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interrogazione

Tante promesse per nulla

Niente, gli è andata male anche questa: Salvini ci teneva così tanto a fare il martire per il suo processo che avrebbe dovuto cominciare il prossimo 4 luglio, quello che lo vede imputato per sequestro di persona per il cosiddetto “caso Gregoretti” quando 131 migranti rimasero per quattro giorni su una nave militare italiana prima dello sbarco ad Augusta il 31 luglio del 2019. Ci teneva moltissimo Salvini perché avrebbe potuto mettere in scena la trama del povero perseguitato che viene messo all’angolo dalla magistratura cercando un legame (che non c’è) con la vicenda delle orrende intercettazioni del magistrato Palamara. E invece niente. «C’è mezza Italia ferma però mi è arrivata una convocazione a Catania per il 4 luglio», aveva dichiarato il leader leghista e invece il presidente dell’ufficio del giudice dell’udienza preliminare Nunzio Sarpietro è stato costretto al rinvio: «I nostri ruoli sono stati travolti dallo stop per l’emergenza coronavirus, ci sono migliaia di processi rinviati che hanno precedenza e ho dovuto spostare l’inizio del processo che vede imputato il senatore Salvini ad ottobre», spiega. E anche sui dubbi di un processo ingiusto Sarpietro tranquillizza l’ex ministro: «Stia tranquillo il senatore Salvini, avrà un processo equo, giusto e imparziale come tutti i cittadini. Né io né nessun giudice che si è occupato di questo fascicolo abbiamo nulla a che spartire con Palamara. E sono d’accordo con lui: quelle intercettazioni tra magistrati sono una vergogna».

Tutto fermo, quindi e niente scontro giudiziario come quelli che piacciono così tanto al centrodestra eppure l’ombra di Salvini, al di là delle vicende processuali, continua a pesare su questo governo e a essere un macigno per questo centro sinistra che si ritrova alleato con gli stessi alleati che furono di Salvini, con lo stesso presidente del Consiglio che celebrò proprio i decreti sicurezza e con un’aria stagnante per quello che riguarda il futuro prossimo sul tema. “Discontinuità”, avevano promesso proprio all’inizio del Conte bis. In molti si ricordano che le due leggi estremamente restrittive sull’immigrazione furono ampiamente contestate da buona parte del Partito democratico, in molti si ricordano le promesse che furono fatte e poi ripetute e in molti si ricordano che furono proprio i maggiorenti democratici a dirci di stare tranquilli che sarebbe cambiato tutto e che si sarebbe cancellato presto quell’abominio. Niente di niente. I decreti sicurezza sono lì e dopo otto mesi non sono stati cambiati. Non sono nemmeno state apportate le modifiche che addirittura il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva chiesto in una sua comunicazione ufficiale. E se è vero che il numero di persone che cercano di attraversare il Mediterraneo è diminuito in questi primi mesi dell’anno è altresì vero che dopo la pandemia sicuramente ci si ritroverà di fronte allo stesso identico problema, con le stesse identiche strumentalizzazioni di Salvini (e della ringalluzzita Meloni) e ancora una volta si assisterà al cortocircuito del governo che tiene insieme quelli che andavano a visitare le barche tenute alla deriva di Salvini e quegli stessi che con Salvini definivano «taxi del mare» le navi delle Ong. Sono diverse le proposte di modifica depositate nei mesi: la riduzione delle multe che i decreti prevedono per le navi Ong impegnate nei salvataggi in mare (su cui anche Mattarella aveva avuto da ridire), il ripristino di alcune forme di protezione internazionale per rendere più facile la regolarizzazione delle persone sbarcate nonché maggiori investimenti nel sistema di accoglienza diffusa, quella che ha sempre funzionato meglio coinvolgendo piccoli gruppi in piccole strutture sparse sul territorio italiano. Niente di niente. Rimane solo qualche parola delle poche interviste rilasciate dalla ministra dell’Interno Lamorgese, l’ultima all’inizio di questa settimana, che ha più volte ripetuto di non essere favorevole allo stravolgimento delle leggi. A posto così. Figuratevi, tra l’altro, se in un contesto del genere si possa anche solo lontanamente parlare di ius soli o di ius culturae che erano altri capisaldi di una certa sinistra progressista che urlava ad alto volume contro Salvini e che ora si è inabissata in un penoso silenzio.

