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Paura di una copertina: la polizia israeliana contro i libri “sbagliati”

Ci sono gesti che parlano più delle parole. La polizia israeliana ha fatto irruzione per la seconda volta in un mese nella Educational Bookshop di Gerusalemme Est. Nessun mandato, nessuna accusa chiara, solo il bisogno di silenziare. Hanno sequestrato libri con la parola “Palestina” in copertina, testi di Noam Chomsky e Ilan Pappé, perfino volumi su Banksy. Hanno arrestato il co-proprietario, lo hanno rilasciato senza accuse, lasciando nell’aria un avvertimento chiaro.

Non è un caso isolato. A febbraio, il figlio e il fratello del proprietario erano stati fermati, trattenuti per giorni e poi costretti ai domiciliari. Il motivo? La presenza di un libro da colorare per bambini, etichettato come “incitamento al terrorismo”. Ora, a marzo, la scena si ripete. Gli agenti hanno usato Google Translate per cercare parole proibite, hanno sfogliato copertine con sospetto, hanno selezionato i volumi da sequestrare in base ai colori e alle immagini. Un metodo sommario, ridicolo, che racconta molto più di un semplice raid.

Una libreria non è un deposito di carta, è un archivio di memoria. Chi teme i libri non combatte il terrorismo, ma la conoscenza. Strappare pagine da uno scaffale significa tentare di strappare il diritto di esistere. Se una libreria diventa un bersaglio, significa che il problema non sono solo le idee che contiene, ma il popolo a cui quelle idee appartengono.

Colpire una libreria è il simbolo di un potere che teme le idee più delle armi. Un potere che si barrica dietro alla retorica della sicurezza per censurare la memoria. Perché la cultura, nel suo essere disarmata, è la minaccia più grande per chi vuole riscrivere la storia a colpi di repressione.

Buon mercoledì. 

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Urso frena (ma non troppo): il ddl spazio è un regalo per Musk

C’era una volta il sovranismo che difendeva i confini, la patria e il controllo nazionale. Poi, quando si tratta di spazio, le porte si spalancano e l’accoglienza diventa entusiastica, purché il beneficiario abbia il pedigree giusto: Elon Musk, il signore dei satelliti, il magnate che ha fatto della sua impronta planetaria un passe-partout anche per i governi più nazionalisti. Il disegno di legge sulla space economy, approvato alla Camera e in attesa del Senato, è la dimostrazione plastica di come l’ideologia ceda il passo agli interessi, specie quando sono intrecciati a quelli dell’uomo più ricco del mondo.

Il ministro Urso ha provato a frenare l’entusiasmo filo-Musk, ma il risultato è un compromesso che lascia più di una porta aperta. Il silenzio in aula, l’assenza di un confronto vero e la fretta con cui si è arrivati al voto parlano chiaro: l’Italia si appresta a diventare un hub strategico per Starlink senza che nessuno ponga reali condizioni. Il sovranismo, qui, si traduce in accondiscendenza.

Intanto, Fratelli d’Italia cerca di mantenere il punto, ostentando una difesa della sovranità tecnologica che suona più come una foglia di fico. Ma il malumore interno esiste, specie per quel dialogo con Eutelsat che fa storcere il naso ai fedelissimi di Musk. Andrea Stroppa, il suo emissario in Italia, ha già dettato la linea sui social: chi non si allinea, finisce nel mirino.

E mentre il governo parla di strategia spaziale nazionale, la realtà è un’altra: nessun vincolo chiaro, nessuna regia europea e un pezzo di industria italiana pronto a essere svenduto. Lo spazio, in fondo, è l’ultima frontiera del mercato. E anche del sovranismo a geometria variabile.

Buon venerdì. 

Foto WP

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Cortina, la pista di bob e il solito spreco di Stato

C’è una pista di bob che nessuno vuole. Nemmeno il Comitato olimpico internazionale, che a Cortina ha mandato una lettera per dire chiaro e tondo che l’impianto rischia di essere una cattedrale nel deserto, con costi esorbitanti e un futuro incerto. Eppure, il governo insiste. Perché?

L’impianto costa 81 milioni di euro. Servirebbe per le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, ma la realtà è che dopo i giochi resterà un monumento allo spreco. Nessun altro evento internazionale è previsto, la manutenzione sarà insostenibile, gli atleti italiani che praticano bob, skeleton e slittino si contano sulle dita di una mano. Ma chi se ne frega.

