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Destra

Da studente modello a estremista di destra: la storia di Andrea racconta i rischi della radicalizzazione fascista

Ma davvero in Italia il pericolo della radicalizzazione fascista e la pericolosità d’intenti di certi gruppi di estrema destra sono tutta un’invenzione dei giornali? Davvero è tutto un gioco ingigantito in vista dei prossimi ballottaggi per le elezioni amministrative? C’è una storia che rappresenta perfettamente il rischio della propaganda e vale la pena ripercorrerla anche se è di qualche mese fa.

A gennaio di quest’anno viene arrestato un ventiduenne di Savona, Andrea Cavalleri, con un’accusa pesantissima: associazione con finalità di terrorismo e propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale aggravata dal negazionismo.

Fino a tre anni prima Andrea Cavalleri era uno studente modello del liceo classico Chiabrera. Ma soprattutto Andrea Cavalleri era attivamente impegnato con l’Istituto per la Resistenza ottenendo persino un viaggio premio ad Auschwitz con la scuola: il suo tema era stato il migliore di tutto il liceo classico di Savona. Aveva infatti vinto l’ottava edizione del concorso organizzato dal Consiglio regionale ligure: “27 gennaio: Giorno della memoria”.

In rete su un giornale online si ritrova ancora la foto della premiazione. “Il suo lavoro era stato così apprezzato che era stato gratificato da un viaggio in Polonia, ad Auschwitz, per poter approfondire ancora di più le sue conoscenze”, raccontava a La Stampa Alfonso Gargano, preside del liceo.

Tre anni dopo redigeva documenti sul web di matrice neonazista e antisemita con i quali incitava alla rivoluzione violenta contro “lo Stato occupato dai sionisti” ed alla eliminazione fisica degli ebrei, ispirandosi al gruppo suprematista statunitense AtomWaffen Division e alle Waffen-SS naziste. Secondo gli inquirenti Cavalleri (che intanto era profondamente mutato anche nell’aspetto fisico oltre che nelle simpatie politiche) era pronto a fare il “salto” e a commettere un attacco. Cavalleri aveva creato un’organizzazione, Nuovo Ordine Sociale, che puntava al reclutamento di altri volontari e alla pianificazione di atti estremi e violenti a scopo eversivo. Usava le piattaforme di messaggistica online per tenere i contatti con persone che avevano le sue stesse posizioni ideologiche.

Nelle intercettazioni si legge di Cavalleri che dice che “Gli ebrei sono il male primo da eliminare. Gli ebrei sono nati per distruggere l’umanità” e che “Voglio fare una strage a una manifestazione di femministe. Donne ebree e comuniste sono i nostri nemici. Le donne moderne sono senza sentimenti, bambole di carne da sterminare”. Cavalleri aveva anche fondato un canale Telegram, Sole Nero, che contava varie centinaia di iscritti: per essere accettato tra i componenti bisognava sostenere un quiz per verificare il livello di radicalizzazione.

Le organizzazioni di estrema destra (che nell’ultimo decennio sono state caratterizzate dalla fusione tra il retaggio storico fascista o nazista e l’ideologia suprematista d’ispirazione americana) sono spesso oggetto di operazioni di polizia in tutta Europa e alcune, quando sono sfuggite all’attenzione degli inquirenti, hanno portato a termine stragi in vari Paesi come Germania, Norvegia e Svezia. Andrea Cavalleri scriveva che è “Meglio morire con onore in uno school shooting che vivere una vita di merda” e che si dichiarava pronto a commettere una strage: “Io una strage la faccio davvero. L’unica cosa da fare è morire combattendo. Ho le armi. Farò Traini 2.0”. È il mito del lupo solitario: già nel marzo del 2017 Jason Burke sul Guardian spiegava che gli attentatori spesso perdono addirittura la connessione con i circoli estremisti con cui sono entrati in contatto, facendone ideologicamente parte senza nemmeno esserne membri.

Lo studente modello in tre anni era diventato esperto di armi e oggettistica militare. A luglio dello scorso anno gli investigatori avevano sequestrato le armi del padre, collezionista, regolarmente detenute. Un’operazione di polizia amministrativa, legata al mancato aggiornamento di un documento. “In realtà – ha rivelato poi il questore di Savona Giannina Roatta – abbiamo colto l’occasione al volo, perché già seguivamo i discorsi del giovane su Internet e bisognava evitare ogni rischio”.

