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Claudio Fava

Sicilia, Fava a TPI: “Musumeci fa lo scaricabarile. Ma sui migranti il governo ha paura di decidere”

Nello Musumeci insiste. Il governatore della Sicilia non ha intenzione di fermarsi sulla sua ordinanza che chiede lo sgombero degli hotspot dell’isola e risponde al no del governo parlando di responsabilità sanitarie. Si finirà probabilmente con un ricorso al tribunale amministrativo ma intanto la provocazione ha preso piede tra i sostenitori di destra e corre sul web. TPI ha intervistato Claudio Fava, deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Fava, il governatore Musumeci insiste. Come legge questa ultima uscita sullo svuotamento degli hotspot e la chiusura ai nuovi arrivi?
È già un pezzo di campagna elettorale, perché ha riannodato i fili di una coalizione piuttosto frammentata e lasca e naturalmente ha ottenuto le benedizioni della destra alla quale Musumeci continua a rivolgersi. Manifesta la sua indole, la sua cultura politica: è un autoritario, convinto che la migliore forma di governo sia quella di affidare al podestà le chiavi della vita dei cittadini. Anche se si affida ai poteri di tutela della salute lui sa perfettamente che intervenire sui porti, sulle prefetture, sugli hotspot è competenza esclusiva del governo nazionale, segnatamente del Ministero dell’Interno. Ma è un modo per rimettere al centro una parola che sia una calamita e che ha bisogno di nemici facili, l’immigrato portatore di contagi.

Quindi è tutta campagna elettorale…
L’altra ragione è che c’è un fallimento complessivo su tutta la politica di investimento del post-Covid, le risorse promesse per il settore del turismo non sono mai arrivate, nemmeno un centesimo, le condizioni dell’isola sono abbastanza allo sfascio quindi un giorno ci si inventa il ponte, un giorno il tunnel, un giorno chiudiamo gli hotspot. Tutto pur di non parlare di quello che accade a casa nostra: c’è un’ordinanza di controlli per chi arriva dai Paesi considerati focolai poi però in aeroporto, nei porti e nelle stazioni i controlli sono minimi e anche in questo Musumeci dice che la responsabilità non è sua ma del Ministero dei Trasporti.
Una responsabilità che palleggia…
Su alcune cose dice “la responsabilità non è nostra”, su altre dice “la responsabilità non è nostra ma me ne occupo direttamente io”. In questo un po’ ci è un po’ ci fa.

Sembra seguire un po’ il copione di certe Regioni di centrodestra che giocano sul Covid per scontrarsi con il governo e fare parlare di sé. Non è simile all’atteggiamento della Lombardia con Fontana?
Sì. In più nel suo caso c’è una sfumatura di carattere politico, di identità politica. Gli piace fare il podestà. Dopo il Covid ha preteso e ottenuto dalla sua maggioranza il voto su un emendamento infilato in una legge che gli dà, in caso di emergenza sanitaria, pieni poteri e la possibilità di emanare delibere di giunta anche in contrasto con la legislazione vigente. Ed è una cosa abbastanza bizzarra, decidono loro a quale normativa possano derogare senza passare dal Parlamento regionale. È la sua idea di ventennio e ha utilizzato il Covid per ritrovare quei toni, quel cipiglio. Un tempo era un atteggiamento inoffensivo e invece oggi interviene su un tema vero, reale.

Esiste comunque un problema immigrazione in Sicilia?
Esistono problemi concreti nelle città che sono il punto di approdo naturale per i profughi. Non lo risolvi chiudendo, lo risolvi cercando di avere un livello di partecipazione da parte di tutte le Regioni. Anche perché non possiamo lamentarci dell’Europa che non fa la propria parte e poi in Italia lasciare che siano le Regioni di frontiera a occuparsene perché le altre non vogliono rotture di coglioni. Abbiamo un sistema geopolitico basato sul principio dell’egoismo: non a casa mia. È una questione che va affrontata da un governo che non riesce e non è riuscito a ottenere una linea di condivisione e di consapevolezza e di disciplina partecipata da tutti i presidenti di Regione. Qui tutti, in nome della salute, hanno deciso a casa loro.

