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giovani

10 cose da fare

Per essere chiari:

Vogliamo contrastare tutte le mafie, reprimendone sia l’azione criminale che l’immensa forza economica. La presenza dei capitali mafiosi, a maggior ragione in un momento di crisi, è un elemento devastante per ogni prospettiva di rilancio del paese. Vanno sostenute le attività delle procure e degli amministratori locali, ma va soprattutto reciso ogni legame o sospetto di complicità di alcuni rappresentanti politici. L’adozione di un codice etico e il contrasto delle attività criminali mafiose è un’urgenza inderogabile.

Vogliamo proporre una legislazione che contrasti lo strapotere della finanza speculativa a partire dalla tassa sulle transazioni finanziarie, rendendo permanente il divieto di vendita allo scoperto e attaccando vigorosamente i paradisi fiscali.

Vogliamo richiedere una rinegoziazione dei trattati che non stanno salvando né l’euro né il modello di vita dei cittadini europei. In questo contesto vanno date nuove funzioni alla Bce, a partire dalla possibilità di intervenire senza condizioni in caso di attacco alla nostra moneta. La lealtà istituzionale e la necessità di trovare un consenso oltre i nostri confini non può impedirci di indicare quale sia la nostra direzione di marcia. Dobbiamo essere noi i primi protagonisti del cambiamento.

La sinistra combatte senza esitazione gli sprechi e la spesa pubblica improduttiva. Ma è una manipolazione della verità storica considerare la spesa sociale come sinonimo di dissipazione e di spreco. Il Welfare non è stato un cedimento ad un non meglio precisato “buonismo sociale” ma la più rilevante conquista del Novecento. Sappiamo che molto va cambiato nel modo di allocare le risorse e nel peso che ha la politica fiscale. Nel ridefinire priorità e gli strumenti di riforma del welfare va riconosciuto il valore economico e sociale del lavoro di cura svolto dalle donne. Dobbiamo dire con chiarezza da dove si prendono le risorse e dove invece vanno restituite. La politica fiscale deve ritornare ad essere, in linea con la Costituzione, basata sulla “capacità contributiva”. Le tasse sono troppo onerose per chi le paga, sia che sia un lavoratore dipendente che autonomo, ma è incredibile non rilevare che più dell’80% del gettito venga da lavoratori dipendenti e pensionati.

Proponiamo una lotta prioritaria all’evasione fiscale per ridurre l’imposizione fiscale in primo luogo ai lavoratori a basso reddito e proponiamo una tassazione sui grandi patrimoni che sostituisca l’ingiusta tassa sulla prima casa per i cittadini meno abbienti.

La riduzione del debito pubblico deve avvenire senza dogmi rigoristi, poiché sappiamo che dalla crescita della ricchezza possono venire benefici assai più fruttuosi che dalla mera riduzione dello stock del debito. Se cresce la disoccupazione e diminuisce il tenore di vita e il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi, l’aumento delle tasse e taglio dei servizi produrrà soltanto effetti recessivi.

Vogliamo investire le risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale, dal contrasto alla corruzione e dal taglio alle spese militari, in un piano per il lavoro, pubblico e privato, basato sugli investimenti per la messa in sicurezza del nostro territorio e delle città, nella erogazione di un reddito minimo garantito come c’è nel resto d’Europa e il recupero del potere d’acquisto perso dai salari negli ultimi vent’anni.

Ci sono alcuni punti che, simbolicamente e concretamente, possono segnare una svolta rispetto al passato: ridurre da 45 a 4 le tipologie contrattuali oggi previste, che hanno alimentato la spirale della precarietà; restituire ai lavoratori, anche quelli di aziende sotto i 15 dipendenti, la tutela del reintegro sul posto di lavoro a seguito di un licenziamento ingiustificato; differenziare, a seconda dell’effettiva vita lavorativa e dal diverso carico lavorativo che pesa sulle donne per le attività di cura, l’età pensionabile, poiché non possono essere trattati nello stesso modo una infermiera o una puericultrice o un operaio alla catena di montaggio e un professore universitario o un alto funzionario pubblico; introdurre dell’equo compenso per le lavoratrici e i lavoratori autonomi; estendere gli ammortizzatori sociali e i diritti per tutte le forme contrattuali, per un welfare universale, come per esempio nel caso del diritto alla maternità/paternità universale.

Abbiamo bisogno di rafforzare il welfare e la spesa pubblica in settori strategici. La salute, le pensioni, l’assistenza per i non autosufficienti, l’istruzione pubblica, i trasporti pubblici, il diritto ad una giustizia certa e celere, sono diritti inalienabili ma anche fattori di sviluppo essenziali per la tenuta della coesione economica e sociale del paese. La spesa per la formazione e la ricerca va aumentata e riqualificata. Oggi assistiamo ad una ingiusta penalizzazione, in particolare per i giovani che vogliono insegnare o fare ricerca e che spesso sono costretti ad emigrare, che sta impoverendo brutalmente il nostro paese. Non si tratta di “costi” ma di “risorse”.

È necessario ripensare all’intervento pubblico in economia, a partire dal valore strategico delle aziende partecipate come Eni, Enel, Rai, Finmeccanica e quelle relative al trasporto pubblico per affrontare le sfide che la crisi ci propone. Va fatta un’azione che agisca tanto sul versante dell’offerta di nuovi investimenti pubblici, tanto sullo stimolo alla domanda, per esempio nei settori della produzione di energia rinnovabile o nella infrastrutturazione digitale del paese.

Vogliamo la riconversione ecologica dell’economia e della società, che abbia al centro la sostenibilità ambientale, la piena valorizzazione dei beni comuni, la qualità e l’innovazione. Per noi sono beni comuni, sottratti al dominio del mercato, tanto i beni materiali come l’acqua e la terra, quanto quelli immateriali come la conoscenza e la cultura. Siamo consapevoli di quanto le grandi questioni globali, come i cambiamenti climatici, siano connessi con le scelte quotidiane, a partire da una nuova politica energetica basata sul risparmio energetico e le fonti rinnovabili, riducendo le emissioni e penalizzando chi inquina.

C’è urgente necessità di una nuova politica industriale basata sull’innovazione tecnologica ed ecologica, che possa mettere a valore non solo prodotti da vendere, ma vere e proprie produzioni complesse: dal “prodotto” mobilità sostenibile alla riconversione delle manifatture inquinanti o belliche, si può costruire un rilancio della produzione industriale in un paese che conserva grandi risorse sul versante manifatturiero.

È necessario dare centralità ad una politica agricola basata su qualità, istintività territoriale e sostenibilità ambientale e sociale. La buona politica si deve occupare di fare scelte che sappiano immaginare il mondo che dovremo lasciare alle future generazioni.

Per noi i diritti non sono un terreno di formule astruse ma un campo in cui far vivere il principio della laicità. Sappiamo che la società è più avanti nella richiesta di nuovi diritti di quanto lo sia spesso la politica.

Siamo sempre per il rispetto della libertà di scelta per il fine vita, per la regolamentazione della fecondazione assistita, per la rigorosa applicazione della legge 194. Siamo per i matrimoni omosessuali e per la piena cittadinanza delle unioni civili. Siamo per il diritto di cittadinanza ai migranti nati in Italia, per il riconoscimento del diritto di voto alle amministrative, per l’abolizione della legge Bossi-Fini a partire dal superamento dei CIE. Siamo per il recepimento delle convenzioni internazionali sull’introduzione del reato di tortura e per una legge che regoli il diritto d’asilo. Siamo per il rispetto della vita umana e quindi vogliamo che la condizione dei detenuti sia rispettosa della Costituzione. Siamo per una politica antiproibizionista a cominciare dalla abrogazione della legge Fini-Giovanardi per un nuovo approccio responsabile e socialmente inclusivo.

Il populismo non si sconfigge per decreto, né tentando di esorcizzarne la forza devastante. Il populismo si contrasta lì dove esso attecchisce, tra il popolo che ha perso fiducia nella politica e nella democrazia. Abbiamo ancora importanti risorse, di idee e di uomini e di donne, ma abbiamo poco tempo. Chiediamo a tutti un contributo e dobbiamo saper trovare le strade affinché ciascuno sia messo nelle condizioni di poterlo dare. È in gioco la sopravvivenza a lungo termine dell’integrazione europea.

Solamente la solidarietà, la riconversione ecologica e sociale della società e la vitalità della democrazia ci faranno uscire dalla crisi’.

Il documento è qui.

