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Avviso ai naviganti: la legge funziona anche per Facebook

Mentre frotte di politici da anni continuano a parlare piuttosto a vanvera di diverse modulazioni di bavagli per il web, da Torino arriva una notizia che merita attenzione perché dissolve di colpo tutto il chiacchiericcio e propone una soluzione semplice semplice che vale per i social così come per i bar, sui giornali o in piazza: il rispetto della legge.

Un operaio quarantaduenne di Settimo Torinese ha patteggiato nei giorni scorsi una condanna a 1000 euro (oltre alle spese processuali) per avere scritto su Facebook (ovviamente con un profilo falso, come si conviene ai leoni da tastiera) dopo la morte di Stefano Pulvirenti, 17 anni, siracusano, deceduto in un incidente stradale dopo 23 giorni di agonia nel novembre 2015:

“Sono felicissimo un terrone in meno da mantenere. Quando vedo queste immagini e so che nella bara c’è un terrone ignorante, godo tantissimo. Peccato che ero al Nord altrimenti avrei c.. su quella bara bianca. Buonasera terroni merdosi. Non è morto nessuno di voi oggi?”.

La frase, ripugnante come tante che colano nei vari social network, è un reato. È un reato indipendentemente dal luogo in cui viene scritta o pronunciata e per questo la Procura ha allertato il nucleo investigativo telematico per risalire all’identità del possessore del falso profilo, rinviato a giudizio e poi condannato.

Diffamazione aggravata da odio razziale è il reato. E se ci pensate bene di frasi di questo spessore ne incontriamo spesso durante la nostra giornata. Lasciamo perdere quindi nuove leggi che rischiano solo di limitare le libertà personali e mettiamo le procure nelle condizioni di poter (e dover) intervenire. È semplice. E funziona.

Buon lunedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/02/26/avviso-ai-naviganti-la-legge-funziona-anche-per-facebook/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Non credetegli. Mai. Il mare non uccide. Le persone uccidono.

Non credetegli. Mai. Il mare non uccide. Le persone uccidono. Anche l’indifferenza uccide, sì, anche quella: i morti per indifferenza li riconosci perché quando muoiono se gli apri gli occhi, con le dita, come si aprono due lembi, dentro ci trovi la pupilla di chi l’aveva capito da tempo che sarebbe finita così. Non sono mica come i morti improvvisi, quelli con lo sguardo interrotto che non ha nemmeno fatto in tempo di stringersi per il buio che gli veniva addosso: se avessero un minuto, un minuto ancora, un minuto di quelli che un minuto prima di andarsene uno torna e dice – ah! Scusa, un’ultima cosa – se avessero avuto quel minuto lì ve l’avrebbero raccontato anche loro che il mare, il mare non uccide. Uccide trascinarsi per il deserto come una mandria zoppa in balìa di pastori a forma di soldati; uccide farsi porto a forza di pregarne uno e provare a farsi legno per non bollire di sole e sale; uccide nascere dalla parte sbagliata del mondo, come una mela che casca dalla parte del dirupo; uccide l’indifferenza. Sì, l’indifferenza uccide, eccome se uccide. Ci sono più morti di indifferenza della somma di tutte le guerre mondiali, anche delle guerre dei tempi passati. Solo che i morti di indifferenza muoiono che non se ne accorge nessuno. Si spengono come lampadine di una strada deserta in cui non passa nessuno.
Il vicolo deserto in cui non passa nessuno, trattato come un sacco dell’umido da chiudere stretto senza nemmeno guardarci dentro, per non rovinarsi l’appetito, è la Libia di cui tutti parlano e nessuno legge, la Libia che è diventata la discarica dei nostri errori e dei nostri orrori. E invece lì dentro ci sono storie che vanno prese a piene mani e portate in giro. Con pazienza, cura. Come quando si cambia una lampadina, appunto.

(dal mio spettacolo “A casa loro”, scritto insieme a Nello Scavo, che è uno spettacolo teatrale ma forse sarebbe il caso che fosse un bigino da tenersi in tasca durante questa brutta campagna elettorale. Buon venerdì:)

Gli stregoni sul cadavere di Pamela

Avete letto dei terribili riti tribali che avrebbero straziato il corpo della giovane Pamela Mastropietro, uccisa a Macerata (sono tre le persone in carcere al momento)? Avete letto i “deliri” di Meluzzi e compagnia cantante (con il candidato di Fratelli d’Italia Guido Corsetto a dargli manforte) sul cuore asportato e il sangue bevuto perché “così fanno i nigeriani”? Vi siete gustati gli speciali di qualche giornalaccio sul “cannibalismo nigeriano”?

