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Quelli che vorranno la palla al centro. Riflessioni a caldo sull’Abruzzo

Ogni volta che una Regione va al voto per chi vince è il sintomo di un vento nazionale e per chi perde è solo una partita locale. A destra si sono sgolati per dire che il voto in Sardegna non sarebbe stato fioretto di nulla e stanotte ci hanno spiegato che l’Abruzzo sancisce la fine del “campo largo che non ha futuro”. 

Provando a stare nel mezzo i segnali che arrivano dalla riconferma di Marsilio, prima delle analisi che oggi si moltiplicheranno, sono di un presidente riconfermato per la prima volta in 30 anni di alternanza, evidentemente ben giudicato dai suoi cittadini. Qui si scrive dei pochi pochissimi cittadini che sono andati a votare, crollati nei numeri rispetto alle elezioni precedenti. Il callo all’astensionismo però ormai è fatto e il tema è scomparso. 

Altri segnali, la Lega di Matteo Salvini ingoiata dagli alleati è ormai una china. Perfino Forza Italia riesce a lucrare sul declino del ministro dei Trasporti. Tra i leghisti ci si chiede se valga davvero la pena lasciare cuocere il leader così a lungo, buttando via anche le prossime elezioni europee che potrebbero segnarne la fine. 

Dall’altra parte il cosiddetto campo largo perde lo smalto che aveva fino a poche ore fa. Per il M5s i numeri che escono dalle urne abruzzesi smussano non poco le fregole da federatore di Giuseppe Conte. Ora all’ex presidente del Consiglio tocca decidere se sta dentro o fuori a un progetto che richiede lealtà. Per la segretaria dei dem Elly Schlein ricominceranno le martellate della minoranza nel suo partito che preferirebbero una coalizione che guardi solo al centro (perdente, dicono ancora i numeri di ieri). Non è una palla al centro ma qualcuno ci proverà. 

Buon lunedì. 

Nella foto: da sinistra Marco Marsilio e Luciano D’Amico (frame da video)

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Europa delle donne?

A proposito di Europa, delle prossime elezioni europee che si svolgeranno dal 6 al 9 giugno e dei partiti di estrema destra che stanno guadagnando posizioni e che potrebbero cambiare la geografie dell’Europarlamento e della Commissione: non sarà un buon tempo per le donne. Il gruppo di estrema destra Identità e Democrazia (Id) e il gruppo di destra dei conservatori e dei riformatori europei (Cer) sono destinati a guadagnare seggi. A livello nazionale i partiti affiliati a questi gruppi si distinguono per il continuo tentativo di annacquare o di eliminare diritti chiave come l’accesso all’aborto o le leggi contro la discriminazione di genere. 

I populisti di estrema destra hanno preso di mira in Andalusia “il ruolo della donna come vittima e dell’uomo come aggressore” e quelli che molti considerano diritti fondamentali negli ultimi anni. Il partito polacco di destra Law and Justice ha messo fuori legge l’aborto nella maggior parte dei casi nel 2020, una misura che il nuovo primo ministro Donald Tusk sta lavorando per rovesciare. Nel frattempo, il governo di Viktor Orbán in Ungheria ha reso obbligatorio per le donne in gravidanza ascoltare il battito cardiaco del feto prima di poter accedere alla procedura.

In Italia, il governo della coalizione di destra è stato preso di mira per non aver protetto le donne tagliando i finanziamenti ai programmi per combattere la violenza di genere. Il partito di estrema destra spagnola Vox, che è presente in diversi governi di coalizione a livello locale e regionale, si è spostato a rottamare i dipartimenti incaricati di promuovere l’uguaglianza e in alcuni casi ha inoltre soppresso ogni menzione della violenza di genere o dei diritti LGBTQ+.

“La destra e l’estrema destra potrebbero cercare di replicare a livello dell’Ue le misure restrittive che sostengono a livello nazionale” ha affermato Jéromine Andolfatto, responsabile della politica e della campagna presso la Lobby europea delle donne. Non ci sono dati completi sull’argomento, ma un sondaggio su 145 parlamentari di 45 Paesi europei nel 2018 ha rilevato che oltre l’85% delle donne intervistate aveva subito violenza psicologica e quasi la metà aveva ricevuto minacce di stupro o percosse fisiche. Circa una deputata su quattro che era stata vittima di molestie sessuali ha riferito l’incidente alle forze dell’ordine.

Buon 8 marzo. 