Sì, lo voglio

Lui avrà avuto forse trent’anni, quasi quaranta, sicuramente non più di quarantacinque. Portati male, comunque. Di troppo o troppo poco.

Stavano a Roma in un ristorante troppo imbucato per non essere scientificamente un ristorante costruito apposta con quella forma lì per inghiottirsi tutti i viaggiatori con una predisposizione all’imbuco. Tavolini fuori, sì, ma con siepi altissime, come un cubo di edera. Camerieri riservati da sembrare timidi da almeno un paio di secoli. Nessun orario di apertura o chiusura: se apri un ristorante così introvabile soffri l’orario dei mondi paralleli, degli alieni per salvarsi, dei non-luoghi senza bisogno di aerei o centri commerciali. Insomma un ristorante che esiste solo se si incrociano perfettamente gli appuntamenti: luogo, ora, imprevisti e tutto quel cumulo delle probabilità.

Lei deve essere stata accondiscendente tutto il pranzo. Lo scalino più irto era stata la scelta del vino. Cosa da poco. Hanno finto di metterci la testa per quell’abitudine alle complicazioni come una malattia.

Poi lei deve avere fatto una di quelle domande definitive. Perché lui si è guardato in giro. Per sbaglio ha incrociato anche uno dei riservatissimi camerieri dalla riservatissima postura. Che per poco non ha rischiato il lavoro per quell’errore di mira di sguardi.

Poi si è bloccato. Ha pagato il conto come se dovesse morire ogni secondo e lasciare le cose a posto. Lei ha sorriso prima. Poi si è indispettita. E alla fine si è alzata mentre il rumore di elettrocardiogramma sputava lo scontrino. Dietro l’angolo della strada si sono incrociati di nuovo. Ciechi a tutti. Un sciogliersi di ombre a forma di macchia sul marciapiede per quel sole così matematicamente verticale.

Sono giovani, mi ha detto un carabiniere. Non hanno ancora imparato a non pensare al domani. Un ‘sì, lo voglio’ come il rosario prima di andare a dormire.

Occuparsi, in mezzo alla crisi

Tito Boeri, oggi, su Repubblica:

Ovunque du­ran­te le re­ces­sio­ni la di­soc­cu­pa­zio­ne au­men­ta di più per i gio­va­ni che nel­le al­tre fa­sce di età. Que­sto av­vie­ne per­ché i da­to­ri di la­vo­ro bloc­ca­no le as­sun­zio­ni re­strin­gen­do ogni ca­na­le di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro. Ma nel­la me­dia dei pae­si Oc­se la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le è ar­ri­va­ta in que­sta cri­si a es­se­re al mas­si­mo il dop­pio di quel­la per il re­sto del­la po­po­la­zio­ne. Da noi, in­ve­ce, è qua­si quat­tro vol­te più ele­va­ta.
Il fat­to è che ai pro­ble­mi strut­tu­ra­li del no­stro mer­ca­to del la­vo­ro e del si­ste­ma edu­ca­ti­vo si è ag­giun­to il dua­li­smo fra con­trat­ti tem­po­ra­nei e con­trat­ti per­ma­nen­ti che ha cau­sa­to que­sta vol­ta, in ag­giun­ta al bloc­co del­le as­sun­zio­ni, an­che li­cen­zia­men­ti in mas­sa di gio­va­ni la­vo­ra­to­ri pre­ca­ri. Inol­tre i gio­va­ni ita­lia­ni, a dif­fe­ren­za che in al­tri pae­si, non han­no rea­gi­to al­la cri­si de­ci­den­do di con­ti­nua­re a stu­dia­re, ma an­zi han­no ri­dot­to le lo­ro iscri­zio­ni al­l’u­ni­ver­si­tà. Pro­ba­bil­men­te per­ché si so­no re­si con­to che le lau­ree trien­na­li non of­fro­no uno sboc­co ade­gua­to sul mer­ca­to del la­vo­ro ri­spet­to ai di­plo­mi di scuo­la se­con­da­ria, non so­no in gra­do di ri­pa­ga­re l’in­ve­sti­men­to ag­giun­ti­vo fat­to in istru­zio­ne.
In­fi­ne, es­sen­do que­sta una cri­si fi­nan­zia­ria, è an­co­ra più dif­fi­ci­le per i gio­va­ni che han­no pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li ave­re ac­ces­so al cre­di­to. Di so­li­to nel­le re­ces­sio­ni c’è an­che una par­te crea­ti­va per­ché il co­sto mi­no­re del cre­di­to, del la­vo­ro, dei fab­bri­ca­ti, del ca­pi­ta­le per­met­te a chi ha nuo­ve idee di rea­liz­zar­le. Ma que­sto non av­vie­ne du­ran­te le cri­si fi­nan­zia­rie, so­prat­tut­to da noi do­ve le ban­che non han­no in­ve­sti­to nel­la se­le­zio­ne di nuo­vi pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li.
Ogni stra­te­gia che vo­glia dav­ve­ro af­fron­ta­re il pro­ble­ma del­la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le de­ve per­ciò ave­re tre car­di­ni prin­ci­pa­li: pri­mo, de­ve mi­glio­ra­re il per­cor­so di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro; se­con­do, de­ve af­fron­ta­re il pro­ble­ma dei trien­ni, spin­gen­do più gio­va­ni a con­ti­nua­re gli stu­di ol­tre la scuo­la se­con­da­ria; ter­zo, de­ve fa­vo­ri­re l’ac­ces­so al cre­di­to per chi ha idee im­pren­di­to­ria­li.
Sul pri­mo aspet­to, sa­reb­be sta­to im­por­tan­te in­tro­dur­re in Ita­lia un con­trat­to a tem­po in­de­ter­mi­na­to a tu­te­le cre­scen­ti, ap­pli­ca­bi­le a tut­ti i la­vo­ra­to­ri, in­di­pen­den­te­men­te dal­la lo­ro età o qua­li­fi­ca. Pur­trop­po il go­ver­no ha scel­to una stra­da di­ver­sa, la­scian­do che le tu­te­le con­tro il li­cen­zia­men­to sia­no in­di­pen­den­ti dal­la du­ra­ta del­l’im­pie­go. Li­cen­zia­re un la­vo­ra­to­re con con­trat­to a tem­po in­de­ter­mi­na­to che è da un so­lo me­se in azien­da con­ti­nue­rà a co­ste­rà quan­to li­cen­zia­re un la­vo­ra­to­re che ha 20 an­ni di an­zia­ni­tà azien­da­le. Que­sto sco­rag­gia le as­sun­zio­ni dei gio­va­ni so­prat­tut­to nei com­par­ti do­ve il lo­ro ca­pi­ta­le uma­no ver­reb­be me­glio uti­liz­za­to. Nei set­to­ri tec­no­lo­gi­ca­men­te avan­za­ti è, in­fat­ti, mol­to dif­fi­ci­le per un da­to­re di la­vo­ro va­lu­ta­re le com­pe­ten­ze del­le per­so­ne che as­su­me. Si pos­so­no dun­que com­met­te­re mol­ti er­ro­ri. Al tem­po stes­so, bi­so­gna fa­re un in­ve­sti­men­to di lun­go pe­rio­do sui la­vo­ra­to­ri che si as­su­me. La per­si­sten­te di­co­to­mia fra con­trat­ti a ter­mi­ne e con­trat­ti a tem­po de­ter­mi­na­to im­pe­di­sce tut­to que­sto. E non po­trà cer­to il con­trat­to di ap­pren­di­sta­to ri­pro­po­sto dal­la ri­for­ma For­ne­ro a ri­sol­ve­re il pro­ble­ma. Sem­pli­ce­men­te per­ché le sue re­go­le (in ter­mi­ni di età, quo­te sul­le as­sun­zio­ni e co­sti de­gli in­cen­ti­vi fi­sca­li) im­pe­di­sco­no che pos­sa es­se­re este­so al­le gran­di pla­tee coin­vol­te dal­la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le.
Per sti­mo­la­re gli in­ve­sti­men­ti in istru­zio­ne bi­so­gna spin­ge­re i gio­va­ni a la­vo­ra­re e stu­dia­re al­lo stes­so tem­po. L’op­po­sto dei NEET (gio­va­ni che non stu­dia­no e non la­vo­ra­no al tem­po stes­so) di cui ab­bia­mo og­gi il tri­ste pri­ma­to. Per fa­re que­sto bi­so­gne­reb­be in­tro­dur­re in Ita­lia la for­ma­zio­ne tec­ni­ca uni­ver­si­ta­ria sul mo­del­lo del­le scuo­le di spe­cia­liz­za­zio­ne te­de­sche, le co­sid­det­te Fach­ho­ch­schu­le. Cia­scu­na uni­ver­si­tà, an­che se­de pe­ri­fe­ri­ca, in ac­cor­do con un cer­to nu­me­ro di im­pre­se lo­ca­li, po­treb­be in­tro­dur­re un cor­so di lau­rea trien­na­le ca­rat­te­riz­za­to da una pre­sen­za si­mul­ta­nea in im­pre­sa e in ate­neo. Me­tà dei cre­di­ti ver­reb­be ac­qui­si­to in au­la e me­tà in azien­da. Il la­vo­ra­to­re sa­reb­be im­pie­ga­to in azien­da e se­gui­to da un tu­tor. Con con­trol­li re­ci­pro­ci fra uni­ver­si­tà e im­pre­sa sul­la qua­li­tà del­la for­ma­zio­ne con­fe­ri­ta al la­vo­ra­to­re che ri­dur­reb­be­ro for­te­men­te il ri­schio di abu­so. I gran­di ate­nei po­treb­be­ro or­ga­niz­za­re una de­ci­na di que­sti cor­si con un ba­ci­no di cir­ca 800 stu­den­ti per ate­neo, pa­ri a 80 stu­den­ti per an­no in cia­scun cor­so di spe­cia­liz­za­zio­ne. I pic­co­li ate­nei dif­fi­cil­men­te ne or­ga­niz­ze­ran­no più di due o tre cia­scu­no. In que­sto mo­do si po­treb­be ar­ri­va­re ad ave­re ogni an­no 12-15­mi­la nuo­vi gio­va­ni oc­cu­pa­ti. A re­gi­me, su tre an­ni, la ri­for­ma po­treb­be por­ta­re i gio­va­ni oc­cu­pa­ti e im­pe­gna­ti in lau­ree bre­vi di spe­cia­liz­za­zio­ne in­tor­no al­le 50­mi­la uni­tà, un nu­me­ro si­gni­fi­ca­ti­vo, da­ta la di­men­sio­ne del­le coor­ti di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro.
Le due ri­for­me di cui so­pra so­no a co­sto ze­ro per le cas­se del­lo Sta­to. La ter­za avreb­be co­sti li­mi­ta­ti. Po­treb­be im­pe­gna­re i fon­di strut­tu­ra­li inu­ti­liz­za­ti met­ten­do a di­spo­si­zio­ne fi­no a 150 mi­lio­ni per il de­col­lo di nuo­ve ini­zia­ti­ve im­pren­di­to­ria­li so­prat­tut­to nel­le aree più svan­tag­gia­te del pae­se. Me­dian­te un ac­cor­do con le ban­che, po­treb­be se­le­zio­na­re 1.000 pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li da so­ste­ne­re at­ti­van­do cre­di­to fi­no a quat­tro o cin­que vol­te que­sta ci­fra. La fa­se di se­le­zio­ne dei pro­get­ti com­por­te­reb­be il fi­nan­zia­men­to di uno sta­ge al­l’e­ste­ro (o in re­gio­ni con un for­te tes­su­to im­pren­di­to­ria­le e buo­ne uni­ver­si­tà) in cui per­fe­zio­na­re il pro­prio bu­si­ness plan per 5.000 aspi­ran­ti im­pren­di­to­ri. I sol­di ver­reb­be­ro da­ti ai gio­va­ni, ma ser­vi­reb­be­ro di fat­to co­me ga­ran­zia per i pre­sti­ti ban­ca­ri. Sa­reb­be un mo­do an­che per spin­ge­re le ban­che a spo­sta­re la lo­ro at­ten­zio­ne dai clien­ti con­so­li­da­ti e spes­so non più in gra­do di ge­ne­ra­re va­lo­re ag­giun­to a chi ha idee e la for­zaed en­tu­sia­smo per por­tar­le avan­ti.

