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beni confiscati

Se è lo Stato a farsi confiscare un bene confiscato alla mafia

Riccardo Lo Verso racconta su Live Sicilia la storia dell’agrumeto che fu di Michele Greco, il “Papa” di Cosa Nostra, e di come sia stato “scippato” allo Stato:

«La prossima settimana presenterà una denuncia alla Procura della Repubblica. Romolo Resga non molla, ma neppure si illude. Sa bene che il suo progetto, bruscamente interrotto, rischia di naufragare.

Nell’immobile di Ciaculli ha investito soldi, tempo e passione. Solo che il 6 dicembre due famiglie di abusivi, probabilmente originarie del rione Brancaccio, hanno forzato l’ingresso e occupato la struttura di via Funnuta. Tra gli alberi di mandarini, il tardivo di Ciaculli, otto anni fa era nato il progetto Mandarinarte. Un bene confiscato ai mafiosi era diventato uno spazio di utilità sociale, dove si producevano marmellate, dolci e liquori, e si coltivava la memoria grazie anche a un finanziamento di 340 mila euro ricevuto dalla “Fondazione con il Sud”. Mandarinarte organizzava giornate di incontri per spiegare, soprattutto ai ragazzi delle scuole, che esiste una possibilità di riscatto in terra di mafia.

Resga, che è anche presidente dell’associazione Acunamatata, è originario di Pavia. A Palermo, però, dove ha trovato lavoro e famiglia, ha trascorso metà dei suoi 62 anni. Di Mandarinarte parla al passato. Ormai da un mese non c’è più traccia delle attività di un tempo: “È stata bruciata persino la cartellonistica e la segnaletica”. Gli abusivi hanno azzerato il progetto alla radice. Quel luogo adesso è casa loro: “Il 6 dicembre sono arrivate due famiglie. Una con tre bambini e l’altra con una donna incinta. Alle dieci di sera hanno sfondato le porte del piano superiore, dove facevamo attività con le scuole in collaborazione con l’associazione Solidaria e si sono autodenunciate”. Hanno composto il 112 per fare sapere ai carabinieri che da lì non se ne sarebbero andati. Poi, sono pure arrivate altre persone.

Resga ha scritto al Comune e alla Prefettura. Non ha ricevuto alcuna risposta: “Peccato perché si faceva antimafia vera, senza chiacchiere”. Non sembra il tipo che fa suonare inutili campanelli di allarme. Qualche domanda, però, se l’è posta. “Quello che è accaduto è strano, strano davvero”, dice Resga. Racconta del buon rapporto con la gente di Ciaculli. Mandarinarte accoglieva gli anziani, ospitava la celebrazione delle messe e, perché no, momenti si svago. Una grigliata può valere mille volte di più di noiosi discorsi. Mai ricevuto minacce o intimidazioni. L’unico episodio da segnalare è stato il furto dei cavi di rame. Che può accadere, anzi accade in mille altri posti della città.»

Continua qui.

 

Il dibattito sui beni confiscati alle mafie (senza peli sulla lingua)

Lo apre Francesco Forgione con un pezzo che vuole essere anche un provocazione proponendo la lettura di dati tutt’altro che confortanti:

“Si tratta di un’immensa ricchezza spesso abbandonata a se stessa: milioni assorbiti dal Fondo unico per la giustizia senza alcuna ricaduta sull’uso e la destinazione dei beni; comuni strangolati dal patto di stabilità impossibilitati a sostenere qualsiasi progetto di riutilizzo o di promozione sociale; istituzioni prima servili verso i mafiosi e di colpo solerti nell’ostacolare le attività economiche sottratte alle mafie; le banche controparti ostruzionistiche delle amministrazioni giudiziarie.”