Siamo davvero sicuri che l’estremismo di destra sia solo una strumentalizzazione politica qui, nel Paese dove già Luca Traini il 3 febbraio del 2018 impugnò una pistola semiautomatica e sparò a diverse persone, tutti africani, ferendone sei e lasciano di proiettili sui muri di negozi e abitazioni?

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Lamorgese supera a destra Salvini: “Porti aperti, navi bloccate”

Da quando al Viminale hanno capito che con il fermo amministrativo si può ottenere lo stesso effetto di ciò che faceva Salvini (se non meglio) e in cambio non si ottiene nemmeno troppa indignazione devono avere pensato di avere trovato la pentola d’oro. Del resto, pensateci, cosa cambia tra il non fare attraccare una nave di una ONG quando semplicemente puoi evitare di farla partire? Cosa c’è di meglio di un Mediterraneo sguarnito senza nemmeno bisogno di alzare la voce quando le carte bollate ottengono lo stesso effetto?

Così, nell’indifferenza generale anche dei molti che sembravano affezionatissimi al tema dei diritti umani quando servivano per essere usati come roncola contro l’avversario di turno, con lo stop dato alla nave Sea Eye 4 salgono a otto le navi delle Ong contemporaneamente ferme nei porti italiani. Un bel bottino per la ministra Lamorgese che è la stessa ministra che avrebbe dovuto segnare “un cambio di passo”. Le motivazioni dello stop alla nave della Ong Sea-Eye come al solito rientrano nella fantascienza più comica: la Guardia costiera, con il solito slang burocratese, accusa la nave Sea Eye 4 di avere salvato troppe persone (sono stati 415 migranti nella sua ultima missione), di non essersi presa la briga di lasciare in mare quelli che erano di troppo e di non avere “mezzi collettivi di salvataggio” a sufficienza.

In sostanza non avrebbe dovuto recuperare i naufraghi perché non aveva abbastanza salvagenti in previsione di un eventuale nuovo naufragio. Ovviamente per certi burocrati (che sono spesso quelli che osano le regole per svolgere una missione, piuttosto che semplicemente usarle) quelle persone salvate non erano disperati strappati alla morte ma semplici “passeggeri”. Peccato che questa volta il Registro navale italiano abbia attribuito alla nave la «notazione volontaria di classe rescue» con il numero 200 tra le persone in grado di soccorrere specificando che in situazioni di emergenza la legislazione internazionale prevede che la salvaguardia della vita umana sia prioritaria». Alla Guardia costiera, che sbadati, non se ne sono accorti.

Del resto una soluzione al sovraffollamento delle navi Ong ci sarebbe: assistere nei trasbordi oppure meglio ancora organizzare una missione di ricerca e soccorso europea, istituzionale, senza nemmeno l’ombra del dubbio che qualcuno possa perseguire chissà quali fini personali. Intanto siamo a due navi sotto sequestro giudiziario (Iuventa e Eleonore) e ben 6 in stato di fermo amministrativo. Ma tutto è fatto in modo pulito, senza sbavature, senza nemmeno sembrare razzisti. Un capolavoro.

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Fonte

Dopo 4 mesi possiamo dirlo: quello di Draghi è un governo di destra

Toh, che sorpresa. Il governo dei migliori, quello che avrebbe dovuto essere apolitico, tecnico, impolitico e uno a caso di quel milione di aggettivi che sono serviti per truccarlo da “superiore”, ora si scopre che ha una naturale predisposizione verso destra.

Era difficile prevedere che fare entrare nel governo Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e tutta la combriccola liberale avrebbe prodotto politiche di destra? Evidentemente sì, visto che tutti gli editorialisti si sorprendono.

Così siamo a 22 giorni dallo sblocco dei licenziamenti con la farlocca narrazione delle “aziende che corrono e devono essere libere di agire sul mercato”, che – tradotta (però c’è da dire che il governo dei migliori è fortissimo sulla narrazione) – significa che le aziende devono essere libere di licenziare.

La linea politica la detta, manco a dirlo, il presidente di Confindustria Bonomi, che accusa i sindacati di fare terrorismo mediatico e ci dice che siamo di fronte a un “miracolo economico” e parla di solo 100mila posti di lavoro in meno. Peccato che, secondo la Banca d’Italia, siano 550mila. Ma soprattutto: se siamo nel bel mezzo di un “miracolo economico” perché c’è bisogno di licenziare?