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Queste ragazzine si sono rivolte a lui e gli hanno detto: “Voteremo per toglierle l’incarico.” Oggi non ha più l’incarico.


Spesso giro il mondo, per fare discorsi, e la gente mi fa domande sulle sfide, sui miei momenti, sui miei rimpianti. 1998: Mamma single, di 4 bambini, tre mesi dopo la nascita del mio quarto figlio andai a lavorare, come assistente ricercatrice, nella Liberia del nord. Come parte del contratto, il villaggio ci forniva un alloggio. Mi diedero un alloggio con una madre single e sua figlia.

La ragazza era l’unica ragazza di tutto il villaggio che era arrivata alla prima superiore. Era lo zimbello della comunità. Altre donne dicevano a sua madre: “Tu e tua figlia morirete povere”. Dopo due settimane di lavoro in quel villaggio, fu tempo di rientrare. La madre venne da me, in ginocchio, e mi disse: “Leymah, prendi mia figlia. Voglio che diventiun’infermiera”. Poverissima, vivevo a casa con i miei genitori, non potevo permettermelo.Con le lacrime agli occhi, dissi “No”.

Due mesi dopo, visitai un altro villaggio per lo stesso incarico e mi chiesero di vivere con il capo del villaggio. Il capo delle donne del villaggio aveva una bambina, come me, la pelle chiara, sporca da capo a piedi. Se ne andava in giro tutto il giorno in mutande. Quando chiesi: “Chi è quella?” mi disse: “Quella è Wei. Il suo nome significa maiale. Sua madre è morta dandola alla luce, e nessuno sa chi sia il padre”. Per due settimane, diventò la mia compagna, dormiva con me. Le comprai vestiti usati e le comprai la sua prima bambola. La sera prima di partire, venne in camera da me e disse: “Leymah non lasciarmi qui. Voglio venire con te. Voglio andare a scuola.” Poverissima, senza soldi, in casa con i miei genitori, ancora una volta dissi: “No”. Due mesi dopo, entrambi i villaggi furono coinvolti in un’altra guerra. Ad oggi, non ho idea di dove siano quelle due ragazze.

Avanti veloce, 2004: al culmine del nostro attivismo, il ministro per la parità della Liberia mi chiamò e disse: “Leymah, ho una bimba di nove anni per te. Voglio che la porti a casaperché non abbiamo case sicure”. La storia di questa ragazzina: Era stata violentata dal nonno paterno, tutti i giorni, per sei mesi. Venne da me tutta gonfia, molto pallida. Tutte le sere tornavo dal lavoro e mi sdraiavo sul pavimento freddo. Lei si sdraiava accanto a me e diceva: “Zia, voglio stare bene. Voglio andare a scuola.”

2010: Una giovane donna, di fronte al Presidente Sirleaf, testimonia di come lei e i suoi fratelli vivessero insieme, il loro padre e la loro madre morti durante la guerra. Lei ha 19 anni; il suo sogno è andare all’università per poterli aiutare. È molto atletica. E succede chesi candida per una borsa di studio. Una borsa di studio completa. La ottiene. Il suo sogno di andare a scuola, il suo desidero di ricevere un’istruzione, alla fine si avvera. Va a scuola il primo giorno. Il direttore degli sport, responsabile per averla inserita nel programma le chiede di uscire dall’aula. E nei 3 anni successivi, il suo destino sarà avere relazioni sessuali con lui ogni giorno, come favore per averla fatta entrare a scuola.

Globalmente, abbiamo delle regole, strumenti internazionali, dirigenti che lavorano. Grandi persone hanno preso impegni — proteggeremo i nostri figli dal bisogno e dalla paura. Le Nazioni Unite hanno la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia. Paesi come gli Stati Uniti hanno la legge No Child Left Behind [Nessun bambino lasciato indietro]. Altri paesi fanno cose diverse. Uno degli obiettivi di sviluppo del millennio chiamato Three si focalizza sulle bambine. Tutti questi grandi lavori di grandi persone con lo scopo di portare i giovani dove vogliamo che vadano globalmente, credo abbiano fallito.

In Liberia, per esempio, il tasso di gravidanza tra le adolescenti è di 3 ogni 10 ragazze. La prostituzione tra le adolescenti è al suo massimo. In una comunità, ci dicono, ti alzi la mattina e vedi preservativi usati come se fossero carte di caramelle. Le ragazze di appena 12 anni si prostituiscono per meno di un dollaro a notte. È scoraggiante, è triste. E poi qualcuno mi ha chiesto, poco prima che parlassi a TED, qualche giorno fa: “Dov’è la speranza?”

