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barack obama

Ora non dite che sono solo quattro patrioti sballati

Si innamorano dei piromani e poi si stupiscono degli incendi. Il mondo guarda stralunato ciò che accade negli Usa, mentre si spazzano via le ultime briciole di Trump, e sembra risvegliarsi da un sonno profondo, come se non avesse avuto le occasioni per pesarne le gesta, per annusarne la violenza insita in ogni sua dichiarazione e come se avesse dimenticato la natura eversiva, fin dall’inizio della sua presidenza.

Uno stupore che stupisce e che dice molto di tutti quelli che, per anni, hanno attutito la natura criminale di una presidenza che ha basato il proprio consenso su una montagna di bugie, sul disegno continuo di complotti inesistenti, sull’identificazione perenne di qualche nemico da abbattere e non da sconfiggere.

Ora qualcuno perfino prova a derubricare il tutto a una bravata di qualche sballato patriota che ingenuamente crede di difendere il proprio Paese ma, come dice giustamente Biden, delle persone che occupano abusivamente i luoghi della democrazia non rappresentano “una protesta” ma sono tecnicamente “un’insurrezione”.

La fine ingloriosa della presidenza Trump e il giorno nero della democrazia americana sono il naturale risultato di una gestione della politica che occupa il potere mica con l’obbiettivo di governare ma con l’illusione di essere gli unici detentori della verità e con la pretesa di essere la garanzia di democrazia.

L’incendio è scoccato ieri ma ha le radici impantanate nella nascita del movimento dei Birthers, i teorici della nascita africana di Barack Obama, nei deliri di QAnon, nell’evocazione dell’uso delle armi che proprio Trump fece contro i manifestanti di Black Lives Matter (ci rimise il posto Mark Esper, segretario alla Difesa che si rifiutò di usare l’esercito), nelle parole stesse che Trump ha usato ieri con quel “we love you” lanciato agli eversori che occupavano il Congresso.

Stupirsi della violenza sulla coda della presidenza Trump, che in questi anni ha leccato tutte le frange naziste ed estremiste degli angoli più oscuri d’America, significa cadere ancora una volta nel cronico errore di non capire che la violenza delle parole genera inevitabilmente la violenza nelle azioni.

Significa non comprendere che minare le basi di una democrazia vuol dire inevitabilmente delegittimarla e offrirla in pasto a chiunque la voglia usare come arma contro il proprio avversario politico. Non è un problema solo americano: nel momento in cui l’egoismo diventa una fede ognuno si sente Stato con le proprie regole, in guerra con gli Stati che vede negli altri.

Leggi anche:
1. Il giorno più buio dell’America (di Giulio Gambino)
2. Il golpe di Trump (di Luca Telese)
2. La democrazia Usa cancellata per qualche ora, ma il vero sconfitto è Trump (di Giampiero Gramaglia)

Tutte le notizie sulle elezioni Usa 2020

L’articolo proviene da TPI.it qui

Se questo è un Nobel. Per la pace.

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(il mio buongiorno di questa mattina per Left)

Solo nella giornata di ieri ha dato prima una pacca sulla spalla alla Turchia dicendo che “è nelle cose” sparare ad un aereo che vola dove non potrebbe, in una versione aumentata (e internazionale) del nostro pensionato di Vaprio d’Adda. Sempre ieri ha invitato il Presidente Putin (che è il reietto mondiale con la riabilitazione più veloce del West) ad unirsi con la sua Russia all’allegro bombardamento di Francia e Stati Uniti contro lo Stato Islamico. O forse sarebbe stato meglio dire “sopra” lo Stato Islamico.

Chissà cosa hanno pensato ieri i saggi che hanno assegnato al Presidente Usa Barack Obama il premio Nobel per la pace nel 2009 «per i suoi sforzi straordinari volti a rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli», mentre faceva la parte del fratello maggiore della spaurito Hollande parlando di “distruzione”, invitando la Russia ad “avere un rapporto costruttivo partecipando alle azioni di guerra” e indossando la faccia da generale cattivo.

