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Centrosinistra

Occupare la sinistra. Nel centrosinistra. A parte gli isterismi.

Confesso che un po’ mi viene da ridere. Perché leggere i soloni che scrivono le analisi politiche pregustando il piacere di predire i fatti mi procurano sempre un certa tenerezza. Ne ho già conosciuti parecchi ma ogni volta che ne incrocio uno mi ristupisco di nuovo. Non riesco a farci l’abitudine. L’ovvietà mi annienta ogni volta, per dire.

Oggi ci avevano dichiarato che la foto di Vasto si sarebbe sostituita con la foto di Vendola abbracciato all’UDC. Grande tumulto in rete (giustamente, ci mancherebbe). Poi ci hanno detto che Vendola scaricava l’IDV (che poi sarebbe da capire quale IDV: quello di Di Pietro o quello di Donadi che oggi sono antitetici o quello di Luigi De Magistris che è una penisola attaccata con un ponte di corda?).

Poi succede che c’è la conferenza stampa e Nichi (e il direttivo nazionale di SEL) dicano (semplifico, eh): Il centrosinistra da oggi c’è. L’alleanza tra PD e SEL c’è. Caro Di Pietro non si può essere solo parte destruens, dobbiamo costruire sulle macerie. Non sopporto veti incrociati, meglio discutere di questioni concrete. Superamento del liberismo sfrenato e diritti civili e sociali devono essere al centro di un’agenda politica di alternativa alle destre. Amo coalizioni larga verso movimenti sociali. Difficile essere alleato di Rocco Buttiglione, ma mai metterò veto. Valuteremo nel merito dell’agenda del cambiamento. Sulla legge elettorale ho detto a Bersani almeno di far rispettare il milione di firme che chiedevano il mattarellum. Il referendum sull’art18 non é ammissibile. Per me quel contenuto va nel programma di governo, non è oggetto di propaganda. Ci sono punti chiari: lotta al liberismo, cancellazione legge 30, stop a legge Bossi-Fini, diritti civili e di libertà.

Ecco, a parte gli isterismi, io ci vedo un bel po’ del programma che cerchiamo di costruire. Anche qui in Lombardia.

Però vorrei fare un appunto sulle reazioni. Rubare ancora qualche minuto. Hanno fatto bene i compagni di partito a preoccuparsi e farlo sentire: le incompatibilità sono i limiti definiti della propria identità. E vanno rivendicati.

Ma mi stupisce la reazione di gente che stimo del PD (penso a Pippo e all’ala “sinistra” dei democratici che si sono lasciati andare a giudizi un po’ affrettati e sono saliti in poppa per urlare allarmati uddicì uddicì). Lavoriamo per occupare la sinistra del centrosinistra ognuno per cambiare il proprio partito e costruire un futuro di diritti e uguaglianza. Ma senza rivendicazioni adolescenziali (che poi dovrebbero essere il peccato veniale che proprio i democratici rinfacciano a Di Pietro, per dire, e viene un po’ da ridere), perché come scrive Chiara qui da noi in Lombardia la tentazione del bacio con la lingua con l’UDC non è un nostro vizio. E poi, a dirla tutta, basta vedere chi governa oggi, in Parlamento. E giocare al gioco delle vergini lascia sempre il tempo che trova. Ed è pericoloso.

Ah, un’ultima cosa. Vendola è candidato alle primarie del centrosinistra. Quelle che facevano schifo perché nessuno parlava di sinistra. E quelle dove tutti cercano di palleggiare a centrocampo per farsi notare dal Mister che stilerà le liste elettorali.

Per occupare la sinistra nel centrosinistra. Come ci siamo promessi di fare.

Un appello per il centrosinistra pavese

Lo sottoscrivono Claudio, Francesco e Manila di Non Mi Fermo. E vale molto di più che per Pavia:

I cittadini pavesi, così come i loro (i nostri) figli, meritano un’altra città: onesta, trasparente, solidale. E per farlo hanno il diritto (e il dovere) di alzare la testa, provare a contarsi e confrontarsi in modo diverso, non schematico, possibilmente unendosi anziché dividersi. Le risorse ci sono. L’associazionismo laico, l’attivismo civico senza bandiera, i movimenti d’opposizione; insomma, tutti coloro che umilmente e ostinatamente ogni giorno resistono e combattono, fra le altre cose, per città dal respiro europeo, fondata sul lavoro e la conoscenza, non sul cemento.