[…]

“Eppure la redistribuzione della ricchezza accumulata illegalmente è il solo banco di prova per dimostrare la convenienza della legalità. Soprattutto per la gestione delle aziende, con l’affermarsi di un lavoro pulito e redditizio anche in attività nate in un circuito economico-finanziario condizionato dal riciclaggio di capitali mafiosi.
E’ questa la sfida da vincere senza ideologismi e fondamentalismi, ponendo anche fine al tabù della vendita dei beni senza il timore che gli appelli di Saviano e Camilleri blocchino ogni discussione. Pena, il subire l’onta infamante di voler riconsegnare i beni ai mafiosi.
Ci sono beni inutilizzabili. Perché non rivenderli? Ci sono immobili fatiscenti e antieconomici per qualunque progetto di recupero; che farne? E che fare di centinaia  di auto, camion, barche di lusso? Ci sono aziende rette su base famigliare, ma appena la “famiglia” viene esclusa dalla gestione (tutta in nero e alimentata da soldi riciclati) non possono sopportare i “costi” legali dei contratti di lavoro e delle forniture esterne al circuito di distribuzione precedente. Si tratta di decine di negozi, ristoranti, alberghi, piccole aziende.
Bisogna essere onesti intellettualmente e discuterne. Lo devono fare anche le associazioni che su questi temi hanno rapporti privilegiati con prefetture e Agenzia. Il silenzio è solo ipocrisia, oppure serve al mantenimento di posizioni lobbistiche funzionali ad orientare progetti, destinazione e assegnazione dei beni.”

E forse varrebbe la pena aprirlo, questo dibattito.

Una ciclofficina a casa del boss

Perché è importante ricordarsi che mentre intorno molto marcisce ci sono piccoli artigiani della legalità che senza troppi strepiti compie piccoli capolavori. L’ultima è un’officina per biciclette lì dove prima c’era la mafia.

nuova_ciclofficina_paisiello_630«Nello stabile confiscato alla mafia di via Paisiello 5 nasce la “Ciclofficina Zona Loreto”: qui, grazie alla presenza costante di un Maestro biciclettaio, l’Associazione Gruppo volontari A.G.V.Onlus insegnerà a ragazzi provenienti dall’area del disagio, in special modo dal carcere del Beccaria, l’arte della riparazione delle biciclette. I ragazzi saranno monitorati da operatori del Comune durante tutto il loro percorso di reinserimento nella società.

“È molto positivo che un bene tolto alla mafia diventi uno strumento per sostenere percorsi di legalità e progetti utili per il futuro dei giovani milanesi – dichiarano gli assessori Marco Granelli(Sicurezza e Coesione sociale) e Pierfrancesco Maran (Mobilità) e Pierfrancesco Majorino (Politiche sociali) -. È importante che all’interno di questi locali sia sorta una ciclofficina, un servizio che promuove l’uso delle due ruote e della mobilità sostenibile in una città dove i ciclisti sono sempre più numerosi”.

A Milano i beni confiscati e poi riassegnati sono complessivamente 161: sono stati destinati ad associazioni del Terzo Settore e del Volontariato e utilizzati per numerose e diverse attività di sostegno alla persona e promozione della socialità: assistenza agli anziani e alle persone con disabilità, laboratori di quartiere per giovani, abitazioni per famiglie in difficoltà, negozi solidali, spazi per iniziative culturali. Nel mese di aprile si svolgerà l’edizione 2016 del Forum delle Politiche Sociali: durante questa edizione del Festival il Comune consegnerà le chiavi di tre beni, due al Centro Ambrosiano di Solidarietà (Ce A. S.) e uno alla Fondazione Padri Somaschi Onlus, che saranno destinati all’accoglienza di donne maltrattate e vittime di violenza.

Secondo l’ultimo dato pubblicato dall’Agenzia nazionale (ANBSC – 30 settembre 2015) sono 17.577 gli immobili sequestrati e 3.187 le aziende confiscate in Italia: la Lombardia è quinta con 1.266 immobili dopo Sicilia (6.916), Campania (2.582), Calabria (2.449) e Puglia (1.665); è quarta invece nella classifica delle aziende con 286 attività sequestrate e confiscate, dopo le 1.148 della Sicilia, le 529 della Campania e le 315 della Calabria.»