A Cortina si doveva recuperare la storica pista “Eugenio Monti”, chiusa dal 2008. Un’idea nostalgica che nasconde la solita gestione opaca delle grandi opere: progetti inutili, costi che lievitano, nessuna visione a lungo termine. Il Cio, di fronte a questa follia, ha persino suggerito di spostare le gare in Austria.

Ma l’Italia non molla. Perché i grandi eventi, qui, sono un pretesto per gettare – quando va bene – colate di cemento e – quando va male – anche per soddisfare appetiti. Non per lasciare eredità sportive, ma debiti. Il vero sport nazionale.

Buon venerdì. 

 

In foto: Il palazzo olimpico del ghiaccio di Cortina, di Wusel007 – Opera propria

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L’era dell’eversione internazionale

Donald Trump, dalla Casa Bianca, ha deciso che lui e il suo governo sono al di sopra della legge. Le leggi nazionali e, ancor di più, il diritto internazionale sono insignificanti se si oppongono a chi fa «il bene del Paese» ed è solo lui a decidere cosa sia il bene.

Trump e Putin, novelli campioni dell’autocrazia internazionale, si sono riuniti nella capitale mondiale delle plutocrazie per decidere quale sia la pace giusta per l’Ucraina: riabilitazione dell’imperialismo di Mosca, taglieggiamento dell’Ucraina, disarticolazione dell’Unione europea.

In Italia il governo vuole a gran voce la separazione delle carriere per la giustizia, spiegandoci che magistrati e giudici vanno troppo spesso troppo d’accordo. Sono troppo politicizzati, dicono. Ieri un giudice ha smentito le volontà di un magistrato e la separazione delle carriere è finita nel cesso. Giudice politicizzato pure lui.

Sul banco degli imputati c’è un sottosegretario condannato in primo grado per aver commesso un reato nello svolgimento delle sue funzioni. La sua difesa in tribunale ha spiegato che Delmastro non sapeva, per questo non è stato all’altezza. Meloni se ne frega: per lei il suo sottosegretario è innocente e questo ci dovrebbe bastare.

Nel frattempo Gaza è diventata uno scempio politico, oltre che umanitario. L’ultima proposta è di trasformarla in un parco dei divertimenti senza l’ombra di un palestinese. Intanto la verità è scomparsa: ognuno ha la sua, e chi ha più soldi possiede la più potente.

È il tempo dell’eversione internazionale.

Buon venerdì.

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Decreto Piantedosi: sette giri del mondo per sabotare i soccorsi

Quelli di Sos Méditerranée si sono messi a fare i conti. La loro nave Ocean Viking, che nel Mediterraneo salva le vite che qualcuno vorrebbe annegate senza troppo rumore, ha percorso 63.000 chilometri inutili. Chilometri figli del cosiddetto decreto Piantedosi, vergato con il solo scopo di sabotare il salvataggio in mare. In tutto, le navi delle Ong che operano nel Mediterraneo hanno dovuto percorrere 271.000 chilometri inutili. Sette volte il giro del mondo.

La direttrice generale Valeria Taurino spiega che «prima del Decreto Piantedosi, una nave come la nostra Ocean Viking era in grado di salvare in media 278 persone a missione» mentre nel 2023 «questo numero è sceso a 143 e, nel 2024, a 114» nonostante l’assetto operativo della nave non sia cambiato. In compenso si è speso un milione e trecentomila euro in più.

Poi ci sono i fermi amministrativi. «26 fermi amministrativi per le navi, per un totale di 640 giorni di stop in mare comminati, di cui 535 effettivamente scontati». Praticamente un anno e mezzo lontani dal mare, impigliati tra beghe amministrative quasi sempre smontate dai tribunali. In realtà, come spiega Taurino, «prolungare la permanenza di naufraghi a bordo di una nave è vietato espressamente dal diritto marittimo internazionale».

La Ocean Viking è stata multata per una deviazione di 15 miglia, 24,4 chilometri, percorsi per un allarme arrivato alla radio di bordo. Nel frattempo, in due anni di decreto Piantedosi, sono morte 4.225 persone. L’empietà può essere a forma di carta bollata

Buon giovedì.