Nella foto: sciopero femminista in Spagna, 8 marzo 2019 (Wikipedia)

Per approfondire leggi Left di marzo All’opposizione per Costituzione

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Per questo di Gaza va scritto tutti i giorni, tutto il giorno

“Le morti di bambini che temevamo sono arrivate, mentre la malnutrizione devasta la Striscia di Gaza. Secondo le notizie, almeno dieci bambini sono morti per disidratazione e malnutrizione nell’ospedale di Kamal Adwan, nel nord della Striscia di Gaza, negli ultimi giorni. È probabile che altri bambini stiano lottando per la vita da qualche parte in uno dei pochi ospedali rimasti a Gaza e che un numero ancora maggiore di bambini nel nord non possa ricevere alcuna cura. Queste morti tragiche e orribili sono causate dall’uomo, prevedibili e del tutto evitabili”. Lo scrive l’Unicef in un comunicato di ieri a tarda sera. 

La disparità di condizioni tra nord e sud è la prova evidente che le restrizioni agli aiuti nel nord stanno costando vite umane. Gli screening sulla malnutrizione effettuati dall’Unicef e dal Wfp nel nord del Paese a gennaio hanno rilevato che quasi il 16% – ovvero 1 bambino su 6 sotto i 2 anni – è gravemente malnutrito. Esami simili sono stati condotti nel sud, a Rafah, dove gli aiuti sono stati più disponibili, e hanno rilevato che il 5% dei bambini sotto i 2 anni è gravemente malnutrito.

La diffusa mancanza di cibo nutriente, di acqua sicura e di servizi medici, conseguenza diretta degli ostacoli all’accesso e dei molteplici pericoli che le operazioni umanitarie delle Nazioni Unite devono affrontare, si ripercuote sui bambini e sulle madri, ostacolando la loro capacità di allattare i propri figli, soprattutto nel nord della Striscia di Gaza. Le persone sono affamate, esauste e traumatizzate. Molti si aggrappano alla vita. L’arma più feroce usata su Gaza è il senso di impotenza iniettato tra la gente che può solo osservare attonita. Per questo va scritto tutti i giorni, tutto il giorno. 

Buon lunedì. 

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«Erano una minaccia»: le parole della vergogna del governo di Israele

«Erano una minaccia». Chissà per quanto ancora la comunità internazionale potrà sopportare questa risposta falsa, stupida e disumana da parte dello Stato di Israele ogni volta che il sangue cola sulle coscienze dell’Occidente. 

Sono almeno 112 i morti e centinaia i feriti tra le persone che nella notte si sono accalcate spinte dalla disperazione della fame intorno a un camion nella speranza di ricevere aiuti alimentari. Testimoni e il corrispondente di Al Jazeera sul posto hanno riportato che le persone sono state attaccate con proiettili di artiglieria, missili di droni e colpi di arma da fuoco.

L’esercito israeliano si difende dicendo che i morti sarebbero dovuti «alla calca». Nella stessa notte alcuni raid aerei hanno colpito il campo di Nuseirat e altri centri urbani di Gaza. Vista la difficoltà nel far accedere gli aiuti umanitari nella Striscia, Stati Uniti e Canada stanno pensando di eseguire una serie di lanci aerei.

Sparare sui civili che si accalcano per strappare un pezzo di pane è l’ultimo stadio di un diritto a difendersi che ormai indigna anche i difensori più strenui. Sono almeno 13.230 i bambini rimasti uccisi dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, lo scorso ottobre, tra cui sette morti negli ultimi giorni per fame. Le vittime sono più di 30mila. Tra questi ci sono 8.860 donne, 340 operatori sanitari, 132 giornalisti e 47 operatori di protezione civile. I registri ufficiali dei morti non comprendono le circa 7.000 persone che risultano disperse, ha precisato l’ufficio media citato da Al Jazeera. Chissà se erano tutti «una minaccia». 

Buon venerdì.

 

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Nordio e tortura: il risultato politico è già qui

30 marzo 2023. Rispondendo alla Camera il ministro Carlo Nordio assicurava che «il reato di tortura è un reato odioso e abbiamo tutte le intenzioni di mantenerlo». La curiosità era lecita poiché alla Camera c’è una proposta di legge di Fratelli d’Italia per stravolgere il reato di tortura e incidentalmente FdI è il primo partito jn Parlamento nonché il partito guidato dalla presidente del Consiglio. 

Aspettarsi uno sgambetto sul reato di tortura è corroborato anche dalle campagne elettorali di Salvini e Meloni, quando ancora si assomigliavano moltissimo prima di separarsi in recitazioni diverse. Salvini e Meloni l’abrogazione del reato di tortura l’hanno promesso a più riprese alle frange più estreme delle forze dell’ordine. Hanno incassato quei voti e devono restituire un segnale di gratitudine. 

Ieri in Aula è tornato il ministro Nordio e questa volta ci fa sapere che «il governo è al lavoro per modificare il reato di tortura adeguandolo ai requisiti previsti dalla convenzione di New York». Dice Nordio che si tratta di «un problema solo tecnico», niente di che. Come se non sapessimo che mettere mano a una legge faticosamente ottenuta nel 2017 sia già un messaggio, uno spiraglio di speranza ai torturatori. 

