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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

La sinistra è come mia zia

Francesco Piccolo per il Corriere della Sera scrive del film The Artist ma, soprattutto, di coloro erano stati chiamati al mondo per spingerlo in avanti e non per tenere premuto il freno:

Tutti, tutti almeno una volta alla settimana sentono di dover comunicare al mondo di sentirsi estranei al presente. Tutti, insomma, hanno una gran voglia di sentirsi incompresi e isolati come The Artist. Ovviamente in questo elenco disordinato e parziale ci sono valori oggettivi (e non parlo solo di Platini). Però poi se si ragiona così si finisce per fare film sulla bellezza del passato, e per giunta per farli come si facevano in passato. E poi questo film fa sciogliere in lacrime chi va a vederlo. Ed è proprio questa la novità — mi sembra: finora, abbiamo assistito a una pressione logica delle idee reazionarie; più spesso, a una veste irrazionale, poco comprensibile ma di cui bisognava prendere atto. Questo film fa un passo ulteriore: è costruito per coinvolgere lo spettatore complice sul piano emotivo. È la prima opera-manifesto che seduce i reazionari emotivamente, che li fa commuovere al pensiero di se stessi e delle proprie lotte.

Tutti (o quasi tutti) quelli che pensano e riflettono e vanno ai festival culturali e scrivono libri e li leggono, in questi anni, credono sia loro dovere fare resistenza al nuovo. Il ceto medio riflessivo, sul quale abbiamo fatto affidamento per la ricostruzione di un Paese civile e innovato, pensa che la soluzione sia semplice: opporsi alle tecnologie, non concedere al nemico (il progresso) nemmeno un centimetro del territorio (la conservazione del passato). Del resto, a dirla tutta, anche Franzen scrive romanzi bellissimi, il cui unico difetto sta nel fatto che tendono (consapevolmente) a sembrare dei romanzi alla Zola. Ma pare che questo sia proprio il suo pregio. Tutto bene, tranne per due cose: il fatto che il ceto medio riflessivo, gli intellettuali che lo rappresentano, mia zia e Franzen erano stati chiamati al mondo per spingerlo in avanti e non per tenere premuto il freno. E la seconda: ma noi tutti, qui, nel presente, allora, cosa ci stiamo a fare?

Federmeccanica marchionizzata

Mi scrive l’amico Alessandro Diano:

Buongiorno Giulio.

Se interessa per i prossimi incontri/proposte/temi sul lavoro, un valido sindacalista CGIL mi segnala un grave comunicato FIOM di ieri (vedi allegato) sul delicato rinnovo CCNL (l’unico strumento efficace poiché unitario) per cui -com’era prevedibile- anche Federmeccanica si adegua all’ipotesi di eliminazione di un contratto nazionale (negazione del ruolo negoziale della RSU, etc.).

Credo che se questo paese di distratti non si sveglia, si rischia davvero di non avere più né il CCNL con le sue tutele, né lo stato sociale né la sanità pubblica, né la scuola pubblica, poiché temo basti semplicemente smantellare per ultimo il “diritto al calcio” (che crea anche l’incostituzionale indifferenza) per far passare proprio di tutto.

Anche la negazione ministeriale della prima parte del tuo articolo Costituzionale preferito.

Doverosi saluti di diritto,
ale

Il comunicato di cui mi parla Alessandro è poco reperibile in rete ma parla chiaro:

Nella propria assemblea annuale a Bergamo Federmeccanica ha varato le «linee guida» per il rinnovo del Ccnl e ha affermato, senza mezzi termini, che il Contratto nazionale dei metalmeccanici non deve essere rinnovato a tutti i costi ma solo se risponde positivamente alle necessità delle imprese. Dalle linee guida di Federmeccanica emergono i seguenti punti:

  • il salario flessibile che cancella la certezza dei minimi contrattuali; saranno le imprese e le loro condizioni produttive e di mercato a stabilire se in azienda verrà erogato o meno il minimo salariale stabilito nel Ccnl;
  • la cancellazione di tutti gli automatismi salariali definiti a partire, come hanno dichiarato, dagli scatti di anzianità; ma gli automatismi interessano anche i passaggi di categoria, i passaggi temporanei di mansioni, le trasferte ecc.;
  • cancellare il diritto al pagamento dei primi tre giorni di malattia e legare il salario alla presenza;
  • l’aumento dell’orario di lavoro individuale, dei turni, dei giorni lavorativi attraverso la massima flessibilità degli orari individuali e collettivi e il massimo utilizzo degli impianti (24 ore al giorno per 7 giorni);
  • la piena esigibilità della flessibilità di orario attraverso la cancellazione del ruolo negoziale della Rsu nella definizione degli orari di lavoro in fabbrica; rendere obbligatorio, senza contrattazione in fabbrica, lo straordinario anche al sabato e fino a 200/250 ore all’anno;
  • rendere ancora più semplice la possibilità di derogare alle leggi e al Ccnl, recepire nel testo del Contratto le recenti modifiche legislative che hanno peggiorato pensioni, ammortizzatori sociali e lavoro precario, rendere la contrattazione aziendale sempre più alternativa al Contratto nazionale.

 Federmeccanica affronta anche il problema che oggi, senza una legge, il Ccnl non ha validità erga omnes e riconosce che, per superare le divisioni in atto tra i metalmeccanici, è essenziale dare attuazione all’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011. Federmeccanica afferma che il primo passo per dare qualità alle relazioni industriali consiste nel definire la effettiva rappresentatività dei soggetti negoziali perché giova alla democrazia sindacale e porta maggiore certezza nella contrattazione collettiva. Su questo punto la Fiom ritiene prioritaria l’applicazione tra i metalmeccanici dell’Accordo interconfederale del 28 giugno sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. La condizione necessaria per evitare la pratica degli accordi separati e riconquistare un contratto nazionale di tutti i lavoratori metalmeccanici è la definizione di procedure per la certificazione della rappresentanza e rappresentatività delle organizzazioni sindacali e di regole democratiche per la validazione di piattaforme e accordi attraverso il voto referendario di tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori. All’avvio della trattativa, a cui saremo presenti, se Federmeccanica presenterà ufficialmente la sua “piattaforma” si assumerà la responsabilità di cancellare l’esistenza del Contratto nazionale e anche Fim e Uilm dovranno riflettere sul fatto che in realtà questa strada porta a cancellare il Contratto nazionale e a estendere il modello Fiat in tutte le aziende metalmeccaniche. Per difendere le libertà sindacali e la democrazia nei luoghi di lavoro il diritto a contrattare salario, orario e condizioni di lavoro per impedire i licenziamenti e contrastare la precarietà RICONQUISTIAMO UN VERO CONTRATTO NAZIONALE DI TUTTE LE LAVORATRICI E DI TUTTI I LAVORATORI (Roma, 10 luglio 2012)

Ora io vorrei tanto capire se esiste un partito che la smetta di interrogarsi sulle alleanze partitiche e decida di raccontare questa clinica, spietata, continua omertà sui diritti che si appannano mentre il lavoro nemmeno riprende.

La corsa dei migliori verso la politica

La corsa dei migliori verso la politica è un fenomeno che si produce quando la politica cessa di essere ordinaria amministrazione e impegna tutte le forze di una società per salvarla da una grave malattia, per rispondere a un grave pericolo.

(Da una lettera di Giame Pintor al fratello Luigi, poco prima di morire nel 1943 attraversando le linee tedesche)

Cordiali e proficui rapporti, non sporadici, con la criminalità mafiosa: la sentenza Dell’Utri secondo Gian Carlo Caselli