Ma è rimasto tutto fermo? No, no, è andata addirittura peggio di così: all’inizio di aprile il governo ha stabilito che i porti italiani non possono più essere definiti “porti sicuri” per le persone soccorse in mare e di nazionalità diversa da quella italiana, di fatto impedendo l’accesso delle navi delle Ong, riuscendo nel capolavoro di fare ciò che nemmeno Salvini era riuscito a fare con tutte le carte a posto. Nonostante la sanatoria approvata dal Consiglio dei ministri per rimpinzare di braccia i campi dell’ortofrutticolo e per garantire l’ingrasso della grande distribuzione il governo non ha nemmeno trovato il tempo di rivedere la legge Bossi-Fini del 2002 che di fatto rende impossibile trovare lavoro regolare per qualsiasi straniero extra comunitario. A metà dello scorso aprile dodici persone sono morte per sete e per annegamento (mentre altre cinquantuno sono state riportate nei lager libici) e anche l’indignazione per i morti sembra ormai essersi rarefatta. Il giornalista Francesco Cundari il 18 aprile ha colto perfettamente il punto: «Il governo ha abbandonato anche quel minimo di ipocrisia che ancora consentiva di accreditare una qualche differenza, almeno di principio, tra le parole d’ordine di Matteo Salvini e la linea della nuova maggioranza in tema di immigrazione, sicurezza e diritti umani», ha scritto per Linkiesta. Ed è proprio così: ormai la sinistra non finge nemmeno più di essere sinistra e spera solo che non si sollevi troppa polemica. Tutto si trascina in un desolante silenzio spezzato solo dalle inascoltate parole di qualche associazione umanitaria e dalla interrogazione parlamentare di Rossella Muroni sui respingimenti illegali, di cui leggerete nell’inchiesta di Leonardo Filippi che apre questo numero. Mentre in Parlamento ci si inginocchia in memoria di George Floyd qui ci si dimentica di quelli che senza ginocchio si riempiono i polmoni d’acqua per i criminali accordi che l’Italia continua a sostenere con la Libia e ci si dimentica di quelli che muoiono nelle baracche di qualche borgo di fortuna per schiavi.

Poi, in tutto questo, vedrete che arriverà il tempo in cui Salvini tornerà a fare il Salvini e tutti si mostreranno stupiti, ci diranno che vogliono fare tutto e che vogliono farlo presto e intanto sarà troppo tardi, intanto la gente muore, intanto gli elettori si allontanano e si ricomincia di nuovo daccapo.

L’editoriale è tratto da Left in edicola dal 19 giugno

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SOMMARIO

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Con l’Egitto non servono “progressi”: serve la verità

Vendereste armi a qualcuno che vi ha massacrato un giovane studente e che si è inventato di tutto prima di ammettere a mezza bocca solo che tutto quello che aveva cercato di dire per depistare è falso? Pensateci bene. Vendereste armi a un Paese che ha poi ripetuto lo stesso schema con uno studente, questa volta non italiano ma praticamente adottato dalla città di Bologna dove studiava all’università, arrestato lo scorso 7 febbraio e tutt’ora in attesa di un giusto processo e sottoposto a una detenzione che solleva più di qualche dubbio?

Il Paese in questione è l’Egitto e i due studenti sono Giulio Regeni e Patrick Zaky. A Regeni, come sappiamo tutti, è andata molto peggio e non è un caso che i suoi genitori giusto pochi giorni fa abbiano ribadito di essere molto delusi dalle istituzioni italiane.

Con l’Egitto l’Italia sta trattando per un affare militare del valore di 9-11 miliardi di euro e il presidente del Consiglio Conte qualche giorno fa ha dato il via libera per la vendita di due fregate Fremm. Vendere armi a un regime è già qualcosa di orrendo, venderle a un Paese che insiste a prenderci in giro sulla morte di Regeni è qualcosa di insulso.