Diversi anni fa, alcuni amici decisero che era arrivato il momento di colmare il vuoto tra la nostra generazione e la generazione delle giovani donne. Non è sufficiente dire di avere due premi Nobel nella Repubblica di Liberia, se le vostre ragazzine sono del tutto abbandonate,senza speranza, o sembrano senza speranza. Abbiamo creato uno spazio chiamato Young Girls Transformative Project [Progetto di Trasformazione per le Ragazze]. Andiamo nelle comunità rurali e tutto quello che facciamo, come è stato fatto in questa sala, è creare lo spazio. Quando queste ragazze si siedono, si dà spazio alla loro intelligenza, alla loro passione, al loro impegno, alla loro determinazione, si dà spazio a delle grandi leader.Finora abbiamo lavorato con più di 300 di loro. E alcune di queste ragazze che sono entrate nella stanza molto timide hanno fatto passi da gigante, da giovani madri, per tornare nel mondo e promuovere i diritti di altre giovani donne.

Una giovane donna che ho incontrato, madre adolescente di 4 bambini, che non aveva mai pensato di finire le superiori, si è diplomata con successo; non aveva mai pensato di andare all’università, si è iscritta all’università. Un giorno mi ha detto: “Il mio desiderio è finire l’università ed essere in grado di crescere i miei figli”. Al momento non riesce a trovare il denaro per andare a scuola. Vende acqua, vende bibite e vende ricariche del telefono. Potreste pensare che, quei soldi, li investe nella propria istruzione. Si chiama Juanita. Prende quei soldi e cerca madri single, nella sua comunità da rimandare a scuola.Dice: “Leymah, il mio desiderio è avere un’istruzione. E se non posso avere un’istruzionequando vedo le mie sorelle con un’istruzione, il mio desiderio si è avverato. Desidero una vita migliore. Desidero cibo per i miei bambini. Desidero che si metta fine agli abusi sessuali e allo sfruttamento nelle scuole.” Questo è il sogno della Ragazza Africana.

Diversi anni fa, c’era una ragazza africana il cui figlio desiderava un pezzo di ciambellaperché aveva molta fame. Furiosa, frustrata, molto preoccupata per le condizioni della sua società e dei suoi figli, questa ragazza ha dato il via a un movimento, un movimento di donne comuni che si sono riunite per la pace. Io esaudirò il desiderio. Questo è il desiderio di un’altra Ragazza Africana. Ho fallito nell’esaudire il desiderio di quelle due ragazze. Ho fallito. Questi erano i pensieri che passavano per la mente di questa giovane donna — ho fallito, ho fallito, ho fallito. Quindi farò questo. Le donne si sono esposte, per protestare contro un feroce dittatore, parlando con coraggio. Non solo il desiderio di un pezzo di ciambella è diventato realtà, il desiderio di pace è diventato realtà. Questa giovane donnadesiderava anche andare a scuola. È andata a scuola. Questa giovane donna desiderava altre cose, che si sono avverate.

Oggi, questa giovane donna sono io, sono un premio Nobel. Ora sto intraprendendo un percorso per esaudire il desiderio, delle bambine africane con le mie limitate capacità — il desiderio di ricevere un’istruzione. Abbiamo creato una fondazione. Diamo borse di studio complete di 4 anni a ragazze di villaggi che mostrano un potenziale.

Non ho molto da chiedervi. Sono stata anche in zone degli Stati Uniti, e so che anche le ragazze di questo paese hanno dei sogni, il sogno di una vita migliore, da qualche parte nel Bronx, sogni di una vita migliore da qualche parte nel centro di Los Angeles, sogni di una vita migliore da qualche parte nel Texas, sogni di una vita migliore da qualche parte a New York, sogni di una vita migliore da qualche parte nel New Jersey.

Volete accompagnarmi nell’aiutare quella ragazza, che sia una ragazza africana o una ragazza americana o una ragazza giapponese, a esaudire il suo desiderio, a esaudire il suo sogno, a realizzare il suo sogno? Perché tutti questi grandi innovatori, questi inventori con cui abbiamo parlato e che abbiamo visto in questi ultimi giorni sono anche loro seduti in un angolo in diverse parti del mondo, e tutto quello che ci chiedono di fare è creare quello spazio per liberare l’intelligenza, liberare la passione, liberare tutte quelle belle cose che loro trattengono dentro di sé. Facciamo la strada insieme. Facciamola insieme.

Grazie.

(Applausi)

Chris Anderson: Grazie infinite. Oggi in Liberia, qual è il problema che più la preoccupa?

LG: Mi è stato chiesto di guidare l’Iniziativa di Riconciliazione Liberiana. In quanto parte del mio lavoro, faccio queste visite in diversi villaggi, nelle città — 13, 15 ore su strade sconnesse — e in nessuna delle comunità in cui sono stata mancavano le ragazze intelligenti. Purtroppo, la visione di un grande futuro, il sogno di un grande futuro, è solo un sogno, perché abbiamo tutti questi problemi. La gravidanza in età adolescenziale, è diffusissima.

Quello che mi preoccupa è che io stessa ero una di loro e in qualche modo ora sono qui, e vorrei non essere l’unica ad essere qui. Cerco di fare in modo che altre ragazze siano con me. Tra 20 anni voglio guardarmi indietro e vedere un’altra ragazza liberiana, una ragazza del Ghana, una ragazza nigeriana, una ragazza etiope sul palco di TED. E forse, dico forse, dirà: “Grazie a quel premio Nobel oggi sono qui.” Sono preoccupata quando vedo che in loro non c’è speranza. Tuttavia non sono pessimista, perché so che non ci vuole molto per dare loro la carica.

CA: E in quest’ultimo anno, ci dica una cosa incoraggiante che ha visto accadere.

LG: Le posso parlare di molte cose incoraggianti che ho visto accadere. Ma nell’ultimo anno, siamo andate nel villaggio da cui proviene il presidente Sirleaf per lavorare per quelle ragazzine. E non c’erano neanche 25 ragazze alle scuole superiori. Tutte le ragazze andavano alle miniere d’oro, ed erano in prevalenza prostitute, che facevano altre cose.Abbiamo preso 50 di queste ragazze e abbiamo lavorato con loro. Eravamo all’inizio delle elezioni. Questo è un luogo dove le donne — anche le più anziane a malapena si siedono accanto agli uomini. Queste ragazze si sono riunite, hanno formato un gruppo e hanno lanciato una campagna per registrare gli elettori. È un villaggio molto rurale. Il tema che hanno usato è stato: “Anche le ragazze carine votano.” Sono riuscite a mobilitare le giovani donne.

Ma non hanno fatto solo questo, sono andate dai candidati a chiedere: “Cosa farete alle ragazze di questa comunità se vincerete?” E uno di loro che aveva già un incarico — perché la Liberia ha una delle più forti leggi contro lo stupro, e lui era uno di quelli che in parlamento si batteva per far revocare quella legge perché diceva che era barbara. Lo strupro non è una barbarie, la legge lo è, diceva. Quando le ragazze hanno iniziato a coinvolgerlo, lui era molto ostile nei loro confronti. Queste ragazzine si sono rivolte a lui e gli hanno detto: “Voteremo per toglierle l’incarico.” Oggi non ha più l’incarico.

(Applausi)

CA: Leymah, grazie. Grazie di essere venuta a TED.

LG: È stato un piacere. (CA: Grazie.)

(Applausi)

Avere 30 anni oggi è difficile.

Sarà il compleanno ancora fresco o la riflessione sulla mia generazione ma stamattina mentre scrivevo e fuori si faceva alba mi ha colpito la lettera di Margherita Cardelli per LA 27 ora:

La mancanza di fiducia nel nostro caso ha portato alla disgregazione degli obiettivi comuni lasciando le persone sole e costrette a curare il proprio orticello, abbandonando ideali di comunità e socialità che tengono un popolo unito ed educato nei confronti delle istituzioni e della giustizia.

Avere 30 anni oggi è difficile. Alzarsi la mattina sapendo che non ci sono certezze è difficile. Avere paura di non sapere dove si potrebbe andare a sbattere la testa perché potrebbe accadere di tutto è difficile. È difficile perché le conseguenze di queste sensazioni distruggono le piccole cose. E le piccole cose sono la vita vera. Le relazioni si distruggono. Le amicizie si allontanano. Il sostrato sociale diventa cinico. Sono ben certa di non poter avere la possibilità di comprare una casa, a meno che non accetti l’aiuto della mia famiglia, e questo non è poi così grave, ma grave è la sensazione di non riuscire a tenere insieme gli affetti perché ognuno è costretto a decidere in base alle PROPRIE esigenze. Non ci si può più permettere di tenere conto delle esigenze degli altri. La difficoltà che può nascere nel gestire una relazione a distanza per motivi di lavoro può distruggere un amore o svilire le amicizie e porta ad una sorta di solitudine che allontana e separa le persone. E quando l’amore e l’affetto cominciano a soffrire di situazioni contingenti enormi e assolutamente ingestibili vuol dire che siamo arrivati alla fine. La nostra generazione è maledetta. Segnata fino alla fine.

