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Filippo Penati

Appunto, il dopo Formigoni è già iniziato

Luciano Muhlbauer (uno che ci manca parecchio qui in Regione Lombardia) scrive su il dopo Formigoni per il Manifesto del 9 giugno 2012 con il titolo “L’era di Formigoni è finita? Sì, se il Pd battesse un colpo”. Noi siamo in campo:

Al Pirellone non è successo niente. La mozione di sfiducia contro Roberto Formigoni è stata respinta. Nessuna emozione, nessuna sorpresa, beninteso. L’esito era talmente scontato che mercoledì il capogruppo regionale del Pd, in vacanza su un’isola greca, non si è nemmeno presentato in aula. Già, la logica del potere è implacabile e la Lega, al di là delle sceneggiate padane, non ha alcuna intenzione di mollare il Presidente ciellino e, soprattutto, di segare il ramo sul quale sta comodamente seduta da oltre un decennio.

Formigoni ovviamente gongola, ma la sfiducia mancata non toglie nulla alla profondità della crisi che lo attanaglia. Al massimo dimostra che la paura di perdere poltrone e privilegi è un potente collante e che dopo 17 anni di governo ininterrotto della stessa persona e dello stesso gruppo politico, di sovrapposizione tra pubblico e privato, di complicità e di clientele, cambiare le cose in Lombardia è faccenda che non può essere affidata all’improvvisazione.

La crisi del formigonismo è definitiva, terminale. Quel modello aveva perso la sua spinta propulsiva anni fa ed ora siamo al tirare a campare in un clima da basso impero, popolato da corrotti, trote, minetti, faccendieri, vacanze di lusso e pure un pizzico di ‘ndrangheta. Insomma, un ciclo politico è finito e il dopo Formigoni è già iniziato, anche se questa constatazione, di per sé, non ci fornisce alcuna certezza sui tempi, sulle modalità e sugli esiti.

Si, perché le cose da sole non cambiano in meglio, anzi rischiano di imputridirsi rapidamente, soprattutto oggi, con l’intero sistema politico esposto al discredito di massae con una crisi economica ed occupazionale sempre più devastante. In altre parole, la fuoriuscita celere dall’epoca formigoniana e la definizione di un’alternativa netta, chiara e trasparente rappresentano oggi la principale urgenza politica in Lombardia.

Eppure, sembra che l’opposizione a Formigoni venga fatta seriamente soltanto dalla Procura della Repubblica e questo è un guaio. Sia chiaro, il problema non sono i magistrati, che fanno (e faranno) semplicemente il loro mestiere, bensì la politica, che non lo fa a sufficienza, determinando così un pericoloso vuoto.

In questo senso, dissento profondamente da chi è intervenuto ultimamente, anche da posizioni contigue al centrosinistra, come Piero Bassetti (ex Presidente della Regione e sostenitore di Pisapia l’anno scorso), affermando che Formigoni non si debba dimettere nemmeno in caso riceva un avviso di garanzia. Certo, un ragionamento ineccepibile in punto di diritto, ma politicamente perlomeno sospetto. Infatti, come negare rilevanza politica alla quantità e alla qualità di indagati nell’entourage del Presidente e al fatto che un terzo della sua Giunta degli anni 2005-2010 risulti oggi inquisita per fatti di corruzione? O al piccolo particolare delle firme false per la presentazione della sua lista elettorale? Oppure al quadro desolante che emerge con sempre maggior forza dalle vicende San Raffaele, Fondazione Maugeri e vacanze pagate?

Insomma, la rilevanza politica è evidente, per i fatti in sé e per quello che raccontano sulla vera essenza di un sistema di potere, ormai irreversibilmente marcio. Se a questo aggiungiamo il fatto che Regione Lombardia è ormai letteralmente immobile, se non addirittura disinteressata, rispetto all’incalzante questione sociale e alla galoppante desertificazione produttiva, abbiamo completato il quadro dell’insostenibilità della situazione.

Appunto, il dopo Formigoni è già iniziato. Per questo, se non si vuole delegare la politica alla magistratura o consegnare il futuro della Lombardia a un grande accordo con Cl, a una sorta di formigonismo senza Formigoni, occorre che dal campo dell’opposizione emerga un’iniziativa urgente e un percorso unitario che porti alla definizione di un’alternativa politica per la Lombardia. Un percorso, sia chiaro, il più pubblico ed aperto possibile, a partire dallo svolgimento delle primarie, perché solo così si potrà seriamente tentare di recuperare un rapporto di fiducia con i ceti popolari ed evitare in partenza tragici errori, come quello che aveva portato due anni fa alla candidatura di Filippo Penati.