Però la propaganda di Musumeci sembra funzionare: cosa dire a quelli che lo applaudono, come riuscire a parlar con loro?
Non è semplice perché se dall’altra parte hai un governo pavido che non è capace di fare un passo e di prendere una direzione risolutiva è chiaro che poi è difficile parlare solo sul piano di principio e della linea della condotta morale. Il cittadino alla fine si trova confortato da un decisionista che può anche essere incostituzionale ma che è una risposta alla preoccupazione. Come per le discoteche si registra una certa inerzia da parte di figure chiave del governo nazionale di affrontare con coraggio i problemi che si presentavano. Ora il tema sono gli immigrati e il tema ha bisogno di un tavolo di soluzione che non può essere affidato a ciascun presidente di Regione. Avere un nemico, un untore, qualcuno su cui scaricare le proprie frustrazioni in tempo di crisi conforta molti, anche chi non ha nulla a che fare con quella cultura politica. Poi magari un giorno ti svegli e ti accorgi che gli untori sono i tuoi figli che sono andati a fare un party e sono tornati asintomatici e carichi di virus.

Leggi anche: 1. Sicilia, ordinanza di Musumeci: “Entro le 24 di domani migranti fuori dall’isola”. Ma il Viminale lo blocca: “Non può farlo” / 2. Sicilia, Musumeci non molla: “Il governo vuole un campo di concentramento per migranti, vado dalla magistratura”

L’articolo proviene da TPI.it qui

La mia intervista a Claudio Fava

Claudio Fava è molte cose: giornalista, scrittore, sceneggiatore e poi politico. Da poche settimane è anche il candidato alle prossime elezioni siciliane, sostenuto da una coalizione che tiene insieme Mdp, Sinistra Italiana, Possibile e Rifondazione Comunista. La prima domanda, quindi, è inevitabile.
Caro Fava, chi te lo fa fare?
(Sorride). È una domanda più che legittima, certo. Ma la risposta è da collocare in questo tempo della mia vita. Sono infatti in una fase di commiato dall’impegno politico attivo e quando mi è arrivata questa sollecitazione ne ho colto tutto il significato e l’importanza: dimostrare che non solo esiste uno spazio di sinistra in questo Paese ma che è addirittura uno spazio fondativo di una sinistra. Dimostrare poi che tutto questo parla a un pezzo di Paese e dell’opinione pubblica anche lontano dalle nostre bandiere e che esiste ancora un voto libero, d’opinione. Dimostrare anche che la Sicilia non è irredimibile e che la rassegnazione è l’alibi dei peggiori. E vorrei dimostrare infine tutto questo mettendoci ancora una volta, anzi, l’ultima, la faccia. E non perché il mio impegno finisca qui, continuerà in altri cento modi. Ma non c’è nessuna convenienza in questa mia candidatura: c’è una forte necessità politica e morale di mettersi a disposizione. E direi che questi primi giorni ci dicono che forse non ci sbagliavamo: c’è infatti un pezzo di Sicilia che sta dimostrando di non essere qualcosa a disposizione del ceto politico pronta a farsi spostare da una casella all’altra come se fossero mandrie di buoi.
Sei d’accordo con chi dice che queste siciliane siano il preludio delle elezioni politiche nazionali? Renzi da parte sua insiste nel dire che siano un “caso a sé”.
A giudicare dal fuoco di sbarramento che abbiamo ricevuto sulla mia candidatura direi proprio di sì: se si mobilitano i più illustri editorialisti dei più illustri quotidiani accusandoci di essere minoritari e disfattisti vuol dire che la proposta politica fa paura perché apre una contraddizione all’interno del partito democratico, insomma, li mette allo specchio. Tra costruire un percorso politico insieme alla sinistra che vuole affermare discontinuità con l’esperienza Crocetta (tra l’altro cosa che il Pd da cinque anni chiede a se stesso) loro hanno preferito avere altre alleanze.

