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L’equo Ciro e l’equo compenso per i giornalisti

Ciro Pellegrino è un giornalista campano che oltre a raccontare i fatti attraverso il giornalismo ha deciso di raccontare il giornalismo possibilmente compiendo fatti. Ha contribuito alla sensibilizzazione sull’annoso tema dei compensi (quando ci sono) ai giornalisti per pochi euro al pezzo che fanno la fortuna di troppi quotidiani e oggi riporta un piccolo storico passo sull’equo compenso per i suoi colleghi:

Considero fratello chi con me è stato nel fango del lavoro matto e disperatissimo, nel gorgo delle mortificazioni economiche, nel vortice di rabbia che ti prende perché vuoi che la tua vita, un giorno, prenda una strada diversa, una strada giusta, sostenibile. Sono tutte cose tristi. Ma ogni tanto qualche soddisfazione ci esce.

Oggi, martedì 4 dicembre 2012, è stata approvata la legge sull’equo compenso per i giornalisti. Siamo in Italia, parliamo di una legge italiana sui diritti ai lavoratori, parliamo di giornalisti italiani: capisco gli scetticismi. Ma questa legge dice che sotto un certo livello economico gli editori non potranno più scendere. È è la prima volta che una norma sancisce ciò. L’equo compenso dovrebbe essere un concetto di civiltà, non solo una legge per gli iscritti ad un Ordine professionale. Mi piace pensare a questo come il primo passo. Non sono il solo ad averci creduto, ovviamente. Sono la minima parte di un movimento d’opinione costituito dai coordinamenti dei giornalisti precari italiani (quello della Campania, gli Errori di Stampa, i Re:fusi, i Free CCP romagnoli, i precari del Friuli, quelli del Molise e chi più ne ha, ne metta), dall’Ordine dei Giornalisti – e penso a Enzo Iacopino e Fabrizio Morviducci – da una parte della Fnsi, il sindacato dei giornalisti (l’altra parte sinceramente non ha remato contro, semplicemente se n’è fottuta) e anche da parlamentari italiani che hanno sposato quest’idea.

Non so se riesco a far comprendere la mia soddisfazione: a 35 anni non avrei mai pensato di contribuire, seppur modestamente, a scrivere una legge dello Stato. Eppure l’ho fatto, l’ho fatto diffondendo una idea di fondo, quella che il giornalista è come tutti gli altri lavoratori. Non più “sempre meglio che lavorare”, niente “casta”. Ma lavoratori, con tanti doveri e responsabilità che tutti – lettori e colleghi – non cessano di ricordare ogni santo giorno. Lavoratori con qualche diritto fondamentale che non può, non deve essere esclusivamente legato all’esistenza di un contratto giornalistico, merce ormai rarissima e in mano a pochissimi fortunati. (Altro su: http://www.giornalisticamente.net/blog/#ixzz2E7wiUQw8).
Equo compenso

Scrivere una ferita e chiamarlo spettacolo

Ne ho parlato poco per ora (mi hanno anche sgridato come mi sgridano i miei collaboratori quando comincio le mie passeggiate travestito da estraneo per i sentieri del “fuori davvero” come lo canterebbe Vinicio) ma tra qualche giorno sarò in scena con il mio nuovo spettacolo Duomo d’onore. Ma non è la pubblicità che mi interessa, quella no. Per quella potete guardare qui, prenotare, decidere e fare.

Ogni volta che scrivo uno spettacolo butto una scaletta di corda nel burrone delle mie cose peggiori e ritorno in superficie solo qualche giorno più tardi portandomi dietro il mio odore di zolfo. Erano anni che non scrivevo di mafie al nord, da quel A 100 passi dal Duomo che mi ha circuito come una sciantosa infedele e pericolosa che una mattina mi ha fatto svegliare da solo nel letto. Sono passati anni e sembra un’era di rivoluzioni, evoluzioni e qualche involuzione che ci è scappata di mano: la politica, i libri, gli amici persi e poi ritrovati, le reti che abbiamo tirato su all’alba e hanno portato pescato bellissimo, vecchie scarpe e denti pronti a staccarti una mano. Non sarei più capace di tornare in scena con la profumata spensieratezza di quel debutto di qualche anno fa, non ho più nemmeno il pulsante per convincermi che questa storia di fili e paure sia una parentesi breve come un’avventura: torno in scena invecchiato nella botte di questi miei tempi e con un retrogusto barricato amaro di un’abitudine alla solitudine più che alla paura.

