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Como

Casapound invoca il rispetto della legge (per gli altri): ora finalmente hanno ordine e disciplina

Palazzo occupato, così Casapound ha ottenuto ciò che voleva: ordine e disciplina

Ordine e disciplina, finalmente. I prodi membri di Casapound, quelli che vorrebbero fare i fascisti fingendo di non essere fascisti e autoconvincendosi che il fascismo abbia fatto “anche cose buone” (come un orologio rotto che segna l’ora esatta due volte al giorno) alla fine hanno ottenuto due dei punti principali della loro scarna propaganda elettorale: ordine e disciplina. Per ordine e per disciplina dovranno smammare dal palazzo che hanno abusivamente occupato a Roma in via Napoleone III.

Del resto, pensateci bene, ve li vedete quelli che fanno gli eroi che con il pugno alzato mentre cacciano gli stranieri delle baracche che poi vanno a ristorarsi in una baracca ben più lussuosa, nel pieno centro della città di Roma, dando così un pessimo esempio? No, dai. Anzi, volendo ben vedere, se i coraggiosi di Casapound fossero stati più svegli di quello che sono avrebbero organizzato una bella manifestazione, magari in piena quarantena e con le mascherine abbassate, per “liberare Roma” dalla loro presenza abusiva. Sai che begli applausi.

Ordine e disciplina, certo, e nell’ordine c’è il rispetto della legge che loro invocano per gli altri ma poi si dimenticano tutte le volte di applicare a se stessi e così saranno sicuramente soddisfatti dell’indagine condotta dalla Digos della Questura di Roma, la Procura della Repubblica capitolina che contesta i reati di associazione a delinquere finalizzata all’istigazione all’odio razziale e occupazione abusiva di immobile nei confronti, tra gli altri, dei vertici del loro movimento Gianluca Iannone, Andrea Antonini e Simone Di Stefano. Oltre ad altre tredici persone.

Ordine e disciplina, dicono, e siamo sicuri che sapranno spiegarci per bene come possano ritrovarsi in “emergenza abitativa” la metà degli occupanti abusivi del loro palazzo che sono dipendenti pubblici, regolarmente e comodamente pagati, che stanno abusando della pazienza degli italiani. E il grande capo Gianluca Iannone siamo sicuri che ci potrà spiegare come possano essere in “emergenza abitativa” i dipendenti che lavorano nel noto ristorante di sua moglie.

Parlano di onore, quelli di Casapound, e siamo sicuri che non avranno il disonore di venirci a dire “ah beh, allora gli altri?” come dei bambini all’asilo per cercare di giustificarsi. Ordine e disciplina, mica benaltrismo. Sono i duri e puri, no? Mostratecelo.

Leggi anche: 1. Altro che famiglie indigenti. Ecco chi abita nel palazzo occupato di CasaPound a Roma / 2. Casapound, sequestrata la sede in via Napoleone III a Roma

L’articolo proviene da TPI.it qui

«Pensioni basse? Ipotecate la casa» parola della deputata Morani (PD)

Ne scrive l’HP qui:

«Esiste uno strumento che conosciamo poco, che è fatto apposta per gli anziani proprietari di casa che percepiscono pensioni basse, che si chiama prestito vitalizio ipotecario”. Scatena l’ìinferno l’affermazione di Alessia Morani, vicecapogruppo del Pd alla Camera, che durante una puntata di Quinta Colonna, avrebbe trovato la soluzione per gli anziani che percepiscono pensioni basse e non riescono a sopravvivere.»

Dopo aver escogitato un prepensionamento finanziato con un mutuo (sostanzialmente un welfare a piccole comode rate) ora gli esponenti della maggioranza propongono agli anziani prossimi alla pensione di utilizzare la propria casa (solitamente frutto della fatica di una vita) come garanzia d’accesso alla pensione. Lo Stato Sociale di questo Paese è diventato lo zerbino di quattro arroganti al governo.

Dicono che sia morta la sinistra, dicono; sicuramente ha perso.

