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Dora

Ricoverata per un’operazione all’anca. Contagiata all’interno della clinica. Dimessa per errore come negativa al Covid. Morta e abbandonata in un deposito del cimitero in mezzo ai sacchi della spazzatura. È accaduto a Monopoli. Ora la famiglia di Teodora Scarafino chiede giustizia

«Io quest’anno non ho voglia di festeggiare niente, l’idea di passare le feste senza mia mamma è lacerante. Ho dovuto a malincuore preparare l’albero per mia figlia ma voglio solo che quest’anno passi il più velocemente possibile, il più silenziosamente possibile». Non trattiene la commozione Roberto Leoci mentre racconta a Left la drammatica storia di sua mamma Teodora Scarafino, per tutti Dora, che è uno delle migliaia di lutti che attraversano il Paese in quest’epoca di pandemia ma che assume i contorni di un enorme schiaffo in pieno viso per come si sono svolti i fatti.

Dora era il perno della famiglia, sempre attiva, sempre dedicata alle cure di suo marito, dei suoi figli e dei suoi nipoti. La sua cucina era sempre in movimento per ospitare qualcuno a pranzo o a cena, lei che la domenica andava in campagna per raccogliere ciliegie e i capperi e gli asparagi e preparare quelle cene di famiglia che tenevano insieme quattordici persone.

«Non era una presenza: era la presenza», dice il figlio. E proprio per essere in forma in occasione delle feste che arrivavano Dora aveva deciso di farsi operare all’anca, «avremmo anche potuto ritardare» dice Roberto. E invece il 7 settembre la signora Scarafino viene ricoverata nella clinica Mater Dei di Bari per un’operazione che avrebbe dovuto essere di routine. «Effettua il tampone in ingresso, negativo, – racconta il figlio – va tutto bene e dopo tre giorni viene trasferita nel reparto di riabilitazione motoria per iniziare il suo percorso di recupero». Anche in questo caso tutto procede nella norma, arriviamo ai primi di ottobre: «Era il 2 o 3 ottobre e ci sentiamo telefonicamente poiché le visite erano proibite dalle norme anti Covid. Mia madre mi racconta, un po’ preoccupata, che la sua vicina di letto, in stanza con lei, lamenta tosse, febbre e dolori vari».

I quattro figli di Dora si preoccupano, durante la prima ondata del virus a marzo l’hanno tutelata con molta attenzione. «Comincia a fare dei ragionamenti non suoi, sragionava, ad esempio mi chiedeva se mio padre fosse rientrato dal lavoro eppure mio padre è in pensione da anni». I figli chiedono informazioni a medici e infermieri ma non ottengono risposte, vengono sommariamente rassicurati, gli dicono che non c’è nessun problema e che la febbre della compagna di stanza è una semplice influenza, probabilmente dovuta a un colpo di freddo.

Il 5 ottobre la signora Dora comunica ai figli che alla vicina di letto è stato fatto il tampone, una risonanza e i raggi ai polmoni. «Aumenta ovviamente la preoccupazione – racconta il figlio al nostro settimanale – ma dalla clinica la risposta è sempre la stessa: state tranquilli. La signora continua a rimanere in camera con mia madre. Addirittura il giorno successivo, il 6 ottobre, me la passa al telefono e quella mi saluta, “tranquillo tranquillo” mi dice mia mamma»·

Quello stesso giorno, nel pomeriggio, tutto precipita: «Nostra madre ci chiamava e ci dice che l’hanno spostata in un’altra camera, con tutte le sue cose, il suo letto, il suo armadietto, i suoi vestiti, che non le permettono nemmeno di affacciarsi sul corridoio dell’ospedale, che si sente reclusa. Io e mio fratello partiamo subito, cerchiamo di parlare con vari medici, non ci fanno entrare e riusciamo solo a metterci in contatto con una dottoressa che ci dice che l’ex compagna di stanza di nostra madre non è positiva al tampone e di stare tranquilli. Addirittura prende nostra mamma dalla stanza dov’era e la fa affacciare dalla finestra. Mia madre continua a sragionare, in quell’occasione disse a me e a mio fratello di “fare i bravi con i medici” perché la stavano trattando bene».