E poi: che dire dell’Anac svuotata dall’ultimo decreto del Consiglio dei ministri che ha trasferito i controlli anti-corruzione da un ente indipendente agli uffici governativi? Il controllato che diventa controllore è un classico del nostro Paese che ha sempre aperto le porte a mafie e corruzione.

Del resto c’è solo una valanga di miliardi in arrivo. E sarà proprio per questo che al governo hanno pensato bene di liberalizzare i subappalti, confondendo come al solito la legalità con la burocrazia per risultare efficaci e convincenti.

A proposito di lavoro: a parte i post su Facebook e i discorsi per il cerimoniale, vi viene in mente un’azione o una parola per evitare la strage? Niente, figurarsi. In compenso si sono versate parole per affossare qualsiasi dibattito sul salario minimo, considerato dalle nostre parti troppo di sinistra. Non vorrete mica disturbare il “miracolo economico”. Dai, su.

La caciara sulla tassa di successione è un altro capitolo degno dei berlusconiani di altri tempi. Ultimo ma non ultimo, questo insopportabile paternalismo sui giovani che non accettano di fare gli schiavi e che vengono additati come indolenti e fannulloni. Del resto, è sempre così: quando ci tengono a ripetere di non essere né di destra né di sinistra sono quasi sempre di destra. Anche se si fanno chiamare tecnici.

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Dal bacio di Biancaneve a «è una vergogna signora mia…»

Era inevitabile ed è accaduto: a furia di moltiplicare iperboli per leccare anche l’ultimo clic indignato sul fondo della scatola perfino Enrico Mentana decide di dire la sua sulla “cancel culture” con due righe veloci, di passaggio, sui social paragonandola niente popò di meno che ai roghi dei libri del nazismo, con annessa foto di in bianco e nero di un rogo dell’epoca perché si sa, l’immagine aumenta a dismisura la potenza algoritmi del post.

Una polemica partita da un giornalino di San Francisco

La settimana delle “irreali realtà su cui pugnacemente dibattere” questa settimana in Italia parte dal bacio di Biancaneve cavalcato (in questo caso sì, con violenza amorale) da certa destra spasmodicamente in cerca di distrazioni e si conclude con gli editoriali intrisi di «è una vergogna, signora mia» di qualche bolso commentatore pagato per rimpiangere sempre il tempo passato. Fa niente che non ci sia mai stata nessuna polemica su quel bacio più o meno consenziente al di là di una riga di un paio di giornaliste su un quotidiano locale di San Francisco: certa intellighenzia Italiana si spreme da giorni sull’opinione di un articolo di un giornalino oltreoceano convinta di avere diagnosticato il male del secolo, con la stesa goffa sproporzione che ci sarebbe se domani un leader di partito dedicasse una conferenza stampa all’opinione di un avventore del vostro bar sotto casa. Un ballo intorno alle ceneri del senso di realtà per cui si son agghindati tutti a festa, soddisfatti di fare la morale a presunti moralisti di una morale distillata dall’eco dopata di una notizia locale.

Se la battaglia “progressista” si ispira a Trump

Chissà se i democraticissimi e presunti progressisti che si sono autoconvocati al fronte di questa battaglia sono consapevoli di avere come angelo ispiratore l’odiatissimo Donald Trump, il migliore in tempi recenti a utilizzare la strategia retorica del politicamente corretto per spostare il baricentro del dibattito dai problemi reali (disuguaglianze, diritti, povertà, discriminazioni) a un presunto problema utilissimo per polarizzare e distrarre. Nel 2015 Donald Trump, intervistato dalla giornalista di Fox Megyn Kelly su suoi insulti misogini via Twitter («You’ve called women you don’t like fat pigs, dogs, slobs and disgusting animals…») rispose secco: «I think the big problem this country has is being politically correct». Che un’arma di distrazione di massa venisse poi adottata dalle destre in Europa era facilmente immaginabile ma che si attaccassero a ruota anche disattenti commentatori e intellettuali (?) convinti di purificare il mondo era un malaugurio che nessuno avrebbe potuto prevedere. Così la convergenza di interessi diversi ha imbastito un fantasma che oggi dobbiamo sorbirci e forse vale la pena darsi la briga di provarne a smontarne pezzo per pezzo.