 

Lombardia: chiedendo voti a casa del boss

ndrangheta-arresti-6751C’è chi chiede un aiuto per i familiari in carcere. Chi è in cerca di voti per farsi eleggere. E chi ha bisogno di una mano per mettere un freno a quelli che non conoscono più “le regole dei calabresi”. Salvatore Muscatello, invece, quelle regole le conosce bene. Da sempre. E per questo, l’ormai ottantenne capo locale di Mariano Comense (Como) non si sottrae mai alle richieste che gli vengono avanzate da parenti di boss dietro le sbarre, imprenditori in difficoltà e politici amici. Favori che servono a rimarcare il suo pieno potere sul territorio e a rafforzare il suo prestigio criminale. Perché Salvatore Muscatello non è solo un pezzo da novanta della ‘ndrangheta lombarda. Ma uno dei suoi “grandi vecchi”, come lo definiscono i giudici. Nonostante la sua famiglia sia stata colpita a luglio da un’importante indagine, lui rimane l’anello di congiunzione tra le ‘ndrine calabresi a quelle del nord. Un ruolo che l’età e le inchieste non hanno indebolito. Come emerge dall’operazione “Quadrifoglio”, condotta dai carabinieri del Ros di Milano e coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini contro la cosca Galati, che poche ore fa ha portato in carcere 14 persone. L’ultima istantanea scattata alla ‘ndrangheta nella Lombardia che corre verso Expo.

Un fermo immagine. Dove si distinguono nettamente i tratti di una criminalità che punta a nuovi affari, senza per questo rinunciare alle sue vecchie tradizioni. Come testimonia quel continuo via vai nel fortino  a due piani di via Al Pollirolo 5, dove Muscatello abita con la moglie e i figli. E dove da novembre 2012 è costretto agli arresti domiciliari, arrivati dopo la condanna a 17 anni nata dall’inchiesta “Infinito”. A fargli visita sono i rappresentanti delle famiglie di ‘ndrangheta più blasonate. Come Nadia Scognamiglio, moglie di Fortunato Valle, dei Valle Lampada. La cosca originaria di Reggio Calabria ma radicata a Vigevano, legata ai potenti De Stefano. La donna va a trovare Muscatello il 6 settembre 2013. Gli racconta del colloquio avuto in carcere con il cognato Antonio Domenico Spagnuolo. E’ preoccupata. Teme la confisca dei beni. E ha paura che suo marito venga trasferito dal carcere milanese di Opera a quello di Viterbo che comporterebbe più spese e più scomodità. La Scognamiglio torna a ottobre. E’ sempre più tesa. Perché adesso, a gravare, c’è anche una cartella esattoriale di Equitalia da 8mila euro. A fine chiacchierata, allora, Muscatello le dà dei soldi. La donna cerca di rifiutare: “Ma non voglio niente! Io voglio che state bene”. Inutile. Il boss ha deciso e taglia corto: “Ecco… ma lo voglio io”. Quando la Scognamiglio esce di casa, il patriarca spiega al nipote Stjven il motivo di quel generoso regalo: “E’ una persona che se la chiamo viene subito, ed io la ringrazio! Oh, il marito mi lavava pure i piedi”.

Un’altra ambasciatrice di tutto rispetto che arriva in casa di Muscatello è Patrizia Morabito nipote di Giuseppe Morabito, detto u tiradrittu, re di Africo, latitante per 12 anni e catturato nel 2004. Le microspie e le telecamere dei carabinieri catturano la donna mentre varca la soglia di via Al Pollirolo per due volte. L’ultima il 26 ottobre 2013. Anche lei è preoccupata per la situazione dei parenti detenuti. E anche per lei la famiglia Muscatello si dà un gran daffare per alleviare le tante spese. Con piccoli gesti. Ad esempio facendole riparare gratuitamente l’auto da un uomo a disposizione della cosca. Che viene redarguito perché inizialmente ha fatto pagare il lavoro alla Morabito.

Perché quello dell’aiuto ai parenti dei carcerati è un caposaldo inviolabile. I Muscatello lo offrono anche alle famiglie non direttamente legate alla loro locale. E lo pretendono quando sono loro ad averne bisogno. I conti vanno regolati. I debitori hanno l’obbligo di pagare. Sempre. Anche se i boss sono momentaneamente in cella. Lo spiega bene al padre Salvatore, Domenico: “Poi è successo che ci hanno arrestati … hai capito? Uno ha impegni per fatti suoi, quell’altro si guarda i fatti suoi ed hanno … ognuno ha paura … dice ‘devo vedere altre situazioni’ e si lascia andare, si lascia andare, si lascia andare e quelli prendono gamba, quando prendono gamba dicono ‘tanto questi qua ora non fanno più niente’”. Ne sanno qualcosa due fratelli titolari di una ditta di giardinaggio. Colpevoli, secondo i mammasantissima, di non aver aiutato la famiglia durante la carcerazione di Domenico Muscatello, e in debito di 700mila euro. Un debito che secondo i due è stato causato da un loro parente. Che viene convocato in casa dai Muscatello e pestato, davanti a donna Rosina, moglie di Salvatore, che scoppia in lacrime.