E quindi, il trattamento riservato al Prefetto Caruso?

marini-store-528x400A proposito di mafie, antimafia e beni confiscati vale la pena rileggere l’audizione in Commissione Antimafia dell’ex Prefetto Giuseppe Caruso, al tempo direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Caruso (era il 5 febbraio dell’anno scorso) disse che più di qualcosa non funzionava nella gestione dei beni confiscati e piuttosto che essere ascoltato s ritrovò addirittura a doversi difendere.

Ecco, mi piacerebbe sapere se qualcuno si prenderà la responsabilità politica di questo svarione che ha portato la Commissione a fare un buco nell’acqua.

Il verbale dell’audizione lo trovate qui.

La mafia dell’antimafia e i meriti di Telejato e Pino Maniaci

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A Palermo sta succedendo un bordello. Quando tra gli indagati c’è un presidente di una sezione del tribunale (in questo caso Silvana Saguto che si occupa di misure di prevenzione) significa che qualcosa di odioso sta accadendo: arricchirsi sui beni confiscati è un tradimento triplo: alla legge, all’etica e a Pio La Torre.

Eppure questa storia che riempi i giornali è stata raccontata per la prima volta da Pino Maniaci e la sua piccola Telejato. E non ho potuto non ricordarlo in questo articolo:

Eppure ricordo benissimo i sorrisini che accompagnavano le denunce di Pino Maniaci come se in fondo un giornalista così poco pettinato, così puzzolente di sigarette e fuori dall’antimafia borghese avesse una credibilità tutta da dimostrare. Non bastano le minacce, non bastano le inchieste: nel salotto buono dell’antimafia ci entri solo se hai imparato le buone maniere, le cortesie istituzionali e la moderazione. Mica per niente uno come Peppino Impastato ci avrebbe pisciato sopra all’antimafia di maniera che va forte in questi anni. E anche Pino Maniaci, certamente. Ora che l’indagine è in corso (ed è “terribilmente seria” come ci dice qualcuno dagli uffici appena perquisiti nel Tribunale di Palermo) partirà la solita litania dei contriti che piangeranno lacrime di polistirolo.

Il resto è qui.

Beni confiscati nel Lazio

“Confiscati Bene” è un progetto partecipativo per l’apertura dei dati sui beni confiscati, nato da un’idea della comunità Spaghetti Open Data e sviluppato da Dataninja.it, in collaborazione con Monithon.it e Twinbit.it.
Il gruppo di lavoro ha estratto, “ripulito” ed analizzato i dati ufficiali sparsi sul sito dell’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati (Anbsc) e in altri dataset istituzionali, raccogliendoli inunico catalogo dati raggiungibile dal portale www.confiscatibene.it liberamente scaricabile e riutilizzabile. Sul sito del progetto i dati sono navigabili su mappa open source. Lo scorso settembre i Dataninja, in collaborazione con le testate locali del gruppo Repubblica-l’Espresso, hanno coordinato un’inchiesta di datajournalism per presentare i dati sui beni confiscati in dieci Regioni italiane.

Con 645 beni confiscati censiti dall’Anbsc, il Lazio è la sesta Regione italiana per presenza di beni sottratti alla criminalità organizzata. Sale quinta nel ranking nazionale, superando Sicilia, Campania, Lombardia e Calabria, se si considera il numero di aziende confiscate, 140: oltre l’8% delle aziende italianesottratte ai boss è qui.

I dati delineano l’ampiezza del fenomeno criminale e danno un’idea, seppur lontana dalla consistenza effettiva, di quali siano gli investimenti mafiosi nella Regione, concentrati in diversi settori economici: edilizia, ciclo del cemento, appalti, ristorazione, turismo, commercio, distribuzione di prodotti ortofrutticoli, usura e compro oro.