(continua in edicola su Left)

«De Luca parla come un camorrista»

“De Luca parla come un camorrista: credo che il suo partito si sarebbe dovuto interrogare tempo fa sulle discutibili qualità umane e gli eccessi verbali di questo personaggio”: lo dice in un’intervista pubblicata su Il Dubbio Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia e attento osservatore dei linguaggi e dei modi mafiosi. E aggiunge: «sarebbe pericoloso derubricare il tutto come semplice ironia».

E nelle osservazioni di Fava ci sta tutta l’indignazione che manca e che oggi risulta sempre più fuorviata: ci si inalbera per un tweet di un anonimo commentatore (la vicenda di Beatrice Di Maio che doveva essere Spectre e invece è la moglie di Brunetta la dice lunga) e si lascia passare il comportamento lessicalmente paramafioso di un presidente di regione. Anzi, peggio, lo si premia poco dopo con una furbata (ne ho scritto qui) che lo rimette in sella per il controllo della sanità nella sua regione.

De Luca è quello che intercettato disse “a quello gli scipperei la testa”, è quello che elogia le clientele, lo stesso che disse della Bindi “infame” e “da uccidere”. Chi difende De Luca (o ne sminuisce le colpe culturali) è in concorso esterno al favoreggiamento culturale alla mafia. Piaccia o non piaccia. E va detto, va scritto, dappertutto.

E intanto Sinistra Italiana si aggroviglia ancora sul PD

Bastava raccogliere i segnali giunti d Roma in occasione dell’allarme (poi rientrato) per l’esclusione delle liste elettorali di Fassina per sapere che lo scontro interno sarebbe stato solo rimandato e infatti oggi, a urne chiuse, le due anime di Sinistra Italiana interrompono la tregua e si scontrano in vista dei ballottaggi. Da una parte chi continua ad essere attratto dall’irrefrenabile voglia di apparentarsi con il PD al secondo turno (con chi,  vedi Milano, aveva già deciso di “rompere” scegliendo fin dall’inizio Giuseppe Sala) e dall’altra la linea di Fassina D’Atorre e Fratoianni che continua a ripetere “mai con il PD”.

(il mio editoriale per Fanpage continua qui)

I pennacchi di Pino (di Claudio Fava)

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Lo scritto di Claudio Fava su Pino Maniaci in una giornata che è una fitta al cuore per molti:

Quando qualcuno gli ha impiccato i cani, ho preso un aereo e sono andato a Partinico per dargli solidarietà, conforto, amicizia. Adesso leggo, come voi, che Pino Maniaci avrebbe usato tutto questo (le amicizie, le solidarietà, gli attestati di stima) per gonfiarsi come un tacchino. Dei cento euro forse pretesi da un sindaco se ne occuperanno i giudici per dirci se fu estorsione, bravata o solo minchioneria. Ma di ciò che ci riferiscono le intercettazioni, la risposta non la voglio dai giudici ma da Maniaci. Non chiacchiere su complotti e vendette mafiose: risposte!
Voglio che dica – a me e agli altri che in questi anni hanno messo la loro faccia accanto alla sua – se quelle trascrizioni sono manipolate o se è vero che all’amica del cuore raccontava “a me mi hanno invitato dall’altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del cazzo di eroe dei nostri tempi”. Uno di quei premi del cazzo era intitolato a Mario Francese, giornalista palermitano ammazzato dalla mafia. Glielo consegnarono sei anni fa. Ci dica Maniaci che è tutto falso, intercettazioni, verbali, parole sue e degli altri: tutto! Oppure quel premio lo restituisca subito. Tra tutti i miserabili pennacchi che l’antimafia può mettersi sul cappello, la morte di un giornalista è il più osceno.
Quando ai Siciliani ci ammazzarono il direttore non arrivarono scorte della polizia né premi né visite di cortesia né telefonate dei presidenti del consiglio. Ma andammo avanti lo stesso, imparando a fare ogni mese (e per molti anni) un altro buco nella cintura. E quando a Catania un procuratore corrotto (quello sì!) fece mettere sotto controllo i nostri telefoni, se ne tornò dai suoi padrini mafiosi con le corna basse: perché nelle telefonate dei giornalisti dei Siciliani (ragazzi, non veterani di guerraà) c’era solo il rigore delle parole, la limpidezza dei comportamenti, il senso profondo del mestiere che facevamo.
“Quello che non hai capito tu è la potenza di Pino Maniaci! Ormai tutti e dico tutti si cacano se li sputtano in televisione si fa come dico io e basta, decido io, non loro, loro devono fare quello che dico io, se no se ne vanno a casa!”. Che c’entra, non dico l’antimafia, ma il giornalismo con questo sproloquio? Nulla c’entra! Per cui Maniaci spieghi: non i supposti complotti contro di lui ma la ridicola vanità di queste sue parole. Spieghi, oppure scompaia dalle nostre vite per sempre.
A noi resta il torto di una nostra colpevole ingenuità: esserci fidati in buona fede dei fumi d’incenso. Che con la lotta alle mafie non c’entrano mai nulla.