Ma ci sono altri imprenditori che fanno visita al capo locale di Mariano Comense per chiedere di vendicare i torti subiti. Come Francesco Defina (non indagato), attivo nella vendita di autoveicoli e ricambi, che si presenta al boss Salvatore nel luglio 2013. Spiega di aver ricevuto delle intimidazioni a scopo estorsivo. Colpi di pistola contro uno dei suoi negozi. Precisa che non andrà mai dai carabinieri a denunciare. Si lamenta dei cambiamenti generazionali all’interno della ‘ndrangheta che lasciano spazio ai “pisciaturi”, gli inesperti, che non conoscono le “regole dei calabresi”. Salvatore Muscatello individua e manda i suoi emissari a parlare con chi aveva infastidito l’imprenditore. Il messaggio è chiaro. E viene recepito con tanto di scuse.

In casa del boss vengono a portare i propri onori anche i politici. Emilio Pizzinga, che non risulta indagato nell’operazione di oggi, è uno di questi. Suo figlio Francesco è in carcere dal 2006 per l’inchiesta sull’Ortomercato, che portò alla luce i traffici di droga imbastiti con la ‘ndrangheta di Africo. Il politico locale, membro della Commissione Urbanistica di Mariano Comense, incontra Muscatello nel gennaio 2014. Alla guida del Comune è appena arrivato un commissario prefettizio, dopo che 11 consiglieri hanno tolto la fiducia. Le elezioni di maggio sono dietro l’angolo. Pizzinga è a caccia di voti. Bussa alla porta del boss: “Vedete se mi trovate preferenza! Se no, non si fa più niente dopo!”. Sottolinea: “A me hanno dato in mano il partito”. “Quale partito?”, domanda il capo locale. Il politico risponde: “Forza Italia!”.

Eccola la corte del boss Salvatore Muscatello. Ecco i legami dell’uomo che per una vita è stato al vertice della ‘ndrangheta in Lombardia. Come emerge dall’operazione “La notte dei fiori di San Vito” del ’97 e  l’inchiesta “Infinito” del 2010. O come dimostra la sua presenza al matrimonio del 2009 tra Elisa Pelle, figlia di Giuseppe, detto “Gambazza”, e Giuseppe Barbaro, figlio del defunto Pasquale. Fu dato proprio a Muscatello il compito di distribuire gli inviti tra gli affiliati della locale La Lombardia. Perché in quel giorno non si celebravano soltanto le nozze dei rampolli di due tra le più importanti famiglie di mammasantissima. Ma si conferivano anche le nuove cariche del Crimine, l’organo di governo della ‘ndrangheta. Oggi nuovamente indebolita. Ma non ancora sconfitta.

(fonte)

Parla male del boss: pestato con una mazza da baseball. In Lombardia.

Pare che in carcere avesse osato parlare male di quello che è ritenuto essere un vecchio boss di provincia, figura di riferimento – ritengono gli inquirenti – del clan di ’ndrangheta dei Piromalli. Un personaggio, quest’ultimo, nato a Gioia Tauro e residente nel Milanese, 62 anni, che si vantava di aver maturato due ergastoli e 83 anni di carcere. L’affronto cui abbiamo accennato – ovvero l’aver pronunciato parole pesanti contro il personaggio di spicco della malavita organizzata – sarebbe stato il pretesto per una spedizione punitiva andata in scena tra Lurago Marinone e Limido Comasco. Un blitz che è costato caro al fratello di chi aveva commesso lo sgarro, sequestrato fuori da un bar e massacrato di botte utilizzando per spaccargli una gamba una mazza da baseball. È questo l’ennesimo episodio di violenza che riguarda la Bassa Comasca, portato alla luce dalle indagini della squadra mobile che in queste ultime settimane ha stretto la morsa attorno alla malavita che stritola l’area della nostra provincia che da Fino Mornasco scende a Guanzate, Limido, Lurago Marinone, Lomazzo e via dicendo. Ieri mattina gli uomini della Questura hanno eseguito cinque ordinanze di custodia cautelare con le accuse di lesioni gravi e sequestro di persona proprio relative a quell’episodio che risalirebbe al 15 settembre. La vittima, 35 anni, fu sorpresa fuori dal bar dove si stava recando a lavorare potendo contare – nonostante i “domiciliari” per una accusa di spaccio di droga lungo la A9 – sul permesso di uscita. L’uomo fu prelevato da più persone (tre ancora sconosciute), portato da Lurago Marinone a Limido, e picchiato con una mazza da baseball (oltre 45 giorni di prognosi). La sua colpa essere fratello di un detenuto del Bassone che pare avesse parlato male del boss. Nei guai sono finiti il mandante, gli esecutori del blitz (il figlio 34enne del boss e un 36enne del Milanese) più gli anelli di congiunzione tra quanto avvenuto al Bassone e il boss. Tra questi un 28enne di Lomazzo e un nome già noto alle cronache, uno dei fratelli di Lurago Marinone (42 anni) in cella per un altro sequestro di persona nell’ambito delle indagini sul delitto di Guanzate. Un cancro, quest’ultimo, che ogni giorno mostra le proprie infinite metastasi.