Una presenza sistematica e capillare sul territorio: dal sud pontino nel basso Lazio, lungo il litorale tirrenico, fino all’area metropolitana della capitale e più a nord, nel Lazio settentrionale. In queste zone Cosa nostra, ‘ndrine calabresi, clan camorristici e gruppi “autoctoni” (tra cui le “rimanenze” della banda della Magliana), si spartiscono affari milionari in maniera più o meno cooperativa, a seconda della convenienza del momento. Penetrano nel tessuto economico della regione, grazie alla copertura della cosiddetta area grigia dei colletti bianchi, rimettendo in circuito nell’economia legale gli ingenti capitali accumulati dalle attività illecite, legate in primis al traffico di stupefacenti e all’usura.

I dati della Dia relativi al numero di procedimenti di confiscaconfermano la tendenza: sono 85 nel biennio 2012-2013, erano 32 nel biennio precedente (+53), un dato che fa del Lazio la quinta regione per procedimenti dopo le quattro regioni del sud, storicamente interessate dal fenomeno mafioso. A livello di distretti giudiziari, nel 2013 sono 69 i nuovi procedimenti a Roma, che sale in classifica seconda dopo Palermo (e il dato è parziale: aggiornato al 30 settembre 2013).

Il Lazio sotto assedio: i dati dell’Anbsc Provincia per Provincia

In ambito nazionale Roma è la settima provincia, con 479 beni confiscati, di cui 118 sono aziende: quasi l’85% delle imprese confiscate in Lazio è nella sola provincia capitolina. Simbolo di come la metropoli, cuore politico ed economico del Paese, sia da decenni crocevia di investimenti e interessi criminali. La maggior parte dei beni (335, il 52% del totale regionale) è concentrata a Roma, che nella classifica dei comuni italiani sale al terzo posto dopo Milano e Palermo, e nei comuni dell’hinterland, la zona dei Castelli Romani. Qui lo Stato ha sottratto immobili un tempo nella disponibilità di cosche calabresi, clan camorristici e boss della banda della Magliana.

Ad Ardea e ad Anzio sono state confiscate due lussuose ville ad Enrico Nicoletti, ex cassiere della banda della Magliana, mentre a Grottaferrata, il terzo comune dei Castelli più interessato dalle confische, dopo Monterotondo e Pomezia, i beni appartenevano per la maggior parte all’ex re delle bische clandestine, Aldo de Benedettis. Un solo bene risulta confiscato a Nettuno, il primo ed unico comune del Lazio sciolto per infiltrazioni da parte della ‘ndrangheta nel 2005. A Roma le confische più significative colpiscono ristoranti, alberghi e caffè dai nomi prestigiosi, “lavanderie” intestate a prestanome che le mafie utilizzano come copertura per ripulire ingenti capitali illeciti. È il caso del celebre Café de Paris, storico simbolo della dolce vita felliniana: il bar era controllato dalla famiglia calabrese degli Alvaro di Cosoleto. Così come il noto ristorante George’s, sempre nella disponibilità degli Alvaro, o l’antico Caffè Chigi, confiscato in via definitiva ad un’altra famiglia ‘ndranghetista. L’elenco purtroppo è sconfinato, destinato a crescere: recentissima è la confisca del Caffè Fiume, a due passi da via Vittorio Veneto, eseguita dalla Dia di Roma.

La presenza delle mafie, e della camorra in particolare, risulta più strutturata e consolidata nella zona del sud pontino: Latina, con 93 beni, è la seconda provincia laziale per beni confiscati. Gaeta e Fondi (il primo consiglio comunale “non sciolto” per mafia, nonostante il pesante condizionamento da parte della ‘ndrangheta sull’attività amministrativa fosse stato dimostrato dal processo “Damasco 2”) sono i comuni più interessati dalle confische: a Fondi c’è uno dei più grandi mercati ortofrutticoli d’Europa, centro di grandi interessi commerciali e di lucrosi affari mafiosi. Gaeta detiene un piccolo record: qui, secondo l’Anbsc, il 100% dei beni risulta destinato e consegnato. Recentemente una confisca disposta dal Tribunale di Latina ha sottratto a clan camorristici operanti tra Napoli e Latina beni per un ammontare di quasi 50 milioni di euro.