I due fratelli tornano a casa, a Monopoli, in attesa del risultato del tampone. Quella sera stessa leggono alcune notizie di un focolaio di Covid proprio nella clinica Mater Dei di Bari. La mattina dopo si rimettono in macchina e ripartono, riescono a parlare con il direttore sanitario della struttura che li rassicura, ancora, conferma che ci sono casi di positivi nel reparto ma dice di non preoccuparsi. Alle 15 arriva l’esito del tampone: negativo. «Diciamo a mia mamma di firmare le dimissioni, anche perché erano cinque giorni che non faceva più riabilitazione e non aveva senso rischiare. Arriviamo in ospedale e in tre minuti fanno uscire nostra madre al freddo, in pigiama, con la sua valigia. In auto non stava bene: tossiva, aveva dolori e difficoltà respiratorie». Ma era negativa, nessuno si preoccupa. Due ore dopo la clinica richiama e dice che c’è stato un errore: avevano scambiato il tampone di ingresso con quello di uscita, la signora Dora è positiva. I figli non possono credere di ritrovarsi in una situazione del genere: chiamano il 113, scrivono all’Asl, alla Regione Puglia, decine di mail, nessuna risposta. Solo il medico di base prescrive una cura.

Il 14 ottobre la donna viene portata via in ambulanza. Tutta la famiglia si mette in isolamento, una figlia viene ricoverata per Covid. Dora viene portata in terapia intensiva dove il suo ultimo calvario finisce con la morte: «Un percorso in ospedale di tre settimane che l’ha portata alla morte – racconta il figlio – ma l’ultimo schiaffo doveva ancora arrivare. Il giorno 9 novembre ci restituiscono il corpo e la bara viene trasportata in un ufficio del cimitero di Monopoli adibito a deposito. La bara di mia madre la ritroviamo in mezzo a sacchi della spazzatura, ossari, lettighe per le tumulazioni. Veniamo addirittura minacciati da chi avrebbe dovuto prendersi cura di quel luogo. Noi siamo andati completamente fuori di testa, ho scoperto lati di me che non conoscevo, vedere il corpo di mia madre in quelle condizioni mi ha ferito perfino di più di quella clinica che l’ha uccisa». Ora la famiglia di Dora sta preparando le denunce mentre i responsabili del cimitero si sono sommariamente scusati con un articolo su un giornale locale e il direttore della clinica Mater Dei ha parlato di un “errore fatto in buona fede”.

«L’ultima volta che l’ho sentita – racconta Roberto – prima che entrasse in terapia intensiva le ho detto che qui tutti, i suoi figli e i suoi nipoti, le volevamo un gran bene e lei senza rendersi conto che era un addio mi ha detto “sono vostra madre, è normale che mi vogliate bene”». Ora i figli di Dora chiedono di ottenere, dopo il dolore, un po’ di giustizia.

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Il Covid blocca anche le adozioni: 500 bambini non possono andare dalle loro nuove famiglie

L’epidemia porta con sé storie nascoste nelle pieghe che bisogna andare a cercare e che nascondono difficoltà che rimangono sotto traccia. In Italia in questo momento ci sono 500 famiglie che attendono il proprio figlio. Sono famiglie che dopo un lungo percorso sono riuscite ad accedere all’adozione internazionale e che nonostante abbiano già ottenuto l’abbinamento, un percorso sfiancante dal punto di vista burocratico e affettivo, non riescono ad abbracciare i propri figli a causa dei blocchi tra Paesi.

La psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi, con un intervento sul settimanale Oggi scrive chiaramente cheper quei bambini attendere ancora significa nuovamente sperimentare un rifiuto che inconsciamente conoscono e consciamente li opprime”. Hanno conosciuto i genitori – spiega la Parsi – scambiando abbracci e pronunciando parole in lingue diverse, nel nome di un nascente amore, di una nascente, reciproca fiducia e speranza di diventare famiglia. Quei bambini sono stati fin dalla nascita segnati da distacchi e da traumatiche esperienze che li hanno separati dalle madri che li hanno messi al mondo. Hanno vissuto in istituti con altri bambini o in famiglie di accoglienza”.

Il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini Marco Griffini racconta che l’ex vicepresidente della Commissione per le Adozioni Internazionali aveva parlato di “corsie preferenziali” per superare il blocco causato dell’epidemia: serve un accordo urgente con i Paesi di provenienza, di concerto con tutti i Paesi europei per riuscire a sbloccare la situazione. “Questo è un problema urgente che non riguarda solo i 500 bambini italiani già abbinati, che, bisogna ricordarlo, sono già dei potenziali cittadini italiani”, ha aggiunto Griffini.