Tuttavia, proprio perché abbiamo a cuore il futuro di Pavia – la città di Volta e Foscolo, non quella di Abelli e Filippi – riteniamo che sia sbagliato prescindere e dunque escludere a priori chi, per gli stessi valori, si sta battendo anche all’interno del Partito Democratico.

Ci riferiamo a chi, per esempio, ha faticosamente cercato di (ri)unire il disarticolato mondo del centrosinistra creando un tavolo di confronto comunque significativo verso la costruzione di un’alternativa sia all’attuale governo cittadino sia alle disastrose precedenti esperienze targate proprio PD.

Così come abbiamo chiesto in tutte le sedi di dare spazio, voce e dignità ai movimenti della cosiddetta sinistra radicale e alle liste civiche che rappresentano una risorsa importante nella guerra contro la criminalità e il degrado intellettuale, chiediamo a questi di non cadere nell’errore dell’autosufficienza e di proseguire un dialogo con tutti. Non chiediamo subalternità né compromessi (ne abbiamo visti troppi): più semplicemente, nell’interesse di una battaglia – rigorosamente “a carte scoperte” – che vogliamo vincere.

Lo trovate qui.

Il centrosinistra a forma di cicuta

Nichi Vendola in un’intervista di oggi (almeno per chiarire le idee su quello che si diceva poco fa, eh):

Per cambiare il Paese, deve aspirare a guidarlo, Presidente. Il centrosinistra sta scaldando i motori per scegliere il candidato alla premiership: Lei che fa?
A me pare che ci sia qualcuno che sta scaldando i motori, ma non so se sia il centrosinistra a scaldare i motori, perchè il punto è che io non so se esiste il centrosinistra. Questo è il tema per me fondamentale. Vedo Bersani che sta scaldando i motori soprattutto con l’apparato del suo partito, Renzi sta facendo lo stesso in particolare con un pezzo di istituzioni e con un un pezzo di borghesia capitalista. Ma non vedo il centrosinistra in campo.

E quando lo vedremo il centrosinistra in campo?
Quando verrà definito quale è il suo minimo comune denominatore. Perchè noi possiamo avere differenze importanti su tante questioni e nelle primarie ci si gioca su questo una partita. Però un conto è se uno dice unioni civili e l’altro matrimoni gay, ma diventa difficile pensare di competere con chi propone i cimiteri per i feti. Ci sono delle questioni preliminari che vanno affrontare e sta al Pd, che è il partito più grande, dare qualche risposta. E fino ad ora le risposte, che consentono di capire quale è il percorso e quali sono gli alleati, sono sfuggenti e contraddittorie.

Non è che Lei sta prefigurando una situazione in cui il minimo comune denominatore non si troverà e quindi, Sel, pezzi di Fiom e movimentismo faranno una autonoma corsa alla sinistra del Pd?
Guardi, io voglio dire che nulla è scontato. Le cose bisogna costruirle e quando parliamo di centrosinistra evochiamo soggetti che oggi non esistono. Il centrosinistra è quell’alleanza politico elettorale che si è presentata alle ultime elezioni amministrative? O ha una diversa configurazione? Di che coalizione stiamo parlando? Parliamo di una coalizione che ha il segno culturale del governo Monti? O parliamo di una coalizione che ha il segno culturale di un’alternativa radicale al liberismo?

Vista come è andata in passato, credo che da una discussione di questo tenore non ne uscirete vivi
Però, vede, si tratta di domande importanti. Io sono ammirato da alcune elaborazioni che leggo su L’Unità e che provengono dal Pd, dove ci sono menti autorevoli e raffinatissime, che indicano la plutocrazia come il soggetto promotore di crisi; il problema è che le conseguenze politiche che si traggono in Parlamento vanno veramente da un’altra parte. Insomma, io non vorrei sottoscrivere un programma in cui c’è una parte filosofica tutta da condividere ed una parte politica che è cicuta da bere.

Sarebbe un peccato

Oreste Pivetta scrive sull’Unità quello che proviamo a dire da un po’:

L’ultima parola potrebbe toccare ai magistrati. Sarebbe un peccato. Se c’è un sistema politico in declino, sarebbe meglio che cadesse di fronte ai progetti dell’opposizione e di una volontà pubblica di novità. Ma la regione non è questione «popolare» e la debolezza presente, il vuoto di idee, l’opportunismo tanto per sopravvivere e per non perdere il “posto” potrebbero lasciare la Lega al solito «posto», al fianco di Formigoni, lo studentello lecchese seguace di don Giussani, diventato «politico» raccomandando, strada facendo, «obbedienza, povertà e verginità», il governatore che ci lascerà l’indelebile immagine del tuffatore in bermuda dalla barca di Daccò.