Chiamati ad alta voce dalla vita

“La prima, essenziale, semplice verità che va ricordata a tutti i giovani è che se la politica non la faranno loro, essa rimarrà appannaggio degli altri, mentre sono loro, i giovani, che hanno l’interesse fondamentale a costruire il proprio furturo e innanzitutto a garantire che un futuro vi sia” (Enrico Berlinguer)

Ci sono momenti in cui si è “chiamati ad alta voce dalla vita” diceva James Joyce.

Ecco, io credo che ora tocchi proprio a noi. E che sia il caso di non frenarci nelle timidezze o infangarci tra le strategie: rompere gli argini per esondare senza riverenze servili ma con il rispetto dell’impegno. Senza accettare il cambiamento solo scritto sui programmi e sui manifesti ma con la voglia di osare la politica smettendo di usarla (nel migliore dei casi). Forti delle cose che abbiamo da dire, delle proposte che abbiamo studiato, delle analisi che abbiamo discusso e dei modelli che dobbiamo permetterci di rifiutare.
Qualche giorno fa un’amica mi diceva che avrebbe voluto una politica che parli di umanità e che non si vergogni di parlare d’amore, di uguaglianza e delle fragilità: ha ragione. Abbiamo ammaestrato il coraggio perché ci hanno insegnato che qui bisogna mediare e intanto siamo cresciuti nell’analfabetismo sui temi della solidarietà, della speranza e dei diritti. Ci hanno convinto che essere solidali qui in Lombardia è un lusso che mette a rischio la sicurezza e l’ordine pubblico mentre in nome della sussidiarietà hanno costruito le lobby più antisociali e antidemocratiche che avremmo mai potuto immaginare. Hanno scambiato la supremazia della politica per l’arroganza dei politici intolleranti alle domande e servili nel rispondere alle baronie. Ci dicono che il momento è grave, che ci ha colti all’improvviso e sono sempre gli stessi che hanno avuto il beneficio di stare sulle mura a fare da sentinelle senza accorgersi di come tutto stava cambiando fuori. Ora vorrebbero la terza repubblica e hanno gli stessi cognomi della seconda e forse di un pezzo della prima.
Ecco, io credo che ora tocchi proprio a noi. Abbiamo cominciato a fare ciò che era necessario, abbiamo studiato e discusso ciò che riteniamo possibile e adesso vogliamo sorprenderci.

Lavoro: una brutta riforma. Le alternative di Sbilanciamoci!

Le proposte della campagna sbilanciamoci.org, perché le alternative esistono e perché forse sarebbe il caso di smetterla di sentirsi dire che è l’unica soluzione possibile. Poi ovviamente in democrazia ogni governo prende le proprie decisioni. Ma in democrazia i governi si eleggono.

Oggi la condizione dei giovani in Italia è particolarmente drammatica e la crisi economica ha accentuato le difficoltà che in Italia sono strutturali e ben più marcate che nel resto dell’Unione Europea. Tutto questo è testimoniato dalla difficoltà di accesso al mercato del lavoro e dall’impossibilità di far seguire la propria carriera formativa ad una professione corrispondente, dalla grande difficoltà di costruirsi una vita indipendente, dalla difficoltà di accesso al credito, dalla drammatica condizione dei giovani nel mezzogiorno e dei giovani migiranti.

I dati parlano chiaro:

  • −  la disoccupazione giovanile nella fascia di età 15-24 anni è al 29,4% (in Europa il 20%)
  • −  metà dei giovani che lavorano hanno un contratto da precari
  • −  l’occupazione è calata dell’1,6% in Italia nel 2010, ma tra i giovani il calo è stato dell’8%
  • −  solo il 25% dei giovani che hanno un contratto a termine poi viene assunto a tempo indeterminato
  • −  in Italia i laureati sono il 19%, nei paesi dell’Unione Europa il 30%
  • −  nel 2010 gli iscritti all’università sono calati del 5% rispetto al 2009
  • −  l’abbandono scolastico è al 19, 2% (in Europa il 15%)
  • −  la popolazione studentesca coperta da borse di studio in Italia è l’8,4%, mentre in Francia è il 23,8% ed in Germania il 25,5%
  • −  il 41% degli studenti fuori sede deve prendere in affitto una casa/camera “in nero”
  • −  i giovani che a 34 anni ancora vivono con un genitore sono il 25% della fascia giovanile
  • −  nel mezzogiorno il 20% dei giovani non studia e non cerca lavoro.

E potremmo continuare.

E’ per questo motivo che la campagna Sbilanciamoci propone -sul modello dei Rapporti prodotti in occasione della discussione della legge finanziaria- un piano sintetico di 10 proposte per affrontare la condizione dei giovani di questo paese. Si tratta di un primo elenco di proposte alle quali si possono affiancare le altre elaborazioni e proposte che le organizzazioni giovanili e studentesche hanno formulato in questi anni.

Si tratta di proposte che possono in gran parte essere “autofinanziate” e che se portate avanti con coerenza e determinazione possono -secondo i nostri calcoli- portare anche ad un aumento dell’1% del PIL. Si tratta -anche sulla condizione giovanile e per questo motivo può avere un significato paradigmatico- di contrastare le politiche restrittive e di puro contenimento della spesa (e spesso di taglio selvaggio alla spesa per la formazione, alle politiche ed ai servizi sociali, all’ambiente, alla ricerca) che Tremonti ed il governo Berlusconi hanno sin qui messo in campo. Si tratta di mettere in campo politiche di protezione sociale con politiche di investimento nella formazione, nella ricerca, nell’innovazione, nel capitale sociale ed umano. In una parola si tratta di investire nel futuro, nella qualità sociale ed ambientale, nella sostenibilità ambientale in un’autentica società della conoscenza che favorisca una maggior benessere, maggiori diritti, oppurtunità ed eguaglianza, che contribuisca ad un nuovo modello di sviluppo al quale i giovani possono dare un contributo fondamentale.

1.LE PENSIONI DEI GIOVANI

Attualmente i giovani che hanno un contratto come lavoratori parasubordinati (collaborazioni a progetto e collaborazioni coordinate e continuative) con basso reddito non avranno mai la pensione. Un giovane che inizia a lavorare oggi con uno stipendio lordo di 1000 euro, avrà nel 2049 -quando andrà in pensione- un’indennità annua di 6608 euro che sarà inferiore all’assegno sociale che oggi è di 5.429 euro ma che in 39 anni, per il combinato di inflazione e rivalutazione, arriverà nel 2049 a 7.049 euro. Al giovane converrà rinunciare alla pensione e prendersi l’assegno sociale (oggi non sono cumulabili se non in minima parte). La proposta è di poter cumulare -per i bassi redditi- in modo progressivo parte dei contributi maturati e l’assegno sociale (come una sorta di pensione di base uguale per tutti) per garantire un sostentamento minimo.

2. LOTTA ALLA PRECARIETA’

Oggi, il 29% dei giovani sono disoccupati e tra chi lavora il 50% ha un rapporto di lavoro precario. Si propone un intervento per limitare la precarietà attraverso: a) l’innalzamento in cinque anni dell’aliquota contributiva dal 26% al 33%: b) il limite di reiterazione a due anni di rapporti di lavoro (co.pro e co.co.co) in presenza di monocommittenza e senza la presenza di altri rapporti di lavoro c) la concessione di credito di imposta fino a 3000 euro l’anno per l’assunzione dopo due anni di rapporti di lavoro parasubordinati, d) la previsione di una indennità di disoccupazione del 60% per sei mesi per tutti i lavoratori subordinati che abbiamo almeno maturato un anno di versamenti di contributi. Il costo di queste misure è di 800 milioni di euro che possono essere recuperati aumentando di 1 punto l’aliquota massima dell’Irpef (dal 43% al 44% sui redditi superiori ai 75mila euro).