“C’è un numero spropositato di bambini orfani a causa del Coronavirus e quindi vanno studiate e applicate assolutamente delle nuove modalità di gestione delladozione internazionale”. E la memoria va a quando il Governo si attivò, era il 2014 con la ministra Boschi, per sbloccare la situazione di 31 bambini in Congo. Un padre sulla pagina Facebook “Un bimbo mi aspetta” scrive: “Continuo a essere convinto di questa scelta, ma ora mi faccio delle domande, perché il tempo per far ripartire le cose c’è stato. Mi rendo conto che un genitore adottivo non muove il mercato di un campionato di calcio. Mi rendo conto che cerano altre priorità (ci sono sempre altre priorità quando si parla di adozione). Ma abbiamo trovato il tempo di andare in vacanza, riaprire i campionati di calcio, spostare turisti e merci. Siamo riusciti a mettere in piedi un turno elettorale. E non siamo riusciti a unire duecento famiglie. Ogni tanto si spera che l’adozione possa essere “veloce” come un abbandono. Anche in tempi di Covid.

Leggi anche: 1. Coronavirus, Conte: “Situazione preoccupa, rispettare le regole. Lockdown a Natale? Non do previsioni, mi occupo di prevenire” / 2. “Dopo i casi di oggi è davvero possibile un nuovo lockdown delle città italiane”: parla Pregliasco / 3. C’è l’emergenza Covid, ma all’Umberto I di Roma i pazienti sono stipati in sala d’attesa. Motivo? Il set di Mission Impossible con Tom Cruise

4. “La gente non ci vuole mai credere fino a quando deve per forza toccare con mano che il virus non è mai stato meno letale”. Parla Cartabellotta del Gimbe / 5. Nonostante il Covid abbiamo realizzato solo metà delle terapie intensive e usato un terzo dei fondi per posti letto e tamponi / 6. Tutti i numeri su Immuni tra le omissioni delle Asl e la paura dei contagiati

7. Giallo, arancione, rosso: i 3 scenari del Cts per le chiusure se salgono i contagi / 8. Covid, il ministro Speranza: “Il 75% dei contagi da parenti e amici: stop a tutte le feste” / 9. L’epidemiologo Le Foche: “I contagiati hanno carica virale bassa, epidemia domabile in primavera”

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CORONAVIRUS ULTIME NOTIZIE: TUTTI I NUMERI

L’articolo proviene da TPI.it qui

I numeri e De Luca

Il presidente regionale nei mesi scorsi ha alimentato la propria immagine da inscalfibile sceriffo di ferro. Ma il Covid non si combatte con i siparietti, come indicano gli ultimi dati sull’emergenza dalla Campania

Ha funzionato tantissimo il personaggio di De Luca sceriffo durante il Covid. Non solo lui, gli sceriffi ultimamente piacciono a tanti, soprattutto se si atteggiano ma poi invece lasciano fare, ma De Luca che dava al governo lezioni di muscolare arroganza e racimolava consensi con battute divertenti contro Salvini e la sua banda è diventato un trend anche sui social, anche tra i giovani: ogni conferenza stampa aveva una drammaturgia perfetta per diventare un filmato da fare girare fino allo sfinimento. I lanciafiamme da usare per sgomberare gli assembramenti, paternalismo à gogo e quell’immagine da inscalfibile sceriffo di ferro che si porta dietro fin dai tempi in cui era sindaco di Salerno.

Ieri i nuovi contagi in Campania (quelli intercettati dal tampone) erano 757, il giorno precedente 544 e se davvero dobbiamo scavare a fondo nelle responsabilità che stanno dietro i numeri (perché questo dovremmo fare, mica solo quando c’è da impallinare giustamente Fontana e Gallera) allora si potrebbe dire anche che in Campania i tamponi continuano a essere pochi, pochissimi: una media di 7.000 tamponi al giorno con un rapporto tra testati e positivi che è in continuo aumento. Con un rapporto così alto tra persone testate e positivi evidentemente qualcosa non sta funzionando e molto probabilmente qualcosa sta pericolosamente sfuggendo.

Code chilometriche di cittadini preoccupati che aspettano fino a otto ore sotto la pioggia, gente che si presenta di prima mattina per riuscire a ottenerlo, gente che infine rinuncia. La coda di fronte al Frullone, struttura dell’Asl Napoli 1, addirittura intralcia l’ingresso dei dipendenti. Eppure la Campania dall’inizio dell’emergenza ha speso in appalti qualcosa come 204 milioni tra il primo gennaio e il 30 aprile (lo dice l’Anac in una relazione depositata in Parlamento) spendendo più del Veneto, quarta regione dopo Lombardia, Toscana e Piemonte.

