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Gianni Biondillo

Gianni Biondillo risponde a Pisapia

giannibiondillo

Qualche giorno fa Gianni Biondillo è stato intervistato (qui) da Elisabetta Soglio sul tema delle elezioni amministrative di Milano esprimendo concetti (secondo me condivisibili). Pisapia gli ha risposto (qui) e Gianni gli ha scritto una bella lettera:

(di Gianni Biondillo)

Caro Pisapia,

alla domanda posta ad una assessore della giunta che ti ha preceduto – “come pensa di attrarre giovani costruendo appartamenti da 10 mila euro al metro quadro?” – la risposta fu illuminante: “esistono anche giovani ricchi!” È così che si perdono le elezioni amministrative. Il mio cuore batte a sinistra, dalla giunta Moratti non mi aspettavo nulla. L’ho avversata con tutte le mie forze. Le cose da voi fatte e che tu elenchi nella tua lettera garbata sono buone, “di sinistra”, e le ho apprezzate anche pubblicamente. Ma, perdona il vecchio linguaggio, sono sovrastrutturali.

Mi consigli di andare a chiedere al parroco di Baggio… be’, sai, dato che a questa tornata elettorale la zona ha votato per il candidato del centro destra, sono io a chiederti di andare da lui per avere delucidazioni sul voto. Tutti ingrati?

Diecimila appartamenti di proprietà pubblica vuoti, in buona parte del Comune, cioè diecimila famiglie che potrebbero avere una casa e non ce l’hanno, questo, invece, è strutturale. Così si perdono le elezioni. Lasciando campo libero ai populisti razzisti che si trovano nelle condizioni ideali di fomentare la guerra dei poveri (chiedi al parroco…).

Sull’accusa d’ignavia: era tuo diritto decidere di uscire di scena dopo una legislatura. Il tuo dovere, invece, era quello di creare una strategia d’uscita che capitalizzasse il lavoro fatto. Insomma, chiudersi in una stanza e dire alla giunta: non si esce da qui fin quando non troviamo un nome condiviso (magari evitando nel frattempo di pubblicare libri dove ti toglievi sassolini dalle scarpe, bruciando naturali candidati in pectore). Perché, sai, Beppe Sala, per quanto vincitore delle primarie, si porta addosso il peso di chi l’ha candidato. I milanesi non amano le imposizioni romane. Gli auguro di cuore di scrollarsi di dosso questa sgradevole sensazione, in fretta, e dimostrare di essere il sindaco di cui abbiamo bisogno. Con idee concrete e realizzabili.

Vivo in via Padova, ho familiari e amici al Giambellino, in Barona, a Baggio, a Crescenzago, ho la mamma a Quarto Oggiaro. Credo di avere una vaga idea della situazione di questi quartieri. So cosa significa sentirsi abbandonati (chiedi… chiedi al parroco…).

Ti faccio un esempio. Mia madre è invalida al 100% con grossi problemi di mobilità. Vive in una casa popolare del Comune (ex IACP. Dove sono cresciuto, insomma). Ha richiesto anni addietro, prima all’ALER poi a MM, di poter sostituire la vasca a sedere con un piatto doccia. Ha telefonato, è andata negli uffici preposti, ha spedito email, lettere, raccomandate con ricevute di ritorno. Niente, neppure una risposta. Poi, durante un consesso politico a Palazzo Marino, due mesi fa, stufo, l’ho raccontato pubblicamente. Dieci giorni dopo mia madre aveva il piatto doccia nuovo di zecca. Sono felice per lei. Ma triste per chi non ha un figlio scrittore che può permettersi di alzare la voce. Queste cose non devono più accadere. Chiunque sarà il sindaco.