Primarie “aperte”

Non so voi, ma mi hanno colpito le frasi di Bersani sul Corriere quando dice: «non andremo con un’ammucchiata». Quindi senza Di Pietro? «Se il voto fosse domani non ci sarebbe storia: lui sarebbe fuori». Invece la porta è sempre aperta per Casini: «I centristi sanno che non si può non governare con la sinistra riformista. D’altronde anche quello che sta succedendo in Europa lo dimostra: Bayrou in Francia si è spostato a sinistra. Quindi il Pd può pure vincere le elezioni, ma in ogni caso proporrò ai moderati un patto di legislatura».

Ecco, io trovo che sia una gran bella notizia che ci siano primarie aperte. Sul serio. E trovo anche che sia stato coraggioso Bersani a metterle sul tavolo. Ma sono solo io a non capire di quale coalizione si sta parlando? E, se ce ne sono diverse in campo, quali sono e chi propone cosa?

Caro centrosinistra lombardo,

Chi segue questo blog sa bene le motivazioni e le azioni. Ne abbiamo parlato prima della seduta d’Aula e nella riflessione successiva. Oggi abbiamo deciso di scrivere una lettera a tutti i consiglieri regionali del centrosinistra lombardo:

Caro amico/a,

siamo convinti che l’ultima seduta di Consiglio Regionale e i suoi risvolti politici impongano a tutti noi una seria riflessione. I tempi di presentazione della mozione di sfiducia, la gestione dell’aula, i contenuti e le sfumature che abbiamo potuto cogliere da alcuni interventi e la decisione di calendarizzare un provvedimento bipartisan nella stessa seduta hanno indubbiamente indebolito lo spessore dell’atto politico.

Noi non crediamo (e siamo certi, anche voi) che questo sia il tempo delle tiepidezze in attesa del prossimo salvifico avviso di garanzia, quanto piuttosto il tempo di rilanciare il progetto politico del centrosinistra e dei tanti cittadini che progettano, costruiscono e rivendicano un’alternativa reale a Formigoni puntando anche sul prezioso lavoro istituzionale di ognuno di noi.

Anche la campagna “Formigoni il tempo è scaduto” non può fermarsi all’affissione e ai comunicati stampa, ma meriterebbe un’energia continua e coordinata che sia quotidiana fuori dall’aula e riconoscibile dentro.

Per questo ti chiediamo di vederci per un confronto che sia schietto e definisca le sintonie.

Pensiamo ad esempio che sia necessario costruire insieme luoghi e percorsi di confronto (chiamiamoli cantieri, officine, laboratori, come volete, non siamo affezionati alle etichette) che vedano insieme confrontarsi politici e cittadini, esperienze professionali e istituzionali, saperi diversi, su tre principi questioni: lavoro e reddito; etica e trasparenza nella pubblica amministrazione; ambiente, acqua e beni comuni.

Per ripartire insieme, con vigore, a costruire la Lombardia migliore che i lombardi stanno aspettando.

Giulio Cavalli

Chiara Cremonesi

Liberisti sinistrati e smemorati

Ci sarà un motivo se la difesa dei principi costituzionali che sono sulla graticola in questo momento (penso all’articolo 18, all’equità e in generale a questa mania delle liberalizzazione che appaiono l’unica soluzione possibile) è demandata a tutti i comparti sociali, politica esclusa. Capita di ascoltare Don Gallo sull’articolo 18 e ti accorgi che una tesi così fortemente di cuore e cervello erano giornoiche la stavi aspettando, ascolti Oliviero sulla torre del Binario 21 e cogli come (più della laurea) conti il dolore e la perseveranza per resistere interpretando senza remore la Costituzione. Forse sarà un problema di narrazione (se ne parla spesso, figuratevi poi dalle nostre parti) ma la lacuna che punge di più è la latitanza della memoria storica della parte che rappresentiamo. Una sorta di liberismo necessario che sembra avere contagiato anche gli innovatori politici che su questo tema arrossiscono e balbettano qualche “ma anche”. A furia di restare schiacciati nella timidezza di un anacronistico “esproprio finanziario” abbiamo finito per regalarlo e subirlo senza nemmeno un cenno di difesa o, almeno, di comprensione del momento. Perché la politica cambia con un cambiamento culturale, certo, ma la rivoluzione culturale si accende senza timidezze. Ho sempre creduto che gli anni 80 siano la chiave di volta di questo impoverimento che ha lasciato la porta aperta agli imbarbarimenti (vincenti) degli altri e oggi ho incrociato questo articolo. Che, come ogni tanto succede, è uno di quei pezzi che avresti voluto scrivere tu:

Perché la sinistra ha smarrito la lezione della Costituzione

Le debolezze e gli errori che hanno condotto la sinistra, negli anni 80, a cambiare ideologia. L’Unità, 12 febbraio 2012

In Italia la subalternità all’egemonia liberale si è tradotta
in posizioni liberiste in economia e in una cultura istituzionale tutta incentrata su governabilità e legittimazione diretta

I lunghi anni Ottanta, racchiusi tra l’offensiva craxiana per la rottura dei consolidati equilibri partitici del Paese e lo choc del crollo del Muro di Berlino, hanno segnato un punto di svolta per le strategie politiche e per la cultura delle forze che, oggi, compongono il centrosinistra (aprendo una vicenda che ha esibito tratti peculiari, in parte diversi da quelli che hanno caratterizzato altre esperienze europee dei medesimi anni).

È comprensibile che la discussione si sia concentrata soprattutto sulla questione delle strategie, che aveva un’urgenza irresistibile e reclamava decisioni immediate e operative, ma gli effetti più profondi e di più lungo periodo si sono prodotti sul terreno della cultura – o, se si preferisce, della cultura politica – delle forze che furono sottoposte al duplice stress del protagonismo craxiano e della dissoluzione degli equilibri postbellici.

Già il solidarismo cattolico-sociale sembrava cominciare a conoscere, a partire da quegli anni, una fase di ripensamento e pareva subire la spinta ad accreditare più i punti di contatto che quelli di differenziazione rispetto al liberalismo e allo stesso liberismo. Ma era soprattutto nella cultura politica comunista, che pure poteva contare su un grande patrimonio, che giacevano elementi critici che rendevano difficoltoso raccogliere la sfida delle novità: almeno a un livello intermedio, la grande tradizione culturale liberale non sempre era conosciuta appieno e chi la conosceva non sempre vi si confrontava a viso aperto, senza pregiudiziali ideologiche e senza ricorrere all’argumentum ex auctoritate (che voleva che certe tesi fossero sbagliate solo perché non avevano trovato accoglienza in qualche vulgata di facile successo).

Era fatale che questi elementi di debolezza, uniti a un’ingiustificabile spinta all’abbandono del patrimonio posseduto, a torto stimato quasi interamente “vecchio” e inutile per la comprensione del “nuovo” avanzante, generassero una grave subalternità culturale, che per un verso si traduceva nell’acritica accettazione di tutto quanto si era ignorato o avversato, e per l’altro incideva sulle stesse strategie politiche, che, prive di un robusto basamento di convincimenti teorici, subivano oscillazioni, tanto più pericolose quanto più spregiudicata si faceva l’iniziativa politica di molte forze politiche avversarie.

I segni di questa subalternità culturale sono stati e in qualche caso sono ancora evidenti, e basta ricordarne alcuni. Sul piano della cultura istituzionale, ad esempio, si è a lungo dimenticata la complessità strutturale e funzionale delle democrazie rappresentative, concentrando l’attenzione sulla sola questione della governabilità e della legittimazione (pretesamente) diretta degli esecutivi, trascurando la lezione impartita dalla stessa Costituzione, nella quale era stato disegnato un complesso meccanismo di produzione della decisione pubblica, che doveva muovere dai cittadini (titolari di diritti qualificabili come frammenti di vera sovranità), passare attraverso i partiti (intesi come strumenti di partecipazione e di emancipazione democratica), delinearsi nelle assemblee rappresentative (come luogo del confronto, non solo dello scontro), definirsi compiutamente in sede di governo.

Il distorto bipolarismo italiano non è frutto soltanto del caso o delle scelte del centrodestra, ma anche di un’ideologia maggioritaria che della tradizione politica liberale sembra conoscere Schumpeter, ma non Locke o Tocqueville.