Dei 3 ospedali Covid solo quello di Napoli è perfettamente operativo mentre a Salerno e a Caserta tutto per ora tace mentre la Procura indaga per turbativa d’asta e frode in pubbliche forniture, in relazione alle procedure di aggiudicazione e di esecuzione dei lavori.

Insomma il Coronavirus non si sconfigge con le parole e nemmeno con i siparietti (e tantomeno negandolo) ma organizzando seriamente la solita vecchia storia delle 3 “t” che qualcuno sembra avere già dimenticato: testare, tracciare, trattare.

La campagna elettorale è finita, come direbbe De Luca “le parole stanno a zero” e forse sarebbe il caso di spiegare e di rispondere. A proposito di rispondere: il presidente della Campania qualche giorno fa ha vietato agli operatori sanitari di parlare con i giornalisti. Un po’ meno tifo, per favore, e un po’ più di governo. Perché il populismo è ammaliante per tutti, a destra e a sinistra.

Buon venerdì.

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La calcioisteria

I casi di coronavirus nelle scuole e nelle aziende, il rischio di una seconda ondata dei contagi, la disperazione di chi si troverà senza ammortizzatori sociali e senza lavoro. In questa situazione difficile, si discute della partita Juventus-Napoli con la Lega Calcio che fa di tutto per non fermare il campionato

Ci sono un migliaio di scuole in cui si sono già presentati casi di coronavirus e che hanno dovuto affrontare tutte le difficoltà che si presentano nell’assicurare il prosieguo delle lezioni. Nelle aziende continuano (non si sono mai fermati) i contagi e mentre i numeri cominciano a preoccupare le autorità sanitarie si stanno valutando le misure da prendere per contenere un’eventuale seconda ondata e per evitare al Paese il tracollo che potrebbe causare un nuovo lockdown. In tutto questo c’è la disperazione, tanta, tantissima, che sta prendendo persone che hanno avuto la vita sfasciata dalla pandemia e che ora che finiranno gli ammortizzatori sociali si ritrovano senza lavoro. Poi, volendo, ci sarebbe anche da discutere di come utilizzare i fondi europei per ricostruire: su quello si gioca la forma futura di Paese, mica bruscolini.

L’argomento più discusso ieri invece è stata la partita della Juventus contro il Napoli poiché la squadra campana ha scelto di non scendere in campo. La vicenda in sé è anche poco interessante: da una parte la Lega Calcio fa di tutto per non fermare il campionato e dall’altra il governo nella persona del ministro Speranza invece invece chiede di fermarsi. Speranza ha detto una frase semplice che viene difficile non condividere: «Si sta parlando troppo di calcio e troppo poco di scuola» ha detto il ministro ma la ridda di voci, pareri e notizie di ieri comunque è stato tutto sulla partita. Per la Lega, in pratica, la lettera inviata dall’Asl alla società napoletana non rientra tra quei “provvedimenti delle Autorità Statali o locali” che possono derogare al regolamento che disciplina la discesa in campo per le squadre con calciatori positivi.

Eppure si potrebbe anche raccontare che continuano a essere molte le persone che rimangono in quarantena (non giocano a pallone ma come tutti lavorano per vivere, eh) per decisione delle aziende sanitarie, sono molti quelli che ancora faticano a accedere al tampone che invece è iperdisponibile nel mondo del calcio con cadenza praticamente giornaliera.

Qualcuno dice “lo spettacolo deve continuare” e allora si potrebbe raccontare delle persone che lavorano nel mondo dello spettacolo dal vivo e che continuano a non entrare nel dibattito pubblico nonostante stiano facendo la fame e nonostante il futuro sia sempre più nero, legati a doppio mandato al possibile vaccino.

Insomma siamo sempre la solita vecchia calciocrazia che non riesce a comprendere i nervi tesi di un Paese che continua a essere sotto stress e che ha bisogno di messaggi concordanti e che non provochino isterismi. Non è solo una questione sportiva: è una questione di uguaglianza di paura di fronte a una malattia che magicamente sparisce in certi settori in nome del fatturato. Siamo sicuri che sia un buon messaggio, davvero? Siamo sicuri che questa nuova piega di sfidarsi sull’interpretazione delle regole sia salutare per compattare il Paese verso una rinnovata attenzione verso il virus?

Questa è la domanda.

Buon lunedì.

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De Girolamo e il consociativismo

de-girolamo-interna-640Si parla di consociativismo quando:

Il consociativismo è una forma di governo che garantisce una rappresentanza ai diversi gruppi che compongono un paese profondamente diviso. Viene spesso adottato per gestire i conflitti che sorgono in comunità nazionali profondamente divise per ragioni storiche, etniche o religiose.