con affetto, Gianni Biondillo

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Alcuni anni dopo, da adolescente, ti ho ritrovato in una libreria del centro. Stavo marinando la scuola per evitare una interrogazione. Spulciando nel sempre magro scaffale della poesia di ogni libreria italiana mi si presentò una edizione economica delle Ceneri di Gramsci. Conservo ancora quel volume con affetto. Fu il primo di una lunga serie. Negli anni c’è sempre stato qualche poeta che ha cercato di convincermi che fossi migliore come regista. E registi che ti apprezzavano di più come narratore. E narratori che preferivano la tua opera di polemista. E così via, in un circolo vizioso di rabbiosi specialisti intenti a marcare il proprio territorio, sistematicamente invaso da te, eretico viandante che transumavi fra le discipline, indifferente alle regole. Spesso inventandotele strada facendo. Era questa vitalità irrequieta, in fondo, che ho sempre amato di te. Quella che fin da ragazzo mi ha catturato, senza remore. Il tuo coraggio bambino, incosciente, il tuo sporgerti sull’abisso. Oggi che tutti ti lodano e di te hanno fatto un santino inviolabile, oggi che sei un’icona persino per quella destra becera che tanto ti ha attaccato in vita, oggi anche i miei “colleghi” coetanei del piccolo mondo culturale nazionale – geneticamente, per casta, di sinistra – hanno dimenticato, o forse fingono per convenienza, quanto i loro padri nobili ti odiassero.

(Gianni Biondillo su Pasolini, qui.)

Disabituati alla bellezza

(Post di Gianni Biondillo e Marco Belpoliti per Nazione Indiana)

Come è andata a finire con l’Area ExEnel

di Gianni Biondillo e Marco Belpoliti

enel1Nel gennaio del 2012 su questo blog era apparso questo articolo. Altri in contemporanea ne uscirono su vari blog e quotidiani, a firma di Marco Belpoliti, Luca Molinari, Marco Biraghi, etc.

Sollevavano un problema: la costruzione nell’area di fronte al Cimitero Monumentale di Milano di due edifici fuori scala, di un albergo inutile e di un parcheggio sotterraneo di 250 posti camuffato da piazza in una zona di rispetto architettonico, con un progetto che lasciava molto a desiderare dal punto di vista estetico e urbanistico. Ne era nato un dibattito (vedi ad esempio qui) che aveva coinvolto giornali, architetti, intellettuali, politici. La questione si era trasferita, dopo varie vicissitudini e discussioni, nelle aule del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, che aveva bocciato il ricorso del gruppo di cittadini che si erano organizzati nella sigla Area Ex Enel con un suo sito.

Ora sull’intera materia si è espresso il Consiglio di Stato (Sentenza Ex-Enel.1), dando ragione ai cittadini che hanno sollevato il tema della legittimità della scelte della giunta Moratti, prima, e Pisapia, poi. Tutto questo è succintamente spiegato nella lettera che segue indirizzata a “il Corriere della Sera” che, unico giornale milanese, ha dato alcuni giorni fa con un ampio articolo notizia della sentenza, intervistando l’assessore all’Urbanistica del Comune di Milano e vice-sindaco, Ada Lucia De Cesaris, sostenitrice della scelta urbanistica e giuridica bocciata dal Consiglio di Stato. Ora che Milano è sotto i riflettori dell’intero paese per l’apertura imminente dell’Expo a maggio, vale la pena di tornare a riflettere su questo caso (60 milioni di euro investiti da privati che ora non potranno proseguire i lavori iniziati) che ripropone le questioni della gestione politica delle nostre città, della partecipazione dei cittadini e della bellezza architettonica.

***

enel2Su queste pagine giorni fa è apparso un lungo articolo sul blocco del cantiere Ex Enel. Il Consiglio di Stato ha dichiarato l’intera operazione illegittima, ha bloccato l’intero cantiere, dopo il ricorso intentato da alcuni cittadini. Quei cittadini siamo noi, ed è giusto che spieghiamo le ragioni del ricorso, e come si è arrivati a questo punto.

Scriviamo per spiegare ai lettori – ai milanesi e non solo a loro – cosa succede in città, e non tanto, come si usa in questi casi, per mandare messaggi a qualcuno.

Proviamo a raccontare brevemente la storia, per aiutare tutti a capire. L’area di fronte al Cimitero Monumentale, di ex proprietà dell’Enel, e dunque pubblica, molti anni fa fu svenduta a una società privata. Dopo lunghi anni di abbandono, e poi di occupazione da parte del centro sociale Bulk, durante l’amministrazione di Letizia Moratti, alcuni imprenditori decisero di costruire degli immobili residenziali.

