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commissione d’inchiesta

G8: dietro al sangue e dietro alla sentenza

Sono definitive tutte le condanne ai 25 poliziotti per l’irruzione della polizia alla scuola Diaz al termine del G8 di Genova la notte dei 21 luglio 2001. Lo hanno deciso i giudici della quinta sezione della Corte di Cassazione. Confermata anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, che dunque colpisce alcuni altissimi gradi degli apparati investigativi italiani: Franco Gratteri, capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo dello Servizio centrale operativo, Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde. Tutti condannati per falso aggravato, l’unico reato scampato alla prescrizione dopo 11 anni, in relazione ai verbali di perquisizione e arresto ai carico dei manifestanti, rivelatisi pieni di accuse infondate. ”La sentenza della Corte di Cassazione – ha dichiarato il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri – va rispettata come tutte le decisioni della Magistratura. Il ministero dell’Interno ottempererà a quanto disposto dalla Suprema Corte”.

E fin qui tutto bene. Almeno rimane la sensazione di una giustizia che abbia avuto voglia di andare in fondo. Ma intanto rimane il sangue. Il sangue, la politica e forse il punto vero.

Il sangue della Diaz è la sindone della sospensione della democrazia in Italia. Lo pensavo ieri e lo penso ancora di più questa mattina. In Italia non ci siamo accorti che la comunità internazionale aveva già condannato ciò che era avvenuto. La verità storica da noi viene certificata solo dalle sentenze (quando abbiamo la fortuna di averne una). Prima è troppo difficile.

Poi la politica: il Parlamento non ha voluto l’istituzione di una commissione d’inchiesta. Ricordiamocelo, per favore. Perché oggi chi attacca smodatamente Napolitano per le telefonate di Mancino (e, nel punto, hanno ragione ma i modi lasciano perplesso) è lo stesso che ha affossato la commissione su Genova.

Poi c’è la politica che forse proprio oggi potrebbe riflettere sull’eventualità di introdurre il reato di tortura. Ma ve lo vedete questo governo e questa maggioranza? Niente, si spegnerà anche il dibattito.

E poi c’è forse quello ce è il punto vero. E lo coglie benissimo Matteo Bordone sul suo blog:

Perché quando a Bolzaneto e alla scuola Diaz quei pubblici ufficiali mi facevano vergognare di avere la cittadinanza italiana, non lo stavano facendo nel senso della vergogna, del moto d’orgoglio, ma nella sostanza. Un italiano che pesta a sangue una persona inerme è prima una persona, e poi un italiano. Un agente di polizia che pesta a sangue una persona inerme, e lo fa in servizio, è prima un pezzo dello Stato, e poi una persona. E allora la sua colpa è tre volte più grave. Perché mi rappresenta, e quello che fa lo fa per mio conto; perché a lui sono stati delegati dei poteri legati alla forza e alla violenza che i comuni cittadini non possono giustamente esercitare; perché cercando di prendersi gioco delle indagini e dello Stato dall’interno lo ferisce, lo indebolisce nelle sue fondamenta.

Ma quella di oggi è una buona notizia. Per prima cosa perché la giustizia ha dimostrato di saper essere più moderna e democratica di quella di venti anni fa, e lo Stato è venuto prima della Ragione di Stato. E poi perché così i disfattisti che dicevano che non sarebbe mai successo nulla hanno avuto torto. E quando hanno torto i disfattisti, quelli che tanto non cambia mai niente, ad avere ragione quell’idea di progresso che in questo paese fatica così tanto ad attecchire.

La responsabilità è individuale. Dei poliziotti criminali sono feccia, e forse i primi a volerli fuori dalla polizia dovrebbero essere i poliziotti onesti.

 

L’occasione persa (ma possibile) sulla commissione d’inchiesta per il ‘sistema Sesto’

La scrivo in due righe tanto produrrà lo stesso rumore. La maggioranza in Regione Lombardia (ovvero Lega e PDL unite dal terrore di esistere ormai solo qui dentro) ha deciso di istituire una commissione d’inchiesta sul “Sistema Sesto” dopo le note vicende che hanno coinvolto Filippo Penati. Chiriamoci subito: la commissione è inutile. Inutile nel senso letterale del termine perché non può indagare e analizzare gli atti che vengono contestati dalla magistratura che non sono di competenza regionale. L’istituzione della commissione è una banalissima speculazione politica (meglio degli immigrati e i terroni, almeno) per rispondere all’istituzione delle commissioni d’inchiesta sul San Raffaele e sulle vicende di Cappella Cantone e l’ex vicepresidente del Consiglio Regionale Nicoli Cristiani. Banalizzando si potrebbe dire che è un goffissimo eccesso di difesa di una maggioranza sotto assedio.

