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angelino alfano

Intanto zitti zitti

I giovani del Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano portano il saluto romano al loro segretario. E questo è un segnale che non ha bisogno di interpretazioni. E mi viene in mente mio nonno Cleto e tutti i nonni cleti d’Italia che cosa penseranno di questa decadenza, di questo vile mietere voti negli angoli più oscuri di questo Paese mentre vorrebbero farci passare  l’antifascismo come archeologia o al massimo hobby d’antan.

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Sicurezza secondo Costituzione

Inutili, ha aggiunto, i “meccanismi di ottimizzazione delle risorse per rendere più efficiente la macchina organizzativa della sicurezza. Comunque il segno resterà meno”. E ancora: “Non è più pensabile – ha spiegato – ragionare come se sul territorio siano schierati 110 mila uomini. Dal 2014 ce ne saranno solo 94 mila”. Pansa ha espresso anche la preoccupazione che i tagli possano penalizzare il comparto della sicurezza a favore di quello della Difesa, impegnato da anni nelle “pattuglie miste” e in compiti di presidio di obiettivi a rischio nelle città. “Bisogna chiarire – ha dichiarato – chi ha la legittimità dell’uso della forza nell’ambito della sicurezza”. “Perché – ha polemizzato con la Difesa – se spostiamo l’asse verso il sistema militare, creiamo qualche scompenso anche rispetto ai principi costituzionali”.

La frase è di Alessandro Pansa. Pansa è al vertice del Dipartimento sicurezza del ministero dell’Interno. Da lui dipendono Polizia, Arma dei carabinieri, Guardia di finanza. Insomma, è il capo delle forze dell’ordine.

Fedeltà e fiducia #governoletta

Attenzione: questo non è un post di analisi politica. Per fare un’analisi politica bisognerebbe avere lo stomaco a posto e non essere disgustati da una giornata che sacrifica le parole tra le più belle di questa nostra lingua: fedeltà e fiducia. Oggi Silvio Berlusconi ha provato ad esercitare il dovere alla fedeltà dei suoi accoliti e ha scoperto di avere sbagliato qualcosa nella sua pratica di allevamento; così qualcuno (Alfano & co.) ha cominciato a pensare e la cosa non era prevista. Intanto la parola fedeltà si stacca una volta per tutte dalla meravigliosa aderenza comune a valori comuni e diventa ufficialmente l’esecuzione di un ordine. Ne abbiamo letto e studiato sugli sterminati prati di battaglie ma questi ultimi vent’anni ci hanno insegnato che il servilismo paga anche in altre aule. Eppure questa legge elettorale implica perfidamente una gratitudine insana che è un po’ homo faber fortunae tuae, oltre che suae. Così Silvio si innervosisce come un padre schiaffeggiato dal figlio ma lo stesso Grillo tiene lo stesso comportamento da qualche mese (e oggi al Senato). Similitudini.

In un contesto in cui l’aspetto valoriale è ripieno buono solo per la propaganda diventa ancora più difficile capire la natura della fiducia che si è votata oggi: l’Europa, la nuova (e la vecchia) DC, il Presidente Napolitano e l’ostinato asse PD-PDL hanno parlato (nelle vesti di Letta) di un programma che ha obiettivi talmente ampi (e fumosi) da lasciare il dubbio che l’obiettivo vero sia sopravvivere e (l’unico aspetto che un po’ ci ingolosiva) tagliare finalmente fuori dalla scena politica un condannato in via definitiva. Il primo intento è riuscito, certo, il secondo molto meno quasi niente. Perché vorrebbero farci credere che sia cambiato qualcosa ma in fondo nei numeri è lo stesso governo di prima, con più tensioni, più divisioni e altro tempo perso in un balletto completamente distaccato dalla realtà del Paese. Niente di più di giochi di palazzo di un palazzo che ha potuto permettersi di non dirci niente sull’aumento dell’IVA o su cosa succederà per quanto riguarda l’IMU.

Intanto il PD (o meglio, soprattutto un’ala del PD) è sempre più felice di assomigliare alla faccia “pulita” del PDL che si intravede all’orizzonte e tutti festeggiano questa somiglianza sempre maggiore che è uno strabismo della democrazia. Qui un giorno sarà “tutto centro” e monumenti “storici” e ci diranno che è una bella fortuna.

I congressi sono depotenziati da una ritrovata stabilità che sembra così promiscua da fare arrossire anche i più seriali adulteri da week-end a Cortina.

Tutto va bene, ci dicono. Loro hanno danzato sulle macerie e vorrebbero anche che battessimo le mani.