(fonte)

Claudio Fava (eh beh, un gufo): «Adesso chi vota gli impresentabili si assuma le sue responsabilità»

claudio_fava2«Vogliono denunciare Rosi Bindi per diffamazione? Allora possono denunciare anche me». Claudio Fava, deputato del gruppo misto e vicepresidente della commissione Antimafia difende l’operazione “impresentabili”. «La responsabilità politica è collettiva – spiega – di tutto l’ufficio di presidenza». Nessuna forzatura: i nomi dei 17 candidati, compreso Vincenzo De Luca, sono il frutto di un accurato lavoro di ricerca. Le polemiche di queste ore e il presunto regolamento di conti all’interno del Partito democratico? «Evidentemente Renzi ha problemi a gestire le avventate dichiarazioni dei giorni scorsi, e così preferisce mandare avanti i suoi pretoriani».

Fava, qualcuno adesso accusa la presidente Bindi di aver fatto tutto da sola. 
La decisione di approvare il codice di autoregolamentazione è stata assunta lo scorso settembre da tutti i partiti, con un voto all’unanimità. Circa un mese fa ho personalmente chiesto e ottenuto di effettuare uno screening sui candidati alle elezioni. L’ufficio di presidenza della commissione Antimafia si è assunto la responsabilità di procedere.

Eppure alcuni parlamentari raccontano che la presidente avrebbe mostrato i nomi alla commissione solo pochi minuti prima della conferenza stampa di oggi. Impedendo qualsiasi valutazione. 
Ma guardi che la lista di nomi la presidente non l’aveva mica nascosta nella borsetta. Quella lista è il frutto di diverse verifiche fatte dalle procure e dalla Dna anche grazie al lavoro dei nostri funzionari. Quell’elenco non prevede dibattiti né interventi discrezionali da parte della commissione.

(l’articolo completo è qui)

(PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)

La mafia dell’antimafia e Naomi Klein: #LEFT di questa settimana

Left_Cover_N10_21Mar2015«LA MIA RICETTA
ANTI CRISI»

Parla Naomi Klein: «Prendere sul serio il climate change per nuove opportunità».
di Nicola Grigion

CHE FINE HA FATTO OCCUPY?
Zuccotti park e il movimento del 99%.
di Claudia Vago

ALLA FIERA DELL’IPOCRISIA
Benvenuti a Expo 2015 tra multinazionali pro biologico e opere incompiute.
di Tiziana Barillà e Raffaele Lupoli

il voto di maggio
CHE CASINO LE REGIONALI
La renzizzazione spacca tutto: centrodestra e centrosinistra.
di Luca Sappino

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE
Non solo Italicum. Si litiga anche su Toscanellum e Umbricellum.
di Donatella Coccoli

antimafia
LA VERSIONE DI MANIACI
L’anima di Telejato tra denunce e minacce.
di Giulio Cavalli

NOMI E COGNOMI CONTRO I CLAN
Viaggio nell’Italia dell’altra antimafia.
di Ilaria Giupponi