Dopo la dichiarazione di morte presunta del “concorso esterno” vigorosamente scandita dal PM Iacoviello nella sua requisitoria (si fa per dire…) nel processo Dell’Utri, molti erano ormai in trepida attesa dei funerali. Senonché, questa figura di reato non vuol saperne di tirare le cuoia. Essa infatti ha trovato nuova linfa proprio nella sentenza della Cassazione su Dell’Utri. Il succo della sentenza si trova alla pag. 129 delle complessive 146, là dove si legge che “in conclusione il giudice di merito (cioè la Corte d’appello di Palermo cui il processo è stato rinviato) dovrà esaminare e motivare se il concorso esterno sia oggettivamente e soggettivamente configurabile a carico di Dell’Utri anche nel periodo – 1978/1982 – di assenza dell’imputato dall’area imprenditoriale Fininvest;- e se il reato contestato sia configurabile, sotto il profilo soggettivo, anche dopo il 1982”, posto che – quanto all’elemento materiale – risultano pagamenti Finivest in favore della mafia protratti con cadenza semestrale o annuale fino a tutto il 1992 (pag. 128 della sentenza). Dunque, accanto a vari interrogativi, due importanti certezze: la prima è appunto che il concorso esterno è vivo, in barba alla tesi bislacca che nessuno più ci crede. La seconda è che l’imputato Dell’Utri è responsabile – in base a prove sicure – del reato di concorso esterno con Cosa nostra per averlo commesso almeno fino al 1978, operando di fatto come tramite di Silvio Berlusconi. Una realtà sconvolgente, di cordiali e proficui rapporti, non sporadici, con la criminalità mafiosa. E poiché le sentenze – emesse in nome del popolo italiano – sono motivate proprio perché il popolo possa conoscere e valutare i fatti che ne costituiscono la base, sarebbe lecito attendersi che si apra finalmente un serio dibattito su cosa mai sia successo in Italia in certi periodi. Altrimenti, facendo finta di niente anche per Dell’Utri (come già è avvenuto per Andreotti) potrebbero essere sostanzialmente legittimati – per il passato, ma pure per il presente e per il futuro – anche torbidi rapporti col malaffare mafioso.

Certo è che alla serietà del dibattito non contribuiscono le banalizzazioni, per esempio che il metodo giusto è quello che va dritto al risultato, altro che i processi alla Mannino e Carnevale… C’è invece da chiedersi perché –applicando sempre lo stesso metodo– i processi contro l’ala militare di Cosa nostra si concludono regolarmente con robuste condanne, mentre quelli agli imputati “eccellenti” hanno esiti assai più controversi (talvolta condanne, talvolta assoluzioni; spesso pronunce contraddittorie lungo i tre gradi di giudizio).

Dato di fatto da cui partire è che i PM sono gli stessi. Stessi uomini, stesso metodo di lavoro. Per cui, delle due l’una: o sono bravi quando si tratta di mafiosi “doc” e incapaci di fronte ad altri imputati, oppure la spiegazione sta altrove. Provare i delitti di mafia, prima di tutto, è relativamente più facile. Per quanto si tenti occultarne le tracce, un omicidio ne lascia. Per le collusioni, invece, non ci sono dna, esami medico-legali, perizie e consulenze. Tutto, anzi, è protetto dalla segretezza più assoluta, perché qui sta la vera forza del potere mafioso. Dunque la prova è oggettivamente più difficile. E può anche darsi che i criteri di valutazione della prova non siano sempre gli stessi. Ma non bastano queste difficoltà per rinunziare all’unico strumento incisivo contro la “zona grigia”, accontentandosi di qualche “ vittoria” ottenuta giocando al ribasso. In ogni caso, per trovare la spiegazione dello scarto si dovrebbero studiare le sentenze – tutte, quelle di condanna come quelle di assoluzione – e non giocare sulla disinformazione. Si vedrebbe che si è sempre indagato con rigore su fatti gravi riconosciuti storicamente esistenti anche dalle sentenze assolutorie: per cui le accuse di aver costruito teoremi ( che è poi l’essenza del “negazionismo” del concorso esterno, anche di quello che definisce perdita di tempo il farvi ricorso quando la strada è impervia) sono frutto di pigrizia se non peggio. E non si potrebbe far finta di dimenticare che il riconoscimento della bontà del suo operato il Pm lo ottiene tutte le volte che vi è il rinvio a giudizio da parte del Gip. È in quel momento che il giudice terzo riconosce che l’impianto accusatorio è consistente e va perciò sottoposto alla verifica dibattimentale. Ma in questo Paese si fa come se il Gip neanche esistesse. Meglio prendersela con i Pm, soprattutto se praticano strade che altri non imboccano perché scomode.

Gian Carlo Caselli

33 anni fa, Giorgio Ambrosoli

33 anni fa moriva Giorgio Ambrosoli. 33 anni fa Milano era già Milano come non si vuole ancora oggi immaginare. La politica, mafia, finanza e Vaticano si esibivano in ammucchiate oscene. 33 anni fa avevo 2 anni e Giorgio Ambrosoli scriveva a sua moglie la sua lettera che è un testamento, un invito alla lealtà, la narrazione della giustizia. Quella maiuscola.

Anna carissima,

è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I. (Banca Privata Italiana ndr) atto che ovviamente non soddisfarà molti e che è costato una bella fatica.

Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese.

Ricordi i giorni dell’Umi (Unione Monarchica Italiana ndr), le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito.  Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo.

I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie.  Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo.  Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto […] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa.

Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro […]

Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi.

Hai degli amici, Franco Marcellino, Giorgio Balzaretti, Ferdinando Tesi, Francesco Rosica, che ti potranno aiutare: sul piano economico non sarà facile. ma – a parte l’assicurazione vita –  […]

Giorgio

Tre leggi per cambiare l’Italia

Le propone MoveOn Italia

COSTRUIRE uniti la realizzazione di un assetto democratico del nostro Paese da votare nel prossimo Parlamento per non subire mai più.

MoveOn Italia – Muoviti Italia, insieme ai cittadini, spinge perché il prossimo Parlamento approvi 3 Leggi per rendere più libera l’Italia:
– Riforma “La Rai ai cittadini”
– Legge Conflitto di Interessi
– Antitrust

La Riforma “La Rai ai cittadini” nasce perché la TV condiziona e manipola il mondo, la pubblicità muove le volontà della maggioranza dei cittadini e la loro apparente soddisfazione. Una ricerca Istituzionale ha dimostrato che, nonostante la diffusione di Internet,  il tg1 e il tg5 condizionano il voto del 60% della popolazione italiana.

L’impegno è di far aderire alla proposta i cittadini, i movimenti, le associazioni! Pierluigi Bersani, Antonio Di Pietro e Nichi Vendola hanno già aderito, facendo in modo di non trovarsi di nuovo nella follia dei progressisti divisi alle prossime elezioni. Noi cittadini possiamo dare un obiettivo unitario su una proposta che dia più senso alla politica del bene comune.
‎- Far partecipare i cittadini per avvicinare lo Stato e le Istituzioni alla vita sociale
– Impegnare la politica a rispondere con i fatti
– Rinnovare le idee e la politica

Incredibilmente in Italia si andrà alle prossime elezioni politiche, ancora una volta, con un’informazione da Paese semi democratico. L’unica condizione possibile per noi cittadini questa volta dovrà essere l’inderogabile impegno da prendere da parte della politica nel far approvare in tempi brevi, non appena sarà costituito il prossimo Parlamento, queste tre leggi basilari in un sistema democratico.

LIBERIAMO LA RAI DAL TOTALE CONTROLLO DEI PARTITI

“Gli utenti del servizio pubblico, in quanto veri proprietari di un’azienda che finanziano tramite il canone, eleggono direttamente alcuni componenti nel Consiglio per le Comunicazioni audiovisive”

Hanno aderito:
Giulio Cavalli, Tana De Zulueta, Moni Ovadia, Loris Mazzetti, Sabina Guzzanti, Ugo Mattei, Corrado Guzzanti, Francesca Fornario, Carlo Freccero, Lidia Ravera, Corradino Mineo, Lorella Zanardo, Giulia Innocenzi, Roberto Zaccaria, Udo Gumpel, Giovanni Anversa, Michele Gambino, Roberto Natale, Massimo Marnetto, Arturo Di Corinto, Santo Della Volpe, Silvia Bencivelli, Nicola D’Angelo, Maria Luisa Busi, Tiziana Ferrario, Wolfgang Achtner, Carmine Fotia, Vittoria Iacovella, Giuseppe De Marzo, Fabrizio Federici,Sergio Bellucci, Gianni Orlandi, Giulietto Chiesa, Simona Coppini, Federico Lunadei, Grazia Di Michele, Simona Sala, Giuliana Sgrena, Antonella Marrone, Giovanni Mangano, Lorenzo Marsili, Carlo Verna, Giuseppe Giulietti, Vincenzo Vita, Claudio Fava, Carlo Rognoni, Antonello Falomi, Fabio Granata, Giorgio Merlo, Niccolò Rinaldi,Angelo Bonelli, Nichi Vendola, Antonio Di Pietro

Condividono il precorso:
Articolo 21, Usigrai, Libertà e Giustizia, A Sud, Rete Viola, Liberacittadinanza,IndigneRai, Il Popolo Viola, TILT, Alternativa, Il Teatro Valle Occupato, Errori di Stampa, Il Comitato del Sole, Libertà e partecipazione, European Alternatives, Slow Music

Sostiene l’iniziativa:
Stefano Rodotà

QUI TUTTE LE INFORMAZIONI
La Riforma “La Rai ai Cittadini” da spingere nel prossimo Parlamento

http://www.facebook.com/events/410098389007354/

LA RAI AI CITTADINI
5 punti per garantire un bene pubblico

Prendendo ad esempio i modelli di gestione più avanzati in Europa, ma anche le proposte di riforma della Rai tendenti a garantire qualità e autonomia proponiamo in 5 punti una riforma che assicuri non solo la necessaria efficienza aziendale, ma anche l’assoluta indipendenza editoriale del servizio pubblico.