3. AUTOIMPRENDITORIALITA’ GIOVANILE

Sul modello della legislazione per le cooperative sociali (legge 381 del 1991) si propongono forme di incentivazione analoga per l’imprenditorialità cooperativa giovanile, favorendo in questo campo anche l’autoimprenditorialità dei giovani migranti: riduzioni sugli oneri fiscali (IVA al10%) sulle prestazioni alla PA e dimezzamento dei contributi previdenziali (dal 33 al 16,5%) sull’assunzione di dipendenti in fascia giovanile per un massimo di 3 anni. Su uno scenario di creazione di circa 2mila imprese cooperative in 3 anni con complessivamente circa 30mila occupati, la maggior spesa dello Stato (riduzione di ricavi IVA ed INPS) si compensa con l’aumento del gettito dell’IRPEF e la crescita del PIL (+0,052%).

4.INCENTIVI PER LE ASSUNZIONI

Una proposta ragionevole è quella di mettere in campo misure di incentivazione fiscale per favorire l’assunzione di 100mila giovani: questo lo si potrebbe ottenere prevedendo un credito di imposta di 3mila euro l’anno. Si tratterebbe di una spesa per lo Stato di 300milioni l’anno, per un totale di 900 milioni in tre anni. In compenso lo Stato incasserebbe -su un compenso lordo di 20mila euro lordi l’anno- circa 460 milioni di Irpef e 660 milioni di contributi sociali per un totale di 1 miliardo e 120 milioni di euro l’anno, ovvero un saldo attivo di 820 milioni in tre anni e di 2 miliardi e 460 milioni in tre anni. Si tratta di una misura straordinaria per incentivare le assunzioni tra i giovani. Secondo calcoli dell’Istat l’aumento di 100.000 occupati della fascia giovanile tra i 15-24 (uomini e donne) produrrebbe un aumento del PIl del 0,25%. Quindi se si allinerebbe il tasso di disoccupazione giovanile italiano (pari al 29%) alla media europea (pari al 20%), si produrrebbe un aumento del PIL del +1,3%. L’aumento del PIL produce un altro importante effetto, ovvero quello della riduzione dello stock del debito pubblico.

5. IL SERVIZIO CIVILE NAZIONALE

Le ultime finanziarie hanno disinvestito nel servizio civile. Si è passati dai 266 milioni di euro del 2008 ai 113 milioni del 2011: un taglio del 60%. Il crollo era già avvenuto nel 2010: solo 18.668 giovani a fronte dei 54.772 del 2007. Questo significa che nel 2011 saranno solo 16mila i giovani che potranno svolgere un servizio civile utile alla comunità. La proposta è di portar a 300 milioni di euro gli stanziamenti per il servizio civile permettendo a 50mila giovani di poter svolgere questo servizio. Ogni giovane costa allo Stato 6.027 euro (433,88 euro mensili più costi di formazione). E’ stato calcolato (IRS Milano) che i benefici per la comunità ammontino a 13.103 euro per ciascun volontario (i volontari svolgono attività nel campo dei servizi sociali, dell’assistenza, della protezione civile, dei beni culturali, ecc: i 13.103 euro sono la stima dei costi che lo Stato dovrebbe spendere per sostituirli in quelle funzioni). A fronte di 187 milioni in più di spesa lo Stato (e per recuperarli basterebbe ridurre da 131 a 129 i cacciabombardieri F35 che l’Italia si è impegna a a costruire) ricaverà 410 milioni di euro in benefici (servizi sociali, culturali, ambientali, eccetera).

6.DIRITTO ALL’ALLOGGIO

E’ già sperimentato in alcuni paesi europei ed anche in alcune regioni del nostro paese. Per la casa si dovrebbero stabilire accordi con agenzie immobiliari private e pubbliche per introdurre od allargare ancora di più il patto di futura vendita per favorire l’acquisto della casa di giovani famiglie e andrebbe sostenuto di più canone agevolato per giovani famiglie. In sostanza con il patto di futura vendita l’affitto pagato -dopo un certo numero di anni- può essere riscattato e contabilizzato come anticipo sul mutuo per l’acquisto della casa. Si propone altresì di innalzare gli oneri di urbanizzazione – mentre nel contempo è necessario limitare questa modalità di recupero straordinario di risorse (spesso l’unica) per gli enti locali che provoca un eccessivo consumo di territorio- con cui finanziare l’housing sociale per i giovani.

7. DIRITTO ALLO STUDIO

In Italia si spendono 481 milioni di euro per le borse di studio. In Germania ed in Francia 1miliardo e 400milioni di euro in ciascun paese. In Italia i giovani coperti da borse di studio sono 151.760 (8,4% della popolazione studentesca), in Francia 525.000 (23,8%) ed in Germania 510mila (25,5%). Non pretendiamo di arrivare ai livelli della Germania e della Francia… ma potremmo passare da 151.760 a 350mila studenti beneficiari con circa 700milioni di euro, quanto ogni anno si spende per sovvenzionare le scuole e le università private: cancellando quei sussidi, lo Stato non spenderebbe nulla per garantire ad altri 200mila studenti bisognosi di poter affrontare gli studi. Nell’ambito degli interventi di “diritto allo studio” anche per i giovani migranti andrebbero previsti corsi pubblici e gratuiti di insegnamento della lingua italiana e un sistema di borse studio specifiche per i giovani di origine straniera.

8. MESSA IN SICUREZZA DELLE SCUOLE ITALIANE

Dagli studi della Legambiente e di Cittadinanzattiva si evince che oltre 11mila scuole italiane -dove ogni mattina si recano milioni di giovani- non rispettano le norme della legge 626 e delle altre disposizioni relative alla sicurezza. La stima della messa in sicurezza di tutte le scuole che ne hanno bisono è di circa 7 miliardi di euro. Si propone che si avvii alla messa in sicurezza del 50% delle scuole italiane, senza nessun aggravio di spesa pubblica, prendendo i soldi dagli stanziamenti per il ponte sullo stretto (circa 3miliardi e 500 milioni di euro), cancellando questa grande opera. Tra l’altro in questo modo si potrebbero avere altri effetti collaterali positivi: dare opportunità a migliaia di imprese, dare lavoro a circa 50mila lavoratori nel settore dell’edilizia, riconvertire all’efficienza ecologica oltre 5mila edifici pubblici favorendo un abbattimento delle emissioni di C02. Si calcola che il saldo positivo di questa operazione è di circa 400 milioni di euro.

9. UNIVERSITA’ E PIL

Secondo lo Studio Ambrosetti (che organizza ogni anno il forum di Cernobbio), una università efficiente e adeguata alla sfida dei tempi vale ben 15 miliardi di PIL in due anni. Ecco perchè è necessario invstore almeno 3 miliardi l’anno nel settore della conoscenza per raggiungere la media europea (attualmente siamo indietro intutti) relativamente a al numero di laureati per abitante (passare dal 20% al 30% di laureati nella fascia tra i 25 ed i 34 anni) e numero di borse di studio (almeno il 23% sulla popolazione studentesca). I 3 miliardi potrebbero essere recuperati grazie al passaggio all’open source nella PA. Sono necessarie altresì altre misure di “welfare studentesco” (agevolazioni su alloggi, credito finanziario, acquisto libri e computer, ecc.) che permettano di far crescere il capitale umano del nostro paese.

10. OBBLIGO SCOLASTICO E TITOLI

Sul modello di molti paesi europei (Germania, Austria, Belgio, Ungheria), la proposta è quella di far coincidere il termine dell’obbligo scolastico con il conseguimento del titolo di studio. In questo modo si determina una diminuizione dell’abbandono scolastico (che in Italia al 19,2%, molto maggiore della media EU pari al 15%). Ricordiamo che uno degli obiettivi della strategia europea 2020 è quello riportare il tasso di abbandono scolastico sotto il 10%. In questo modo si migliora la qualificazione del lavoro e della coesione sociale. Non ha costi significativi, ma può invece far aumentare la competitività delle imprese e della produzione e quindi il PIL. La stima è di un aumento dello 0,3% del PIL con una riduzione dell’abbandono scolastico alla media europea: circa 600 milioni di euro l’anno.