La banalizzazione delle lotte altrui è un modo per disinnescarle

C’è la politica, abbiamo detto, che utilizza la cancel culture per accusare gli avversari politici di essere ipocriti moralisti concentrati su inutili priorità: se io riesco a intossicare la richiesta di diritti di alcune minoranze con la loro presunta e feroce volontà di instaurare una presunta egemonia culturale posso facilmente trasformare gli afflitti in persecutori, la loro legittima difesa in un tentativo di sopraffazione e mettere sullo stesso piano il fastidio per un messaggio pubblicitario razzista con le pallottole che ammazzano i neri. La banalizzazione e la derisione delle lotte altrui è tutt’oggi il modo migliore per disinnescarle e il bacio di Biancaneve diventa la roncola con cui minimizzare le (giuste) lotte del femminismo come i cioccolatini sono stati utili per irridere i neri che si sono permessi di “esagerare” con il razzismo. Il politicamente corretto è l’arma con cui la destra (segnatevelo, perché sono le destre della Storia e del mondo) irride la rivendicazione di diritti.

Correttori del politicamente corretto a caccia di clic

Poi c’è una certa fetta di artisti e di intellettuali, quelli che hanno sguazzato per una vita nella confortevole bolla dei salottini frequentati solo dai loro “pari”, abituati a un applauso di fondo permanente e a confrontarsi con l’approvazione dei propri simili: hanno lavorato per anni a proiettare un’immagine di se stessi confezionata in atmosfera modificata e ora si ritrovano in un tempo che consente a chiunque di criticarli, confutarli e esprimere la propria disapprovazione. Questi trovano terribilmente volgare dover avere a che fare con il dissenso e rimpiangono i bei tempi andati, quando il loro editore o il loro direttore di rete erano gli unici a cui dover rendere conto. Benvenuti in questo tempo, lorsignori. Poi ci sono i giornalisti, quelli che passano tutto il giorno a leggere certi giornali americani traducendoli male con Google e il cui mestiere è riprendere qualche articolo di spalla per rivenderlo come il nuovo ultimo scandalo planetario: i politicamente correttori del politicamente corretto è un filone che garantisce interazioni e clic come tutti gli argomenti che scatenano tifo e ogni presunta polemica locale diventa una pepita per la pubblicità quotidiana. A questo aggiungeteci che c’è anche la possibilità di dare fiato a qualche trombone in naftalina e capirete che l’occasione è ghiottissima. Infine ci sono gli stolti fieri, quelli che da anni rivendicano il diritto di essere cretini e temono un mondo in cui scrivere una sciocchezza venga additato come sciocchezza. Questi sono banalissimi e sono sempre esistiti: poveri di argomenti e di pensiero utilizzano la provocazione come unico sistema per farsi notare e come bussola vanno semplicemente “contro”. Chiamano la stupidità “libertà” e pretendono addirittura di essere alfieri di un pensiero nuovo. Invece è così banale il disturbatore seriale. Tanti piccoli opportunismi che hanno trovato nobiltà nel finto dibattito della finta cancel culture.

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“Donna, ricordati di procreare altrimenti non ti realizzi”

A destra la concezione dell’identità di donna è sempre la stessa dai tempi di Adamo: essa per la Lega o Forza Italia ha il supremo compito di partorire come accadeva in quei tempi in cui in Italia avevamo qualche problemino con la democrazia

Antonio Tajani è coordinatore nazionale di Forza Italia, mica uno qualunque. Uno dei suoi pregi, per chi ha uso di seguire la politica, è quello di essere sornione sempre allo stesso livello mentre si ritrova a parlar degli argomenti più diversi, come se recitasse a memoria il ruolo che Forza Italia si propone nel centrodestra: essere quelli “seri”, quelli “non populisti”, quelli “libertari” e così via.

Ieri Tajani era presente alla presentazione degli eventi della festa ‘Mamma è bello’ e ovviamente gli è toccato sfoderare qualche riflessione politica sul ruolo di mamma (i politici, quelli che funzionano sono così, hanno un’idea su tutto e un mazzo di slogan per qualsiasi occasione, dalla sagra della porchetta fino al complesso tema di maternità e famiglia) e così ha sfoderato la solita frase come una tiritera, forse rendendosi poco conto di quello che stava dicendo. «La famiglia senza figli non esiste», ha detto Tajani, e poi, tanto per non perdere l’occasione di peggiorare la propria figura ha deciso anche di aggiungerci che «la donna non è una fattrice, ma si realizza totalmente con la maternità».