1. Chiediamo il superamento dell’anomalia per la quale l’azionista del servizio pubblico è il Ministero dell’Economia.

2. Al posto della Commissione parlamentare di Vigilanza, chiediamo la costituzione di un Consiglio per le Comunicazioni audiovisive, i cui membri dovrebbero essere in maggioranza nominati dalla società civile (11 su 20). Gli utenti del servizio pubblico, in quanto veri proprietari di un’azienda che finanziano tramite il canone, eleggono direttamente 6 componenti (*). Cinque sono nominati da rappresentanti di settore (sindacati, artisti, autori, accademici, fornitori di contenuti). Dei rimanenti 9 membri, 3 verrebbero eletti dagli enti locali (Regioni-conferenza permanente stati regioni, Province-l’Upi e Comuni-Anci) e 6 nominati dal Parlamento (**).

3. Il Consiglio nomina i vertici della concessionaria del servizio pubblico (il CdA Rai), selezionati mediante concorsi pubblici in base a criteri di professionalità, competenza nel campo radiotelevisivo ed indipendenza. Ad esso sono attribuite competenze di indirizzo e vigilanza.

4. Il Consiglio nomina altresì i componenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, assicurando, anche in questo caso, i criteri della selezione trasparente, dell’indipendenza e del massimo di qualificazione.

5. Il Consiglio si pone al servizio degli utenti Rai, facilitando modalità interattive di controllo e di valutazione e garantendo ai cittadini un uso consapevole e attivo di tutti i media gestiti dal servizio pubblico.

* (Secondo le modalità proposte da Zaccaria, AC 4559)
** (Ipotesi de Zulueta-Giulietti, AC 1460)

Conflitto di Interessi e Antitrust
Congiuntamente e in continuità con la proposta “La RAI ai cittadini”, MoveOn Italia è impegnata nella definizione delle linee guida per iniziative che incidano su due ulteriori temi di vitale importanza democratica:  il conflitto di interessi e l’antitrust. Per garantire la libertà e il pluralismo dell’informazione questa riforma non può infatti prescindere da una netta e chiara separazione, definita per legge, tra l’esercizio del potere politico e la proprietà o la capacità di influenzare i media. E’ altresì necessario fissare limiti di concentrazione che un’unica società dei media sia autorizzata a controllare in uno o più mercati rilevanti.

Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone oppresse e amare quelle che opprimono” Malcom X”

Cambiamo tutti il modo di pensare, proponiamo dal basso con grande entusiasmo e senza interessi personali. I cittadini propongono, le Istituzioni possono diventare aperte. Trasformiamo anche la Tv in un bene comune di tutti. Stiamo invitando i cittadini, i movimenti, le associazioni, i giornalisti e i Parlamentari a confrontarsi e a partecipare.
Inviteremo a seguire e ad impegnarsi in questo percorso riformatore dei cittadini anche dopo l‘incontro del 23 Marzo anche Bersani, Vendola, Di Pietro e i diversi leader.
Ci rivolgeremo anche a Monti e al suo Governo provando inoltre a fare una proposta agli organismi europei sul coinvolgimento degli utenti nel servizio pubblico.