I suoi obiettivi sono: garantire la stabilità del governo, assicurare la sopravvivenza degli accordi di divisione del potere e la sopravvivenza della democrazia, evitare l’uso della violenza politica. Quando il consociativismo viene organizzato secondo le diverse confessioni religiose che convivono in un determinato paese, è noto anche come confessionalismo. Un esempio di governo in cui sia stato applicato il confessionalismo è offerto dal Libano.

È spesso visto come un sinonimo dell’espressione ‘condivisione del potere’ (power-sharing), sebbene da un punto di vista tecnico sia solo una delle forme attraverso cui può realizzarsi la condivisione del potere.[1]

Qui, invece, in Italia il consociativismo è il modell0 sullo stile di Nunzia De Girolamo che decide di aprire le “larghe intese” per coinvolgere persone di diversa stirpe e appartenenza politica con interessi comuni: solidali tra sodali. Come un clan. E questi ancora non capiscono che è finir l’epoca dei reati ma oggi infastidisce di più un atteggiamento non “consono” umanamente e politicamente, prima che per la legge. Così anche oggi lo chiudiamo con questa brutta pagina:

30 luglio 2012, ore 19 e 15. Inizia la riunione a casa del padre di Nunzia De Girolamo. Dura 116 minuti. Ad un certo punto il ‘direttorio’ affronta il problema dell’ubicazione degli uffici Asl ad Airola.
Nunzia De Girolamo: “Sai cos’è? Che Tanga (?) vuole un compenso… Dove dovremmo metterlo? A Sant’Agata che Valentino (il sindaco, ndr) è uno stronzo? Cioè, nemmeno è venuto da me”.

Michele Rossi (manager Asl Benevento): “Ma aspetta, attenzione, perché noi questo… Valentino è diverso, Nunzia. A Valentino noi non gli stiamo facendo un piacere”.

Felice Pisapia (direttore amministrativo Asl): “Mh”.

Rossi: “A Valentino stiamo creando un po’ di problemi che lui intelligentemente ha incassato”.

De Girolamo: “Ah”.

Rossi: “Nel senso che noi gli stiamo spostando delle attività da…”.

Pisapia: “Dal centro città alla periferia”.

Rossi: “Dal centro città nell’ospedale”

(…)

Rossi: “Quindi lui ha incassato questa cosa…”.

De Girolamo: “Ma lui però non ha… Non avrà piacere che lo mettiamo ad Airola”.

(…)

Più avanti si parla di una struttura a Puglianello
Luigi Barone (collaboratore di Nunzia De Girolamo): “…fatto a Puglianello, il coso… Puglianello era centrale, eh!”.

Gelsomino Ventucci (direttore sanitario Asl): “No ma quello quando…”.

Barone: “…il sindaco era Tonino Bartone, non perché era centrale…”.

Ventucci: “Sì, volere è potere, politicamente si può…”.

Barone: “Allora dico (inc.) a me se i nostri sindaci non hanno interesse, si fa ad Airola e si può fare anche a Forchia!”.

De Girolamo: “No, Forchia no!”.

Barone: “No, voglio dire…”.

De Girolamo: “Preferisco poi darlo ad uno del Pd che ci vado a chiedere 100 voti…”.

Infine si parla dell’ospedale religioso Fatebenefratelli
De Girolamo: “Miché, scusami, al Fatebenefratelli facciamogli capire che un minimo di comando ce l’abbiamo. Altrimenti mi creano “coppetielli” con questa storia. Mandagli i controlli e vaffanculo”.

Pisapia: “Sempre colpa tua è!”.

(…)

De Girolamo: “Così si impara Carrozza (direttore amministrativo Fatebenefratelli, ndr)! E che cazzo! Va da Michele, Michele è sempre disponibile, viene da me…”.

Rossi: “Quelle lettere che lui mi chiese gliele ho fatte tutte e due”.

(…)

Pisapia: “Se Fra’ Pietro gli dà l’ok, Carrozza, anche se non è d’accordo, lo fa”.

(…)

De Girolamo: “E perciò, se tu gli crei un problema di controllo, devi vedere come diventano tirchi! Devi vedere Fra’ Pietro come dice a Carrozza: Accelera”!

Pisapia: “Eh, credo”.

De Girolamo: “E fagli il 700!”.