 

Il bluff di Governo

Insomma alla fine noi Angelino Alfano ce lo dobbiamo tenere perché altrimenti cade il Governo. Ha detto, così, più o meno nel fondo del significato del suo discorso al Senato, Enrico Letta mentre, da Presidente del Consiglio, proclamava l’inettitudine da sopportare di un Ministro dell’Interno che ha espulso illegittimamente Alma Shalabayeva accompagnata dalla figlia di sei anni Alua. Abbiamo sbagliato, Alfano ha colpe, ma lasciateci fare cose più importanti: il senso politico nelle parole del Presidente del Consiglio è questa orrida cosa qui.

Un bluff, come scrivono bene su Il Post.

Ora, in fondo, è anche il caso di dirsi che in nome della “responsabilità” la politica ha officiato le macellazioni sociali e etiche peggiori in tutti questi ultimi vent’anni ma quello che non si riesce a cogliere nella diaconale sicumera del mai giovane Letta è cosa ci sia davvero importante nell’agenda di un Governo che ha deliberato solo slittamenti nei prossimi mesi su tutte le questioni più delicate e urgenti di questo Paese e si incarta facilmente ogni volta che rischia di incarnire un’unghia di Silvio Berlusconi.

Ci vuole una bella faccia tosta per parlare di “urgenze” e “cose importanti” ai cittadini stritolati in una morsa di crisi etica, dei diritti e dei servizi, oltre che economica, che assistono alla saga di un esecutivo che somma i voti dati per altri scopi e crede di essere davvero maggioranza.

Ecco, io non so se vale la pena sperare che Civati o qualcuno che possa rendere potabile questo PD al prossimo congresso (o almeno non ricattabile, per dire) o forse non sarebbe il caso di organizzarsi fuori dai tempi dei congressi degli altri provando ad andare sopra (o sotto, che è anche più umile) dai tempi delle larghe intese tornando fuori da quel Paese a cui è stato venduto un “pacco”.

Ci vuole una bella faccia. Certo.

 

Tra me e me

Tra me e me pensavo che salvare oggi Angelino Alfano, oggi che dovrebbe essere il giorno della commemorazione di Paolo Borsellino con la sua versione rigida e univoca della giustizia, ecco, salvare oggi Alfano con i voti di quelli che hanno votato una coalizione per non avere più tra i piedi i berlusconismi con tutti i suoi servetti, insomma, farlo oggi che ricordiamo Paolo che ha compiuto l’errore di non accettare mediazioni non solo fuori dalla legge ma anche quelle inopportune, ecco, proprio oggi il rispetto dello Stato ci ha detto quanto è diverso da quello di Borsellino.

Un vascello fantasma con le vele ammainate: così ci vedono gli altri

Niente da dire: questo brodino di Governo è indigesto anche visto da fuori.

Neue Zürcher Zeitung

In Italia, le ultime elezioni hanno irrigidito le posizioni: tre grandi blocchi, all’incirca della stessa dimensione, schierati gli uni contro gli altri, due dei quali ora fanno parte del nuovo governo. Questa pace apparente è costantemente esposta al ricatto di Berlusconi.La morte la scorsa settimana di Giulio Andreotti, il grande vecchio della politica italiana, astuto democristiano e stratega ineguagliabile, lascia esterrefatti per il suo tempismo perfetto: il democristiano ha trovato la pace eterna subito dopo la formazione del nuovo governo, conclusa la contrattazione per la spartizione degli incarichi ministeriali e  l’assunzione delle delle cariche apicali da parte di due ex democristiani, Enrico Letta come capo del governo e Angelino Alfano come suo vice. Anche se l’onnipotente ex Democrazia Cristiana non esiste più, il suo, spettro riporta una vittoria tardiva. Berlusconi, suo erede effettivo ma indegno, se la ride sotto i baffi e risulterebbe di nuovo incomprensibilmente amato, secondo recenti sondaggi.