Il nuovo arrivato nel Consiglio Regionale della Lombardia: Antonio Romeo

E’ Antonio Romeo, ex sindaco di Limbiate. Sostituisce Massimo Ponzoni che è decaduto (mentre si trova ancora in carcere) e che nelle carte dell’inchiesta Infinito viene definito “capitale sociale della ‘ndrangheta”. Sembrerebbe una buona notizia, direte voi. Ecco due righe ben scritte da Il Fatto Quotidiano sul nuovo arrivo:

In favore di Romeo, non indagato, si registra persino una dichiarazione pubblica di voto espressa da Natale Moscato, grosso imprenditore edile di Desio, la cittadina brianzola culla del potere di Ponzoni. Natale Moscato è orignario di Melito Porto Salvo ed è imparentato con la famiglia Iamonte, storica cosca di ‘ndrangheta egemeone nel paese del reggino. Già assessore comunale all’urbanistica per il Psi, fu arrestato per associazione mafiosa nel 1994 e pi assolto. La famiglia Moscato continua a essere citata nei rapporti investigativi sulla criminalità calabrese in Lombardia, e Annunziato, il fratello di Natale, figurava tra i presunti boss da arrestare nell’inchiesta Infinito del luglio 2010, ma era deceduto prima del blitz. In un’intervista al Giornale di Desio del 17 agosto di quello stesso anno, dove nega ogni coinvolgimento con la criminalità, Natale Moscato dice la sua sulle elezioni regionali lombarde svoltesi in primavera: “Massimo Ponzoni non è mai stato presente a Desio né in Brianza e gli stessi brianzoli l’hanno punito. Io non ho fatto la campagna elettorale per nessuno, ma come sa ho una famiglia numerosa e tutti noi alle Regionali abbiamo votato per Antonio Romeo, un sindaco che al suo paese, a Limbiate, è stato premiato con tremila voti. Evidentemente fa bene il suo lavoro e, lui sì, merita la mia stima: Ponzoni non avrebbe neanche dovuto essere eletto”.

Un accenno a questi movimenti elettorali si trova nelle intercettazioni dell’inchiesta monzese condotta dai pm Walter Mapelli (lo stesso che ha inquisito per corruzione il dirigente del Pd Filippo Penati), Giordano Baggio e Donata Costa. Uno sconosciuto parla con Franco Riva, un altro amministratore del Pdl arrestato, spiegando: “Mi hanno detto a Cesano chi ha votato quello di Limbiate, tutto il clan Moscato… Soliman e gli altri tre consiglieri, Giacomini, Mandin… il clan Moscato”. Limbiate è la città dove Romeo era sindaco, ma aveva deciso di dimettersi per tentare la strada del Pirellone. Riva risponde: “Il Ponz mi ha detto che è contento di essersi tolto da quel giro lì”. Ora i destini si intrecciano di nuovo: il candidato preferito dalla famiglia Moscato rischia di entrare in consiglio regionale al posto del “Ponz”. Romeo non è indagato né accusato di nulla, ma anche questa vicenda potrebbe diventare molto imbarazzante per il presidente Formigoni, in caso di sostituzione.

E siccome (fidatevi) ne parleremo a lungo cominciate a tenere da parte questo post.

L’occasione persa (ma possibile) sulla commissione d’inchiesta per il ‘sistema Sesto’

La scrivo in due righe tanto produrrà lo stesso rumore. La maggioranza in Regione Lombardia (ovvero Lega e PDL unite dal terrore di esistere ormai solo qui dentro) ha deciso di istituire una commissione d’inchiesta sul “Sistema Sesto” dopo le note vicende che hanno coinvolto Filippo Penati. Chiriamoci subito: la commissione è inutile. Inutile nel senso letterale del termine perché non può indagare e analizzare gli atti che vengono contestati dalla magistratura che non sono di competenza regionale. L’istituzione della commissione è una banalissima speculazione politica (meglio degli immigrati e i terroni, almeno) per rispondere all’istituzione delle commissioni d’inchiesta sul San Raffaele e sulle vicende di Cappella Cantone e l’ex vicepresidente del Consiglio Regionale Nicoli Cristiani. Banalizzando si potrebbe dire che è un goffissimo eccesso di difesa di una maggioranza sotto assedio.