L’amianto sulle macerie: L’Aquila muore ancora

[scritto per Il Fatto Quotidiano]

Oggi il mio spazio lo voglio lasciare a Samanta Di Persio. Samanta è scrittrice e curiosa come dovrebbero essere tutti gli scrittori e attenta da sempre a L’Aquila e la sua (presunta) ricostruzione. Oggi Samanta scrive di ricostruzione e di amianto:

Il terremoto, l’incuria dell’uomo a L’Aquila hanno provocato 309 vittime. Quella notte decine di palazzi si sono sbriciolati su loro stessi, tanti sono rimasti lesionati. La maggior parte dei quartieri periferici sono stati costruiti intorno agli anni ‘70/80 e in questo periodo venivano utilizzati manufatti in amianto. Il pericolo sorge quando c’è  aerodispersione perché può comportare un rischio cancerogeno e la dispersione di fibre in aria può verificarsi in caso di degrado e/o in caso di disturbo dei manufatti contenenti amianto. Con queste premesse in Italia, paese sismico, dovrebbe esserci una manutenzione, o meglio una bonifica, di tutti quei fabbricati pericolosi per la salute dell’uomo. Ma, qualora venga fatto, non è sufficiente mettere in sicurezza, confinare i materiali contenenti amianto o bonificare gli edifici rimuovendoli, occorre anche smaltire correttamente i rifiuti prodotti. A L’Aquila da mesi si demoliscono palazzi con evidenti parti in amianto: comignoli, tettoie, tubi ecc., e non viene effettuata nessuna bonifica, infatti dalle foto è possibile vedere come fra le macerie vi siano manufatti di amianto. Casale Monferrato ci insegna che l’amianto uccide dopo anni rispetto alla sua inalazione, che anche chi non aveva mai lavorato all’Eternit si è ammalato di mesotelioma pleurico perché un trenino, contenente amianto, dalla stazione raggiungeva lo stabilimento attraversando il centro di Casale. L’Aquila e tutti i paesi del cratere, dove si stanno facendo demolizioni o si dovranno fare, sono a rischio amianto. Ci potrebbe essere una soluzione? Esiste un documento elaborato nel 2011 da Laura Palmas e Sabrina Romano (dell’istituto ENEA), validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro nella seduta del 30 maggio 2012, sul  tema della pianificazione della manutenzione dei manufatti contenenti amianto (MCA). In questo documento è prevista la figura del responsabile per il controllo e la manutenzione dei MCA che deve:

  • monitorare lo stato di conservazione dei MCA;
  • autorizzare espressamente eventuali interventi sui MCA onde evitare i rischi derivanti dal disturbo dei materiali suddetti: gli esiti delle indagini di monitoraggio devono essere trasmessi agli occupanti degli edifici interessati al problema, agli addetti alle manutenzioni, ad eventuali appaltatori esterni, e devono essere definiti specifici permessi di lavoro.
  • Nel caso che sia accertata la presenza di amianto, il proprietario dell’immobile e/o il responsabile dell’attività dovrà:
  • designare una figura responsabile con compiti di controllo e coordinamento di tutte le attività manutentive che possono interessare i MCA;
  • tenere unidonea documentazione da cui risulti l’ubicazione e lo stato di conservazione dei manufatti contenenti amianto;
  • porre idonei segnali di avvertenza sulle installazioni soggette a frequenti interventi manutentivi (caldaie, tubazioni, tramezzi) allo scopo di evitare che l’amianto venga inavvertitamente disturbato e quindi disperso in aria;
  • garantire il rispetto di efficaci misure di sicurezza durante le attività di pulizia, gli interventi manutentivi e in occasione di qualsiasi evento che possa causare un disturbo dei materiali di amianto;
  • predisporre una specifica procedura di autorizzazione per le attività di manutenzione: tutti gli interventi effettuati dovrà essere tenuta una documentazione verificabile;
  • fornire una corretta informazione agli occupanti dell’edificio sulla presenza di amianto nello stabile, sui rischi potenziali e sui comportamenti da adottare;
  • provvedere, nel caso siano in opera materiali friabili, a far ispezionare l’edificio almeno una volta all’anno (da personale esperto in grado di valutare le condizioni dei materiali), redigendo un dettagliato rapporto corredato di documentazione fotografica; copia del rapporto dovrà essere trasmessa alla ASL competente la quale può prescrivere di effettuare un monitoraggio ambientale periodico delle fibre aerodisperse all’interno dell’edificio.

Le regole esistono e sono molto ben definite, la domanda per il sindaco (pneumologo), per la Asl, per tutti gli organi preposti al monitoraggio dell’amianto, è: “Abbiamo perso una città e tanti concittadini, perché si continua a perseverare nell’errore di essere superficiali di fronte alla salute, la vita?”