(fonte)

Dissanguato sotto la terra di Lombardia

L’appuntamento è sotto casa. Da qui il viaggio in auto verso il bosco dove lo attendono altri quattro uomini. Pochi secondi per capire e tutto crolla. Salta fuori una pistola. Poi il coltello. Partono i fendenti. Almeno trenta. Non sono mortali, ma portati per far soffrire. Il sangue inizia a uscire. La vista si appanna. La morte è a un passo. Steso a terra, il corpo viene ricoperto con le foglie. Il respiro rallenta. La “batteria” dei killer riparte. Si torna a casa. L’appuntamento è fissato per il giorno dopo in un cantiere dove sta sorgendo una villetta. C’è chi porta il vino, chi le braciole. Una bella grigliata è quello che ci vuole. E mentre qualcuno festeggia, altri scavano una buca profonda oltre due metri. Poi il sole cala. Si sale in auto e si torna a recuperare il corpo. Appena mezz’ora e la macchina rientra nel cantiere. La buca è pronta. Sul fondo è già stato gettato uno strato di calce. La vittima viene spogliata, i vestiti bruciati, il corpo gettato nella fossa, ricoperto di calce e poi di terra. E’ il 9 giugno scorso. Ecco come uccide la ‘ndrangheta. Non in Calabria, ma nella Lombardia che corre dritta verso l’Expo, nella zona della bassa comasca dove le cosche, appena sfiorate dal maxi-blitz Infinito del 2010, agiscono alla luce del sole, mostrando armi e muscoli, intimidendo e uccidendo.

Come successo a Ernesto Albanese, 33enne di Polistena, pregiudicato e trafficante di droga per conto dei clan locali. Albanese scompare dopo le 23 dell’8 giugno scorso. Fino a quell’ora è stato nella sua casa di Bulgorello di Cadorago. Seduto al computer, chattando su Facebook e inviando minacce ai “compari”. Albanese dice di voler fare tutti i nomi “da qui fino a Reggio Calabria”, sostiene che i mafiosi che vivono tra Cadorago, Fino Mornasco e Appiano Gentile sono semplici “quaquaraquà”. Qualcuno di questi risponde: “Uomo senza labbra ti aspetto a braccia aperte”. Per questo, ragionano gli investigatori della squadra Mobile di Como, Albanese viene sequestrato, scannato, lasciato morire dissanguato nei boschi dietro al comune di Guanzate e il corpo seppellito il giorno dopo nel cantiere di via Patrioti sempre a Guanzate (foto di Mattia Vacca).

Le scene dell’orrore mafioso sono state ricostruite dai magistrati della procura di Como. Sul registro degli indagati ci sono sei persone che attualmente si trovano in carcere per altri motivi. Alcune di loro sono state arrestate nel luglio scorso dal Ros di Milano che ha eseguito diverse ordinanze a carico di cinque gruppi di narcos legati al crimine organizzato. Negli ordini di cattura richiesti dal pm Marcello Musso c’era anche Ernesto Albanese. I militari, però, non lo hanno trovato. In quel momento l’uomo era già sotto terra.

Bisogna aspettare il 2 settembre scorso perché “una soffiata” conduca la polizia nel cantiere di Guanzate. Le operazioni per estrarre il corpo di Albanese durano due giorni. Oltre alla scientifica ci sono anche esperti di scavi archelogici. Si studiano gli strati del terreno e, grazie a particolari tecnologie, viene ricostruito il calco delle benna che ha fatto la buca. E’ la svolta del giallo. Sì perché quel calco corrisponde a una ruspa trovata nella villetta del pregiudicato calabrese Luciano Nocera. Quello, secondo la polizia, è il mezzo che ha scavato la fossa per Albanese.