Il MoveOn americano spinse e fece approvare in parlamento la Riforma Sanitaria Pubblica, noi spingiamo la Riforma della Tv Pubblica

Scambiare una provincia per un mulino a vento

Anche se di Don Chisciotte in giro se ne vedono pochi (e intanto abbondano i Sancho Panza), il decreto che abolisce le province è uno degli argomenti da bar più caldi dell’estate. E io ho sempre subito il fascino di quei discorsi davanti al primo caffè prima di andare al lavoro perché dentro c’è la rappresentazione e la proiezione che una comunità scorge dietro una legge. Perché i tagli (anche delle province) mettono tutti d’accordo (noi, almeno) ma i criteri, gli obiettivi e il risultato sono “politica”. E forse ci sarebbe qualcosa da rivedere. Ne riflette anche Leonardo Tondelli su L’Unità:

Alla base di molte chiacchiere c’è una competenza geografica data per scontata e che invece tante volte scontata non è. Così ci si scandalizza del fatto che un piccolo centro, Sondrio, continui a esercitare prerogative da capoluogo, ignorando il fatto che per quanto Sondrio possa essere piccolo, il territorio a cui fa capo (la Valtellina) è immenso, e separato dal resto della Lombardia da confini naturali. Non è che non si possano trasferire uffici e competenze a Bergamo, ma rimane da stabilire se sia un risparmio. Per il Tesoro magari sì, almeno nell’immediato; ma per i cittadini? I tagli hanno di buono che sul bilancio si vedono subito: le magagne, i disastri “naturali” che possono derivare da una gestione miope e lontana del territorio, all’inizio non si vedono, e comunque a calcolarli servono mesi, a volte anni. Monti e il suo governo saranno già lontani.

Molto spesso poi chi parla di abolire le province mostra di non riconoscere che un Paese non è soltanto una comunità di persone, ma è anche il territorio in cui queste persone vivono. Il fatto che alcune province, anche vaste, siano poco popolate, non dovrebbe costituire di per sé un motivo sufficiente per eliminarle. La gestione dei fiumi, delle valli, delle strade, deve essere efficace: la risposta alle emergenze deve essere pronta, anche se in quel territorio abitano poche migliaia di persone. Si sa che in altri Paesi i territori poco popolati sono compensati, in sede istituzionale, da una maggior rappresentatività: negli USA anche i grandi Stati del Midwest hanno i loro due seggi al Senato, anche se la loro popolazione è molto inferiore a quella degli Stati sulla costa. È un metodo, certo non perfetto, di riequilibrare grandi territori poco popolati e piccoli Stati fortemente urbanizzati.

La distribuzione della popolazione, in Italia, è molto diversa. Ma spesso chi ritiene inutili le province vive in grandi centri, come Milano o Roma o Napoli, dove a conti fatti la provincia è davvero un doppione, la cui abolizione non sarà affatto rimpianta. Però la stragrande maggioranza degli italiani non vive in questi grandi centri, ma in territori diversificati dove l’organizzazione provinciale dei trasporti pubblici o delle scuole superiori ha ancora un senso. Di queste cose sarebbe bello discutere, non soltanto sotto l’ombrellone, mentre aspettiamo che Monti & co. ci mostrino la nuova cartina delle province italiane. Più che delle risse di cortile, dell’angoscia dei materani costretti a mescolarsi ai potentini, eccetera eccetera.

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Regione Lombardia e quel bilancio fuori da questo tempo

[comunicato stampa] “È un assestamento di bilancio fuori dal tempo” così Chiara Cremonesi e Giulio Cavalli commentano l’approvazione dell’assestamento di bilancio oggi in Consiglio Regionale “e ancora una volta Formigoni non è capace di rispondere in maniera adeguata a una crisi che dura ormai da troppo tempo, questa volta con l’aggravante di non saper gestire la spada di Damocle dei tagli voluti dal Governo Monti”

“In questa già difficile situazione crea particolare sconforto la totale assenza di provvedimenti a sostegno del lavoro e del’innovazione. In un momento di grave crisi per molte aziende presenti sul nostro territorio, tra cui ricordo Nokia-Siemens (Cassina de’ Pecchi), Riello (Morbegno), o Sisme (Olgiate Comasco), ci sarebbe piaciuto vedere un forte segnale di impulso all’innovazione, per esempio attraverso investimenti nella banda larga visto che ancora 707 comuni su 1546 lombardi ne sono sprovvisti e ci sfugge il perché di un ampliamento del fondo NASKO, palesemente inefficace, anziché un maggior impegno finanziario sulle politiche di genere e sulla conciliazione dei tempi”

“Quanto meno, ora non resta che augurarsi che i due ODG, riguardanti il finanziamento della mobilità ciclistica e la previsione di una normativa regionale contro il consumo di suolo, approvati dal Consiglio Regionale” conclude Giulio Cavalli “non restino solo sulla carta, ma vengano trasposti in atti concreti.”