TABELLA RIASSUNTIVA

Misura

Costi

Copertura

Benefici

Aumento PIL

Pensioni per i giovani

0

0

Copertura pensionistica per 1milioni di parasubordinati a basso reddito

Lotta alla precarietà

800milioni

Dal 43% al 44% l’aliquota massima Irpef (75mila euro)

Passaggio 250mila lavoratori da parasubordinanti a dipendenti

Indennità di disoccupazione per i parasubordinati

1 miliardo (0,065%)

Autoimprenditoralità giovanile

300milioni

Maggiori entrate Irpef ed Inps

Creazione di 2mila imprese cooperative e 30mila posti di lavoro

800 milioni (0,052%)

Incentivi assunzioni

300milioni

Maggiori entrate Irpef ed Inps

Creazione di 100mila posti di lavoro

4 miliardi (0,25%)

Servizio civile nazionale

187 milioni

Cancellazione di due caccia bombardieri F35

410milioni

200 milioni (0,013%)

Diritto all’alloggio

0

0

Maggiore accesso dei giovani all’alloggio

Diritto allo studio

700milioni

Cancellazione di 700milioni di sussidi alle scuole ed università private

Borse di studio per 200mila giovani

400 milioni (0,026)

Messa in sicurezza scuole

3miliardi e 500milioni

Cancellazione ponte sullo stretto

Messa in sicurezza di 5mila scuole – Lavoro per 1000 imprese e 50mila lavoratori- riduzione emissioni di C02

2 miliardi (0,13%)

Università e PIL

3 miliardi

Passaggio all’Open Source nella PA

Qualità dell’offerta formativa Miglioramento ricerca Stabilizzazione precari

7,5 miliardi (0,49%)

Obbligo scolastico e titoli

0

0

Aumento tasso di scolarizzazione

600 milioni (0,039%)

TOTALE

8,787 miliardi

8,787miliardi

16,5 miliardi

(1,065%)

Un mondo abitabile

Ogni giorno arrivano a Milano city-users in auto (ne entrano circa 800.000) in treno (320.000 persone ogni giorno in stazione centrale), in aereo (37 milioni di passeggeri l’anno) e con altri mezzi pubblici. Si stima che la popolazione diurna di Milano sia circa il doppio di quella residente. Da una parte la città dei residenti, invecchiati, un po’ impauriti e oppressi da problemi di congestione, inquinamento e abuso nei quartieri della movida, dall’altra la città-piattaforma delle funzioni dinamiche della Milano produttiva fatta di ricerca, finanza, moda, servizi avanzati, svago. Abitata questa da pendolari che faticano a raggiungerla nelle code interminabili di auto, nei treni malandati e nei bus spesso sovraffollati. È nella relazione fra queste due città che si gioca la questione dell’abitabilità: oggi la città-piattaforma schiaccia la città dei residenti. Occuparsi di abitabilità significa non pensare a progetti faraonici ma a ciò che può rendere la città accogliente, viva e in armonia, dando la casa ai giovani, ai lavoratori che fanno funzionare la macchina urbana, alle popolazioni temporanee. È necessario occuparsi degli spazi collettivi e dei luoghi della cultura che consentono l’incontro, del verde urbano, della valorizzazione delle aree agricole e naturali, della qualità dell’aria, delle forme e dei luoghi della mobilità, dei mezzi pubblici, della ciclabilità e di un uso delle auto non invasivo, dei servizi di welfare per la popolazione anziana e per l’accoglienza degli immigrati e delle nuove famiglie, di un decentramento vero di funzioni non marginali.

La riflessione di Alessandro Balducci apre una questione che sarebbe incosciente lasciare solo agli urbanisti: l’abitabilità del lavoro, l’abitabilità delle famiglie e l’abitabilità dei diritti e dei doveri sono il percorso obbligato per trovare lo slancio e costruire insieme. Perché l’accoglienza deve essere il nostro punto imprescindibile verso le elezioni che verranno e per gli amministratori che ci sono e che ci saranno. E l’accoglienza è l’ispiratrice di un momento che ci rende tutti migranti, nel passaggio di un’epoca che ha bisogno di reinventarsi e ha l’obbligo di essere includente. Lampedusa è anche nelle famiglie così difficili da costruire, nel lavoratore che rimane sempre più precario di quanto sia il suo lavoro e della famiglia che costa come un privilegio per pochi.

Ogni tanto mi piace pensare che partendo da qui, la Lombardia che ha innalzato i boriosi e gli spericolati a modelli di successo, l’inclusività diventi un punto di forza del nostro fare politica e si rompa il meccanismo che l’ha relegata tra le debolezze irrise dalla Lega e i suoi compari. Forti delle proprie fragilità, come scriveva qualcuno qualche millennio fa, e consapevoli. Un futuro abitabile perché attento ai meccanismi minori che determinano l’uguaglianza: e allora migrare sarà un viaggio verso il tempo che andiamo a prenderci.

Da Bologna una lettera sul lavoro

Mi scrive il circolo bolognese “Gianmaria Volontè” dedicato al tema del lavoro, dei saperi e delle identità. Scrivono con entusiasmo e lucidità del Governo che con un colpo di spugna di democrazia e civiltà vuole spazzare via le organizzazioni sindacali per attaccare direttamente il cuore della contrattazione collettiva e quindi renderci tutti sempre più soli di fronte ai nostri futuri.

Egregio Presidente del Consiglio,
Egregia Ministro,Vi scriviamo questa lettera, riservandoVi tutto il rispetto che meritate, per spiegare le ragioni del nostro disaccordo con le Vostre idee in merito alla riforma del mercato del lavoro oggi in discussione.

Ci sono due elementi che ci accomunano, distinguendoci, al contempo, da Voi: in primo luogo, molti di noi sono stati democraticamente eletti e, più in generare, per i ruoli e le funzioni che svolgiamo, pensiamo di rappresentare alcune migliaia di donne e uomini della nostra generazione. In secondo luogo, tutte e tutti noi siamo nati dopo il 20 maggio del 1970, sicché crediamo di poterci definire, a conti fatti, “giovani”. La scelta di porre il discrimine alla data di entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori è, con ogni evidenza, arbitraria e simbolica, ma costituisce la sola, piccola, libertà che ci concediamo, in questo scritto: per il resto, tenteremo di essere rigorosi, senza però rinunciare a esprimere un punto di vista.

Oggi non vogliamo dar conto delle mille difficoltà di una generazione – che oramai è più d’una – ben “rappresentata” (sul piano dellarappresentazione), pur essendo assai poco rappresentata (sul piano dellarappresentanza). Vogliamo concentrarci non sui problemi, ma sulle soluzioni, poiché quelle che immaginate ci paiono sbagliate, inefficaci e controproducenti.Avete detto a più riprese che ai tavoli di discussione sulla riforma, nessuno ci rappresenta. Sicché, forse in perfetta buona fede, avete dichiarato di volerla comunque portare a compimento, in nostro nome. Eppure c’è un problema di coerenza tra mezzi e fini.

Vi ponete l’obbiettivo di ridurre il dualismo del mercato del lavoro e contrastare il fenomeno della precarietà, favorendo l’occupazione delle fasce più deboli della popolazione, e in particolare dei giovani. Al contempo, intendete rivedere il sistema degli ammortizzatori sociali, generalizzando le forme di sostegno al reddito sì da coinvolgere i molti soggetti che ne sono, all’oggi, sprovvisti.

Ci sentiamo di condividere questi obbiettivi, ma riteniamo inadeguate le misure che state predisponendo per raggiungerli. L’aspetto meno sensato del Vostro disegno riguarda il tema della c.d. flessibilità in uscita e, più in particolare, la connessione che stabilite tra le misure in cantiere e la riforma del sistema degli ammortizzatori sociali. Secondo la Vostra idea gli imprenditori sarebbero restii ad assumere nuovi lavoratori per la difficoltà che potrebbero incontrare al momento del licenziamento. Quindi per favorire l’occupazione dei giovani – intesa come porta d’accesso alla cittadinanza sociale – andrebbero rese più flessibili le regole sui licenziamenti.

Il limite di questo ragionamento sta nel considerare aspetto marginale della cittadinanza sociale la stabilità dei rapporti di lavoro, incarnata, in Italia, dall’art. 18. Ora, questa norma, diversamente da ciò che si dice o si lascia intendere, non impedisce affatto il licenziamento, ma si limita a prevederne l’inefficacia quando manchi una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo (e cioè attinente alla condotta del lavoratore) o oggettivo (e cioè attinente alla gestione dell’impresa da parte del datore di lavoro). La conseguenza prevista dall’art. 18 per i casi di licenziamento illegittimo è la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, ossia il più antico ed efficace dei rimedi contro gli abusi.