Compiti difficili

Pur provenendo dallo stesso vivaio politico della DC, i due nuovi leader non potrebbero essere più diversi l’uno dal’altro. Eppure ora presiedono una coalizione che altrove sarebbe stata denominata «Arcobaleno», ma che in Italia viene definita una “grande coalizione”, perché così fa più tedesco e assume un tono più solenne. E’ al primo ministro Enrico Letta del Partito Democratico (PD) che tocca l’onere più gravoso in questa impresa incerta. Con i suoi 46 anni, nell’ambiente politico italiano uno sbarbatello, non nega le sue radici politiche cristiane e ormai da tempo si è dimostrato un brillante e prudente socialdemocratico, ricoprendo la sua prima carica di ministro a 32 anni. Egli dovrebbe riuscire a placare gli animi di almeno una parte degli  italiani infuriati, dovrebbe portare il paese fuori dalla recessione, allentare le rigorose politiche di austerità, stimolare il consumo e l’economia, e compiere qualche altro miracolo, tra cui quello di impedire la caduta del PD, il suo partito, da cui i suoi sostenitori fuggono a frotte dopo essere stati costretti alla diabolica alleanza con l’impresentabile Berlusconi. Il compito del vice leader Angelino Alfano, che ora è ministro degli interni, anche lui 42enne, è meno gravoso. Anche lui proveniente dallo schieramento democristiano,  è entrato a far parte presto dei devoti di Berlusconi, diventando il Presidente del Popolo della Libertà (PdL), nonché ministro della giustizia e fedele guardia del corpo giuridica del suo Signore. Ora egli ha il compito non troppo oneroso, anche se moralmente ingrato, di proteggere gli interessi di Berlusconi e salvarlo dalla magistratura italiana – anche sotto il nuovo governo. Funziona esattamente come un ricatto: se il primo ministro Letta suggerisce qualcosa che Berlusconi non gradisce, immediatamente al Parlamento scatta la minaccia di far cadere il governo, essendo il PdL il principale componente. Nelle prime due settimane di vita il governo Letta è stato retoricamente minacciato per ben due volte da questo freno a mano. La prima volta dopo la recente condanna per frode fiscale di Berlusconi, la seconda volta a causa degli strascichi giudiziari che potrebbero derivare dalle accuse di prostituzione minorile e istigazione alla prostituzione mosse al Cavaliere. Berlusconi, che ha contribuito spudoratamente negli ultimi vent’anni alla rovina del suo paese, arricchendo una numerosa schiera di cortigiani, sostenitori del suo stile di vita e, in maniera impudente, soprattutto se stesso, ora continua a determinare “il bello e il cattivo tempo” nel suo paese. Non stupisce quindi che il vascello fantasma Italia continui ad andare alla deriva  a vele ammainate. Ma la colpa non è affatto sua, dato che il vento di poppa gli arriva principalmente dagli errori dei suoi avversari. Ancora all’inizio di quest’anno, Berlusconi sembrava politicamente finito, ma poi grazie ad una serie di errori dei suoi rivali è riuscito a risalire la china in maniera inquietante, quasi una sorta di risurrezione. Possiamo dire anche quando è avvenuta la svolta, precisamente non molto tempo fa, e Claudio Magris lo ha scritto sul «Corriere della Sera»: era la sera del 10 gennaio, quando lo sconfitto Berlusconi entrò nella tana del leone, il programma «Servizio pubblico» di Michele Santoro, un giornalista che si che si finge un arrabbiato di sinistra. Berlusconi ha ribadito di fronte a una platea di otto milioni di telespettatori le sue audaci promesse elettorali, tra cui l’abolizione dell’IMU e qualche altra arditezza – mentre il conduttore della trasmissione e i suoi accoliti della sinistra restavano lì, ammutoliti come scolaretti.