Per fare questo, il Consiglio Comunale di allora (Moratti) approvò una delibera che modificava le cubature edificabili, triplicandole. In un colpo solo quel terreno, comprato per 10, valeva 300.

Per trasformarle in area residenziale, edificabile, e per aumentare le cubature consentite per legge e concedere le concessioni, l’amministrazione comunale si avvalse dello strumento del “programma integrato di intervento”, uno strumento che, nel diritto italiano, è consentito solo ed esclusivamente in casi di evidente interesse pubblico e strategico per la città.

Anni dopo la giunta Pisapia, durante un assolato agosto di quattro anni fa, tra i suoi primi provvedimenti importanti, riportò in consiglio comunale la delibera e la approvò: senza nessun comunicato stampa, e senza che la notizia venisse riportata da alcun giornale. Una procedura che, vista l’importanza dell’operazione riguardante una zona centrale della città, risultava quantomeno anomala.

Il progetto approvato prevedeva, in tre isolati situati di fronte al Cimitero Monumentale, il luogo più visitato dai turisti dopo il Duomo, tre palazzoni di più di 10 piani ciascuno, in un quartiere di edifici di 4 piani al massimo; edifici ad uso residenziale, brutti come raramente possono esserlo: talmente brutti da far apparire al confronto l’edilizia di Quarto Oggiaro come dei palazzi del Bernini.

Alla notizia di questo scempio, un gruppo di abitanti del quartiere e alcuni intellettuali, scrittori, architetti, ha provato a intervenire. Abbiamo chiesto di incontrare la proprietà, il Comune, cercando il dialogo, sostenendo che andava bene il profitto economico dei privati, ma che l’operazione avrebbe potuto essere un po’ meno spregiudicata, contenere qualche spazio pubblico, e concedere qualcosa alla qualità architettonica. Non chiedevamo di scomodare grandi architetti, semplicemente di evitare il ricorso in pieno centro storico a un’edilizia così sfacciata e imbarazzante. In sostanza chiedevamo l’adozione di una logica progettuale moderna, non tre palazzoni da edilizia speculativa.

Il Comune di Milano non ci ha voluto dare ascolto. Lo stesso atteggiamento hanno mantenuto i proprietari del terreno. Entrambi ci hanno detto soltanto di pure loro causa, che tanto l’avrebberio vinta.

Soltanto l’impresa costruttrice di una parte degli edifici si è mostrata invece disponibile, modificando le facciate di loro pertinenza in corso d’opera, e ridisegnando un piccolo parco. Da parte loro si trattava di un impegno ulteriore, che andava oltre il loro immediato interesse, e quindi da considerare assolutamente apprezzabile.

Avendo quest’unico interlocutore, ovviamente non trovammo un vero accordo. Il vero soggetto in grado di imporre un interesse pubblico all’area, vale a dire il Comune, mancò invece all’appello. Rimanendo convinti che l’operazione fosse sbagliata sotto il profilo architettonico, politico, urbanistico, e legislativo, e non riuscendo a ottenere altri risultati se non quello – comunque importante – di far riprogettare gli spazi aperti, fummo costretti a non ritirare il ricorso in tribunale.

Oggi il Tribunale di Roma ha dichiarato l’intera operazione illegittima, in quanto priva del presupposto di un interesse strategico e pubblico. Ci ha dato ragione. Una pessima notizia, a ben vedere. Non soltanto perché ora il progetto è diventato un problema, ma soprattutto perché non eravamo e non dovevamo essere noi i paladini dell’interesse della città.

Non debbono essere i privati cittadini a vigilare sulla legittimità delle operazioni immobiliari, sulla qualità architettonica e sul rispetto delle norme urbanistiche. È un ruolo che spetta alle istituzioni.

Avere ragione non ci interessa: ci interessa, così come sin dall’inizio, che si costruisca bene, in modo sensato, intelligente, corretto, restituendo alla città vivibilità e bellezza.