Bene. Tutto falso. Tutto. Come scrive l’Agi:

“Da giorni si rincorrono voci secondo cui alla ragazza sarebbe stato asportato il cuore o altro, e fatto sparire, come in un rito tribale o di affiliazione. Invece, a quanto pare, ciò non è avvenuto, come pure non è stato trovato nulla che rimandi a riti nella casa di cui è affittuario Innocent Oseghale in via Spalato, dove Pamela è morta e dove c’è stato il vilipendio del cadavere”.

Eppure per qualcuno è stato bellissimo calpestare il cadavere smembrato di Pamela (smembrandolo se possibile ancora un po’ di più) per aggiungere allo schifo anche un po’ di pittoresca paura per le fantasiose abitudini omicide di un’etnia. Descrivere i nigeriani come un’orda di stregoni è stato perfetto per alimentare ancora di più la xenofobia strisciante e rimpinzare i voti di qualche partituncolo impegnato a concimare il terrore con l’ignoranza.

E invece gli stregoni sono loro: gli italianissimi avvoltoi che hanno aggiunto orrore all’orrore.

Ah, tanto per chiarire: gli autori dell’omicidio (che saranno processati e giudicati) meritano tutta la giusta pena che gli verrà assegnata ma purtroppo non hanno inventato niente: ad agosto dell’anno scorso il sessantaduenne Maurizio Diotallevi a Roma ha strangolato la sorella prima di farla a pezzi e gettarla in diversi cassonetti. L’orrore omicida evidentemente ha tutti i colori e tutte le lingue del mondo.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/02/15/gli-stregoni-sul-cadavere-di-pamela/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.

Così Macerata ha smentito i maestrini


30.000 (ma anche se fossero solo 10.000) persone hanno deciso di disubbidire ai maestrini e di smentire i tanti che presagivano “poche decine di persone” sperando di coprire la propria vigliacca timidezza con il fallimento del parteggiare altrui. Macerata oggi è l’argine civile al ritorno del passato peggiore.
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Luca, Alex e il perbenismo. Anche da morti

Leggete l’attacco di questo pezzo de Il Gazzettino:

«È previsto un funerale unico per l’addio di Alex Ferrari e Luca Bortolaso, i due amici vicentini di 21 anni morti martedì scorso per le esalazioni di monossido di carbonio in una villetta di montagna a Ferrara di Monte Baldo (Verona), dove stavano trascorrendo le vacanze natalizie assieme a due amiche, loro coetanee, una residente in provincia di Verona e l’altra di Mantova. Per volere dei familiari dei due ragazzi, tra loro legati da un’amicizia molto profonda, il rito funebre si terrà domani pomeriggio (venerdì), con inizio alle 14.30, ad Arzignano, nella chiesa di San Giovanni Battista, una delle più capienti del comprensorio».

E poi ancora:

«La scelta di celebrare insieme i funerali di Alex e Luca – dichiara don Alessio Graziani, portavoce della diocesi berica – risponde ad una precisa richiesta delle loro famiglie a cui la Chiesa in questo momento di immenso dolore desidera essere vicina con le parole della fede. Di fronte alla morte di due giovani, ogni altro commento ci pare quantomeno inopportuno».

L’amicizia molto profonda di cui si parla in questo articolo è una relazione: amore, fidanzamento, quelle cose che nel Paese dei benpensanti non si riesce nemmeno a scrivere. E così l’amore di Alex e Luca, anche da morti, diventa qualcosa di cui tacere perché «ogni altro commento ci pare quantomeno inopportuno».

Il perbenismo è quella pratica che annichilisce anche le cose belle (e in fondo anche rivoluzionarie, in un Paese bigotto come il nostro) e tinge di grigio anche le storie colorate benché tragiche. Così si livella tutto e si livellano tutti e alla fine anche i mediocri si illudono di fare la loro bella figura.

Intanto buon viaggio, Alex e Luca.

Buon venerdì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/01/05/luca-alex-e-il-perbenismo-anche-da-morti/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.

Restare umani e solidali, anche nel lavoro

La vicenda arriva da Prato dall’azienda Biancalani attiva nel settore meccanotessile dal 1957, anno in cui Fiorenzo Biancalani la fondò partendo dal nulla. È una di quelle storie di imprenditoria italiana che ha tutti gli ingredienti, positivi e negativi, di questi anni: c’è l’idea vincente originale, c’è il passaggio di consegne ai figli e poi ai figli dei figli, c’è il periodo di crisi (che in questo caso arriva nel 2008 e coinvolge più o meno tutto il settore), c’è l’export (la Biancalani esporta circa l’80% della sua produzione) e poi l’innovazione continua per rimanere forti sul mercato.