Né le cose vanno diversamente sul piano della cultura economica. Anche qui sembra che si sia abbracciato Hayek senza passare per Smith o Ricardo o, men che meno, Keynes. Anche qui la lezione della Costituzione appare dimenticata. Il suo articolo 41 garantisce, certo, la libertà dell’iniziativa economica privata, ma allo stesso tempo ne subordina l’esercizio al rispetto dell’utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità umana. Quali sono, nelle posizioni dell’attuale centrosinistra, i segni che si ritiene prioritario impegnarsi per definire cosa sia oggi, in questo momento storico, l’utilità sociale? Quali i segni che non ci si accontenta di farla coincidere con il risultato della competizione retta dai meccanismi della libera concorrenza? Eppure già i classici dell’economia politica sapevano che l’interesse generale non è la sommatoria di quelli individuali e nemmeno il risultato automatico del loro libero confronto. L’utilità sociale dovrebbe essere definita politicamente, ma chi ne è ancora consapevole?

Le parole hanno spesso una grande forza evocativa e quando si parla di concorrenza “libera” o di “liberalizzazioni” si ha l’impressione che un giogo sia stato rimosso, che l’arroganza del potere sia stata battuta. Ma non è sempre così.

Certe scelte economiche e normative implicano significative conseguenze sociali, che andrebbero considerate. Acquistare una maglietta a qualsiasi ora del giorno e della notte, certo, è una bella comodità. Ed è anche un bel vantaggio pagarla meno del solito, se si può comprarla in un grande esercizio commerciale che ha forti economie di scala. Ma tutto questo ha un costo. In termini di alterazione degli stili di vita, di deterioramento dei processi di socializzazione, di lacerazione della trama del tessuto produttivo, di riduzione delle reali opportunità di scelta, di incisione nelle garanzie effettive e concrete (quelle che contano davvero) dei lavoratori.

La retorica della sovranità dei consumatori è penetrata a fondo nella cultura del centrosinistra e ha fatto grandi guasti. Quella del consumatore è per definizione una figura apolitica o tutt’al più prepolitica. È al cittadino, al soggetto politico, che spetta la sovranità.

Anche questo è un insegnamento della Costituzione. E le forze politiche che, giustamente, continuano a difenderla hanno un dovere di coerenza, perché la Costituzione non è solo una bandiera da agitare per evitare il peggio o per evocare le ragioni unificanti della comunità politica, ma è anche e soprattutto un grande progetto di trasformazione sociale, di emancipazione della persona umana, di conciliazione delle ragioni della libertà con quelle dell’eguaglianza.

Credo che di questo si debba tornare a discutere.

Senza essere cattivo, il partito arancione di Majorino

Pierfrancesco Majorino (assessore al Comune di Milano, PD) in un’intervista di oggi dice che gli ultimi interventi della capogruppo dei democratici in Consiglio comunale Carmela Rozza sulle coppie di fatto (che non ritiene urgenti per non urtare la sensibilità dei cattolici) e sui professionisti dell’antimafia (per attaccare nemmeno troppo velatamente Nando Dalla Chiesa) sono state abbastanza sfortunate. Carmela Rozza è la stessa che vede bene a Milano una via Craxi. Majorino conclude dicendo: non c’è nessuna ragione perché il Pd, Pisapia e le persone che fanno riferimento a Pisapia facciano parte di due famiglie politiche, o di percorsi politici diversi. Io questo continuo a pensarlo: Giuliano Pisapia può rappresentare il Pd di domani. E penso questo anche di Nichi Vendola. Perché stare in case separate? per le tante Carmela Rozza in giro per l’Italia. Ad esempio.

Osare per una Lombardia migliore

Lo dice a chiare lettere Giuliano Pisapia nella sua intervista a Repubblica: «Mi sembra evidente che il modello Milano, quello che si è realizzato con la mia elezione, non può rimanere confinato alla città. L’ipotesi di elezioni in Regione, che sembrava molto vicina fino a qualche settimana fa, forse ora si allontana, ma il centrosinistra, sia a livello nazionale che locale, deve già mettersi in moto per essere pronto al momento giusto». E questo 2012 è l’anno in cui bisogna assumersi il coraggio di osare. Forse quello di avere coraggio è l’augurio migliore che ci possiamo fare tutti per provare ad essere credibili (in questo momento ancora di più) e soprattutto diversi.