Questo il riassunto delle puntate precedenti, ora veniamo ad oggi (in realtà ieri, quando si è insediata la commissione). Ho già scritto il mio pensiero sulla vicenda Penati (qui, qui in risposta a Pippo e qui proprio all’inizio della storia) e mi capita di risponderne spesso durante gli incontri in Lombardia. Non mi è mai piaciuta la politica che non riesce a pensarsi non sistematica e non sistemistica in una rete di rapporti dediti alla speculazione. Al di là delle vicende giudiziarie mi sembra poco opportuno, ecco tutto. Però l’istituzione di questa commissione d’inchiesta (e di cartapesta) è (o era) una grande occasione per il centrosinistra lombardo. Perché la presidenza è della minoranza (quindi del centrosinistra, appunto) e lascia un ampio spazio di comunicazione per raccontare che forse sì, concettualmente si è presa una piega di intenti che deve aprire delle riflessioni. E sarebbe stato il centrosinistra che in molti chiedono che ha la voglia e la forza di riconoscere i propri errori e di raccontarsi per dimostrarsi serio nel ripensarsi. Insomma un’assemblea pubblica e civilissima che speculerebbe sulla speculazione del centrodestra facendo sbocciare tra il nostro popolo una riflessione aperta, convinta e perché no convincente. Niente autodafé, per carità, ma un riconoscere i propri eventuali errori.

Una bella occasione, insomma.

Bene. Per la minoranza è stata eletta Elisabetta Fatuzzo, rappresentante in Regione del Partito dei Pensionati. Il Partito dei Pensionati nella scorsa legislatura era alleato del centrodestra. Per dire.

Lobby Lombardia

C’è un lobbista della sanità – il suo motto è “pagato per insistere”, ma poi a sua volta pagava anche lui, eccome – che per sette vacanze riesce a spendere – solo di carte di credito – oltre 200mila euro. C’è un governatore – Roberto Formigoni – che a quei soggiorni di piacere organizzati dal suo amico Pierluigi Daccò ha partecipato, e oggi li definisce “vacanze di gruppo dove alla fine ognuno pagava qualcosa”. Poi ci sono 450 milioni di fondi extra che in sette anni la Regione Lombardia ha versato al San Raffaele e alla Maugeri: un fiume di denaro che – sospettano i magistrati, ma su questo punto non ci sono ancora capi di imputazione – potrebbe avere ingrossato i conti dello stesso Daccò, già accusato di aver distratto dalle casse della Fondazione Maugeri 70 milioni di euro e per questo in carcere da cinque mesi. Non soltanto il gran cerimoniere ciellino, però. La procura di Milano vuole capire se e chi altri, oltre a Daccò e al suo socio Antonio Simone, anche lui agli arresti, possano avere tratto vantaggi dai favolosi “mandati di pagamento” disposti dal Pirellone sotto forma di “funzioni non tariffabili” (soldi assegnati “con margini di discrezionalità”, e proprio per questo ritenuti “interessanti” ai fini delle indagini).

Leggere le notizie dei giornali su Regione Lombardia è uno stillicidio. Mentre aspettiamo che Formigoni ritrovi le ricevute proviamo però a dire qualcosa: ripensare la gestione del sistema Formigoni significa anche non cadere nella tentazione di riproporne un altro simile nei meccanismi. Ho la sensazione, a volte, negli incontri che ci capita di fare, che qualcuno voglia convincerci che basti promettere politici più etici per essere credibili dimenticando che i lombardi vogliono risposte soprattutto sugli ingranaggi che permettono ai faccendieri di turno di acquisire tanto potere. La privatizzazione è tutta nelle pieghe in cui i Daccò di turno riescono ad agire indisturbati perché ci dicono che San Raffaele e tutti i San Raffaele di Lombardia sono privati e quindi non ci si può permettere di mettere mano ai bilanci. E’ lo stesso annoso problema che ritroviamo ad ogni curiosità in commissione d’inchiesta che proprio sulla vicenda San Raffaele è stata istituita in regione.

Allora la domanda sorge spontanea: qualcuno che proponga una legge per obbligare le fondazioni che ricevono i fondi pubblici a un controllo totale sulla gestione dei propri bilanci? Si, noi.