Ma come? Ma Forza Italia non è proprio il partito delle libertà? Niente: Tajani non si è nemmeno reso conto di essere riuscito in pochi secondi a tagliare completamente fuori migliaia di persone che avrebbero tutto il diritto di sentirsi feriti dalle sue parole. Mettere in dubbio la legittimità di un amore e di una famiglia, del resto, sembra essere diventato il giochino del momento dalle parti del centrodestra e così le famiglia che non hanno figli e quelle che non ne possono avere improvvisamente si accorgono di essere meno degne di tutti gli altri. E badate bene, qui siamo addirittura oltre al solito attacco alle coppie omosessuali: qui siamo proprio a un’idea di donna che ha il supremo compito di partorire come accadeva in quei tempi in cui in Italia avevamo qualche problemino con la democrazia.

Molti sono inorriditi, giustamente e si sono lamentati ma in fondo è proprio sempre la stessa idea di mondo, anche se esce con toni e con modi diversi, che nel centrodestra si coltiva da anni: «Le donne preferiscono accudire le persone, gli uomini preferiscono la tecnologia», ha detto ieri a Piazza Pulita (solo per citare uno dei tanti esempi) Alberto Zelger, consigliere comunale della Lega a Verona.

Insomma, anche oggi, care donne vi è stato ricordato il sacro comandamento di realizzarvi solo attraverso la procreazione. E se è vero che qualcuno potrebbe fregarsene della sparata di Tajani, come accade per le boiate di Salvini, occorre ricordare che questi sono leader di partiti che decideranno come spendere i soldi che dovrebbero servire per rimettere in piedi l’Italia, sono lì a stabilire quali dovrebbero essere le priorità. E questo, vedrete, è molto di più di una semplice frase sbagliata.

Buon venerdì.

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Draghi, Lega, ddl Zan: il male non è fare politica al Primo Maggio ma i partiti che controllano la Rai

Le domande giuste e le domande sbagliate, a prima vista, sembrano sempre più o meno la stessa cosa. La differenza è che le domande sbagliate di solito vengono poste per non ottenere risposte, ma per aumentare la polvere e la schiuma e inevitabilmente per ottenere più coinvolgimento. Più dibattito confuso, più viralità, più clic, più introiti pubblicitari e più popolarità.

Le domande sbagliate sono quelle che oggi si attorciglieranno su Fedez, come in una guerra tra galli in cui si chiede di parteggiare per il cantante o per Salvini, con Fedez o con la Rai, e infatti già scivolano le battute sulla Lamborghini, sui soldi, perfino sulla pubblicità visibile del marchio del suo cappellino.


Le domande giuste, invece, sarebbero da porre alla politica tutta, a destra e a sinistra, su un sistema che ottunde, ammortizza, diluisce tutto quello che deve passare in televisione, sulla televisione pubblica italiana, non tanto per censura ma più per una sorta di autocensura che tiene in piedi il carrozzone dell’informazione italiana in cui il primo obiettivo è quello di non incrinare relazioni che valgono molto più delle competenze per la propria carriera in Rai.

Qualcuno fa notare che non c’è stata censura poiché Fedez ha potuto comunque parlare [qui il testo integrale del suo discorso] ma si dimentica di osservare la cappa che sta sulla testa di quelli che, senza i mezzi e senza la potenza di fuoco, invece, non arrivano nemmeno allo scontro e si allineano.

Uscendo dalla diatriba tra Fedez e gli altri, allora, rimangono due punti fondamentali. Primo: che la televisione pubblica e la politica si siano adagiati su questa abitudine vigliacca di credere che i diritti vadano celebrati senza essere esercitati è la fotografia perfetta di un Paese senza coraggio.


Il Primo Maggio è la festa dei diritti ed è doveroso, ognuno secondo le proprie idee, esercitare e reclamare diritti. Altrimenti chiamatelo concerto e non ammantatelo di altri significati.

Secondo: che la politica ogni volta, ciclicamente, faccia finti di stupirsi di quel mostro che è la Rai, che la politica stessa ha creato, è un’ipocrisia intollerabile. Quello che accade a Fedez accade ai conduttori, ai giornalisti, ai collaboratori (ancora di più).