LO STATO DENUNCI
Intervista a Claudio Fava: «Basta deleghe».
di Ilaria Giupponi

grecia
MA QUANDO PAGANO I TEDESCHI?
Dal debito di guerra della Germania nazista alla controstoria del default.
di Andrea Ventura e Davide Vittori

migranti
L’ALTRA FACCIA DEL NORD EUROPA
Le politiche ultrarestrittive in Olanda e Regno Unito. I rifugiati protestano.
di Massimiliano Sfregola e Giacomo Zandonini

conflitti
COSÌ SI UCCIDE LA SIRIA
Bilancio impietoso di quattro anni di guerra.
di Umberto De Giovannangeli

televisione
DOTTRINA A RETI UNIFICATE
Il rapporto di Critica liberale sulla pervasività dei cattolici in tv.
di Simona Maggiorelli

musica
MASCALZONE LABRONICO
Bobo Rondelli e il suo nuovo disco.
di Tiziana Barillà

scienza
LA GUERRA DEI NEURONI
Il progetto europeo di ricerca sul cervello va rivisto.
di Pietro Greco

editoria
LO SPORT È CULTURA
Libri e campioni per l’impegno civile.
di Simone Schiavetti

La parole (chiare) di Claudio Fava sul caso Manca

attilio-manca1Non usa mezzi termini Claudio Fava dopo la convocazione a Palazzo San Macuto dei magistrati di Viterbo titolari dell’inchiesta sulla morte dell’urologo Attilio Manca: il vicepresidente dell’Antimafia parla di “sciatterie giudiziarie”, di “superficialità”, e di “pregiudizi negativi” nei confronti della vittima, ma non vuole immaginare complotti, almeno ufficialmente, “per evitare di allontanarci dalla verità”. Stiamo ai fatti, dice Fava. “Ci sono due certezze: la prima è che questa inchiesta è stata fatta male, la seconda è che a Barcellona Pozzo di Gotto (città di origine di Attilio Manca, ndr.) qualcuno mente”.

Qual è l’impressione finale dopo aver ascoltato i magistrati?

“Non è una magnifica impressione. Questa inchiesta è stata gestita con eccessiva sufficienza. Non è un caso che buona parte delle attività istruttorie siano state ripetute, o siano state fatte per la prima volta soltanto su sollecitazione del Gip. Mi è sembrato (e questa la cosa più preoccupante) che ci fosse un pregiudizio negativo addirittura nei confronti della vittima, nel senso che non si riescono ad immaginare ipotesi diverse dalla morte accidentale per overdose. Di fronte ad ogni evidenza, l’atteggiamento di questi magistrati è stato quello di spazzare via il beneficio del dubbio con sufficienza, come per dire: era un tossicodipendente occasionale, ma no, forse era un consumatore frequente, il naso si è fracassato cadendo sul letto, probabilmente perché è stato in posizione supina per molte ore, insomma molte cose di fronte alle quali chiunque si sarebbe fermato un attimo a ragionare”.

Crede che dietro alla morte di Attilio Manca ci sia qualcosa di grosso?

“Attilio Manca non è morto per un’overdose accidentale. E’ un omicidio organizzato con pignola attenzione anche nei dettagli. Credo che Manca si sia trovato coinvolto, consapevolmente o inconsapevolmente, in una vicenda che ha riguardato l’operazione e le cure post operatorie prestate a Provenzano per il tumore alla prostata, e che per questa ragione sia stato ucciso”.

Non è eccessivo che i magistrati di Viterbo – durante l’audizione in Commissione antimafia – abbiano bollato Attilio Manca come un drogato, attribuendo questo termine alla madre che, cinque giorni dopo la morte del figlio, dichiarò a verbale che Attilio, negli anni del liceo, ‘’si era fatto qualche canna’’? La Polizia, invece di scrivere marijuana, scrisse “stupefacenti”, creando da quel momento l’equivoco che Attilio Manca fosse un tossico…

“In Commissione i magistrati hanno citato la deposizione della madre, che ovviamente si riferiva a un periodo studentesco in cui il ragazzo si sarà fatto qualche spinello. Però dicono pure di avere ascoltato alcuni amici d’infanzia di Barcellona, che Attilio Manca avrebbe continuato a frequentare. Secondo costoro, quando il medico scendeva in Sicilia, si ritrovava con loro anche per fare uso di eroina. Tutto questo, però, non ha avuto alcun riscontro. I colleghi laziali di Manca, sentiti sul punto, hanno smentito tutto. Peraltro è praticamente impossibile che un chirurgo possa fare uso di eroina e al tempo stesso entrare in sala operatoria con la stessa abilità di Manca”.