Spostandoci nel Frusinate, terza provincia laziale per beni confiscati con 67 immobili e aziende, sono le note località di Anagni e Fiuggi (la città delle terme, eletta dal boss Cutolo a rifugio per la sua latitanza), ad essere più colpite dalle confische. La provincia è terra soprattutto di riciclaggio dei proventi illeciti in mano alla camorra, derivanti in gran parte dal traffico illegale dei rifiuti. Resta Viterbo, con soli 6 beni confiscati, la Provincia meno interessata dalle confische. Questo dato, purtroppo, non è garanzia di “immunità” dalle infiltrazioni mafiose: secondo le indagini il viterbese è infatti frontiera delle ecomafie.

 

Ancora poche le destinazioni

Nel Lazio sono 264 i beni destinati e consegnati agli enti, solo il 41% del totale, a fronte di una media nazionale del 54%. Beni, tuttavia, spesso lasciati all’incuria e all’abbandono, o gestiti con finalità che appaiono lontane dal riuso a fini sociali: la destinazione, infatti, non sempre è sinonimo di riutilizzo.Una problematica che la stessa Agenzia conosce direttamente: solo recentemente, dopo anni e molte fatiche, la sezione romana dell’Agenzia è stata trasferita nella sua attuale sede, in un grande appartamento confiscato in via definitiva. L’immobile era stato occupato abusivamente da un avvocato e da un centro benessere, costringendo l’Agenzia a versare per anni quasi 295.000 euro l’anno d’affitto per la vecchia sede, di proprietà della Provincia. Una beffa tutta italiana.

(link)

I numeri sui beni confiscati

Un articolo di Danilo Rota:

Alla direzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata si sono finora succeduti quattro prefetti: Alberto Di Pace (da febbraio ad aprile 2010), Mario Morcone (da aprile 2010 a giugno 2011), Giuseppe Caruso (da giugno 2011 a giugno 2014) e Umberto Postiglione (da giugno 2014).
Eppure nessuno di loro ha redatto nei tempi stabiliti il resoconto sull’attività svolta dall’Agenzia.
Infatti, nonostante sia l’art. 3, c. 1 del decreto-legge n. 4/2010 (poi convertito dalla legge n. 50/2010), sia l’art. 112, c. 1 del decreto legislativo n. 159/2011 (Codice antimafia) impongano al Direttore di presentare la relazione ogni 6 mesi, essa ha sempre avuto cadenza annuale.
L’ultima disponibile è stata resa nota all’inizio del 2013 e si riferisce all’anno 2012 (quella per il 2013 avrebbe dovuto essere pubblicata tra il gennaio e il marzo scorsi, ma ad oggi resta un mistero).
Leggendola si scopre che al 31 dicembre 2012 i beni confiscati alle mafie in via definitiva sono 12.946: 11.238 immobili e 1.708 aziende.
Degli 11.238 immobili:
 