Qualcuno dirà che è un’invasione di campo: bene, se qualche fondazione sanitaria si sente offesa può tranquillamente continuare a lavorare sulle proprie gambe senza i fondi regionali. Così non si sentirà spiata.

Qualcun altro ci dirà che forse sarebbe meglio smetterla proprio di dare i soldi alla sanità privata e dedicarsi al pubblico. Ed è quello che pensiamo anche noi.

Il golpe sul San Raffaele/2

Anche oggi PDL e LEGA hanno fatto saltare l’insediamento della Comissione d’inchiesta sulle vicende del San Raffaele. E’ una delle pagine più vergognose di questa legislatura regionale: Formigoni si fa scudo con gli uomini del suo partito perché evidentemente non tutto è “così a posto” come dichiara ai giornali e i leghisti (che continuano a urlare con il capo vichingo Umberto Bossi in piazza) coprono il formigonismo  che a parole dicono di  voler combattere. Non si tratta più di collaborazione. Si tratta di collusione. E basta.

COMUNICATO STAMPA

Seconda fumata nera in commissione d’inchiesta sul San Raffaele: PDL e Lega impediscono ancora una volta l’elezione del presidente

Ancora una volta PDL e Lega hanno impedito l’elezione del presidente della commissione regionale d’inchiesta sul San Raffaele, paralizzandone l’avvio. Votando scheda bianca, i commissari di maggioranza hanno infatti impedito che si raggiungesse il quorum di 41 voti. Franco Mirabelli, il candidato espressione delle minoranze, ha raccolto tutti i 26 voti dei gruppi che hanno richiesto l’istituzione della commissione.

Molto critiche le opposizioni. “Anche oggi – scrivono in una nota PD, IDV e Sel – la commissione d’inchiesta sul San Raffaele è stata bloccata dalla maggioranza che non consente l’elezione del presidente che spetta per Statuto alle minoranze. Evidentemente il Pdl non vuole approfondire le ragioni di un buco di un miliardo e mezzo di euro in un ente a cui la Regione Lombardia dà ogni anno un contributo di 600 milioni. E la Lega resta subalterna nonostante a chiacchiere si presenti come l’alfiere della trasparenza e della legalità”.

Il golpe su San Raffaele

La commissione d’inchiesta sul San Raffaele bloccata all’insediamento da Pdl Lega
La maggioranza si sceglie il presidente, che doveva essere espressione delle minoranze

La commissione regionale d’inchiesta sul San Raffaele, chiesta da tutti i gruppi di opposizione ad esclusione dell’Udc, si è arenata alla prima seduta, tenutasi oggi al Pirellone. PDL e Lega hanno infatti deciso di votare alla presidenza il consigliere dell’Udc Enrico Marcora, mettendo in minoranza il candidato delle indicato dalle opposizioni, Franco Mirabelli del PD. Sono state dunque violate la lettera e la sostanza dello Statuto, secondo il quale il presidente della commissione d’inchiesta deve essere “espressione delle minoranze”. Dura la protesta dei consiglieri di opposizione, che hanno annunciato l’intenzione di non partecipare ai lavori della commissione, non essendoci le condizioni.

I gruppi di PD, IDV, SEL e Partito Pensionati esprimono la loro posizione in una nota:
“Se l’intenzione di PDL e Lega era quella di ostacolare la commissione regionale d’inchiesta sul San Raffaele è evidente che hanno avuto successo. Non si è mai visto in oltre quaranta anni di vita del Consiglio regionale che la maggioranza si permettesse di scegliere il rappresentante delle opposizioni. Un vulnus molto grave alle regole democratiche e un pessimo precedente: si è voluto far valere i numeri della maggioranza contro una prerogativa garantita dallo Statuto alle opposizioni. È evidente che il consigliere Marcora si è con questo atto collocato al di fuori della minoranza consigliare, della quale non può in alcun modo essere rappresentante. È altrettanto evidente che Formigoni e la sua maggioranza sono preoccupati di ciò che la commissione potrebbe accertare. Ma se in questo modo la maggioranza pensa di addomesticare la nostra opposizione si sbaglia di grosso”.
Enrico Marcora ha comunicato immediatamente le proprie dimissioni. La commissione è ferma, priva di un presidente e delle condizioni per poter operare perché la maggioranza ha fatto mancare il numero legale.

Milano, 24 gennaio 2012