La scoperta alza il velo sul contesto criminale. Nocera viene arrestato dal Ros di Milano nel luglio scorso. E’ accusato di coordinare una “batteria” di trafficanti legati al clan Muscatello di Mariano Comense e alla famiglia Iconis di Fino Mornasco, coinvolta, negli anni Novanta, nell’operazione La notte dei fiori di San Vito e ritenuta vicina alla potente famiglia Mazzaferro. Secondo l’indagine milanese Ernesto Albanese era un corriere. Dalle carte di quell’operazione emergono i suoi contatti con Nocera. Rapporti che col tempo s’incrinano. “Quello – dirà Nocera di Albanese – è un pezzo di merda e questa mattina l’ho preso a calci nel culo”. Di più: un’altra indagine della Dda di Milano, su cui pende richiesta di archiviazione, descrive Nocera come personaggio molto vicino alla ‘ndrangheta di Fino Mornasco, capace di intavolare rapporti con la politica locale, ma anche violento e senza scrupoli. “Il primo che piglierò a fucilate – dice al telefono – sarà il comandante dei carabinieri”.Insomma l’omicidio di Albanese è solo la punta dell’ice-berg di un contesto mafioso per nulla intaccato dalle inchieste.

(fonte)

Como, in provincia di ‘ndrangheta

Fino Mornasco, Como, Lombardia. Oggi parla la ‘ndrangheta: “Il passato bisogna ricordarlo compà! (…) Perché per imparare qualcosa devi ricordarti il passato, se no non impari mai”. La tradizione prima di tutto. Dopodiché gli affari: “Tu ancora devi pensare a domani, no a ieri. A ieri non ci devi pensare più (…) Quello che hai fatto ormai, di qua a la sei arrivato. Ti devi preoccupare da qui a li”. Passo dopo passo insomma. Come in Calabria anche qui nell’alta Brianza tra Fino, Appiano Gentile, Cadorago, Bulgorello e Cirimido, i boss seguono lo spartito criminale che impone un basso profilo per tutelare il business e intavolare rapporti con la politica locale, con le imprese, con la massoneria. Saggezza criminale da tramandare a figli e nipoti. Di nuovo in presa diretta. “Io dovevo essere destinato a prendere il suo posto, sicuramente a lavorare insieme a lui (…) e guarda che lui è uscito a luglio dell’anno scorso, è venuto e ha cominciato il discorso, ha preso il giro lungo: no perché sai, qua e là, tu hai il mio nome, tutto quanto, già la credibilità è diversa”.

POLITICA, MAFIA E PREFERENZE
“QUESTO CI PROCURA VOTI CERTI”
Questo il quadro di un territorio per nulla toccato dalle ultime grandi inchieste dell’antimafia milanese e che, negli anni, ha visto tornare in libertà boss di primissimo piano. L’istantanea emerge dalle carte di un’indagine della Dda su cui, però, pende una richiesta di archiviazione. E nonostante questo le intercettazioni e le annotazioni dei carabinieri di Como fotografano un territorio a tal punto infiltrato dalla ‘ndrangheta che un noto consigliere comunale di Fino Mornasco, già assessore nello stesso comune può permettersi di salutare un pregiudicato legato al clan locale con l’appellativo di “cumpà”. E sempre lo stesso, perorando la licenza commerciale di Luciano Nocera, pregiudicato, trafficante in stretti rapporti con i boss, parla così con un notissimo ex consigliere regionale del Pdl: “Guarda abbiamo fatto un affare perché se il problema glielo risolviamo questo qua è uno che mo smette di lavorare e va in giro e ci procura voti certi”.

ONORE E SANGUE, L’OMICIDIO DEL CORRIERE
DELLA COCA E LA RUSPA IN CASA DEL SUPERBOSS
A volte, però, qualcosa s’inceppa. Perché nel mondo mafioso onore, rispetto, denaro sono pilastri attorno ai quali ruota tutto. Muore per questo Ernesto Albanese, 33enne di Polistena (Reggio Calabria), residente a Fino Mornasco. Muore con un colpo di pistola alla testa e finisce in una buca di tre metri dentro a un cantiere abbandonato a Guanzate. Il suo corpo viene ritrovato il 2 ottobre 2014 dalla squadra Mobile di Como. Gli investigatori ci arrivano seguendo le indicazioni di un nuovo collaboratore di giustizia il cui nome, ad ora, viene tenuto riservato. Il corpo di Albanese sarà poi identificato il giorno dopo. La scientifica che lavora sul posto si avvale anche di esperti di scavi archeologici. Si studiano le stratificazioni del terreno. Di più: i tecnici riescono a fare un calco in gesso della benna che ha scavato la buca. Un calco, che secondo fonti qualificate, corrisponde a una ruspa trovata ad Appiano Gentile nella villa di un noto pregiudicato della zona, coinvolto negli anni Novanta nell’operazione La notte dei fiori di San Vito. Si tratta della prima inchiesta che svelò la capillare presenze delle ‘ndrine in territorio lombardo. I pentiti dell’epoca raccontarono dei suoi traffici di droga. L’indagine lo descrisse come capo società di una locale di ‘ndrangheta in un comune del Comasco. Quando lo arrestarono gli investigatori trovarono nel suo appartamento diverse formule di affiliazione.