Ieri Liberi e Uguali ha presentato un’interrogazione al ministro Di Maio (se vi chiedete se governino insieme la risposta è sì, torniamo al #buongiorno di ieri della simbologia che annoia) in cui chiedeva conto di questa torbida situazione con Al-Sisi e il ministro Di Maio ha risposto precisando che «resta ferma la nostra incessante richiesta di progressi significativi nelle indagini sul caso del barbaro omicidio di Giulio Regeni. Il governo e le istituzioni italiane continuano ad esigere la verità dalle autorità egiziane attraverso una reale, fattiva ed efficace cooperazione».

Ed è una frase che non vuol dire nulla. Non c’è nessuna cooperazione tra Egitto e Italia sulla questione Regeni: l’hanno detto in molti, tra cui quelli che indagano. Esigere la verità stringendo accordi è quantomeno curioso. Di Maio ha anche aggiunto: «l’Egitto resta uno degli interlocutori fondamentali nel quadrante Mediterraneo, nell’ambito di importanti dossier, come il conflitto in Libia, la lotta al terrorismo e ai traffici illeciti, nonché la gestione dei flussi migratori e la cooperazione in campo energetico».

Ecco, no, non ci siamo proprio. Qui non servono “progressi”, non ci si avvicina ad annusare la verità. La verità è una, limpida e manca.

Grazie.

Buon giovedì.

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Il colloquio di lavoro

(Ripensavo a un testo per questo primo maggio e per questo lavoro piuttosto deteriorato e mi è venuto in mente un capitolo del mio romanzo Santamamma. Ora, non è mai bello autocitare un romanzo, suona sempre come mossa promozionale, eppure è una scena che contiene molte delle cose che ho vissuto io che sono di quella generazione a cavallo tra il “lavoro” come lo intendevano i nostri genitori e poi il “lavoro” come sarebbe diventato. Eccolo qui)

«Carlo Gatti»

«Sì, buongiorno. Eccomi.»

«Titolo di studio?»

«Maturità classica.»

«E basta?»

«Già, sì.»

«Strano, una maturità classica senza università…»

«Ho preferito cominciare a lavorare.»

«Sì. Ma non ha cominciato a lavorare visto che è qui per il colloquio.»

«Ho fatto il benzinaio.»

«Con la maturità classica. Un po’ pochino, eh. Chissà come saranno stati fieri i suoi genitori.»

«Lavoro estivo. Una cosetta così.»

«Ma qui c’è scritto settembre aprile.»

«Intendevo estivo nell’interpretazione. Anche se d’inverno.»

«Ah, nell’interpretazione, pensa te. Speriamo che non interpreti anche di fare finta di lavorare, ahinoi.»

L’ufficio aveva piante finte in tutti gli angoli. Smorte comunque. Almeno una spolverata, pensavo, almeno quella ci vorrebbe. Lui rigirava una penna. Lo insegnano a tutti gli ingiacchettati: tenere qualcosa tra le mani evita la fatica di pensare dove metterle. Trucchetto curioso per chi dovrebbe ribaltare l’economia del mondo, ma tant’è. I colloqui di lavoro hanno tutti un filo comune: la recitazione da parte dell’esaminato di un bisogno ma non troppo, di un entusiasmo ma non troppo, di competenze ma non troppo, di umiltà ma non troppo, di troppa buona educazione e una combinazione d’abiti che non vedi l’ora di dismettere. L’esaminatore, invece, sfoggia l’abilità di esaminare ma non troppo, annusa che tu sia brillante ma che non possa fare ombra, gioca al caporale e tu la truppa e poi diventa servo se entra il capo. Al decimo colloquio di lavoro potresti farne la regia in un teatro da mille posti, disegnarne la radiografia. Che messinscena.

«Suona. Anche.»

«Suonavo. Ho studiato pianoforte fin da piccolo. E violoncello.»

«La mia figlia più piccola va a danza. Le maestre dicono che sia portata. Vedremo un po’. Quindi ha suonato alla Scala?»

«Alla Scala c’è una stagione sinfonica. Non concerti solisti.»

«Ho capito, ho capito. Suonava così. Per passione…»

«Ho studiato. Frequentavo anche il conservatorio.»

«Ah, è diplomato! Allora un giorno la invito a vedere mia figlia ballare così mi dice.»

«Non mi sono diplomato. Mi sono fermato al nono anno.»

«Gatti, Gatti… non è riuscito a finirne una…»

«Ho avuto un lutto in famiglia.»

«Oh, mi spiace.»