A proposito dei quattro ex “amici” barcellonesi che accusano Attilio Manca di essere un drogato: appartengono al contesto del circolo paramassonico “Corda fratres”, di cui fanno parte, fra gli altri, i boss Rosario Cattafi, uomo di Santapaola e dei servizi segreti deviati, e Giuseppe Gullotti, colui che recapitò a Giovanni Brusca il telecomando della strage di Capaci e che è stato ritenuto dalla Cassazione il mandante dell’assassinio del giornalista Beppe Alfano. Fra questi ex “amici” c’è anche il cugino dell’urologo, tale Ugo Manca (coinvolto in questa storia, la cui posizione è stata archiviata a Viterbo), che risulta vicino alla mafia di Barcellona e al tempo stesso intimo amico dei Colletti bianchi della città.

“In questa indagine non è stato approfondito neanche il contesto criminale di Barcellona. Che vede insieme, in un’unica filiera, Provenzano (che trascorre periodi della sua latitanza proprio in quella città) e Cattafi (che lo ospita), legato a sua volta a Ugo Manca. Non è stata considerata la possibilità di intervenire su quel tessuto di amicizie locali, pilotandole in certe direzioni”.

In che senso?

“La donna romana, considerata dai magistrati di Viterbo come la presunta fornitrice di eroina di Attilio Manca, conduce anche lei a Barcellona. C’è un rapporto dei Ros che mette insieme Provenzano, Barcellona e Cattafi, il quale, ripeto, frequentava Ugo Manca. La cosa sbalorditiva è che i magistrati di Viterbo dicono di non conoscere neanche questo rapporto. Stessa cosa della permanenza di Provenzano a Barcellona. L’unica cosa che dicono di sapere è che Provenzano non può essere stato operato da Manca perché l’intervento non sarebbe stato eseguito in laparoscopia, tecnica nella quale era specializzato Attilio. La cosa impressionante è che sono apparsi informatissimi su alcuni dettagli e particolarmente disinformati sulla dimensione criminale di Provenzano in relazione a Barcellona”.

La famiglia Manca, in tutti questi anni, neanche è stata ascoltata dai magistrati laziali.

“Trovo davvero singolare che la famiglia non sia stata ammessa neanche come parte civile al processo, così come trovo singolare che non siano stati sentiti il padre, la madre e il fratello di Attilio. Ci si è affidati a qualche interrogatorio a distanza, condotto al Commissariato di Barcellona. Penso che sia naturale, in casi del genere, per un pubblico ministero ascoltare un genitore. Non è stato fatto neanche questo”.

(fonte)

Quella sera che giocammo a Risiko (e intanto moriva Pippo Fava)

Quella sera eravamo in quattro. Noi quattro, come al solito, attorno al tavo­lo della cucina a casa della signora Roc­cuzzo. Riccardo scelse i gialli, che non vo­leva mai nessuno. Antonio e Miki rossi e neri, una vecchia sfida di colori domina­ti che non si risolveva mai. Io mi presi i ver­di, colore fesso, tiepido, di quelli che non la­sciano traccia.

Giocammo con candore e accanimen­to, come sempre, improvvi­sando allean­ze, attacchi e ripiegamenti, sacrifici, tradi­menti: tutto.

Il canovaccio prevedeva ruoli immutabi­li. Miki con la sua bella fac­cia da guappo dava la scala­ta al mon­do spostand­o armate attraverso oceani imma­ginari. Antonio, prudente come un segre­tario di sezione, puntava alla Cina, cuore immobil­e di un’Asia at­traversata da straordi­narie mito­logie, la Yacuzia, la Kamchat­ca, il Siam… Ric­cardo intanto s’ammas­sava da qualche parte e lì aspetta­va la guerra, sag­gio im­mobile, come se quell’unico territor­io pos­seduto fosse l’isola di Strom­boli, pro­tetta dal mare e dagli dei.