Mancano però, in questa storia, due ingredienti deleteri di cui si sente troppo spesso in giro: qui infatti non ci sono furbi giochetti finanziari (la Biancalani è un’azienda come pensavano le azienda i nonni, quelli che “facevano” un lavoro perché “producevano” cose senza bisogno di incespicare nella finanza) e soprattutto c’è un riconoscimento del valore del lavoro e quindi dei lavoratori.

Così quando i dirigenti dell’azienda hanno deciso di festeggiare un anno in forte crescita raddoppiando la tredicesima a tutti i dipendenti (offrendo un bonus supplementare di circa 3mila euro, ndr) come premio per l’ottimo lavoro svolto improvvisamente la notizia ha cominciato a rimbalzare a livello locale e nazionale come se fosse qualcosa di straordinario. Del resto già aveva fatto notizia il fatto che la Biancalani avesse rispettato un patto firmato con i sindacati onorando la promessa di nuove dieci assunzioni giusto qualche mese fa.

Incredibile, davvero, che degli imprenditori rispettino gli accordi e condividano i successi con i propri lavoratori? No, davvero. Se non fosse che anche qui da noi ormai l’ingordigia e lo sfruttamento siano diventate pratiche accettabili e accettate come se nulla fosse e così il lavoro “come dovrebbe essere” finisce nel cassetto delle storie strappalacrime natalizie.

Bravi i Biancalani, quindi, ma soprattutto malissimo quegli altri che ancora non hanno capito che conviene a tutti.

Buon mercoledì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2017/12/27/restare-umani-e-solidali-anche-nel-lavoro/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.

E anche la legge sulla cannabis finisce nel cesso

Come ha fatto osservare Civati, Paolo Mieli poco tempo fa sul Correre della Sera scriveva così:

«Un mese fa l’esponente democratico Roberto Giachetti è stato sconfitto alle elezioni per la conquista del Campidoglio. Adesso potrebbe essere risarcito con la titolarità di qualcosa probabilmente più importante, comunque destinata a restare nella storia del nostro Paese. Oggi infatti la Camera inizia la discussione sul disegno di legge per la legalizzazione della cannabis promosso dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova (oltreché da Giachetti, entrambi «nati» nel Partito radicale), firmato da 221 deputati e 73 senatori appartenenti a tutti gli schieramenti politici (anche se il voto non ci sarà prima di settembre)».

Giachetti è il primo firmatario di una proposta di legge a cui oggi, in Parlamento, ha votato contro. Giachetti, tra l’altro, è proprio uno di quelli che negli ultimi mesi ha girato l’Italia tra convegni, comizi e tavole rotonde per spiegarci quanto questa legge avrebbe potuto fare bene all’Italia (3-5 miliardi di euro di entrate all’anno, che sarebbero state utili per sanità, scuola, prevenzione e tutto il resto) e quanto avrebbe potuto fare male alla criminalità organizzata (checché ne dicano alcuni, che poi sono gli stessi che ancora ritengono sia credibile il luogo comune del parallelo spinello-droghe pesanti, oppure la questione sanitaria nel Paese che vive grazie alle accise sul tabacco e sull’alcol).

«Mi rendo conto che il Movimento cinque stelle e altri colleghi non possano capire questo mio gesto, perché sono abituati a eseguire solo quel che ordina il loro capo», scrive Giachetti nel profilo Facebook. Lui. Nel partito di quel segretario fiorentino che per calcolo elettorale solo nelle ultime settimane ha affondato lo ius soli, Bankitalia e ora la legalizzazione della cannabis. Quel partito che dice di “fare cose di sinistra” e che si lamenta di essere semplicemente boicottato dalla destra, con cui si allea. E che ha scritto una legge elettorale che lo spingerà a allearsi di nuovo con il centrodestra.

Buon giovedì.