Ci interessava allora, e ci interessa ancora di più adesso. Adesso che c’è un “buco” nel cuore della città, e non vediamo l’ora che questa sia l’occasione per dare a questa zona importante della città una soluzione degna di Milano. Soprattutto alla luce dei numerosi fallimenti urbanistici di questa città.

Ora non possiamo che augurarci che questo “buco” sia l’occasione per ripartire da una logica diversa, con un piglio diverso, con un orizzonte progettuale più alto e di più ampio respiro. L’orizzonte legittimamente alto e ambizioso di disegnare e pensare la città.

Si tratta di un compito arduo, che spetta in primo luogo al Comune di Milano. Speriamo che questa volta ci provi.

Marco Belpoliti
Gianni Biondillo
Marco Biraghi
Paola Lenarduzzi
Roberto Marone
Luca Molinari
Alberto Saibene

(pubblicato precedentemente su Il Corriere della Sera – Milano, il 22 marzo 2015. Questo post è da oggi on line anche su DoppioZero. Le vignette sono un regalo di Guido Scarabottolo)

La narrazione pedonale

trafficHa ragione Gianni Biondillo quando scrive nel suo bellissimo articolo che la mobilità in Italia è condizionata dalla mitizzazione pubblicitaria dell’automobile per tutti questi anni e che, in fondo, paghiamo il nostro conservatorismo, sempre. E poiché ho una passione da sempre per la declinazione “semplice” e possibilmente artistica di ciò che vorrebbero invece farci credere complicatissimo, credo che tutti i nostri amministratori stamattina dovrebbero aggiungere alla propria rassegna stampa il pezzo uscito su Nazione Indiana:

La questione classica che viene posta, quando si propone una ZTL, è sempre la stessa: ma così, chiudendo alle macchine votiamo a morte sicura il commercio minuto. Nessuno vorrà più comprare se dovrà farsela a piedi, andranno tutti nei centri commerciali. Anche questa è una narrazione tossica, un sillogismo falso. Non voglio neppure entrare nel merito su quanto sia devastante il consumo di suolo e di energia di un centro commerciale. Non voglio parlare di quanto sia opaca la gestione del flusso di denaro che ha fatto sorgere dal nulla sull’intera nazione questi centri, spesso vere e proprie lavatrici di soldi sporchi accumulati dalla criminalità organizzata. Neppure voglio dire di come sia un modello insediativo nato in un paese che ha dimensioni e tradizioni completamente differenti, imposto d’imperio qui, come prototipo unico della modernità. Lasciamo stare, tutto questo potrebbe sembrare un discorso “ideologico”. Arriviamo alle cose concrete, evidenti. Cosa facciamo quando andiamo in un centro commerciale?

Prendiamo la macchina, ovvio. Ci allontaniamo dal centro storico, ci incuneiamo in quale tangenziale ingorgata, troviamo finalmente l’uscita, posteggiamo in un parcheggio grande come due campi di calcio (mi viene in mente il “Ghost Parking Lot” dei SITE, dove le macchine, calcificate, ormai sembrano reperti archeologici), quasi sempre lontanissimo dall’ingresso, camminiamo in mezzo a tonnellate di lamiere per raggiungere finalmente l’entrata e poi finalmente dentro… camminiamo. Per ore. Camminiamo come fossimo per strada in un finto centro storico, kitsch fino all’inverosimile. Camminiamo per false piazzette, ci fermiamo a prendere un caffè in finti dehors, acquistiamo cose in pseudo negozi arredati come fossero finto-antichi. Bella contraddizione. Poiché non si può andare in macchina nel vero centro storico a comprare cose nei veri negozietti e prendere un caffè negli autentici bar delle vere piazze antiche, preferiamo prendere la macchina per andare in un luogo falso dove non facciamo altro che camminare come fosse autentico. Puro surrealismo.