Un disastro dopo l’altro

Nei mesi seguenti l’Italia è precipitata da un disastro all’altro. Mario Monti ha fatto sicuramente una buona impressione a livello internazionale con il suo governo d’emergenza, tagliando qua e là per risparmiare, ma ha condotto una campagna elettorale da dilettanti, tanto da essere stato preso in considerazione dai moderati del PD solo come partner di coalizione. Il risultato delle elezioni nel mese di febbraio è stato un disastroso triangolo quasi equilatero: scarso il 30 per cento per il PD, quasi quanto per il PdL di Berlusconi, e poco meno quel fuoco fatuo del Movimento Cinque Stelle (M5S) di Beppe Grillo. Potrebbe essere arrivata l’”ora X” per questo comico, il cui «movimento» da allora rappresenta per l’Italia gioia  e dolore, croce e speranza. Le principali richieste del M5S sono piuttosto scontate, alcune di loro sono talmente ragionevoli da apparire quasi banali; meno convincente sembra il loro  non ben definito programma, se esaminato nei suoi dettagli; ed è un disastro la tattica di Grillo e del suo popolo di mantenere le distanze da tutti gli altri partiti con cui si siedono ora in Parlamento. Tutti sono indistintamente corrotti e contaminati, questo è quanto ripetono di continuo nei loro comunicati. Nei colloqui per formare un governo, hanno tenuto testa al capo del PD umiliando uno sbiadito Pierluigi Bersani fino a costringerlo alle dimissioni. Così facendo il comico dalla lingua lunga e i suoi rabbiosi parlamentari hanno sprecato le occasioni migliori per l’Italia di sbarazzarsi di Padron Berlusconi. In quel febbricitante momento di pausa sia il PD che il M5S hanno sbagliato praticamente tutto, al punto da far fallire l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica. Nemmeno su Romano Prodi si sono trovati d’accordo, e così hanno costretto l’ormai anziano Napolitano a prolungare il suo mandato, spingendo Enrico Letta a stringere un patto di governo col diavolo Berlusconi e i suoi seguaci. Letta vorrebbe fare del suo meglio, ma non durerà molto, perché con la sua impresa azzardata subisce attacchi da tutti i fronti, anche dai suoi stessi compagni dell’irritato PD. Il filosofo Massimo Cacciari fantastica sul modo in cui questo partito andrà avanti. Nella sua rubrica sull’ «Espresso», egli auspica la fine della “politica dell’illusione” (nell’articolo in italiano Cacciari ha usato il termine tedesco “Illusionspolitik”, ndt) e incoraggia due portatori di speranza, l’economista di sinistra Fabrizio Barca e Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che, proveniente dallo schieramento cattolico, non sarebbe la scelta peggiore – e che anche il defunto Andreotti non avrebbe disdegnato. Anche l’autore Roberto Saviano in un articolo riflette sul suo paese e sul desolato PD; ha recentemente scritto, anche se in maniera molto astratta, di «un’Italia che vuole sognare» o, ancora, «del partito che io sogno». Che un simile sogno sia stato mai d’aiuto, sono soprattutto i giovani compagni a dubitarne, tra le cui fila pare si nascondano alcuni di quelli che hanno occupato molte sedi locali del partito sotto il motto di «Occupy PD», perché non si fidano dell’operato di Letta, giudicando l’alleanza con la destra di Berlusconi solo una combutta, una fittizia «guerra tra bande di arrivati». Questa aspra sentenza potrebbe essere corretta, ma priva di alternative, fintanto che il testardo Beppe Grillo del M5S avrà voce in capitolo. Perché non cambierà nulla con il neo eletto leader del PD, Guglielmo Epifani, uomo mite dei moderati di centro. Il nepotismo espresso dallo stato tra PD e PDL scaturisce sì da uno stato di emergenza, ma ciononostante non ha inventiva e, oltre al rinnovato consolidamento di Berlusconi, ha anche altri aspetti ripugnanti.  Il simbolo tipico della viscidità che si sta estendendo sui partiti italiani è una giovane coppia di intelligenti giovani politici: Lei, Nunzia de Girolamo del PdL, che a difesa di Berlusconi, ha partecipato a numerosi talk show, e ora è diventata ministro dell’agricoltura. Lui, Francesco Boccia del PD, è stato appena confermato a capo della Commissione Parlamentare per i conti. Questo ha spinto il filosofo e traduttore di Kierkegaard Dario Borso, a chiedersi cosa ha da dirsi di notte sotto le lenzuola questa strana coppia. In tempi in cui la povertà dilaga nell’ex ceto medio, dove sempre più sono in aumento i suicidi per la disperazione e il termometro sociale rischia di precipitare sotto zero, l’Italia ha però ancora altre domande da porsi. Sabato scorso l’atmosfera si è surriscaldata, quando ad una manifestazione sostegno di Berlusconi a Brescia, i suoi esaltati seguaci e i suoi avversari altrettanto infiammati sono arrivati alle mani. La violenza si manifesta ancora principalmente in maniera verbale e simbolica, scritte di vernice spray sui muri o urla nei programmi televisivi, fatta di uomini dalle maniere apparentemente garbate presenti col contagocce  nei media tradizionali o di personaggi maleducati che fanno solo propaganda in Internet.

Campagna denigratoria anonima

E’ soprattutto nei social network che imperversa una campagna denigratoria anonima, contro cui il turpiloquio usato nel blog di Beppe Grillo non ha alcun effetto. Sempre più spesso, si tratta di invettive misogine e razziste come quelle contro Cécile Kyenge, nuovo Ministro per l’Integrazione di origine congolese, o minacce contro altre persone esposte, come il giornalista televisivo Enrico Mentana, che è stato costretto a chiudere il suo account Twitter dopo aver ricevuto numerose minacce di morte.  Sparare sui giornalisti era diventato un fatto consueto 40 anni fa, quando iniziò in Italia un periodo di terrore che portò lo Stato a un passo dal collasso mettendolo a rischio di golpe.