(continua su Left)

Quando l’italofobia era l’isteria collettiva

Fa bene ricordare, allenare la memoria. Per questo torna utile l’articolo di Giovanna Nuvoletti per La Rivista Intelligente:

Per decenni gli americani bianchi, i discendenti dei coloni, hanno odiato gli italiani in maniera feroce e sistematica. Dalla fine del XIX secolo agli anni ’30 del XX siamo stati probabilmente i più detestati e temuti.
Sbarcati a milioni, alla lettera, ci chiudevamo nelle nostre comunità, spesso ostaggi di connazionali che ci vendevano come schiavi di fatto. Non imparavamo la lingua, non mandavamo i bambini a scuola (ma a lavorare o a mendicare), rifiutavamo le nuove usanze e coltivavamo le nostre incomprensibili tradizioni.
Intorno al 1920 a New York arrivavano così tante navi da intasare il porto. Intercettate al largo, le imbarcazioni provenienti dall’Italia venivano dirottate verso Boston.
Eravamo classificati come “negroidi”: troppo vicini all’Africa, si diceva, per non avere “sangue negro” nelle vene. Prova ne fosse il colorito olivastro che TUTTI avremmo avuto.
Venivamo considerati un pericolo subdolo: a differenza di neri, asiatici e ispanici, gli italiani dalla carnagione più chiara potevano essere scambiati per bianchi, a un esame superficiale, quindi per noi era più facile “contaminare la razza bianca”.
Un italiano che intrattenesse una relazione con una donna bianca rischiava il linciaggio, come i neri.
Il Ku Klux Klan ci equiparava in tutto e per tutto ai neri: da impiccare al minimo pretesto, così prima o poi avremmo capito di restare a casa nostra.
Negli stati del sud ancora oggi perdura la convinzione che siamo non-bianchi, al pari degli ispanici.
[Nel 1973 Nixon, poco prima di essere spazzato via dallo scandalo Watergate, disse che eravamo diversi da loro, ci vestivamo in modo strano, puzzavamo di aglio ed era impossibile trovarne uno onesto.]

Immigrazione senza controllo
Immigrazione senza controllo

Anche gli altri immigrati ci odiavano. Accettavamo salari e condizioni di lavoro che ormai irlandesi, olandesi e francesi rifiutavano. Avevamo sostituito i neri nelle piantagioni, mandavamo all’aria le prime contrattazioni sindacali.
I meridionali soprattutto erano considerati “inadatti a imparare o mantenere qualsiasi lavoro, inclini per natura alla violenza”, incompatibili con lo stile di vita americano. Per un certo periodo siciliano o napoletano è stato sinonimo di “feroce bandito”.
Peccato che, per i loro esperti, il meridione cominciasse a Padova. Sotto Padova, tutti mafiosi; sopra Padova, invece, biologicamente stupidi, mentalmente inferiori al resto d’Europa.
Contro nessun altro si è scatenata una simile campagna di odio. Si arrivò a una vera e propria italofobia. Il principale veicolo di diffusione fu la stampa, sia quella ufficiale che quella clandestina, creata apposta per perseguitarci. Contro nessun altro è stata adoperata una tale mole di articoli denigratori, vignette insultanti, perfino canzoncine.
Ci rubano il lavoro, stuprano le nostre donne, non si vogliono integrare, corrompono il nostro spirito, si diceva. Chiudiamo le frontiere, bombardiamo le navi al largo, lasciamoli marcire nei porti, non facciamogli toccare terra, scrivevano i giornali.
Professano una strana religione, si insisteva, che niente ha a che fare con i nostri valori. Un misto di paganesimo e superstizione, impossibile da sradicare.
Eravamo raffigurati come orrendi sorci che nuotavano verso la riva con il coltello tra i denti. Venivano mostrati gli “argomenti” migliori per trattare con noi: gabbie, randelli, corda e sapone.
Giravano saporite barzellette: sapete quando un italiano vede il sapone per la prima volta? Quando lo impiccano

Tampa 1910 - Costanzo Ficarotta e Angelo Albano linciati
Tampa 1910 – Costanzo Ficarotta e Angelo Albano linciati

Ammazzare un italiano era di fatto tollerato. Bastava dire: “Mi ha aggredito lui” e la legittima difesa era scontata. Nemmeno si arrivava al processo. Caso chiuso.
Se vittima e assassino erano entrambi italiani, il disinteresse era quasi totale: finché ci ammazzavamo tra di noi andava bene.

(continua qui)

Piazza Indipendenza è il simbolo della nuova guerra tra poveri


Non è nemmeno una “guerra tra poveri” ormai: è una guerra ai poveri. Tutti. E anche se i poveri “nostrani” esultano le regole e diritti in realtà stanno saltando anche loro. È il deserto culturale di un’Estate Romana che il vicesindaco Bergamo aveva annunciato in pompa magna come rinascita culturale della capitale e che invece sta fabbricando deserto.
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