Un’azienda che ha dirigenti il cui merito è sempre quello di essere “diligenti” più che capaci è ovvio che vada a finire così e la responsabilità è tutta politica, è tutta della politica. Questa scena dei piromani che si disperano per l’incendio ce la potreste anche risparmiare, almeno per il gusto della verità e della dignità.

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Minestre riscaldate

Il centrodestra sta apparecchiando le sue esplosive candidature per le prossime elezioni a Roma e a Milano, le città che di solito sono considerate laboratori politici di ciò che poi accade a livello nazionale. Parlando di Roma e di Milano quindi inevitabilmente verrebbe da dire che le candidature dovrebbero essere il termometro per testare la salute della coalizione. Tenetevi forte: Gabriele Albertini e Guido Bertolaso. Il futuro del centrodestra italiano sta tirando la giacchetta a due giovani (entrambi classe 1950) a cui viene affidato il compito di disegnare il futuro della destra in Italia. Alla grande direi.

Con Albertini a Milano si punta forte sull’effetto nostalgia, quando il centrodestra aveva anche una certa credibilità in termini di governo e non solo come urlatori. Albertini l’umile, quello che di sé dice «io, come industriale, mi considero uno dei più grandi rivoluzionari della storia, perché chi ha cambiato l’uomo, chi ha rivoluzionato l’individuo, non è stata la rivoluzione marxista, è stata l’industrializzazione». Poiché quelli erano tempi di una Milano che ha lasciato sensazione di ricchezza e di serenità si punta al ricordo. Ci si dimentica (come è avvenuto per Letizia Moratti) che Albertini ha anche incassato sonore sconfitte (ma quelle si sa, si dimenticano in fretta): nel 2014 (era passato con Angelino Alfano, ma Salvini sembra esserselo dimenticato) non viene eletto alle europee. Candidato come capolista a Milano (nella sua Milano, eh) a sostegno di Parisi nel 2016 prende 1.376 preferenze (alla grande, eh) e non viene eletto. Ah, una curiosità: Giorgio Gori quando perse le elezioni regionali contro Fontana gli chiese di candidarsi nella sua lista. Per dire.

Bertolaso invece va bene in ogni occasione. L’uomo che nell’immaginario del centrodestra “risolve i problemi” è arrivato in Lombardia e ha avuto il gran ruolo di accorgersi che Fontana e i suoi non riuscivano a concludere un bel niente ma ovviamente Bertolaso questo non ce lo dice. Ora comunica che la sua missione è terminata (ma il problema l’ha risolto Poste italiane con la sua piattaforma che ha sostituito quella costosissima e inefficiente di Regione Lombardia) e in molti lo spingono su Roma. Ora fa il prezioso (eppure nel 2016 non voleva ritirarsi nemmeno di fronte alla candidatura di Giorgia Meloni). Anche per lui vale il condono del tempo: bastano una buona narrazione e un po’ di anni e tutto passa in cavalleria.

Veramente fresca e interessante questa nuova classe dirigente del centrodestra in Italia. Manca solo Berlusconi ma vedrete che prima o poi arriverà anche lui, sicuro.

Buon mercoledì.

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Per il senatore leghista Ostellari “dare del fr*cio a un gay non è un’offesa”

Alla fine non ce l’ha fatta a trattenersi e il leghista Andrea Ostellari, quello che tiene in ostaggio in commissione giustizia al Senato il ddl Zan, si è fiondato in radio ospite di Cruciani e Parenzo a rivendicare il diritto di dare del ”fr*cio” ai gay, con grandi risate di Cruciani al seguito. “Non è offensiva. Dipende dal contesto”, ha detto Ostellari.

Del resto sul diritto costituzionale di dare del “fr*cio” a qualcuno si sta giocando tutta la lercia propaganda leghista da mesi: una volta ci si vergognava, ora diventa un tratto distintivo. Dice Ostellari che non serve “fare una legge nuova speciale per i gay” perché sono “normali”. E anche su questo punto dimostra tutta l’ignoranza poiché le tutele di legge per gruppi religiosi e etnici considerati più esposti esistono circa da trent’anni.

Anche gli oppositori della legge Mancino (nella sua versione del 1975) rivendicavano il diritto all’insulto e evocavano l’incostituzionalità ma una sentenza della corte costituzionale del 2015 (Cass. Pen. 36906/15) dice chiaramente che la libertà di manifestazione del pensiero cessa quando travalica in istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista.

