlio del capomafia detenuto ‘Ciccio’, sono stati arrestati dai carabinieri, assieme ad altri tre indagati, nell’ambito di un’inchiesta su un appalto pubblico da 140 milioni di euro per la ‘variante’ Caltagirone. Nei loro confronti i militari dell’Arma hanno eseguito un ordine restrittivo del gip su richiesta della Dda della Procura di Catania, che ipotizza, a vario titolo, i reati di associazione di tipo mafioso, intestazione fittizia di beni e concorso esterno in associazione mafiosa. Dalle indagini dei carabinieri sarebbe emerso l’interesse della storica ‘famiglia’ mafiosa di Caltagirone dei La Rocca, legata a Cosa nostra, nell’esecuzione dei lavori. Secondo l’accusa, la cosca avrebbe agito affinchè venissero dati in subappalto a ditte direttamente controllate dal clan con contratti artificiosamente frazionati in modo da eludere la normativa antimafia, percependo così un indebito profitto mediante l’ottenimento di finanziamenti pubblici. Tra gli arrestati c’è Scaramuzza, ad della Fip di Padova, impresa di rilevanza internazionale, aggiudicataria dell’appalto (insieme alle società L&C unite in associazione temporanea di imprese) che secondo la procura era «consapevole di apportare il contributo al clan La Rocca». Nel corso dell’operazione i carabinieri hanno sottoposto a sequestro preventivo due società.