I negozianti dei centri storici o sono miopi o forse fingono di non vedere che se la gente va nei centri commerciali è per colpa della politica della grande distribuzione che abbatte i prezzi e fa concorrenza sleale, mica perché la gente non ha voglia di camminare. Se esistessero politiche commerciali differenti, capaci di proteggere la vendita al dettaglio, se si riuscissero a ideare tecniche innovative e concorrenziali da parte delle associazioni di commercianti, l’intera categoria potrebbe vivere di rendita di posizione. La pedonalizzazione dei centri storici, là dove abbiamo depositato la nostra identità comunitaria, dovrebbe essere ovvia. Dovrebbe diventare un plus, non un disvalore. Certo occorre cambiare le pratiche quotidiane, inoculare nella testa di tutti che girare in macchina è da sfigati, che è molto più intelligente, per l’equilibrio psicofisico di ognuno e per la salute di tutti in generale, potenziare i mezzi pubblici, sviluppare la mobilità dolce. È proprio questo salto di paradigma la cosa più difficile da fare in un popolo in fondo pigro al cambiamento quale il nostro. Eppure questo salto è ormai improcrastinabile, se non vogliamo essere ricordati con stupore e imbarazzo (per non dire di peggio) dalle prossime generazioni.

Da IteNovas: A Macomer magistrale lezione di legalità con Giulio Cavalli

IMG_4284Giulio Cavalli ospite a Macomer per la XII edizione della Mostra del Libro, ha raccontato le mafie che logorano il nostro paese.

E’ stato un susseguirsi di nomi e cognomi, alcuni molto noti altri meno, altri ancora sconosciuti quelli attraverso i quali Giulio Cavalli, ospite ieri sera aMacomer per la XII edizione della Mostra del Libro, ha raccontato le mafie che logorano il nostro paese e si sono impadronite del Nord Italia.

E’ stato poi un susseguirsi di silenzi tragici e risate fragorose a fare da corollario al monologo di oltre un’ora che ha raccontato di “uomini di onore” e nuovi mafiosi in giacca e cravatta, di prefetti corrotti e politici indagati, ma anche e soprattutto dell’impegno costante di chi alle mafie non si arrende e le combatte quotidianamente. Uno fra tanti il magistrato Bruno Caccia, ucciso a Torino dalla ‘ndrangheta per le sue indagini ‘troppo concentrate’ sulle attività illegali sviluppatesi in Piemonte.

Come il giullare del ‘500, che incarna la verità del folle, che parla e diffonde verità occulte col rischio di finire impiccato, Giulio Cavalli percorre i teatri di tutt’Italia, scortato e minacciato di morte perché racconta verità scomode per tanti, con l’unica arma a sua disposizione: la forza della parola e del sorriso.

Dopo il lungo monologo, la serata dedicata alla “civiltà letteraria” si conclude con un breve dialogo tra Cavalli e lo scrittore Gianni Biondillo, dove l’attore con ironia racconta della sua esperienza di consigliere regionale di opposizione sotto la giunta Formigoni. A fine spettacolo un pubblico ammutolito, frastornato dalle risate amare ha lasciato la sala del padiglione Filigosa con molti spunti su cui riflettere.

Giulio Cavalli vive a Roma, nel 2009 è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitanoche gli ha espresso solidarietà per la vita sottoscorta a causa delle minacce ricevute da cosche mafiose, che si sono ripetute anche di recente. Attore, regista, scrittore, le sue denunce da autore e da consigliere regionale (eletto come indipendente con Idv e poi passato a Sel) gli sono valse una minaccia costante alla sua vita e a quella dei suoi familiari, con gravi avvertimenti subiti anche di recente, da lui sempre puntualmente e coraggiosamente raccontati in pubblico.

Tra i suoi libri, Linate 2001: la strage, Nomi Cognomi e Infami e, nel 2012, “L’innocenza di Giulio”, sui rapporti tra Giulio Andreotti e la mafia.

(da IteNovas.com)

Non esiste un solo ettaro in Italia di natura “naturale”.