Ma Ostellari evidentemente è troppo preso dal suo essere “Ostellari” per occuparsi di queste quisquilie costituzionali, troppo preso a darsi di gomito con il prode Cruciani. Poi Ostellari si lancia in una considerazione che probabilmente ritiene geniale: “La legge Zan – dice a Cruciani – non è una legge che viene osteggiata dalla Lega o da Ostellari, omofobi e cattivi, è una legge che viene criticata in primis dal mondo femminista, da Arcilesbica”.

Quindi per Ostellari l’opinione di Marina Terragni (“femminismo” utile alla destra per essere usato come clava) improvvisamente assume il diritto di veto al voto. Peccato che il mondo del femminismo sia molto più ampio: altrimenti potremmo dire a Ostellari che il fatto che Alessandra Mussolini sia d’accordo con la legge significhi che “la destra” appoggi il ddl Zan, con lo stesso metodo.

Ma la soddisfazione è sempre la stessa: dire “fr*cio” in pubblico. Poi se quelle parole diventano spranghe o botte a Ostellari non interessa, lui ha avuto nella sua vita i suoi 5 minuti di fama, come sempre sulla pelle degli altri, come capita a chi ottiene luce dal negare diritti perché non sa inventarsene di nuovi.

Leggi anche: Ddl Zan: una grande opportunità per riscrivere le regole della convivenza sociale

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Chiedere aperture è diventato “di destra”, affidarsi alle chiusure “di sinistra”: ma è un errore pericoloso

Piccola nota iniziale: qui non si discute dell’effettiva utilità del coprifuoco alle 22 o alle 23. Si potrebbero riportare le parole di Crisanti che dice “stare a discutere di un’ora è pazzesco, ridicolo” poiché “un’ora, dalle 22 o dalle 23 non fa nessuna differenza. Hanno aperto i ristoranti a cena, che senso ha? Epidemiologicamente un’ora in più o meno non cambia, a quel punto era meglio farli contenti” oppure lo studio dell’epidemiologo Samir Bhatt secondo cui un coprifuoco notturno da solo aiuterebbe a ridurre di circa il 13 per cento l’indice Rt del coronavirus: la letteratura scientifica sul tema è piuttosto limitata e riconosce che il coprifuoco abbia un’efficacia limitata soprattutto se abbinata a diversi provvedimenti.

Qui si discute piuttosto della pericolosa e sconfortante polarizzazione che nel corso dei mesi è riuscita a dividere un dibattito necessario trasformando ogni riflessione in un banale esercizio di appartenenza politica. Se un leader politico da cui ci sentiamo rappresentati propone un’apertura o una chiusura allora la cavalchiamo senza se e senza ma e al contrario rifiutiamo qualsiasi proposta dei politici che avversiamo. Così in una graduale discesa dalla complessità al tifo oggi chiedere aperture è diventato “di destra” e affidarsi alle chiusure “di sinistra”, come se in mezzo non ci siano un centinaio di infinte sfumature, come se non fosse segno di una democrazia matura pretendere di conoscere i dati, i reali risultati di ogni iniziativa, i riscontri delle varie limitazioni.

Si scappa a gambe levate dalla complessità, ci si affida a una banalizzazione che vorrebbe applicare perfino a un virus il modello delle opposte tifoserie. Eppure la scienza in questi mesi insiste nel ripeterci che il valore primario sia proprio quelli di avere dubbi, di coltivarli, di verificarli e sperimentarli.

Sia chiaro: che su questa pandemia si giochi la propaganda di chi parla a vanvera di “libertà” come se non ci fosse un evidente problema sanitario è sotto gli occhi di tutti ma che la giusta reazione sia quella di pesare le proposte in base alla provenienza politica risulta quantomeno semplicistico e forse perfino pericoloso.

Se “voler valutare l’efficacia del coprifuoco” significa essere additati come sostenitori di Salvini allora abbiamo un altro virus da combattere in fretta: la disabitudine alla complessità necessaria per un dibattito sano, maturo e probabilmente più efficace. È un argomento troppo serio per lasciarlo ai capibastone politici e ai tifosi.

Leggi anche: 1. Decreto anti-Covid, salta la riapertura dei centri commerciali nel weekend, ira della Lega: “Così non va” /2. Retroscena TPI, telefonata Draghi-Salvini: “La Lega sta col governo”, “Allora rispettate le decisioni”

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