Almeno un limite di potabilità, me lo ero imposto. Almeno non farsi sbavare addosso. E il lutto è un jolly: funziona a scuola per l’interrogazione e funziona anche qui. Del resto sono tutti maestrini, questi qui.

«Le spiego. Lei sa di cosa ci occupiamo?»

«Ho preso alcune informazioni. Consulenza aziendale specializzata in logistica, mobilità e ottimizzazione.»

«Ha sfogliato il depliant. Almeno quello l’ha finito.»

«Mi informo sempre. Amo sapere con chi sto andando a parlare.»

«Va bene Gatti, adesso non esageriamo. Quello è il mio lavoro. Comunque: esistiamo dal 1949 e il fondatore era un piccolo padroncino che si occupava di consegne e spedizioni nella zona fino poi a coprire tutto il territorio nazionale. Quando l’azienda è passata di mano al figlio, il signor Monti che poi è quello che la pagherebbe se io decido che lei può andare bene, abbiamo deciso di internazionalizzare l’impresa e oggi siamo tra i leader in Europa nella consulenza per le più importanti aziende logistiche. Trattiamo bancali e container che partono dall’Islanda e viaggiano fino alla Nuova Zelanda. Spedizioni che fanno il giro del mondo. Mi segue?»

È forte questa cosa degli incravattati che ripetono manfrine sulla storia dell’azienda com’è scritta sui volantini. È la recita di natale che si ripropone nella versione adulta, solo che qui a noi tocca fare i parenti commossi.

«Noi ci occupiamo che la spedizione avvenga con tutti i crismi: velocità, cortesia, qualità e produttività, soprattutto. Produttività. Abbiamo due divisioni: slancio e controllo. La figura che cerchiamo è per il reparto di slancio.»

«Sì. Di slancio. Che sarebbe?»

«Molto semplice. Il cliente x dice che deve spedire il bancale y da Roma a Berlino. Lei ha i numeri telefonici dei camionisti che collaborano con noi e il nostro sistema le fornisce un’indicazione di prezzo che noi chiamiamo cuneo. Il suo lavoro è di trovare velocemente quale dei nostri trasportatori è disposto a fare la tratta al prezzo più basso. Sulla differenza tra il cuneo e il prezzo che lei è riuscito ad ottenere le spetta una provvigione del 2,5% fino a un abbassamento del 25%, una provvigione del 5% fino al 50% e addirittura del 10% se il cuneo supera il cinquanta. Sembra difficile ma è molto semplice: quel viaggio dovrebbe costare 10.000 euro ma lei riesce a venderlo a un camionista a 5000 e con una telefonata si  è guadagnato 500 euro puliti. Mica male, eh?»

«Eh.»

«Già.»

«Ma perché slancio?»

«Il nome? Perché questo nome?»

«Sì. Una curiosità.»

«Mi sembra facile. Iniettiamo soldi nel mondo del lavoro, creiamo economia, spostiamo merci, accontentiamo clienti e lavoratori. Se al camionista non arrivasse quella telefonata avrebbe il camion fermo in giardino per farci giocare il figlioletto con il clacson e la leva del cambio. Il suo lavoro è tenere tutte queste persone in circolo, con tutti i loro talenti.»

Qui sorrise con trentadue canini. Era evidente che aveva trovato una formula diversa dalla consuetudine intirizzente e ne era entusiasta. L’avrebbe raccontata ai colleghi, agli amici del golf e alla mogliettina simulatamente fiera che l’avrebbe ascoltato mentre sceglieva il sushi. Da noi, in quegli anni lì, il sushi era un marziano con il salotto aperto solo agli eletti.

«Ma lei capisce, signor Gatti, che la responsabilità del ruolo e il prestigio dell’azienda ci impone di scegliere persone con i giusti talenti.»

Daje, con i talenti. Mi venne in mente zio Paperone. Con i sacchi di talenti.

«Per questo ho bisogno di sapere tutto di lei e di protocollo le farò anche delle domande personali. Dobbiamo avere la certezza di affidare il nostro slancio a persone che insieme a noi vogliano cambiare il mondo, aperte a sfide nuove e capaci di interagire con il futuro dandogli del tu.»

«Ovvio.»

«Mi dica Gatti, perché è interessato ad entrare nel mondo della logistica e della grande distribuzione?»