NARCOTRAFFICANTI E BOSS
COCAINA, PISTOLE, AFFARI 
E che l’omicidio di Ernesto Albanese, già arrestato nel 2008 perché trovato con un due chili di cocaina, sia di matrice mafiosa lo racconta la recente inchiesta del pm di Milano Marcello Musso che nel luglio 2014 ha chiuso l’operazione Pavone 4 su diversi gruppi di narcotrafficanti legati al crimine organizzato. Negli ordini di cattura, eseguiti dal Ros di Milano, c’era anche Ernesto Albanese descritto come un corriere della droga per conto di Luciano Nocera, quello dei “voti certi”, legato da un lato alla ‘ndrangheta di Fino Mornasco e dall’altro fornitore di cocaina per conto di un’altra cosca, già coinvolta nell’operazione Infinito del 2010.

Nel 2008 Albanese viene fermato proprio mentre sta portando un carico ai boss calabresi. Nell’estate 2014, però, la vittima sfugge agli arresti. Il Ros di Milano non lo trova. E del resto, secondo la ricostruzione della Mobile di Como, le tracce del “corriere della coca” si perdono nel giugno 2014, mese in cui presumibilmente viene ucciso. Nello stesso periodo qualcuno spara tre colpi di calibro 9 contro alcune case nel comune di Bulgorello. Finiscono nell’appartamento di due coniugi del tutto estranei alla vicenda. Il 9 ottobre 2014 per quel fatto viene fermato Francesco Virgato detto Frank, 44enne di Mariano Comense. Virgato, ad oggi, non è accusato dell’omicidio. Il suo nome però compare nelle annotazioni dei carabinieri di Como che hanno indagato sui traffici di droga di Nocera. I due, secondo i militari sono legati. Di più: Virgato più volte è stato visto entrare e uscire dalla casa del boss locale.

SCONTATA LA PENA I CAPI TORNANO LIBERI E SI RIPRENDONO
IL TERRITORIO: LA CONNECTION CON L’AMMINISTRAZIONE
Insomma, la vicenda di Ernesto Albanese, che poteva finire archiviata come un caso di lupara bianca, alza il velo su uno spaccato criminale che in questa zona mette insieme boss di ‘ndrangheta certificati da condanne definitive e ora tornati in libertà, insospettabili mai sfiorati dalle indagini e politici un po’ troppo spregiudicati nei loro rapporti. Una fotografia impietosa scattata dall’inchiesta Arcobaleno condotta dalla Dda di Milano e sulla quale pende una richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero Mario Venditti. Nelle carte dell’indagine, però, il ragionamento dei carabinieri di Como è chiaro. “Siamo in presenza – si legge – di un assalto finanziario all’intera area canturina (…). Sono ormai consolidate sul territorio lariano alcune presenze che costituiscono il terminale delle attività economico finanziarie delle ‘ndrine del Reggino”.

L’attenzione della magistratura così si fissa su un preciso gruppo criminale che dimostra di avere “influenza anche per quanto concerne l’infiltrazione nella pubblica amministrazione che riguarda i comuni di Cadorago, Appiano Gentile e Guanzate”. Ancora i carabinieri: “Esempio classico di tale capillare condizionamento è l’attivismo evidenziato per le elezioni regionali del marzo 2010, attraverso la promozione di un candidato tra politici, imprenditori e pregiudicati locali, convocati in appositi e segreti vertici per il controllo del voto elettorale finalizzato appunto alla vittoria del candidato amico”. Lo stesso candidato, rieletto al Pirellone nel 2010, che, a proposito del sostegno elettorale, ragiona in questo modo: “Preferisco sedermi col peggior delinquente di questo mondo ma di parola”.

PAROLE IN LIBERTA’, IL VICESINDACO: “LE PISTOLE
LE TROVIAMO IN OGNI ANGOLO DEL MONDO”
E se l’obiettivo è quello di racimolare voti, ecco la posizione di un sindaco della zona: “Perché – si legge nel brogliaccio – c’è chi fa il lavoro sporco dietro (…) è andare poi casa per casa a raccogliere voti e in questo ti posso garantire che abbiamo un’organizzazione capillare…”. Prosegue l’ex vice sindaco: “Fa invidia ai migliori investigatori di tutto il mondo”. Aggiunge: “Perché tu sai qual è la mia provenienza? Le pistole le troviamo in ogni angolo del mondo”. E ancora: “Tu devi pensare che hai di fronte anche delle famiglie meridionali”.