Il cambiamento virtuoso. Che già succede.

Su Repubblica di oggi c’è uno di quei pezzi che ti allargano i polmoni. Pensi che forse se riuscissimo a cogliere gli esempi che abbiamo saremmo anche tutti più ottimisti. Non ha bisogno di commenti, è solo da leggere e pensare che il cambiamento succede. Non si promette. E bisogna coglierlo.

I primi della classe sono riuniti nell´associazione Comuni virtuosi (da non confondere con la lista ufficiale del ministero dell´Economia degli enti che rispettano il patto di stabilità), nata nel maggio del 2005 con un obiettivo semplice: «Diffondere il buon esempio – spiega Marco Boschini, coordinatore dell´iniziativa – e creare una rete di condivisione delle esperienze mettendo a disposizione delibere e progetti già realizzati per chi vuole innovare». Perché un´altra amministrazione è possibile, anche con la crisi.

Sfogliando l´elenco dei virtuosi, ci si imbatte in Corchiano, 4000 abitanti, in provincia di Viterbo. I vigili girano in bici per inquinare meno, lo scuolabus è alimentato col biodiesel prodotto con gli oli esausti da cucina recuperati dal Comune, la fontana pubblica ha eliminato l´uso di 200 mila bottigliette, le ristrutturazioni degli edifici si fanno solo se migliorano l´efficienza energetica. C´è poi Cassinetta di Lugagnano, in provincia di Milano. Un borgo medievale sul Naviglio grande, 1800 abitanti, che per primo in Italia ha abolito gli oneri di urbanizzazione. «Difendiamo il territorio dalla cementificazione – spiega l´ex sindaco di centrosinistra Domenico Finiguerra – consentiamo solo restauri dei fabbricati esistenti. Per compensare gli incassi mancati, abbiamo tagliato le luminarie di Natale e i fuochi d´artificio. Ci siamo inventati i “matrimoni a mezzanotte” nelle ville del nostro paese. Portano 30 mila euro all´anno».

Far parte del club dei migliori comuni d´Italia, però, non è da tutti. Ci sono criteri rigorosi per l´ammissione: avere un livello di raccolta differenziata superiore al 65 per cento, una superficie urbanizzata inferiore al 15, un piano energetico comunale, forme di mobilità alternativa (piste ciclabili, car sharing, piedibus), stili di vita improntati alla sobrietà. Castellarano, in provincia di Reggio Emilia (vincitore nel 2011 del premio “Comuni a 5 stelle” indetto dall´associazione), fa quasi vergognare per quanto è perfetto. L´impianto fotovoltaico pubblico da un megawatt è stato realizzato su una vecchia discarica dismessa, evitando spreco del suolo. È nato qui uno dei primi Gruppi di acquisto solidale del fotovoltaico. Nelle aree verdi si utilizza il compost per la concimazione, negli uffici pubblici si usa solo carta riciclata e i dipendenti fanno la spesa via web. E non è finita: per gli operai del comprensorio della ceramica è stato messo in piedi un progetto di condivisione dell´auto per ridurre il traffico.

Si dirà che queste esperienze funzionano, ma solo nelle piccole realtà. «Non è così – ribatte Boschini – in Europa ci sono esempi di amministrazioni votate all´ecosostenibilità. Basti pensare a Friburgo, o anche ad alcuni progetti realizzati da Parigi e Londra. Con impegno e coraggio, le cose si possono fare anche a Roma o a Milano». In Italia il Comune virtuoso più grande per ora è Capannori, in Toscana, con 47 mila abitanti. Tra i vari meriti, ha anche quello di aver inaugurato l´era del bilancio partecipativo. I cittadini vengono informati con assemblee pubbliche di tutte le spese effettuate. «Dopodiché – spiega l´assessore all´Ambiente Alessio Ciacci – sono loro, tramite una votazione pubblica, a decidere come utilizzare 500 mila euro che ogni anno riserviamo ad hoc in bilancio». L´anno scorso sono serviti per finanziare la ristrutturazione di alcune scuole, voluta e votata dai cittadini.