Questo il riassunto delle puntate precedenti, ora veniamo ad oggi (in realtà ieri, quando si è insediata la commissione). Ho già scritto il mio pensiero sulla vicenda Penati (qui, qui in risposta a Pippo e qui proprio all’inizio della storia) e mi capita di risponderne spesso durante gli incontri in Lombardia. Non mi è mai piaciuta la politica che non riesce a pensarsi non sistematica e non sistemistica in una rete di rapporti dediti alla speculazione. Al di là delle vicende giudiziarie mi sembra poco opportuno, ecco tutto. Però l’istituzione di questa commissione d’inchiesta (e di cartapesta) è (o era) una grande occasione per il centrosinistra lombardo. Perché la presidenza è della minoranza (quindi del centrosinistra, appunto) e lascia un ampio spazio di comunicazione per raccontare che forse sì, concettualmente si è presa una piega di intenti che deve aprire delle riflessioni. E sarebbe stato il centrosinistra che in molti chiedono che ha la voglia e la forza di riconoscere i propri errori e di raccontarsi per dimostrarsi serio nel ripensarsi. Insomma un’assemblea pubblica e civilissima che speculerebbe sulla speculazione del centrodestra facendo sbocciare tra il nostro popolo una riflessione aperta, convinta e perché no convincente. Niente autodafé, per carità, ma un riconoscere i propri eventuali errori.

Una bella occasione, insomma.

Bene. Per la minoranza è stata eletta Elisabetta Fatuzzo, rappresentante in Regione del Partito dei Pensionati. Il Partito dei Pensionati nella scorsa legislatura era alleato del centrodestra. Per dire.

No, Pippo, su Penati non sono d’accordo

Tutti sanno quanto sia vicino a Pippo Civati (politicamente ma soprattutto amico) ma questa intervista su Penati è condivisibile su molti aspetti ma manca un punto. Quando dice “la valutazione di opportunità politica sulle dimissioni spetta solo a lui. E la farà nel caso in cui ci fosse il rinvio a giudizio” dissento: Penati è (stato) il portabandiera della coalizione di centrosinistra. Lì dove sta Formigoni noi proponevamo di metterci Penati (sbagliando) e le sue responsabilità (e le sue decisioni) non possono essere scaricate “nel gruppo misto”. Senza polemica, eh. E senza dimenticare che il punto qui è la sfacciata e criminogena lobby formigoniana.

Si sgretolano le accuse, dice lui

MILANO – Una passeggiata di Filippo Penati. Recente, a metà maggio. Sotto la sede della Regione Lombardia. Con il costruttore Giuseppe Pasini, proprio uno dei due imprenditori che a quell’epoca lo stavano già accusando davanti ai magistrati: ecco cosa, in termini di «inquinamento probatorio», ha rischiato di costare al dirigente pd l’arresto, evitato invece solo per la differente qualificazione giuridica delle tangenti (non concussioni, ma corruzioni già prescrittesi) scelta dal giudice. Una passeggiata che per i pm monzesi sarebbe servita a dare un messaggio a Pasini perché edulcorasse il suo interrogatorio, al punto da spingerli a una osservazione di infrequente asprezza: «È desolante constatare come un uomo politico con importanti incarichi istituzionali passati e presenti (sindaco di Sesto San Giovanni, presidente della Provincia di Milano, portavoce del segretario del Partito democratico e vicepresidente del Consiglio tegionale) adotti le stesse cautele di un delinquente matricolato». Il 16 maggio Pasini racconta alla GdF di aver incontrato, a una cena sociale della Bcc di Sesto San Giovanni, «la ex moglie di Penati che mi ha detto che suo marito voleva parlarmi». D’accordo con gli inquirenti, Pasini fissa per il giorno dopo un appuntamento. Penati non si siede con lui al bar, ma gli parla camminando (il che impedirà ai militari di registrare la conversazione): «Caro Giuseppe – sostiene Pasini d’essersi sentito dire – so che ti hanno chiamato a Monza (i magistrati, ndr ) per conoscere qualche cosa della situazione e vorrei sapere che cosa hai detto e in particolare se ti hanno chiesto di me». Poi Penati avrebbe aggiunto: «Lei, Giuseppe, sa che io non ho preso una lira, sa che io di quattrini non ne ho. Di Caterina sparla di me, ma lei sa che non è vero niente, lui ha preso i soldi per sé». A questo punto, riferisce Pasini, «io ho ammiccato ed ho percepito che queste erano le indicazioni da tenere presente in caso di convocazione da parte dell’Autorità giudiziaria. L’incontro è durato poco, a lui interessava solo darmi il segnale su come comportarmi». Dicono in Procura come riferisce il Corriere della Sera.

No, caro Penati, la difesa è offensiva

“Gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari dimostrano l’esistenza di numerosi e gravissimi fatti di corruzione posti in essere da Filippo Penati e da Giordano Vimercati nell’epoca in cui rivestivano la qualifica di pubblici ufficiali prima presso il Comune di Sesto San Giovanni e poi presso la Provincia di Milano”.

Diceva qualcuno che le parole sono importanti: l’intervenuta prescrizione chiude il caso giudiziario ma apre una voragine politica e, ancora una volta, dimostra la goffaggine difensiva di una sinistra che gioca tutto sulla presunta ‘superiorità morale’ lasciando da parte i fatti. Mi ha irritato leggere le dichiarazioni di Penati che sornione ci annuncia che ‘il castello di accuse si sta sgretolando’ mentre intanto perde le briciole (lui) ogni ora che escono maggiori dettagli sulle motivazioni. E’ una questione di vocabolario, come dice bene Patrick Fogli, e soprattutto una questione di verità. E la verità può essere ricostruita, può essere difesa con i denti ma è intollerabile provare a camuffarla.