La sostenibilità è uno dei mantra dell’architettura del  nostro inizio millennio. Ma che significa, in pratica? “Chilometro zero”, “emissione zero” (spero non “tolleranza zero”!), e poi? Una visione dell’Italia del futuro che non comprenda che il tema vero dovrà essere la “cubatura zero” è una visione ancora legata al narcisismo puerile dell’idea di moderno. Sappiamo che la popolazione nazionale comunque crescerà, anche grazie alle forze nuove che vengono dalle epocali immigrazioni globali. Ma dobbiamo abbandonare il mito devastante, e in fondo piccolo borghese, della frontiera (mito importato, imposto, deleterio). La sfida autentica sarà costruire senza neppure rubare un solo metro quadrato di territorio agricolo, di costa, di argine, di declivio. La cubatura zero è un imperativo morale.

Oggi 100 metri quadrati al minuto di Pianura Padana vengono cementificati nel nome delle magnifiche sorti e progressive. E gli ettari di abusivismo edilizio spalmati per l’intero stivale neppure si contano. Tutto ciò non si può più sostenere, è un suicidio simbolico, artistico e materiale. La tela dell’opera d’arte globale che è l’Italia ha bisogno di ricuciture degli strappi, di attenzione, di cura. Ecco la sfida per la nuova generazione di architetti: censire, discernere, conservare. Ma anche approntare cancellature nel palinsesto, non avere paura a demolire e riprogettare intere parti del territorio, riedificare meglio e con maggiore consapevolezza le nostre città. Contraendo, piuttosto che invadendo, modificando abitudini di mobilità privata, ridisegnando gli spazi metropolitani, estendendo le superfici dedicate all’ambiente.

Il lavoro è enorme. Riqualificare le coste, dalla Liguria alla Calabria, demolendo chilometri di inutile edilizia di scarsa qualità, seconde, terze case sfitte e decrepite; ridefinire e consolidare gli argini e i letti dei nostri fiumi, riforestare i crinali contenendo i dissesti idrogeologici, liberare la Brianza dallo sprawl indifferenziato, bonificare la Terra di Lavoro dalle discariche abusive tossiche , etc. etc.

Gianni Biondillo implacabile (sì, è l’aggettivo giusto) su Nazione Indiana.

Il diavolo e un angelo sul marciapiede di Milano

La politica della paura negli scorsi anni voleva militalizzare le periferie, se l’era presa con i negozi di kebab o di money transfert, aveva messo il coprifuoco proprio dove abito io. Perché, si sa, è lì che alligna il male. Ora ha già cambiato idea. Alza il tiro, con quella grevità becera che non aiuta a leggere il territorio. Paragona Milano a Scampia, comparazione indegna che non spiega né risolve nulla. Perché l’omicidio di lunedì scorso ci dice ben altro.

Quello che abbiamo scoperto è che nessuno è davvero al riparo. Si può morire a qualunque ora del giorno, dappertutto. Si può morire nel centro di una metropoli, quale è Milano, o, come è accaduto in Alta Savoia, sulle amene rive di un lago alpino. Il Diavolo abita ovunque. Anche qui. Esco dal bar. A pochi metri dal luogo del delitto una libreria espone un’intera vetrina di gialli scandinavi. Fettucce di plastica gialla, quelle che delimitano le scene dei delitti, ornano la vetrina con involontario pessimo gusto. Fanno tenerezza questi omicidi di carta, concilianti, indolori, consolatori, completamente avulsi dal mondo vero che fingono di raccontare. Pochi passi più in là, al numero 3 di via Muratori, il sangue è stato lavato, restano a terra pallidi cerchi fatti col gesso dalla scientifica. “Chi è stato?” mi viene chiesto. Non lo so, insisto. Scerbanenco comunque non avrebbe dubbi: i milanesi ammazzano al sabato. Ieri era lunedì, è sicuramente gente che viene da fuori. Poi lo vedo. Un fiore, legato con un nastro sull’archetto metallico. Un piccolo anonimo gesto di pietà, per le vittime e per la bambina sopravissuta, vittima anch’essa. Quello che cercavo (dove c’è il Diavolo c’è sempre un Angelo): il segno che Milano, anche se di corsa, non sa essere indifferente. Mai. (Gianni Biondillo su Nazione Indiana)