Se il boss, visto le sue condanne definitive, sta dietro le quinte, i rapporti con impresa e politica vengono tenuti da suoi fiduciari che magari hanno condanne per droga ma non per mafia. Le intercettazioni fissano il punto. E’ il gennaio 2010 e, ricostruiscono i carabinieri, la ‘ndrangheta di Fino Mornasco lavora pancia a terra per sostenere il proprio candidato alle regionali. Ne parlano un ex assessore di Cadorago e un pregiudicato legato ai boss nonché presidente di una squadra di calcio locale. “Si evince – annotano gli investigatori – l’interessamento per la campagna elettorale in vista delle consultazioni elettorali regionali”. Dice l’uomo dei boss: “Non bisogna dormire”. Risponde l’assessore: “Io mi fido solo di te e del mio cane”. Quindi chiude la chiamata: “Va bene comunque dai ci troviamo e parliamo anche un attimino a voce che è meglio”.

Non c’è, poi, solo il comune, ma anche la provincia di Como. Emerge così la figura di un consigliere eletto nel 2009 grazie ai voti della malavita. Ancora le intercettazioni colgono l’oggettività delle conversazione tra il “collaboratore del boss” e il politico. Dice il secondo: “Ti faccio gli auguri di buon Natale, sono il consigliere provinciale, mi hai fatto la campagna elettorale, a Cadorago ho vinto per te”. Risposta: “Mi sono impegnato”.

L’UOMO D’AFFARI, L’ONOREVOLE DELL’UDC
E IL FRATELLO DI UN EX GOVERNATORE DEL SUD 
Boss, politici e uomini d’affari, rispettati, insospettabili, capaci di tessere rapporti ben oltre le amministrazioni locali. E’ il caso di un personaggio nato in Calabria ma residente a Cadorago “che – annotano i carabinieri – costituisce elemento di raccordo tra alti esponenti della ‘ndrangheta lombarda e alcuni esponenti politici di rilievo”. Dai tabulati e dai servizi di osservazione spunta anche un ex onorevole dell’Udc, nonché il fratello di un importante politico calabrese.

Questo il contesto che emerge dalle intercettazioni. Un contesto, va ricordato, che ad oggi resta estromesso dal campo penale. C’è la ‘ndrangheta , ma non c’è reato. Paradossale. Soprattutto se si rilegge la storia recente di questa zona. Storia fatta di attentati e di omicidi. Tanto per capire tra il settembre 2000 e il gennaio 2001 in questa zona si registrano sei attentati intimidatori. Per sei volte ignoti sparano contro le saracinesche di locali che gestiscono macchinette videopoker. Il far west, però, passa sotto traccia. Addirittura nella notte del 4 marzo 2001, vengono colpiti contemporaneamente quattro locali. In quello stesso periodo, fanno notare i carabinieri, il boss di Fino Mornasco, attraverso l’interfaccia della moglie, apre una società che, guarda caso, gestisce videopoker.

Nel 2008, poi, si spara e si uccide. Ecco un breve stralcio dell’annotazione dei carabinieri: “In data 8 Agosto 2008 alle ore 17.25 circa, in Cadorago (CO), frazione Bulgorello, presso il bar Arcobaleno in via Monte Rosa n. 8, veniva ucciso con tipiche modalità di agguato mafioso Franco Mancuso”. L’omicidio ad oggi resta irrisolto. La pista iniziale puntò dritta negli ambienti della ‘ndrangheta locale. Di più: una lettera anonima indicò nel mandante dell’omicidio un noto pregiudicato già condannato per mafia e indicato capo società di una ‘ndrina locale. Lo stesso che in casa teneva la ruspa utilizzata per seppellire Ernesto Albanese. Nulla si fece. Vinse l’omertà. La storia oggi rischia di ripetersi.

(link)

Auguri Libera Como

Oggi nasce ufficialmente il presidio di Libera a Como nell’ambito della fiera “L’isola che c’è”.

In quel gruppo ci sono ragazzi con cui ci siamo confrontati in questi ultimi anni (nella Como delle locali di Erba, Canzo e Mariano Comense solo per stare in tema di ‘ndrangheta, e nella Como dei Fiori di San Vito e di Antonino Belnome) e per questo mi scappa di farvi gli auguri. Anche perché ogni volta che nasce un’associazione antimafia diventa inevitabile il dibattito sulle mafie. Quindi la vostra nascita è già un cambiamento di equilibri che può essere solo salubre.