Non so promettervi come sarà questo nostro nuovo marchingegno da palcoscenico che smutandiamo insieme settimana prossima nel nostro solito Teatro della Cooperativa lì a Niguarda dove vengo riadottato tutti gli anni. Ma ci sono tutti gli ultimi anni: una valigia con tutti gli ultimi anni piegati, dentro.

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Una concezione della vita che lascia un posto singolare all’humour

Non credo affatto alla libertà dell’uomo nel senso filosofico della parola. Ciascuno agisce non soltanto sotto l’impulso di un imperativo esteriore, ma anche secondo una necessità interiore.

L’aforismo di Schopenhauer: “È certo che un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere che ciò che vuole” mi ha vivamente impressionato fin dalla giovinezza; nel turbine di avvenimenti e di prove imposte dalla durezza della vita, quelle parole sono sempre state per me un conforto e una sorgente inesauribile di tolleranza.

Aver coscienza di ciò contribuisce ad addolcire il senso di responsabilità che facilmente ci mortifica e ci evita di prendere troppo sul serio noi come gli altri; si è condotti cosi a una concezione della vita che lascia un posto singolare all’humour.

(Albert Einstein, Ulm 1879 – Princeton 1955, Fisico tedesco naturalizzato svizzero, poi statunitense. Libertà e determinismo in Come io vedo il mondo, 1934)

Scuola pubblica come modello educativo

Lui, per ora, si cala nel clima prenatalizio addobbando l’albero con i suoi bambini, «che vanno in scuole pubbliche, per una scelta consapevole mia e di mia moglie Alessandra: perché pur sapendo che questo vuol dire lunghi periodi con un maestro in meno, fare la colletta per la carta igienica o per ridipingere le aule, vogliamo per i nostri figli il modello educativo della scuola pubblica».

«Il mio progetto è fatto di parole serie, certo. Rigenerazione, as-sunzione di responsabilità, riscatto morale e etico attraverso le regole per migliorare il futuro di tutti, giovani e anziani, cittadini e imprese. Il mio sogno è un obiettivo: garantire la libertà ai cittadini sapendo che la società tiene solo se c’è la solidarietà, che non vuol dire essere generosi, non è una scelta opzionale. Sono tutte parole di sinistra, a pieno titolo: non metto in dubbio che possanoessere declinate anche solo in chiave tecnica, ma non è la mia idea. Altrimenti non andrei in giro macinando chilometri per la Lombardia a raccogliere pareri, proposte e speranze delle persone. E così rispondo anche a chi pensa che io sia troppo sicuro di vincere».

Umberto Ambrosoli intervistato da Repubblica oggi. Bene.

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Siamo tutti Sallusti?

Prima di rispondere sarebbe il caso di leggere Chiara Lalli e il suo articolo per Il Mucchio:

Perché qui la questione non è essere contrari all’aborto (opinione) ma avere raccontato il falso, avere descritto la ragazzina come vittima di crudeli carnefici e i genitori in combutta con il giudice per costringerla ad abortire, anzi per stapparle il figlio dai visceri. Sulla diffamazione si potrebbe discutere a lungo: vogliamo considerarlo reato senza vittima, siamo pronti a prenderci tutte le conseguenze? Siamo sicuri che non ci sia una vittima e come potremmo difenderci se qualcuno scrive su un giornale che siamo dei serial killer? Che pensare dell’incitazione all’odio razziale o dell’omofobia? In Italia il primo è reato come crimine d’odio, sulla seconda siamo terribilmente evasivi. Si potrebbe – e dovrebbe – discutere sul tipo di pena e sull’inopportunità del punire l’intemperanza del linguaggio, anche se le critiche si basano su fatti veri. Il carcere non può che apparire spropositato e insensato – ma anche giocare a fare i martiri dopo avere rifiutato qualsiasi rimedio lo è. Prima di decidere cosa pensare è consigliabile leggere almeno Sallusti secondo me di Federica Sgaggio, 23 settembre 2012 eLibertà di diffamazione di Michael Braun, 27 settembre 2012, Internazionale. Così siamo pronti per l’ultima puntata, cioè il cosiddetto SalvaSallusti. È lo stesso Sallusti a commentare il 13 novembre sul suo profilo “Mi sento meno solo. Con la legge approvata dal Senato a San Vittore finiremo in tanti”.