Come fa notare il presidente di Antigone Patrizio Gonnella «modificare l’articolo 613-bis che proibisce la tortura per adeguarla alle norme Onu è una truffa delle etichette» e significa aprire una sequela di richieste di sospensione di processi come quello per i pestaggi e le mattanze di Santa Maria Capua Vetere o di Reggio Emilia. Il risultato politico già c’è. 

Buon giovedì.      

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È Cassazione: la politica con la Libia è feccia

Dice la Corte di Cassazione che consegnare i migranti alle motovedette della cosiddetta Guardia costiera libica è un reato di “abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone”. La Corte ribadisce quello che chiunque mastichi un po’ di diritto internazionale (no, non è questione di buonismo) sa da tempo: la Libia non è un porto sicuro. 

La sentenza si riferisce alla condanna ora definitiva del comandante del rimorchiatore Asso 28 che a luglio del 2018 accalappiò 101 migranti su un gommone nei pressi di una piattaforma petrolifera e li consegnò ai criminali della cosiddetta Guardia costiera libica.

Quella sentenza sancisce de relato anche fondamentali giudizi politici: gli accordi con la Libia sono criminali, illegali, contro il diritto del nostro Paese. Accordi criminali firmati dall’ex ministro dem Marco Minniti il 2 febbraio 2017 sotto il governo Gentiloni e poi attraversati da compiacenti governi di tutte le parti politiche (primo governo Conte e poi governo Meloni) con particolare solluchero dei leader di destra. 

Quella sentenza dice che devono essere risarcite le Ong multate in questi anni per avere disobbedito agli ordini dei criminali libici. Quella sentenza dice che i governi ne devono rispondere. Quella sentenza soprattutto dice che la politica sul Mediterraneo dal 2017 non è solo mortifera: è spazzatura giuridica. Inutile dire che è spazzatura l’impianto su cui poggia anche il cosiddetto piano Mattei. 

È una notizia che dovrebbe stare sulle prime pagine dei giornali. Invece no. 

Buon lunedì.

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Ma qual è il piano di Israele?

Dunque secondo il Washington Post gli Usa e alcuni Paesi arabi starebbero lavorando a un piano di pace tra israeliani e palestinesi che includerebbe una dettagliata cronologia per la nascita di uno Stato palestinese. Il primo punto sarebbe ovviamente un cessate il fuoco (chissà se dai piani alti della Tv pubblica stiano vergando un comunicato spaventato) tra Israele e Hamas di sei settimane durante le quali gli Stati Uniti annuncerebbero il progetto e la formazione di un governo palestinese ad interim.

Sono le stesse richieste che popolano gli scritti di moltissimi in queste settimane, sono le stesse richieste che oggi in Italia valgono l’accusa di antisemitismo. Se la sconfitta di Hamas per qualcuno deve passare dalla cancellazione di Gaza e dallo sterminio di un popolo significa che i feroci attacchi di Hamas sono semplicemente un alibi per fare altro. Se la comunità internazionale si dimostrasse talmente dissennata da appoggiare un piano del genere si metterebbe fuori dalla storia. E infatti gli Usa stanno lavorando a tutt’altro progetto.

All’uscita dei rumors sul piano di pace americano hanno risposto due ministri israeliani. Il ministro della Sicurezza nazionale e leader di Potere ebraico, Itamar Ben Gvir dice che “l’intenzione degli Usa insieme ai Paesi arabi di stabilire un Stato terrorista a fianco di Israele è deludente e parte della concezione sbagliata che dall’altra parte ci sia un partner per la pace”. Bezalel Smotrich: ministro delle finanze e leader di Sionismo religioso chiede che “sia presa un decisione chiara con l’opposizione al Piano“.

Buon venerdì. 

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Femminicidi troppo poco interessanti

Questa volta il femminicidio è doppio anche se la radice è la sempre la stessa, il non poter più possedere la sua ex fidanzata. Christian Sodano, originario di Minturno e in servizio alla Guardia di finanza di Ostia, è arrivato a casa della sua ex fidanzata a Cisterna di Latina, quartiere San Valentino. Hanno cominciato a litigare. A quel punto sarebbero intervenute la madre e la sorella di lei, contro cui il finanziere ha esploso alcuni colpi di pistola. Lei è fuggita in bagno dove si è rifugiata fino all’arrivo delle forze dell’ordine che l’hanno trovata in stato di choc. Lui ha ucciso Nicoletta Zomparelli, 46 anni, Reneè Amato, 19 anni, rispettivamente madre e sorella di Desyrée. L’allarme è stato lanciato da alcuni vicini allarmati dagli spari. 