– il 52,14% (5.859 immobili) è stato destinato e consegnato a comuni (5.010), forze dell’ordine, vigili del fuoco e capitanerie di porto (646), ministeri (104), province e regioni (89), altri enti (10);
– il 35,55% (3.995 immobili) è in gestione: per 1.668 immobili lo stato di manutenzione è ignoto, per 873 è valutato “soddisfacente”, per 686 “mediocre”, per 664 “buono” e per 104 “inagibile”.
Inoltre:
2.819 sono gravati da una o più criticità (come ipoteche e procedure giudiziarie in corso);
1.556 hanno gravami ipotecari certi. Su 1.065 pesa un’ipoteca volontaria, su 343 un’ipoteca giudiziale, su 76 un pignoramento, su 59 un’ipoteca legale, su 13 altro;
– l’8,07% (907 immobili) è stato destinato, ma non consegnato: 377 immobili sono gravati da ipoteca;
– il 4,24% (477 immobili) è uscito dalla gestione. I motivi principali sono la revoca della confisca e le esecuzioni immobiliari.
Delle 1.708 aziende:
– il 70,90% (1.211 aziende) è in gestione (ma tante aziende non hanno dipendenti e stanno per uscire dalla gestione): per 393 imprese non è ancora stata trovata una destinazione, mentre le destinazioni disposte alle rimanenti 818 sono le seguenti:
342 liquidazione;
237 gestione sospesa;
189 chiesta la cancellazione dal registro delle imprese e/o dall’Anagrafe Tributaria;
44 vendita;
6 affitto;
– il 29,10% (497 aziende) è uscito dalla gestione perchè la confisca è stata revocata (14) e le aziende sono state:
cancellate dal registro delle imprese e dal repertorio delle notizie economiche e amministrative (285);
liquidate (153);
vendute (45).
Ma quanto tempo impiega lo Stato italiano per destinare i beni confiscati ai mafiosi?
Per saperlo, è necessario leggere la relazione annuale 2009 del Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali (Antonio Maruccia), pubblicata nel novembre 2009 (il commissario ha cessato le proprie attività con l’istituzione dell’Agenzia nazionale nel 2010).
Alla data del 30 giugno 2009:
– i tempi impiegati dallo Stato per destinare gli immobili confiscati alle mafie (totale immobili destinati: 5.407) sono i seguenti:
entro 4 mesi dalla confisca definitiva (limite previsto dalla normativa vigente): lo 0,06% degli immobili (3);
dopo 4-12 mesi: il 2,44% degli immobili (132);
dopo 1-2 anni: il 15,44% degli immobili (835);
dopo 2-5 anni: il 37,43% degli immobili (2.024);
dopo 5-10 anni: il 32% degli immobili (1.730);
dopo oltre 10 anni: il 12,63% degli immobili (683).
Tempi medi per la destinazione: 5 anni e mezzo (5,55);
– i tempi da cui è attesa la destinazione degli immobili confiscati alle mafie (totale immobili ancora da destinare: 3.213) sono i seguenti:
0-4 mesi: lo 0,62% degli immobili (20);
4-12 mesi: il 3,52% degli immobili (113);
1-2 anni: il 18,30% degli immobili (588);
2-5 anni: il 24,31% degli immobili (781);
5-10 anni: il 40,68% degli immobili (1.307);
oltre 10 anni: il 12,57% degli immobili (404).
Tempi medi di attesa: poco più di 6 anni (6,22).
– i tempi impiegati dallo Stato per destinare le aziende dopo la confisca definitiva (totale aziende confiscate in via definitiva alle mafie e poi destinate: 642) sono i seguenti:
entro 4 mesi: l’1,75% delle aziende (17);
dopo 4-12 mesi: il 5,57% delle aziende (54);
dopo 1-2 anni: il 15,69% delle aziende (152);
dopo 2-5 anni: il 20,64% delle aziende (200);
dopo 5-10 anni: il 15,38% delle aziende (149);
dopo oltre 10 anni: il 7,22% delle aziende (70).
Tempi medi per giungere alla destinazione delle aziende destinate dopo la confisca definitiva: 4 anni e mezzo (4,58).
– i tempi da cui è attesa la destinazione delle aziende confiscate alle mafie (totale aziende ancora da destinare: 216) sono i seguenti:
0-4 mesi: lo 0,93% delle aziende (2);
da 4-12 mesi: il 10,19% delle aziende (22);
da 1-2 anni: il 31,48% delle aziende (68);
da 2-5 anni: il 33,33% delle aziende (72);
da 5-10 anni: il 13,89% delle aziende (30);
da oltre 10 anni: il 10,19% delle aziende (22).
Tempi medi di attesa: quasi 4 anni (3,78).
Chissà perchè da 5 anni a questa parte i dati statistici sui tempi non sono più rendicontati e resi noti dall’Agenzia nazionale…

Come abbiamo visto, secondo il rapporto dell’Agenzia per l’anno 2012, la stragrande maggioranza degli immobili confiscati, destinati e consegnati passa dalla proprietà statale a quella comunale (l’85,51%).