E se il teatro incassasse quanto il calcio?

Ormai sono anni che lo dico e lo scrivo: il teatro italiano non soffre di nessuna crisi di produttività ma sconta un generale disinteresse (e ignoranza, pure) da parte della politica. Per carità, la politica può permettersi di non muoversi anche perché di fronte ha un’opinione pubblica che s’indigna per il prezzo del caffè alla buvette del Parlamento e non coglie la cultura nel significato più largo: alfabetizzazione dei diritti, coltivazione della memoria, lavoratori coinvolti, indotto turistico e produttività.

Oggi su Pubblico (che ammetto mi piace ogni giorno di più) esce la notizia che il teatro italiano incassa quanto il calcio per presenze e Andrea Porcheddu puntualmente rileva la disattenzione generale:

Però, di fatto, il teatro esiste, e addirittura resiste. Per la crisi, si è registrata nel 2011 una naturale flessione ma, se pure l’offerta di spettacoli segna un -3,1%, gli ingressi hanno toccato i 22,3 milioni. Sono dati Siae per il 2011, e sembrano indicativi. Tanto per intenderci, il blasonato e sponsorizzato calcio ha avuto 22,6 milioni di ingressi.

Calcio e teatro hanno lo stesso pubblico: l’avreste mai detto? Hanno lo stesso spazio in tv e sui giornali?
E anche per quel che riguarda il settore va notato come la crisi abbia avuto effetti minimi: da un attento studio degli oltre 4 milioni di spettacoli censiti dalla Siae, si evidenzia che sono diminuite la spesa al botteghino (- 0,98%) e la spesa del pubblico (- 1,90%), ma è aumentato il volume d’affari (+2,08).

Dunque gli italiani non hanno rinunciato al teatro, al cinema, ai concerti, al ballo. Non hanno rinunciato alla cultura, portando – per quel che riguarda la prosa – almeno 185 milioni di euro al botteghino dei 17 teatri stabili pubblici e dei 14 privati, in un settore che vede più di 100 compagnie finanziate e oltre 100mila soggetti che producono atti- vità. Ma non solo: nel settore spettacolo dal vivo lavorano oltre 200mila persone (più quelli che studiano nei conservatori, nei dams, nelle accademie, che saranno gli artisti di domani), molte più che alla Fiat o Alitalia.

Purtroppo, però, di tutto questo mondo, i politici non si sono mai accorti. E, com’è noto, l’Italia – che esporta artisti, gruppi, spettacoli in tutto il mondo – finanzia con appena lo 0,1% del Pil la cultura, quando la media europea è almeno dell’1%.

El’sa K arriva da noi, a Tavazzano (LO)

Annaviva e LattOria presentano la nuova edizione di El’sa K, in scena a Tavazzano, in provincia di Lodi, venerdì 7 dicembre alle ore 21 al teatro Nebiolo.

Lo spettacolo El’sa K di Andrea Riscassi, regia di Alessia Gennari, con Sara Urban e Paola Vincenzi, è collegato all’iniziativa “Un seme di libertà” a cura dell’Associazione Amici del Nebiolo, Commissione Cultura e Annaviva.

Per info e prenotazioni scrivere a info@teatronebiolo.org oppure telefonate al numero 0371 761268 o al 331 9287538

Per scaricare la locandina di El’sa K e inviarla ai propri amici basta cliccare qui:ElsaK_Nebiolo_LOCANDINA annaviva teatro

Ci vediamo al Teatro Nebiolo di Tavazzano venerdì 7 dicembre.

Bellocco, ‘ndrangheta e l’affidabilità della ditta

Un post d’archivio che disegna la situazione lavorativa che regnava all’interno dell’azienda Blue Call (di cui avevo scritto qui). Oltre all’articolo è interessante leggere i commenti e soprattutto una lettera firmata “Gli Operatori Mediaset Premium, sede Blue Call di Rende (CS)”:

Gentile Angela P*****,

in seguito a gravi comportamenti perpetuati ai nostri danni dall’azienda Blue Call abbiamo deciso di scriverLe questa e-mail per metterLa al corrente dell’attuale situazione che, oramai, si protrae da mesi.

In sede si è sempre cercato di tamponare gli oramai diffusi malcontenti nei confronti dell’azienda tenendo Mediaset all’oscuro di tutto, grazie al comportamento di responsabili e amministratori poco rispettosi sia nei confronti del committente che di noi operatori.