[Articolo originale “Ein Geisterschiff mit schlaffen Segeln” di Franz Haas]

I prestigiatori del finanziamento ai partiti (e una soluzione concreta)

Qualche mese fa Alfano-Bersani-Casini ci avevano promesso una legge anti corruzione in pochi giorni. Non ne abbiamo più avuto notizia. Ricordo che si diceva di separare la politica dalla finanza impedendo ai partiti di diventare luoghi d’investimento una decina di anni or sono. Dopo aver partorito una legge elettorale che grida vendetta, ora parlano di rivedere i finanziamenti ai partiti. “Rivedere” mentre tutti sentono (perché un politico dovrebbe essere capace di cogliere il comune sentire) che sia il caso di bloccare i bonifici in arrivo, sedersi e parlarne partendo da una rivoluzione totale e non tentando magici aggiustamenti. Ormai sembra che non si riesca a perdere occasione perché la politica si dimostri scollegata dalla realtà, onnivora, prepotente, miope e cretina.

Poi, per fortuna, curiosando in giro scopri che la soluzione possibile è stata elaborata (ovviamente fuori dal trio governativo, ci mancherebbe) e che finalmente un dibattito è possibile senza patetiche tattiche di preservazione della specie. È il meccanismo elaborato da Pellegrino Capaldo contenuto in una proposta di legge di iniziativa popolare che sta per essere depositata alla Cassazione: abrogazione del sistema di rimborso diretto ai partiti e introduzione di un credito d’imposta del 95% sui contributi che i cittadini decidono di versare alla politica (fino a un tetto massimo di 2mila euro).

Scrive il Sole24ore:  Quello ideato da Capaldo è un meccanismo diverso che non nega l’idea del costo della politica a carico della finanza pubblica ma ne rovescia la logica: ai cittadini va lasciata la scelta del sostegno alla politica in modo da promuovere il loro coinvolgimento nella vita dei partiti. Una rivoluzione copernicana che lascia però l’onore per gran parte allo Stato: ai cittadini che decidano di sostenere i movimenti politici viene infatti riconosciuto un credito d’imposta pari al 95% del contributo versato con un tetto massimo di duemila euro. A conti fatti, perciò, un contributo di 2mila euro al proprio partito si tradurrebbe per il cittadino-sostenitore in un esborso effettivo di 100 euro, dal momento che 1.900 euro gli verrebbero restituiti dall’Erario.

Il principio della ‘defiscalizzazione’ del contributo ai movimenti politici esiste già: una quota delle somme versate (pari al 19%) può essere detratta per l’Irpef (persone fisiche) e l’Ires (società). La proposta di legge popolare che sta per essere presentata riserva il credito d’imposta alle sole persone fisiche, mantiene in vita il primo canale di supporto ma cancella il secondo: l’obiettivo è favorire una maggiore partecipazione dei cittadini.
L’altro aspetto sui cui il meccanismo ideato da Capaldo interviene è quello della platea dei beneficiari. Il finanziamento non è riservato ai soli partiti che abbiano partecipato a competizioni elettorali (ottenendo rappresentanza o un numero minino di voti, come accade ora) ma a tutti i movimenti politici e alle fondazioni con precisi requisiti. Le prime devono avere almeno trecento iscritti, le seconde un patrimonio minimo di cinque milioni. Criteri stringenti che non vengono applicate a realtà esistenti con continuità negli ultimi dieci anni. 

Il passaggio alla nuova legge dovrebbe comportare un risparmio per le casse dello Stato: è infatti improbabile ‐ è il ragionamento dell’ideatore della proposta ‐ che l’entità delle somme versate dai cittadini ai partiti per le quali si applica il credito d’imposta del 95% possa eguagliare l’enorme flusso di fondi pubblici che l’attuale legge garantisce alle casse dei nostri partiti. Un aspetto che dovrebbe spingere i movimenti politici a rinnovarsi per riconquistare quella fiducia che gli elettori hanno smarrito da tempo.

Ecco, si potrebbe proprio partire da qui.

ps Anche l’Europa (come scrive Agoravox), tramite un comunicato del Consiglio europeoboccia il sistema dei rimborsi elettorali italiani e l’opacità dei partiti italiani (qui il pdf del documento). E visto che per pensioni articolo 18 abbiamo dovuto procedere in fretta, anche questa volta sui partiti si deve agire in fretta, visto che “ce lo chiede l’Europa”.