In foto Ocean Viking di Daniel Leite Lacerda – http://volfegan.deviantart.com/art/Anchor-Handling-Ocean-Viking-216153190, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=26895208

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Le bugie ai balneari costano

Va sempre a finire così quando si cercano voti in cambio di promesse irrealizzabili. La destra “anti Bolkestein” che prometteva ai balneari di poter agire al di fuori dalle regole si schianta contro la realtà. 

L’Unione europea ha perso la pazienza e dopo la melina del ministro Fitto ha deciso che è arrivata l’ora che l’Italia si allinei all’Europa ma che soprattutto i gestori di lidi non sono una casta a disposizione del partito di turno. 

Così stamattina sulle spiagge italiane va in scena lo “sciopero degli ombrelloni” che fa molto sorridere se si tiene conto che quelli ombrelloni stizziti e chiusi sono illegali da mesi, quando le concessioni sono scadute. Gli abusivi in sciopero sono il risultato politico dell’inettitudine. 

Giorgia Meloni aveva chiesto al ministro Fitto un risultato anche piccolo, quel poco che bastava per fingere di non avere perso, qualcosa per mascherare il dietrofront. Missione fallita. 

Il governo Meloni sarà il primo governo che bandirà le gare come stabilito dalle regole. Il ministro Salvini s’arrabatta per promettere prelazioni, risarcimenti e “buonsenso”. Tutto inutile. Il suo caro ex amico del Papeete che il leghista aveva portato in Europa nella scorsa legislatura stamattina chiude le sdraio e i ben informati dicono che non risponda al telefono da mesi al suo ex segretario. 

Il negoziato con l’Ue si è arenato per un motivo semplice: le regole. E le regole si rispettano nonostante le bugie dette in campagna elettorale. Nella maggioranza cannoneggiano contro “i burocrati dell’Ue”. E anche questa non è una mossa furba per riattivare qualsiasi trattativa. 

Buon venerdì. 

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Il Cittadino sullo spettacolo “Odio gli indifferenti”

In quali ambiti è inapplicata, se non addirittura tradita, la Costituzione italiana? Che Italia sarebbe quella in cui la politica, tutta, si ripromettesse di applicare la Costituzione? E come sarebbe un Paese fondato sulla rendita se domattina dovesse svegliarsi fondato davvero sul lavoro?

Parte da Lodi il tour della nuova “giullarata politica” firmata da Giulio Cavalli. Questa sera (ore 21) l’attore, giornalista e scrittore lodigiano sarà in scena al teatrino San Rocco in via Padre Granata 14 con “Odio gli indifferenti – Che Paese saremmo se si rispettasse la Costituzione”, anteprima dello spettacolo che dal 12 al 21 gennaio sarà al teatro della Cooperativa di Milano. Cavalli dividerà il palco con Luigi De Magistris, una lunga carriera come pubblico ministero prima dell’entrata in politica, culminata nell’incarico di sindaco di Napoli. L’anteprima lodigiana è organizzata in collaborazione con il BarZaghi (per info e prenotazione biglietti, 339 6535017), il locale nell’omonimo piazzale sempre più protagonista della vita culturale cittadina.

«”Odio gli indifferenti” è una giullarata in cui si immagina che nel 2048 esca un decreto che obblighi a rispettare la Costituzione in tutte le sue parti. Si tratta di uno spettacolo fondamentalmente comico, sullo stile di Dario Fo – racconta Cavalli che da pochi giorni ha pubblicato anche il suo nuovo romanzo, “I mangiafemmine” (Fandango libri) -. Mi serviva un pubblico ministero, da qui l’idea di invitare Luigi De Magistris, in scena da ex magistrato senza alcuna inclinazione politica. Abbiamo organizzato un “numero zero” a Foggia, una tappa andata decisamente meglio del previsto, mentre a gennaio inizierà il tour al teatro della Cooperativa di Milano. Il BarZaghi ha deciso di entrare come coproduttore dello spettacolo, chiedendoci di realizzare una prova aperta a Lodi». Cosa succederebbe in Italia se si rispettasse davvero la Costituzione? «Alcune professioni, per esempio, non esisterebbero: solo per dirne una, la rendita non è considerata una professione. Durante lo spettacolo affrontiamo passaggi storici, attraverso video della fase costituente, e gli articoli fondamentali della carta. Si parla di ambiente, di preservazione della cultura e della bellezza. Essendo una giullarata, il canovaccio ci permette di improvvisare molto. In tour, a Milano, sul palco saliranno anche alcuni ospiti, ognuno dei quali porterà un articolo sulla Costituzione: tra loro Cecilia Strada che affronterà il tema dell’immigrazione»

Dillo alla mamma, dillo all’avvocato

Fa molto ridere e fa molto preoccupare la querela che Giorgia Meloni ha deciso di presentare nei confronti di Brian Molko, cantante del gruppo britannico Placebo che l’11 luglio scorso dal palco dello Stupinigi Sonic Park a Nichelino (Torino) ha definito “fascista”, “razzista” e un altro paio di improperi la presidente del Consiglio.