Ma i comuni come utilizzano questi beni?
Dobbiamo nuovamente ricorrere alle informazioni contenute nella relazione del 2009 presentata dal Commissario straordinario.
Sono stati interpellati tutti i 480 comuni assegnatari dei 3.796 immobili complessivamente consegnati dallo Stato centrale. Il 75,42% dei comuni (ovvero 362) ha risposto, per un corrispettivo di 3.141 immobili. Tutte le amministrazioni comunali interpellate dell’Italia settentrionale e centrale, della Basilicata e della Sardegna hanno fornito una risposta, mentre per il Sud Italia continentale (Campania, Calabria, Puglia e la stessa Basilicata) lo ha fatto il 72,86% dei comuni interpellati (145 su 199). Inquietante il dato siciliano: solo il 42,86% dei comuni interpellati ha voluto rispondere (48 su 112).
Dei 3.141 immobili consegnati ai comuni e di cui sono pervenute informazioni tra l’aprile e il novembre del 2009, soltanto il 47,41% viene utilizzato (1.489 immobili). I comuni del Nord utilizzano il 62,80% di tutti gli immobili a loro consegnati (319 su 508), quelli del Centro il 53,17% (109 immobili su 205), quelli del Sud continentale – ovvero Campania, Calabria, Puglia e Basilicata – il 35,29% (512 immobili su 1.451), infine quelli siciliani il 55,95% (522 immobili su 933). La regione più virtuosa è la Basilicata, dove sono stati utilizzati tutti gli immobili (7 su 7), mentre quella più inefficiente sono le Marche, dove non viene utilizzato neppure l’unico immobile consegnato.
Perchè 1.652 immobili confiscati ai mafiosi sono stati consegnati ai comuni e questi ultimi non li hanno utilizzati (secondo le informazioni pervenute tra l’aprile e il novembre del 2009)?
Il 29,24% degli immobili (483) non viene utilizzato perchè le procedure per l’utilizzo sono state avviate, ma non concluse;
il 18,40% degli immobili (304) perchè mancano le risorse finanziarie;
il 14,83% degli immobili (245) perchè sono in attesa dei finanziamenti;
il 5,99% degli immobili (99) perchè si tratta di beni inagibili;
il 2,78% degli immobili (46) perchè si tratta di beni in quota indivisa;
l’1,94% degli immobili (32) perchè si tratta di beni occupati dal prevenuto e/o dai suoi familiari;
l’1,88% degli immobili (31) perchè si tratta di beni occupati da terzi senza titolo;
l’1,69% degli immobili (28) perchè si tratta di beni occupati da terzi con titolo;
lo 0,73% degli immobili (12) perchè si tratta di beni gravati da procedura giudiziaria in corso;
lo 0,30% degli immobili (5) perchè si tratta di beni gravati da ipoteca;
il 22,22% degli immobili (367) perchè sussistono altri motivi.

In un’intervista del 27 dicembre 2012 rilasciata al giornalista Attilio Bolzoni per “la Repubblica”, don Luigi Ciotti – fondatore e presidente di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” – ha affermato:

“Dentro lo Stato ci sono stati anche uomini che si sono spesi e a volte anche strutture che hanno funzionato. Sono mancati gli strumenti giusti, è mancata in generale un’aggressione mirata alla questione dei beni confiscati. E poi ci sono state reti di complicità, ci sono stati ritardi, ci sono stati silenzi. E qualcuno che doveva metterci la testa su queste cose, la testa non ce l’ha messa. Per questo oggi è giusto dire che è una situazione che grida vendetta”.