Emergenza: stiamo perdendo la sanità pubblica

Una delle tante mail che mi arrivano quotidianamente sulla sanità lombarda. Questa volta da Brescia. Forse vale più di cento comizi. Se non “ripubblicizziamo” la Lombardia questa volta non ce lo potremo perdonare:

La politica di Formigoni, circa il destino della sanità pubblica è stata reazionaria, fin dalla sua comparsa alla guida della nostra regione.
Ho iniziato a lavorare in qualità di psicologa clinica nel 1978; era l’incipit della nascita dei consultori familiari. Ho visto la loro evoluzione, con la partecipazione della popolazione, i comitati di gestione ecc. A Brescia negli anni 80 si contavano 9 consultori familiari, uno per circoscrizione, nel tempo si sono ridotti a 5, per poi arrivare ai giorni nostri a tre. Tra pochi giorni si chiuderà l’ennesimo consultorio e gli unici due consultori pubblici a confronto con ben 4/5 consultori privati accreditati dalla regione. Nella provincia la situazione è ancora più grave. Spesso i servizi privati accreditati sono di tipo confessionale, dietro i quali vigila la compagnia delle opere.
La qualità dei servizi erogati non sono comparabili al servizio pubblico, è naturale che il privato curi il propio interesse economico e spesso a scapito della qualità delle perstazioni, i dipendenti assunti, sono malpagati e spesso assunti con modalità di alto precariato.
Se poi il risparmio non è evidente come sembra, ma a voi il compito di verificare qualità , flussi informativi e costi., Che senso ha la politica della sanità privata? A me risulta che abbiamo guadagnato in scarsa qualità di servizio,  sfruttamento del personale e poi non tutte le prestazioni sono erogate dai consultori accreditati di tipo confessionale, es per l’i.v.g., non dovremmo garantire la laicità dei servizi?
Una nota la richiede i prossimi tagli previsti, il 20% della dirigenza ed il 10% del comparto e le relative strutture di coordinamento..ma nessuno è andato a vedere che il numero piu elevato di strutture anche nella sanità sono state attribuite ai dirigenti amministrativi?
A livello nazionale , le strutture prettamente sanitarie sono circa il 9%, mentre le strutture degli amministrativi , che da sempre fanno da padroni sono di circa il 45%.  La lombardia rientra nello standard nazionale. La dirigenza degli amministrativi detiene il potere della conoscenza legislativa e burocratica, e spesso abusa di questo, ed il confronto con le strutture apicali ne è la prova. L’esempio dello storno dei fondi degli psicologi sui loro stipendi per molti anni, è esaustivo. Da molti anni, nonostante i ricorsi partiti in tutta italia, sono pochi i colleghi che hanno avuto sentenze positive. In lombardia questo ricorso langue da molti anni tra le maglie dei tribunali.
Ma la giustizia non  era uguale per tutti,? purtroppo invece è volubile a seconda di giudici collusi con il potere locale.
Siamo in un clima di controlli..ma non ci vuole molto a monitorare le carriere nella asl e nelle A.O., basterebbe verificare la percentuale di tessere di un paio di partiti…oppure tutto è cosi casuale? Solo i più meritevoli appartenmgono a determinati partiti?
La gente non conosce ciò che sta avvenendo. Troppi anni di mal governo sono riusciti ad annichilire, addormentare le persone. Forse adesso ci sono cenni di risveglio, ma è già troppo tardi o no? Oltre oceano, Obama ha fatto sforzi incredibili per riportare la sanità pubblica in America, prima non esisteva il diritto alla cura se non avevi carte di credito adeguate!
Lo sappiamo tutti che la sanità pubblica e la scuola pubblica sono la garanzia di uno stato democratico.

Quel pasticciaccio brutto di Expo e i suoi appalti

da Affaritaliani

BOTTA…/ “Apprendo da un’intervista di oggi che Giuseppe Sala, a.d. di Expo 2015, “consiglia” di non rendere pubblici i nomi delle ditte subappaltatrici dei cantieri Expo, appellandosi a nebulose questioni di privacy suggerite dai suoi legali. Ritengo che l’affermazione di Sala sia grave, strumentale e irresponsabile e contraddica la tanto sventurata linea di trasparenza e controllo. Le notizie sulle ditte subappaltatrici pubblicate anche sul mio blog (https://www.giuliocavalli.net/2012/05/21/il-primo-appalto-di-expo-2015-e-quello-strano-odore/), sono dati che mi rifiuto di delegare ad organismi di controllo senza una partecipazione reale dei cittadini, dei comitati e del mondo dell’informazione. Mi auguro che Roberto Formigoni e il dimissionario Giuliano Pisapia smentiscano questa linea con forza, senza diventare complici di una segretezza che non può sicuramente fare bene alla democrazia e invito Sala ad illustrarci secondo quale norma quei subappalti non vadano raccontati”. Lo dichiara il consigliere di Sel Giulio Cavalli.