Fa sorridere perché Meloni si racconta come maledettamente impegnata quando c’è da fare visita ai migranti morti (o ammazzati?) nel naufragio di Cutro e poi trova il tempo di occuparsi di un concerto, parlare con gli avvocati e firmare una querela. L’idea che non vi fossero altre priorità in un Paese che perde miliardi del Pnrr, che affoga nel cambiamento climatico, che ha la sanità pubblica in demolizione, che da due giorni a mezzo milioni di poveri in più smaschera l’ipocrisia della propaganda. Fa sorridere anche che “l’underdog” Meloni (come ama definirsi) cerchi la rivincita con una band internazionale da 13 milioni di dischi. Finisce sempre così, sognavano tutti di diventare delle rockstar.

Fa molto preoccupare invece che una presidente del Consiglio non sappia distinguere la politica dal mondo che le si muove intorno, credendo di essere “capa” a tutti gli effetti in tutti gli ambiti. Chiunque abbia un briciolo di rilevanza pubblica (perfino coloro che scrivono sul giornale della scuola) sanno benissimo che potrebbero pescare diffamazioni a piene mani dappertutto. L’aspra critica politica al limite della legge tra l’altro è un tratto caratteristico di gran parte dei fan di Giorgia Meloni e della brigata di destra che sta al governo. Ma fa molto preoccupare anche il fatto che Giorgia Meloni insista nell’entrare a piedi uniti nello spettacolo e nella cultura. Come scrive lo scrittore Francesco Pecoraro “Meloni sa che il primo dato strutturale del contemporaneo è la cultura. Se le riesce di sostituire i paradigmi correnti, tutto il resto, cioè la società fascista, verrà da sé. I suoi servi sono già pronti. Altri ne stanno già accorrendo”.

Buon giovedì.

In foto Brian Molko e i Placebo, foto di Alessandro Caniglia, fonte Wikipedia

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La strage di Bologna e il treno palestinese

Quarantatré anni fa nella stazione di Bologna dei fascisti provocavano il più grave attentato nella storia d’Italia dopo la guerra. Come esecutori materiali sono stati individuati dalla magistratura alcuni militanti di estrema destra, appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari, tra cui inizialmente Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Nel 2020 l’inchiesta della Procura generale di Bologna ha concluso che Paolo Bellini (ex Avanguardia nazionale), esecutore insieme agli ex Nar già condannati in precedenza, avrebbe agito in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, individuati quali mandanti, finanziatori o organizzatori.

Quarantatré anni dopo a Lonate Pozzolo, Comune lombardo su cui sorge l’aeroporto di Malpensa, il leghista Armando Mantovani durante una seduta del Consiglio comunale ci dice che è tutto falso. La strage di Bologna, secondo Mantovani, sarebbe stata provocata da un “vagone palestinese fatto esplodere apposta a Bologna”. Quando i suoi colleghi consiglieri gli fanno notare che ci sono le sentenze lui replica: “Se leggete solo una certa propaganda (le sentenze di tribunale), infatti però il treno era quello dei palestinesi”. E poi insiste: “Macché storia ragazzi, non sapete ancora perché hanno tirato giù Ustica e mi venite a parlare di Bologna”.

Armando Mantovani non è un mezzo matto eletto per caso. Mantovani è il segretario della Lega di Salvini a Lonate Pozzolo, quasi 12mila abitanti per 30 km quadrati. Qui siamo oltre al negazionismo del suo segretario e ministro Salvini che impartisce ridicole lezioni di clima: qui siamo al revisionismo storico per salvare i fascisti, i neofascisti, i quasi fascisti. Nel giorno della commemorazione un dirigente politico (eh, sì) decide di sputare sulle vittime per concimare il suo elettorato. La morale della storia non ha nemmeno bisogno di essere scritta.

Buon mercoledì.

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