Perché il capolavoro del “fare la guerra per costruire la pace” ha trovato in Obama l’interprete migliore per la sua rispettabilità, la sua postura placida e questa sua capacità di fare sembrare ogni azione militare come inevitabile. “Non c’è altra soluzione che la violenza”: sembra bisbigliarci all’orecchio mamma America e gli Stati Europei si accucciano nel suo ventre, felici della protezione. “Non c’è alternativa” è il nuovo must di questo secolo dove tutti gli sforzi internazionali tendono a costruire “motivazioni di guerra” per spazzare il prima possibile la pace dal campo delle possibilità.

(continua qui)

 

Campagne

L’impegno e i numeri della vittoria di Obama:

“Tra l’aprile 2011 e il novembre 2012 avete creato la più grande “grassroots campaign” della storia per rieleggere il Presidente Obama. Ecco uno spaccato di ciò che ha significato nelle communità sparse per il paese:

  • 813 uffici sul territorio
  • 10,000 team di quartiere
  • 2.2 milioni di volontari

Ma non si tratta solo di uffici e volontari, bensì anche di quel che avete ottenuto:

  • 1,793,881 elettori registrati
  • più di 150 milioni di chiamate fatte e porte cui avete bussato
  • più di 25 milioni di chiamate fatte e porte cui avete bussato solo negli ultimi quattro giorniSe il Presidente ha vinto il 6 novembre è stato grazie a voi.”

Le nostre differenze ci uniscono.

Le nostre differenze ci uniscono. Tu e io abbiamo l’enorme fortuna di vivere in un paese dove si nasce uguali qualunque sia il nostro aspetto, ovunque siamo cresciuti o chiunque siano i nostri genitori. Una buona regola è trattare gli altri nel modo in cui speri che loro trattino te. Ricorda ai tuoi compagni di scuola questa regola se ti dicono qualcosa che ferisce i tuoi sentimenti.

Obama risponde così (risponde, davvero) ad una bambina americana di 10 anni. Il G2 epistolare dei diritti (senza palazzi, rinfreschi e lobby) lo riporta Il Post qui.

Condividilove

Negli stessi giorni in cui dall’America echeggiava il messaggio “Legalize Love” ispirato dalle parole del presidente Barack Obama, in Italia i maggiori rappresentanti di un partito che dovrebbe dirsi “progressista” etichettavano come estremista e illusoria la sola possibilità che nel nostro paese due persone dello stesso sesso vengano mai unite in matrimonio. Mai.

È ispirandosi a questi fatti che alcuni liberi cittadini di ogni orientamento sessuale hanno deciso di mettersi insieme per una causa che dovrebbe appartenere a tutti, al di là di ogni differenza.

“CONDIVIDILOVE” è un progetto totalmente libero, il cui marchio è a disposizione per ogni iniziativa che voglia portare avanti la rivendicazione di pari diritti per le coppie di ogni orientamento sessuale.

Perché in un paese come l’Italia non possiamo aspettarci che siano i leader politici a chiedere al loro popolo il coraggio di supportare i cambiamenti necessari a sanare le diseguaglianze ancora presenti nella legislazione. Pensiamo non solo a premier socialisti come Zapatero o Hollande, ma persino a un conservatore come il premier britannico Cameron che proprio in questi giorni ha dichiarato: “il matrimonio mi appassiona molto e penso che se funziona per gli eterosessuali come me, dovrebbe funzionare per tutti; per questo dovremmo avere i matrimoni gay e per questo li introdurremo.”

In un paese come l’Italia il cambiamento non ha alcun illustre testimonial. Deve quindi partire dal basso, con tutti i mezzi di cui dispone. Il primo, mai come oggi, è la condivisione.

Il matrimonio è un diritto di tutti. CONDIVIDILOVE.

Noi domani ne parliamo in Regione Lombardia.