A proposito di armi. Nel 2018 – sempre a Cisterna di Latina – Luigi Capasso, un appuntato dei carabinieri in servizio a Velletri, sparò alla moglie da cui si stava separando, ferendola gravemente, e uccise le sue due figlie prima di suicidarsi. A giugno dell’anno scorso il poliziotto Massimiliano Carpineti ha ucciso la sua collega Pier Paola Romano nell’androne del suo palazzo, prima di uccidersi. Un altro maresciallo della Guardia di finanza, Marcello de Prata, ha ucciso con la pistola d’ordinanza la moglie e la cognata. 

Su 15 donne uccise nel 2024 in sette casi si tratta di delitti con le peculiarità del femminicidio. Finora nessuna delle sette donne ha meritato di diventare un caso nazionale in grado di riaprire il dibattito effimero che è già tornato a essere tema per specialisti e appassionati del genere. Così vuole la gerarchia delle notizie.

Buon mercoledì. 

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La vera domanda da porsi sui Cpr

Qualche giorno fa è apparso in rete un video girato all’interno della struttura di Pian del Lago – Caltanissetta che testimoniava le condizioni in cui sono costretti a vivere numerosi cittadini stranieri in attesa di essere rimpatriati. In contemporanea alle rivolte nel Centro per il rimpatrio (Cpr) di Milo a Trapani anche a Pian del Lago le proteste si sono fatte largo tra i detenuti che lamentano percosse, torture, persone che dormono su cartoni srotolati su letti di cemento.

L’avvocato Arturo Raffaele Covella per Melting Pot ha raccolto la testimonianza di un ospite: «Sto dormendo da 13 giorni fuori, senza materassi, senza niente (…) Dormiamo all’aperto perché il posto è bruciato tutto (….) Sono tredici giorni che dormo fuori senza materasso e con una coperta che mi sono portato io». «La situazione è bruttissima … è brutta…. Sto male, ho anche chiesto di andare all’ospedale per fare visita ma non c’è niente (….) la mia salute è peggiorata (….) dormo fuori, troppo, troppo, troppo freddo». «Il bagno non c’è (….) è tutto rovinato (….) non posso spiegarti avvocato (…) è bruttissimo».  

Nella mattinata di domenica 4 febbraio, tra le 5 e le 6 del mattino, dentro al Cpr di Ponte Galeria (Roma) un giovane 22enne di nome Ousmane Sylla è stato ritrovato esanime: si è impiccato con un lenzuolo annodato a una grata. Come scriveva ieri Adriano Sofri su Il Foglio non bisognerebbe interrogarsi «tanto sulle ragioni che hanno spinto Ousmane Sylla a uccidersi; dovrebbero chiedersi soprattutto come mai tante altre e altri come lui non si uccidano». 

Buon venerdì. 

Nella foto: frame del video girato nella struttura di Pian Del Lago, Caltanissetta

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La casta che si permette di non sapere

Antonio Tajani ha scoperto solo ieri che nell’Ungheria di Orbàn c’è un’italiana che viene trascinata in catene durante le udienze, sta in un carcere pieno di topi e insetti ed è incarcerata da un anno per un’accusa di cui non ha potuto mai leggere gli atti. Beato lui che può permettersi di fare il ministro disinteressandosi di ciò che accade fuori, beato lui che può permettersi di stare in un governo che balla con il leader ungherese fottendosene di ciò che accade agli italiani in quella terra. «Noi non abbiamo avuto informazioni da parte né della detenuta né dall’ambasciata di trattamenti particolari, non avevamo notizie. Dell’accompagnamento delle manette ai piedi e alle mani l’abbiamo visto ieri, io non lo sapevo, io non ero mai stato informato di questo» dichiara Tajani. E Tajani lo dice come se fosse una responsabilità nostra, dei cittadini che non gli hanno mandato nemmeno un messaggio o un video. 

Il ministro Lollobrigida invece non vuole commentare perché dice di non avere visto le immagini. «Credo che l’ambasciata italiana abbia partecipato ad almeno quattro udienze in cui mia figlia è stata portata in queste condizioni davanti al giudice. Noi fino al 12 ottobre, quando mia figlia ha scritto una lettera, non avevamo evidenza del trattamento che stava subendo nostra figlia. Gli unici che lo sapevano e non hanno detto nulla sono le persone dell’Ambasciata italiana in Ungheria», dice il padre di Ilaria Salis.

Quindi i funzionari italiani non avvisano i ministri e loro intanto si concedono il lusso del disinteresse. La casta non è questione di soldi, la casta è l’impunità con cui ci si può permettere di disinteressarsi. 

Buon mercoledì. 

In foto un frame video dell’apertura del processo a Ilaria Salis in Ungheria

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