…E RISPOSTA/ “Le parole del consigliere regionale di Sel, Giulio Cavalli non corrispondono al vero. Come prevede la legge, l’elenco delle ditte appaltatrici e subappaltatrici è esposto all’ingresso del cantiere di Expo Milano 2015. E’ spiacevole che il consigliere faccia allusioni a atteggiamenti poco trasparenti. Per averne conferma basta ascoltare la risposta dell’AD Giuseppe Sala alla giornalista de Ilfattoquotidiano.it. Le parole di Sala, il tono e, soprattutto, il senso generale delle affermazioni, sono chiaramente orientate nella direzione della totale disponibilità ed apertura al dialogo. Questa è la linea di Expo 2015 e tale resterà per tutti i prossimi anni”. E’ quanto si legge in una nota diramata dalla stessa società Expo.

…E CONTROREPLICA/ Ecco la dichiarazione di Cavalli: “In riferimento alla risposta di Expo Milano 2015 invito a riascoltare le parole di Giuseppe Sala che dice “noi siamo per la tutela della privacy delle aziende subappaltatrici perché lo dice la legge”, senza nessun senso generale delle affermazioni, come dice il comunicato della società Expo. Mi dica Sala (e non la società Expo Milano 2015) se si riconosce nel senso di quelle parole, cosa può dirmi delle notizie apparse e perché siamo stati così sfortunati da trovare un cartello all’ingresso di un cantiere, che non cita le ditte subappaltatrici.

Sala, inoltre, parla di consigli arrivati dai suoi legali e, in qualità di consigliere regionale, esigo di sapere le norme alle quali fanno riferimento. La reazione isterica (e palesemente falsa) contro di me ha l’odore di un imbarazzo.

Ma non è finita qui, perché Cavalli allega alla sua replica anche un post del suo sito pubblicato il 12 maggio:

(i post segnalati sono qui e qui)

A Brescia scompaiono i documenti (insieme all’ambiente)

Lo racconta il bravissimo Andrea Tornago. E verrebbe da chiedersi se sia normale un rapporto talmente malato e oscuro tra la politica e l’ambiente. Non solo quando uno dei due comincia a tremare.

La magistratura sta indagando sul responsabile del Settore Ambiente del Comune di Brescia, dopo il sequestro del nuovo svincolo di via Rose, sulla tangenziale Ovest. Secondo la Procura di Brescia le ditte che lavoravano per conto del Comune hanno movimentato terra fortemente inquinata dalle diossine senza adottare alcuna precauzione a difesa dei lavoratori e della popolazione. Il dirigente comunale, Angelantonio Capretti, è indagato per omissione d’atti d’ufficio, insieme ai dirigenti delle aziende che hanno svolto i lavori, Antonio Taini della ditta “Basileus” e Angelo Galeazzi della “Atig” Srl, accusati di traffico e discarica abusiva di rifiuti pericolosi. Il pm Silvia Bonardi ha disposto il sequestro della documentazione agli atti degli uffici tecnici, da cui risulterebbero evidenti responsabilità dell’amministrazione comunale: nella convenzione stipulata con la ditta “Basileus” non verrebbe mai citata la presenza dei pericolosi inquinanti nel terreno e i 3 milioni di euro previsti per l’opera non prevederebbero gli oneri di bonifica, stimati in altri 2 milioni di euro. Eppure l’area dal 2002 è inserita nel Sito Inquinato di Interesse Nazionale “Caffaro”. Ed è proprio il Comune a reiterare da dieci anni un’ordinanza che vieta qualsiasi movimentazione dei terreni. Nel mirino della Procura anche i dirigenti di Arpa e Asl, che dall’inizio dei lavori non avrebbero effettuato alcun controllo. A carico del Comune anche il mistero sulla scomparsa di un documento, destinato al Ministero dell’Ambiente, che sarebbe invece rimasto insabbiato negli uffici del settore Ecologia. Lo stesso ufficio comunale da cui dovevano dipendere i controlli sulle scorie radioattive all’ex cava Piccinelli, sull’omissione dei quali la Procura ha aperto un fascicolo. (Radio Popolare, Metroregione, 31-05-2012)