D’altra parte, come giustamente ha ricordato Saverio Lodato, l’immagine dello Stato italiano contrapposto alle mafie è una “favoletta (…) che per un secolo e mezzo è stata propinata agli italiani come una dolciastra melassa”. In realtà “sono sempre esistiti, in Italia, lo Stato-Mafia e la Mafia-Stato. E mai, come in questo momento, le due entità sono diventate simbiotiche”(editoriale intitolato “40 anni di Stato-Mafia e Mafia-Stato”, pubblicato sul numero 71 – il primo del 2014 – della rivista “ANTIMAFIA Duemila”, uscito nel luglio scorso).

Mafia al chilo

Insomma, sul tema mafia questo governo sta lasciando spazio ad Angelino Alfano che rincorre la veste di “antimafioso d’etichetta” come già successe per Maroni. E ancora una volta il nostro Ministro dell’Interno ci rassicura dicendo che dovrebbero bastarci i settanta latitanti arrestati e un “impegno al fianco dei magistrati in prima linea”. Sulla trattativa “Stato-mafia” ovviamente non esce una parola che sia una, sull’autoriciclaggio nemmeno e sul dibattito che sta infiammando la questione dei beni confiscati ancora una volta si avanza l’ipotesi di venderli ai privati. Ma Angelino ci ricorda che “possono essere confiscati una seconda volta”. Ha detto proprio così, eh.

Le paranoie di Pietro

Io proverei a buttare un occhio alle paranoie di Pietro Orsatti. Molto spesso le paranoie si rivelano infondate ma prese con il giusto dosaggio sono un buon esercizio di guardiania:

La risposta di Renzi arriva nel giorno in cui si tiene a Roma la conferenza nazionale sui beni confiscati di Libera. Roma, che sappiamo essere in un mare di guai sul piano finanziario e come molti fanno finta di dimenticarsi aggredita da decenni dal sistema politico-finanziario-mafioso e con tatto di guerra (con tanto di morti ammazzati) in corso da qualche anno per il riassetto degli equilibri criminali in città. Roma, guidata da un sindaco che ha alzato la voce contro il segretario del Pd e premier sul decreto “salva Roma” e che ha dovuto subire, per riuscire a trovare una via per non precipitare nel default, una ricetta amara, anzi amarissima, di dismissioni e di “commissariamenti di fatto” che toglieranno alla città e ai cittadini il pur minimo controllo sulle scelte del loro patrimonio e in particolare della liquidazione dei beni confiscati alle mafie (un terzo proprio nella capitale).

Partendo dal fatto che io non credo alle coincidenze, questo elenco di fatti mi lascia come minimo perplesso. Come le richieste del Pd (e non del governo) a Marino che sembrano un dictat di fonadamentalisti delle liberalizzazioni (senza privatizzazioni) dei beni comuni. Lo potete leggere qui .
Sono io che sto diventando paranoico o questa sembra una ben orchestrata operazione di marketing (politica e economica) e la liquidazione della parte relativa nella legge La Torre al riuso sociale dei beni sottratti alle organizzazioni mafiose? Sono io che sono paranoico o il punto relativo a “i manager” della letterina del premier prevede la liquidazione del controllo pubblico sulle scelte amministrative della città? Sono io paranoico o, per come è formulato, il tanto sbandierato provvedimento sull’autoriclaggio è completa, totale fuffa? E ancora, sono io paranoico o la linea del Pd che vuole imporre a Marino la cessione di quote del trasporto pubblico a FS (che hanno di fatto liquidato il sistema di trasporto pubblico su ferro nel nostro paese puntando solo all’alta velocità) e alla francese Ratp è la svendita di una società già provata da parentopoli e sprechi e affari loschi negli ultimi anni? Sono io paranoico quando mi torna in mente che uno dei patrimoni immobiliari (aree dismesse) nella capitale sono proprio in mano all’Atac?