Avere il coraggio di non uniformarsi ai compromessi quotidiani e regolari che spesso il palazzo (quello nuovo, quello vecchio e il mausoleo formigoniano) cercano di insegnarti come necessari. Anzi, il compromesso come segno di “intelligenza politica” obbligatoria per godere di stima universale (tra le stanze della politica, ovviamente) e ottenere credito politico tra colleghi per una mezza vicepresidenza di commissione. Avere il coraggio di accettare l’isolamento per i temi su cui non ci si permette sconti: una soddisfazione di etica che “fuori”, tra la gente, viene capita molto più di quello che presumono i politichesi politicanti della moderazione forsennata sempre in campo per salvarsi. Avere il coraggio di dire forte e chiaro che una Lombardia migliore già c’è e non sta per forza tra i banchi dell’opposizione: é in mezzo alle strade, nelle fabbriche, nelle piccole e medie imprese, nell’operosissimo mondo del terzo settore, nella resistenza continua della propria missione pubblica nelle scuole che cadono a pezzi, negli studenti che hanno in testa le architravi per il proprio futuro e nessun tavolo in cui poterselo giocare, nelle centinaia di comitati  e associazioni che difendono il proprio territorio come proprietà dei propri figli, nella meritocrazia che perde sempre contro la lingua a terra o l’amicizia giusta, dove si cura per stare meglio insieme e non per coltivare malattie fatturabili, negli ideali che ci sono anche se continuano a finire nei cassetti dei piccoli ras di partito, nei toni di bianco o nero senza compromessi sui punti fondamentali.

La partita regionale (perché Formigoni sta seduto su una sedia che non vede l’ora di lasciare nonostante il terrore negli occhi dei consiglieri di destra e di sinistra) è la nostra partita. Di quelli che non ci hanno mai creduto che Pisapia, Zedda, De Magistris siano un’onda ancorata ai partiti (come vorrebbero farci credere) e tantomeno ai diversamente democratici che sono stati bravi a rivendersela: è un’onda di politica pratica fatta di problemi reali, risposte chiare, sì o no e promesse da mantenere. Perché sarebbe stata l’occasione giusta per avere il coraggio (che ci auguro a tutti per il 2012) di raccontare le “mediazioni” che invece sono finite sotto il silenzio di polverosi uffici stampa e ogni tanto puzzano di compromessi. Perché la Lombardia migliore non sta nello strapotere di Comunione e Liberazione ma nemmeno nei “sistemi” presunti dell’altra parte politica. Il coraggio di affermare con forza (e con strappi, se servono) che la politica è possibile senza essere la cameriera della cementificazione o della gestione sociosanitaria o delle prebende agli amici. Il coraggio di riconoscere ai partiti il dovere di essere sintesi dei bisogni smettendola  però di volerli aizzare o ammaestrare per convergere sulle proprie esigenze interne.

Il coraggio di volere a cuore pieno una Lombardia con grandi infrastrutture sociali di lavoro e solidarietà, accogliente con i propri cittadini e severa nel rispetto delle regole, mai disposta ad una recessione morale per salvare le speculazioni e lontana dai figli spuri di sistemi falliti e rinviati a giudizio.

La partita lombarda è una partita arancione da cui non possiamo sottrarci. I partiti facciano i civilissimi guardiani del vento senza penose bulimie.

Per questo la Lombardia migliore non può permettersi di non accendersi attraverso le primarie.

(foto “La giostra nera” di Sergio Codogno)

Il centrosinistra inadeguato che ama Monti

Prendi Monti e taci di Alessandro Gilioli

Onestamente, non credo che i vertici del centrosinistra abbiano poi tutti questi titoli per storcere il naso di fronte alla manovrona di Monti.

Voglio dire, ce l’avrebbero (eccome) se almeno a partire dallo scorso agosto – quando la pentola è esplosa – ci avessero proposto limpidamente una ricetta economica fortemente alternativa non solo ai pasticci ubriachi con cui B. e la sua banda Bassotti hanno incasinato tutto fino a soccomberne, ma anche agli ukaze ultrà del neocapitalismo mondiale.

Se ci avessero detto ad esempio con quali strumenti provare ad azzannare alle caviglie gli speculatori, a ingabbiare gli evasori e a far piangere i grandi privilegiati – ma magari anche quale modello complessivo di società proporre ai cittadini dopo il fallimento a livello globale del greedy capitalism e a livello locale di quel mix di promesse per tutti e cricca per pochi in cui si è risolto il berlusconismo

Invece, niente: un po’ per paura di scontentare qualcuno, un po’ per timore di polemiche interne, ma soprattutto perché dal tempo delle ideologie assolute si è rapidamente passati alla pura gestione del presente, senza incrociare il rischio di migliorare un po’ il mondo.

Quindi, beccarsi Monti e tacere.

Almeno finché non si riesce a esprimere una proposta chiara di futuro (e pure di programma, di coalizione, di leader).

Insomma, almeno finchė non si diventa capaci di fare il proprio mestiere.