Ora l’indagine è chiusa ma il caso politico è aperto più di prima (è anche il pensiero di D’Ambrosio, uomo tutto democratico) perché i tempi della politica non possono sempre usare l’alibi di volere aspettare i tempi della giustizia prima di esprimere giudizi e azioni. E perché nel Paese del più vergognoso prescritto della nostra Repubblica ci si dovrebbe ricordare che alla prescrizione si potrebbe rinunciare (un certo Giuliano Pisapia, ad esempio, l’ha fatto) o si potrebbe pensare di farsi doverosamente da parte e tornare al proprio lavoro (già…).

L’autosospensione dal PD e l’uscita dal gruppo in Consiglio Regionale crea il primo caso di candidato presidente che diventa indipendente. Ma di dipendenze (oltre che di pendenze) qui ce ne sono almeno quante i voti della coalizione di centrosinistra che ha corso alle ultime elezioni regionali, e non si può scegliere di fare il capitano e poi alle prime onde arrogarsi il diritto di stare nell’ombra e in silenziosa solitudine come un mozzo.

No caro Penati, la tua difesa è offensiva. E mica nel senso di contrattacco.

(E adesso sono curioso di sapere cosa c’è scritto nel ricorso presentato dai PM per chiederne la carcerazione)

 

Ponzoni si dimetta

Dichiarazione di Chiara Cremonesi e Giulio Cavalli,

consiglieri regionali Sinistra Ecologia Libertà

“Apprendiamo oggi che le indagini a carico del segretario della Presidenza del Consiglio Massimo Ponzoni sono state prorogate e si ampliano arrivando ora a coinvolgere anche il vicepresidente della provincia di Monza e Brianza, Antonino Brambilla, e l’ex-assessore Rosario Perri, chiamato in causa alcuni mesi fa nelle carte della maxi-operazione contro la ‘ndrangheta.

E’ da oltre un anno che pesa su Ponzoni l’accusa di corruzione, mentre i magistrati negli atti di Infinito lo definiscono ‘capitale sociale dell’organizzazione criminale’.

La sua permanenza nell’Ufficio di presidenza è un oltraggio al ruolo di garanzia che gli è proprio e al prestigio dell’istituzione. E il punto non è più rinviabile. Ponzoni faccia finalmente il dovuto passo indietro”.

 

Milano, 28 luglio 2011

Ponzoni, sempre lui

Indagato per la milionesima volta. Con compagnie eccellenti: l’ex sindaco di Giussano Franco Riva e l’ex assessore provinciale Rosario Perri, dimessosi dall’incarico un anno fa sulla scia delle intercettazioni dell’operazione “Infinito” che ha sgominato le cosche della ‘Ndrangheta nel nostro territorio. Nell’inchiesta, condotta dal sostituto procuratore della Repubblica cittadina Giordano Baggio, altri indagati, tra i quali due imprenditori brianzoli e due funzionari della Regione Lombardia. Intanto lui, Massimo Ponzoni, rimane seduto nella poltrona di fianco a quella abbandonata ufficialmente questa mattina da Filippo Penati. E la Regione Lombardia sembra sempre di più un’oligarchia criminale.

Una bella risposta per la Vicepresidenza del Consiglio

Ha ragione Pippo a dire che l’occasione di votare una donna nell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale è un segnale da cogliere. Ma rimane da decidere se il PD ha responsabilità politiche sulla vicenda Penati (e basta leggersi le accuse e pensare alle responsabilità di selezione) e se non sia il caso che su due posti della minoranza per una volta (una volta, dico) non dimostri la solita insopportabile bulimìa mantenendo l’eleganza tenuta da Penati fin qui e cedendo il passo al resto della coalizione. Con una donna, naturalmente. E possibilmente lontana da Sesto San Giovanni.

Il lodo della pacatezza democratica

Ha una fotografia nella pacatezza della politica spessa di Stefano Menichini. Peccato che sia pacatamente fallito il progetto del “C’è però un modo solo per “tenere” rispetto a questi pericoli. Rigore interno, selezione feroce, semplificazione delle procedure (nelle cui complicazioni si annida il virus della corruzione) e soprattutto mai, mai, anteporre l’appartenenza politica o di gruppo nella valutazione dei casi singoli”. E che ci si aspetti reazioni giuste oggi. Prima della proposte giuste. (Per inciso, l’autosospensione dalla vicepresidenza tecnicamente non esiste. Ad oggi è vicepresidente ma non esercita).