Gianni Biondillo scrive a Pisapia

Una cortese lettera sull’orribile progetto urbano di fronte al Monumentale a Milano e sul curriculum del progettista. E sarebbe il caso che Giuliano legga con attenzione. Fare politica urbana significa ragionare a lunga gittata, essere consapevoli di ciò che si eredita e di ciò che si vuole lasciare in eredità. Vogliamo farci ricordare dai nostri figli come i costruttori di questa città senza nerbo, signor Sindaco? Lo chiedo a lei e non solo. Lo chiedo al mio assessore alla cultura, sempre così esuberante in questi pochi mesi di giunta: non reputa, architetto Boeri, che questa sia una battaglia da combattere per davvero nel nome della cultura cittadina, piuttosto che perdersi nel decidere dove esporre il Quarto Stato? Lo chiedo ai docenti del Politecnico: è questa l’idea di architettura che vogliamo insegnare ai nostri studenti? Non dovreste, a questo punto, annullare i vostri corsi, dichiarare il default cognitivo? Lo chiedo ai designer, ai creativi, ai soci dell’ADI: nel nome di una nuova sede espositiva siete pronti ad accettare un tale scempio urbano? Cosa farete quando andrete a godere dei vostri autoreferenziali oggetti da museo? Chiuderete gli occhi, colpevoli, quando passerete in quel vuoto urbano che fronteggia l’albergo? Lo chiedo alle imprese che vogliono costruire nel nostro territorio: non avete ancora capito che è solo con la qualità progettuale che diverrete davvero competitivi? Siete consapevoli che le logiche che hanno retto le vostre fortune sono ormai alle spalle? Che siete destinati a soccombere se non renderete etico il vostro agire? Lo chiedo al FAI, a Italia Nostra, alle associazioni locali, alla cittadinanza. Pasolini si domandava: non sarebbe davvero rivoluzionario un popolo che si ribella nel nome della bellezza? Lo chiedo alla politica, tutta, di destra e di sinistra: cosa muove, per davvero, le vostre scelte? Siete consapevoli del bene e del male che avete fatto e continuate a fare al corpo sfinito di una metropoli che da troppo tempo sogna di rialzarsi ma che subisce di continuo la zavorra del vostro scarso coraggio? Cui prodest? 

Dove sono questa settimana

La “settimana del quorum”:

domani martedì 14 a Cesate, ore 21 (Biblioteca in via Piave) per parlare di mafie e partecipazione

mercoledì 15 (ci tengo) h21.30 Giulio Cavalli (cioè io) e Massimo Bubola in “Si sono presi il nostro cuore” Carroponte via Granelli 1 Sesto San Giovanni (MI)

giovedì 16 al PREMIO ILARIA ALPI Villa Mussolini, Palacongressi Via Milano 31 Riccione (RN) 18.00Silenzio, c’è la mafia al nord! con me c’è Gianluigi Nuzzi, giornalista di Libero e scrittore, Mario Portanova, giornalista e collaboratore de L’Espresso, Piergiorgio Morosini, magistrato presso il Tribunale di Palermo e segretario di Magistratura Democratica, Marco Nebiolo, redattore di Narcomafie. Modera Antonella Mascali, giornalista de Il Fatto Quotidiano

domenica 19 a Milano per la FESTA DI NAZIONE INDIANA, ore 18 “Sapessi com’è strano, la ‘ndrangheta a Milano” Con Eleonora Bianchini, Giuseppe Catozzella, Giulio Cavalli, Marco Rovelli, Evelina Santangelo, Gianni Biondillo
“La Mafia non appartiene alla tradizione di questa città” ha detto una volta l’ormai ex-sindaco Letizia Moratti. Subito dopo, degna del proverbiale struzzo, ha ricacciato la testa sotto la sabbia. La stessa dei cantieri edili e dei movimenti terra gestiti da decenni dalle cosche della ‘Ndrangheta, che a Milano da sempre vivono un legame a doppio filo con l’affarismo e la politica. E la Lega che fa, finge di non sapere? È ora che Milano apra gli occhi, e che impari da chi, come a Palermo, fa dell’antimafia una autentica battaglia di civiltà.
circolo Arci BellezzaVia Giovanni Bellezza 16 Milano