Di me non so, non ricordo: ap­plicavo le regole del gio­co, attaccavo, ar­retravo, pas­savo la mano. Pensavo che le guerre si vincono provando a non perder­le, facendo i ragio­nieri sulle baionette. Avevo ancora un’età onesta, mi era con­sentito non capi­re un cazzo.

Insomma la partita fu come altre cento prima di quella sera: lunga, sfacciata, rio­tosa. Nessuno vinceva, nessuno vin­se.

Non so chi, alle tre del mattino, prese il logoro cartone del risiko e lo fece sal­tare in aria mescolando definitivamente carri armati, territori, ambizioni. Per la prima volta scegliemmo di non arrivare fino in fondo: ci mandammo allegramen­te affan­culo e ce ne andammo a dormire strippati di amaro averna, sazi e giusti come chi crede di essere immortale.

Il giorno dopo ammazzarono mio pa­dre.

Dopo trent’anni, se dovessi portare con me una cartolina di quei giorni e degli anni che vennero dopo, sarebbe questa. Il tavolo della signora Roccuzzo, il cartone slabbrato del risiko, la faccia ancora im­macolata di quattro ragazzi che si stanno gio­cando l’ultima partita, prima che la vita gli precipiti addosso.

Tratto dal bellissimo libro di Claudio Fava Prima che la notte

(potete comprarlo qui)

La chiacchierona Rosy Bindi ha perso la voce su Lo Voi

Il presidente della commissione antimafia Rosi Bindi cerca di silenziare le polemiche; il suo vice, Claudio Fava, al contrario, lancia un provocatorio invito pubblico al nuovo procuratore di Palermo. La nomina di Franco Lo Voi alla guida dell’ufficio inquirente palermitano spacca per l’ennesima volta i vertici di Palazzo San Macuto. Da una parte Fava, che nel day after della nomina di Lo Voi, mette sul tavolo l’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia. “Al netto dei curricula – dice il parlamentare siciliano – vorrei essere certo che il nuovo procuratore capo appoggi e dia sostegno all’inchiesta sulla Trattativa”. Passano 24 ore, e la Bindi rilascia una dichiarazione che sembra indirizzata proprio al suo vice: “Forse sarebbe bene, ogni tanto, partire senza polemiche. Magari questo aiuterebbe…”. E se Fava aveva puntato il dito sulle modalità di elezione di Lo Voi, il primo procuratore nominato dal Csm con una maggioranza di voti laici, la Bindi la pensa in modo diametralmente opposto.“So che il nuovo Procuratore di Palermo è stato scelto, dall’organo che doveva sceglierlo, con procedure corrette. Penso che fosse un confronto da tre grandi persone, tre grandi magistrati”.

La posizioni di Bindi e Fava, insomma sono assolutamente in antitesi sulla nomina del nuovo procuratore. Più o meno come era accaduto pochi mesi fa, quando la commissione antimafia si era occupata del Protocollo Farfalla, l’accordo segreto siglato dal Sisde di Mario Mori e dal Dap di Gianni Tinebra. “Questo protocollo non esisteva,  magari esistevano dei comportamenti che giustamente ad un certo punto si è sentito la necessità di regolare” diceva la Bindi il 30 luglio scorso, mentre negli stessi giorni Fava si chiedeva: “Dobbiamo capire il perché sia stato creato un documento del genere, perché interessavano particolarmente i detenuti al 41 bis, con quale scopo si sarebbero dovuti incontrare certi personaggi, con quale obiettivo, e se si volesse in quel modo ottenere o proporre qualcosa”. Alla fine il Protocollo Farfalla esisteva davvero e oggi è depositato agli atti dell’inchiesta sulla Trattativa. La stessa inchiesta che per Fava, dovrebbe essere sostenuta pubblicamente dal nuovo procuratore capo di Palermo. Ma che la Bindi, invece, neanche nomina, limitandosi a fare gli auguri di rito a Lo Voi.

(fonte)