Una generazione che dimora da tempo nelle sacche della precarietà – esposta com’è al ricatto del mancato rinnovo di un contratto a termine, alla revoca improvvisa di un incarico di collaborazione a progetto o all’aleatorietà della committenza – ha chiaro il contenuto di questo diritto (pur non avendone quasi mai goduto, e forse proprio per questo!) quanto ce lo ha chiaro un operaio metalmeccanico della FIAT di Melfi: tale diritto è prezioso non soltanto al momento del licenziamento, ma anche e soprattutto durante il rapporto di lavoro, essendovi condizionato l’esercizio di ogni altro fondamentale diritto (sindacale, retributivo, alla professionalità, alla sicurezza sul lavoro ecc.). Questi diritti, anche se riconosciuti formalmente, resterebbero “muti” se il datore di lavoro potesse liberarsi di un lavoratore sgradito senza controllo sulla motivazione del licenziamento (soggettiva o economica che sia) e senza un efficace rimedio per i casi d’illegittimità.

Per questa ragione, siamo del tutto contrari all’abolizione dell’art. 18 e siamo altrettanto contrari a una sua esclusione o sospensione per i (soli) rapporti di lavoro dei giovani, perché ciò comporterebbe un’inaccettabile discriminazione. Questa soluzione, adottata in Francia nel 2006 con ilContrat Première Embauche, mandò letteralmente a fuoco il Quartiere Latino, tanto che il Governo francese si vide costretto a ritirarla, tra l’entusiasmo dei maggiori opinionisti europei e italiani. Stupisce che, nell’Italia di oggi, quel punto di vista sia così disinvoltamente sacrificato sull’altare dello spread.

Non ci persuade, poi, l’idea che le garanzie riconosciute ai lavoratori anziani siano causa delle difficoltà dei più giovani, e ancor meno ci convince la trovata del salvifico baratto tra diritti nel rapporto di lavoro e diritti nel mercato del lavoro (intesi come formazione, politiche attive e, soprattutto, forme di sostegno al reddito nei momenti di non-lavoro). Gli uni e gli altri sono complementari e non alternativi, per la semplice ragione che assolvono funzioni diverse, chiamando in causa soggetti e responsabilità di natura diversa: le tutele nel rapporto hanno a che fare con la sfera del potere privato, e sono orientate – come l’art. 18 – a riequilibrare un rapporto che è naturalmente asimmetrico; quelle nel mercato servono a proteggere i lavoratori (dipendenti o indipendenti che siano) dal rischio della mancanza del lavoro, e chiamano in causa anche i poteri pubblici. Che vi sia connessione anche con il tema dei licenziamenti è fuor di dubbio: con quellilegittimi, però, ossia provvisti di una giustificazione.

È mai possibile che si debba usare toni così didascalici per dire l’ovvio? È mai possibile che diritti di cui abbiamo assoluto bisogno, come misure di sostegno al reddito, universali e generalizzate, diventino merce di scambio per un calcolo improprio, a fattori disomogenei e a saldo sempre negativo per tutti? Verrebbe quasi da dubitare della tecnica dei tecnici, se non vi fosse un più grande paradosso: è mai possibile che, dieci anni or sono, per rendere fluido il (troppo rigido) mercato del lavoro italiano e innalzare il tasso d’occupazione la ricetta fosse “flessibilità flessibilità flessibilità”, mentre oggi che si deve superare il dualismo di quel mercato e ridurre la precarietà la ricetta migliore è… “flessibilità flessibilità flessibilità”? Ricordiamo il mantra degli anni ’90: “dateci flessibilità e l’occupazione salirà, i salari saliranno”. È sconcertante che nessuno chieda conto delle promesse mancate e delle soluzioni sbagliate che furono date a un problema che ora esplode in tutta la sua drammaticità.

A nessuno viene in mente che i diritti possano essere estesi oltre l’alveo delle imprese con più di quindici addetti, oltre il lavoro subordinato e, in parte, oltre il lavoro tout court?

Egregio Presidente, egregia Ministro, siamo disposti a discutere di tutto, purché si cerchino soluzioni vere a veri problemi. Se il 18 costa troppo, perché il processo dura troppo, non si tagli il giudice, si tagli il processo. Se la precarietà è una piaga, non ci si affondi il coltello, si curi la ferita. Se servono i soldi per garantire un sostegno al reddito, li si prenda dove sono, non dove sono sempre meno.

Con questa lettera intendiamo dirvi con chiarezza che non siamo disposti ad arruolarci per la guerra tra poveri. Noi diserteremo questa guerra. Ripensateci, finché siete in tempo. Se invece darete seguito alla “riforma” che avete sino ad oggi immaginato, non esiteremo a batterci, con tutta la forza che siamo in grado di mettere in campo, per una proposta diversa ed alternativa alla Vostra. E se, alla fine, voleste ugualmente dar seguito al vostro progetto, c’è qualcosa che ciascuno di noi ha il diritto di pretendere:not in my name, s’il vous plait.

P.S. Con il dovuto rispetto, siamo certi di un Vostro riscontro, posto che ad un giovane under 40 è stato sufficiente inviare un curriculum al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Catricalà per essere nominato Vice Ministro.

II desiderio struggente di vivere sereni

Nel giugno del 1976 Enrico Berlinguer parlava dei giovani, delle speranze, delle angosce e della felicità. Nei primi giorni dell’anno (e soprattutto nell’anno di questo nostro tempo) è l’inno della politica che vogliamo. Che non arrossisce parlando di speranze e serenità come diritto. Della nostra voglia e impegno di volare. Alto. L’augurio e l’impegno per il 2012 è di trovare il coraggio di osare.

Oggi lo sfruttamento, l’alienazione, l’oppressione, pur mantenndo il loro centro nella condizione del proletariato, pur esercitando contro di esso, in prevalenza, il loro peso, si sono dilatati fino a colpire la condizione umana di altri strati e ceti della società capitalistica, sia pure in modi e in forme diverse.

Ormai infatti una crisi, una decadenza, si manifestano in ogni settore della vita sociale. È ciò che avviene nell’economia dove si assiste o a una caduta produttiva, o all’infla­zione, o a tutti e due i fenomeni insieme (e quando si cerca di superare uno di questi due aspetti della crisi, si cade nell’altro, come ha sperimentato e sta sperimentando da anni l’Italia); è ciò che si manifesta nell’anarchia imperante nella vita delle città, è da ciò che si tocca con mano nella desolazione della vita in campagna; è infine ciò che emerge nel dissesto delle istituzioni culturali e dello Stato, nella disgregazione della vita sociale caratterizzata dalla penuria di attrezzature civili e dalla deficienza dei servizi pubblici e sociali, nella perdita del senso della moralità nella vita pubblica, nel dila­gare della corruzione, che è dato oggi emergente in Italia, ma che non è una caratteristica solo italiana.

Da tutti questi fenomeni nascono non solo crescenti di­sagi materiali per tutti, ma qualcosa di più profondo: cioè malessere, ansie, angosce, frustrazioni, spinte alla dispera­zione, alla chiusura individuale, all’evasione; nasce insomma quella che si può ben definire l’infelicità dell’uomo di oggi.

Per contro, però, da tutto questo nasce anche il desiderio struggente (e insieme, sempre di più, la volontà determinata e consapevole) di cambiare, cioè di vivere in modo diverso, di vivere – possiamo dire con una parola – sereni.

Vivere, intendiamo dire, faticando, lavorando, studian­do, battagliando: ma sereni. Questo vuol dire, cioè vivere con la consapevolezza che la vita ha riacquistato un senso, che c’è qualcosa in cui vale la pena di credere, che ci sono degli scopi degni di essere raggiunti e che si è ristabilita una solidarietà fra gli uomini che consente loro di lavorare insie­me, per dei fini di cui tutti riconoscono la validità.

I giovani dunque, possono essere certi che su questa strada noi andremo avanti, affrontando vie inesplorate con sempre maggiore determinazione, slancio, audacia; da comu­nisti che cercano il nuovo con severità e rigore.

Non da uto­pisti che inseguono chimere o da schematici che si abbarbi­cano ai testi; non da estremisti che si lanciano in velleitarie fughe in avanti, ma neppure da opportunisti che si acconcia­no al presente, naviganti di piccolo cabotaggio che seguono il tracciato delle coste: mentre noi vogliamo affrontare le sconfinate distese del mare aperto per approdare a una nuo­va società a misura dell’uomo.

Enrico Berlinguer

Sabato 7 gennaio, a Roma, alle 17 via P.R. Pirotta 95, Roma, (Succursale Scuola Media Giovanni Verga). zona Prenestina – altezza Palmiro Togliatti (adiacente VII Municipio) ci vediamo per l’evento SOGNANDO BERLINGUER (info qui)