A volte per essere bravi amministratori basta una piccola grande idea. A Melpignano nel Leccese il sindaco Ivan Stomeo si è inventato, caso unico in Italia, la cooperativa del fotovoltaico. «Sfruttando i tetti piani delle nostre case – racconta – abbiamo creato una cooperativa che compra gli impianti e li installa sulle case dei soci, gratis. La cooperativa si finanzia con gli incentivi del Conto Energia, chi aderisce ha energia gratis per vent´anni. Finora abbiamo installato una sessantina di impianti». E a Berlingo, nel Bresciano, 2500 abitanti, la giunta ha trasformato una discarica in centro in una struttura polifunzionale alimentata con fonti rinnovabili. Dal letame nascono davvero i fiori.

Rifiutarsi di fare denaro con il denaro

Ne parla Michela Murgia sul suo sito. E credo che sia importante leggerne perché in tempi di moneta lombarda in salsa leghista, esiste qualcuno che ha l’ardore di mettere insieme la finanza e l’etica. E dicono che possa funzionare:

L’idea di Gabriele si chiama Sardex ed è un gioiello di finanza etica. Funziona da soli cinque anni, ma la studiano ormai in tutta Europa. Insieme a lui l’hanno pensata e realizzata suo fratello Giuseppe e i loro due amici Piero e Carlo, che ci hanno messo intelligenza, competenze e passione. Convincere la gente che poteva funzionare non è stato facile. “Le persone sono abituate a pensare che nessuno ti dà niente per niente e che nel commercio vale il detto mors tua vita mea. Abbiamo dovuto dimostrare loro che un’economia è davvero forte e umana solo quando non emargina nessuno e permette a tutti di scambiare valore reale.”

L’idea di Gabriele e dei suoi soci realizza questa visione attraverso un sistema di mercato basato su una moneta complementare all’euro, che permette scambi commerciali anche in assenza di liquidità. La moneta, il sardex, non ha forma fisica: nessuno la stampa, nessuno la scambia, quindi tecnicamente non esiste. Il commercio senza il denaro sembra fantascienza, ma a dimostrare che funziona ci sono centinaia di aziende che negli ultimi anni, specialmente da quando è iniziata la crisi, grazie a questo sistema hanno potuto continuare a scambiarsi il valore del lavoro anche senza avere i soldi per effettuare le contrattazioni.

Se gli chiedo se funziona come un baratto, Gabriele scuote la testa con aria divertita. La mia ignoranza non lo spazientisce. “Se tu fossi un macellaio e ti servisse un’auto, non convinceresti mai un concessionario ad accettare il suo valore in bistecche. Ma se vendendo l’auto a te il concessionario sviluppasse un credito che può essere saldato da altre centinaia di aziende più interessanti per lui, allora l’auto può essere tua. E la carne che a lui non interessa, tu la venderai a un ristorante o a una mensa aziendale aderente al circuito”. Mi sembra chiaro, ma mi metto nei panni del macellaio: che succede se non riesce a ripagare il circuito con la carne? Gabriele mi sorprende ancora una volta con una risposta che di economico sembra non avere niente. “Alla fine dell’anno quello che manca al saldo lo paghi in euro, ma lo paghi al prezzo iniziale di acquisto. Così il circuito ti ha permesso di accedere a un bene che altrimenti non avresti acquistato, ti ha consentito di ripagare una parte del debito con il tuo lavoro ordinario e ti ha dilazionato il resto del pagamento senza interessi”.

Sembra così semplice che viene da domandarsi perché nessuno ci abbia pensato prima, ma Gabriele una sua teoria ce l’ha. È convinto che per realizzare idee simili ci voglia una visione umana ed economica opposta a quella della teoria capitalistica classica, che punta alla competizione selvaggia tra imprese e non alla solidarietà sociale. “Non chiedendo interessi, Sardex rifiuta di fare denaro col denaro, che poi è il modo in cui si arricchiscono i banchieri. Una volta pagato il servizio di affiliazione al circuito, gli scambi tra beni e servizi avvengono gratuitamente e in regime di pareggio. Ma nel capitalismo tradizionale non esiste il pareggio. Chi pareggia ha già perso e perdere in quel mondo significa fallire, chiudere, morire.” – mi dice serio – “Noi non possiamo accettare un mondo dove il sistema economico per stare in piedi debba generare i fallimenti, le chiusure e le morti che la cronaca ci insegna non essere più solo commerciali. Nella nostra visione il pareggio è l’unica prospettiva sostenibile, perché permette una vittoria senza sconfitti. E conviene a tutti.”