Tutti gli operatori Mediaset non percepiscono da mesi regolare stipendio. Siamo tutti in attesa delle mensilità di Agosto, Settembre e Ottobre; mentre in alcuni casi si attende addirittura la mensilità relativa a Giugno o Luglio. A ciò si aggiungono le reiterate rassicurazioni dei responsabili Blue Call, regolarmente smentite dall’effettiva mancanza degli accrediti sui nostri conti correnti. Veniamo continuamente invitati ad attendere i bonifici erogati dall’azienda ma, di settimana in settimana, nessuno ha più voglia di credere a chi sta giocando con persone che stanno prestando un servizio professionale e senza intoppo alcuno.

La filosofia dell’azienda è oramai chiara. Erogare pagamenti con il contagocce, portando (soprattutto i nuovi operatori) a licenziarsi. Da ciò consegue un continuo ricambio di risorse umane sulla commessa Mediaset che porta a un notevole calo nella qualità del servizio. Gli operatori più anziani, quindi, attendono che qualcosa cambi mentre le nuove risorse sono utilizzate alla strenua di un qualsiasi ricambio temporale, per coprire turni e ridimensionamenti imposti non gestibili in altro modo.

Certi di avere un committente attento ai diritti di noi lavoratori è nostro dovere informarLa di questa situazione. Siamo certi che Mediaset è puntuale nell’erogare i pagamenti. Sarebbe davvero interessante sapere dove il nostro Amministratore e i suoi responsabili hanno deciso di impiegare i soldi pagati da Mediaset e destinati a noi operatori, sperando di aver mosso in Lei questa curiosità.

Non sarebbe etico gestire le chiamate in maniera poco professionale, come se volessimo rifarci sulla stessa Mediaset che, tra le altre cose, non ha alcuna colpa. Abbiamo quindi pensato di avvertire chi di dovere su cosa sta accadendo.

Certi di un cortese riscontro Le auguriamo una buona giornata.

Gli Operatori Mediaset Premium, sede Blue Call di Rende (CS).

Quante volte in Lombardia le crisi improvvise di aziende che prosperavano tranquille non hanno avuto una spiegazione? Mi è capitato spesso di parlare con lavoratori che non riuscivano ad immaginare cosa fosse successo in attività dove non erano avvenute variazioni tra i fornitori ed i clienti e improvvisamente si trovavano sul lastrico.

Ogni tanto dietro una “crisi aziendale” c’è la mano della mafia. Forse potremmo partire da qui.

 

Rivoluzione della Bellezza

Vorrei che ciascuno trovasse il proprio senso della bellezza. Che lo conoscesse, lo coltivasse, lo espandesse, se ne fidasse. Siamo tutti diversi l’uno dall’altro e l’arte deve gioire, e gioisce, delle differenze, e maggiori sono le differenze meglio è. Perché ci uniscono di più.

Leggevo la conversazione tra Aimee Bender e Alice Sebold e per oggi ho deciso di tenermi questa frase di Aimee perché dentro c’è il rifiuto all’omologazione che si respira di questi tempi in politica e allo stesso tempo il nocciolo del nostro fare cultura, politica e cultura politica quando ci riusciamo.

Perché il giorno che verrà riconosciuto il diritto al proprio senso di bellezza e il dovere a coltivarlo e fidarsene scopriremo quanto sia un sospiro di sollievo per l’elaborazione del pensiero (e quindi dell’etica) in tutti i campi.

Formigoneide: il carcerato e il sottosegretario sospetto.

Il listino di Formigoni continua a colpire anche nella parabola finale: il “sottosegretario” Francesco Magnano (cognome onomatopeico, non c’è che dire) visita di tutta fretta il carcerato Nicoli Cristiani. E non avrebbe potuto farlo. Leggere la notizia è già uno spasso:

Quale fosse, per ora non si sa. Ma certo all’inizio del 2012, per andare a trovare a tutti i costi nel carcere di San Vittore un detenuto in custodia cautelare, doveva essere davvero impellente e forte la motivazione dell’allora «sottosegretario del presidente Formigoni all’Attrattività» nella penultima giunta di Regione Lombardia, Francesco Magnano, «il geometra» di Berlusconi a Macherio. Tanto forte da farsi passare come un collaboratore del Pdl Massimo Buscemi, che, in quanto consigliere regionale, al pari dei parlamentari era invece legittimato a entrare in carcere.

Il resto qui.