 

Chiesti sei anni per Rinaldin, il Consiglio Regionale della Lombardia continua a stupire

Dico, oltre a questo e tutto quello che è successo negli ultimi mesi, cosa serve di più per andare a casa?

Corruzione, truffa aggravata, finanziamento illecito ai partiti e falso. E’ lunga la sfilza di reati e pesante la richiesta di condanna che il pm di Milano Luca Poniz 6 anni di reclusione per il consigliere regionale lombardo del Pdl Gianluca Rinaldin, votato alle ultime elezioni con tremila voti in più rispetto alla tornata precedente. Il politico era finito sotto inchiesta nell’ambito di un’inchiesta su presunte tangenti nel settore turistico del lago di Como, nell’indagine che era stata ribattezza la “Tangentopoli lariana“. Rinaldin, finito agli arresti domiciliari nel febbraio del 2008, è uno dei dieci consiglieri lombardi finiti sotto inchiesta in diversi procedimenti che hanno coinvolto esponenti politici regionali, tra cui tra gli altri, Pier Gianni Prosperini, Filippo Penati, Franco Nicoli Cristiani, Massimo Ponzoni, Romano La Russa, Angelo Giammario, Davide Boni, Renzo Bossi.

L’inchiesta, che riguardava Rinaldin, verteva su un progetto di ristrutturazione del lido di Menaggio, sul lago di Como. Il consigliere, attualmente vice presidente della commissione regionale sport e cultura, era stato rinviato a giudizio nell’aprile del 2010 ed è ora sotto processo davanti ai giudici della quarta sezione penale di Milano. I reati contestati dalla Procura di Milano risalgono al periodo compreso tra 2005 e il 2007: avrebbe intascato una presunta tangente da 30 mila euro per favorire degli appalti. Rinaldin, stando all’accusa, avrebbe falsificato documenti per far ottenere un finanziamento regionale, agendo come “socio occulto” di una società interessata al progetto di ristrutturazione, la Lago di Como Srl. L’inchiesta era nata da una presunta truffa dell’Associazione Coordinamento Turistico del Lago di Como ai danni della Regione Lombardia. L’amministrazione regionale infatti risulta come parte offesa nel procedimento, ma non è costituita come parte civile. Si è costituita invece la Provincia di Como, rappresentata dall’avvocato Andrea Mascetti, che oggi ha chiesto 100.000 euro di risarcimento danni. 

Nel luglio del 2008 sei persone avevano patteggiato la pena, tra cui l’ex assessore provinciale comasco Giorgio Bin, assieme a tre imprenditori e al presidente dell’Associazione Coordinamento Turistico del Lago di Como. . A tirare in ballo il politico Pdl era stato proprio l’ex assessore Bin, il quale però all’inizio del 2010, nel corso di un’intervista a un quotidiano, aveva detto: “L’ho accusato di aver preso tangenti, ma non è vero”. Il processo è stato rinviato al prossimo 2 luglio, quando parlerà la difesa. 

#ballottaggi e sballottati

Non mi piacciono i commenti a caldo. Mi piace leggere i numeri prima di proporre le analisi e invece sento già molti lanciati in tribune televisive con la smania dei cacciatori al safari di ferragosto. Non mi piace questa abitudine tutta italiana di deridere le vittorie degli altri, appropriarsi vittorie di sponda e questa eterna indecisione nell’ammettere le proprie debolezze. Le amministrative dicono che contano le persone oltre che i partiti (ricordate quanto l’hanno ripetuto nelle scorse settimane?): bene, le persone da candidare le scelgono i partiti (ne dovrebbero essere la sintesi politica) e la classe dirigente non può esimersi da questa responsabilità. Perché qui quando vince qualcuno diventa sempre “nostro” in senso larghissimo. Personalmente sono contento dei nuovi sindaci che conosco da vicino, penso a Fois a Senago, Lucini a Como, Scanagatti a Monza, Monica Chittò a Sesto San Giovanni e tanti altri: hanno l’occasione di provare a raccontare un’altra storia, sul serio. Non mi conforta Leoluca Orlando a Palermo: l’ho conosciuto da vicino, non mi piace, ma gli elettori hanno scelto lui (nell’anno del ventennale della morte di Falcone, poi).

Una cosa mi piace: Roberto Formigoni è stato sfiduciato dagli elettori in Lombardia. Ma questo non significa che dall’altra parte per forza si sia pronti ad essere convincenti. Partire da qui sarebbe un buon punto per qualcosa di veramente diverso. Ora studio e vediamo di andare più a fondo. A dopo.