«Perché amo la mobilità. Ecco.»

«Cioè?»

«Credo che il commercio sia la più alta realizzazione delle capacità umane e essere partecipe di un’organizzazione che riesce a dare del tu a tutti i continenti sia una bella sfida.»

«Perfetto. Molto bravo. Ha già capito il nostro spirito. Siamo esploratori, noi. Ha intenzione di farsi una famiglia?»

«Certamente. Pur rispettando la mia autonomia.»

«Appunto. Perché qui non si può fermare il mondo per un anniversario, lei mi capisce. Questo non è un lavoro…»

«È una missione.»

«Una missione. Esattamente. Vuole avere figli?»

«Per ora no. Una famiglia mi basterebbe. Vorrei prima concentrarmi sulla realizzazione personale

«È molto maturo per essere un musicista della domenica, Gatti. Anche se ha letto il greco e latino.»

«La ringrazio.»

«Qui c’è gente che si è presentata in braghe di tela come lei e ora si porta a casa dodici, quindici, diciotto milioni al mese. Ma bisogna crederci, essere all’altezza dei propri sogni, come dice il nostro capo tutti gli anni alla cena di natale. Mi dica Gatti, ma lei è all’altezza dei suoi sogni?»

«Oh certo.»

«Perché qui ha il dovere di sognare. Non so se mi capisce. Questo non è un lavoro, come dirle, è l’affiliazione a un sogno. Qui non ci sono orari e domeniche perché i nostri collaboratori hanno bisogno di venire in ufficio, hanno bisogno di ribassare il cuneo e sentono la necessità di dimostrare al mondo che è possibile spostare un bancale di mille chilometri a metà del prezzo che la società ci vorrebbe imporre. È un fuoco che senti dentro».

«Capisco bene.»

«Capisce, va bene, ma lei ce l’ha il fuoco? Me lo faccia vedere! Ce l’ha il fuoco dentro?»

Sai che forse ci credono davvero questi a quello che dicono? Francesco una volta mi disse che sì, che secondo lui succede che a forza di riempire di polpettone il tacchino qualche tacchino si convince di essere polpettone. Lui aveva suo padre che vendeva porte blindate, le porte blindate più blindate tra le porte blindate, e quando a casa di Francesco gli zingari gli sono entrati in casa per rubargli pochi spicci, le mozzarelle e cagargli sul divano anche quella volta lì suo papà disse che dovevano essere una banda di professionisti, rapinatori da musei e ministeri, se erano riusciti a debellare la sua porta blindata.

«Io ce l’ho il fuoco. Me lo sento che brucia.»

«Perché questo è il punto di partenza essenziale. Senza quello io e lei non facciamo neanche questo appuntamento, altrimenti. Perché è lei che vuole venire con noi. Ma come lei ce ne sono migliaia. E bisogna scegliere bene chi ci prendiamo in famiglia.»

«Certamente. La sua è una bella responsabilità, mi immagino.»

«Lo può dire forte, Gatti! Lo può scrivere mille volte sulla lavagna! Ma lei cosa vuole fare da grande?»

«Essere in squadra per una grande impresa

«Molto bene.»

«Grazie.»

«Guardi questo test, guardi qui. Deve mettere una croce. È alla guida di un treno e c’è una biforcazione. Se continua sulla sua direzione troverà sei persone sui binari e inevitabilmente sarò costretto a ucciderli però può azionare lo scambio e decidere di prendere l’altra biforcazione dove sui binari c’è un uomo solo. Da che parte va, lei, Gatti?»

«Non è facile.»

«Non c’è tempo Gatti! Non ha troppo tempo! Non si può spegnere lo slancio!»

«Ne uccido uno solo, forse.»

«Ma è colpa sua, così!»

«Beh, non credo che se uccido gli altri sei mi facciano patrono del paese…»

«Sa qual è la risposta giusta?»

«No.»

«La risposta giusta anche se non c’è il quadretto della risposta giusta?»

«Mi dica.»

«La strada più breve. La più breve è la risposta giusta.»

«Ah, ok.»

«Ha qualche domanda?»

«Niente in particolare. Volevo chiedere, nel caso in cui io possa andare bene, l’inquadramento. Lo stipendio.»

«Le do un consiglio Gatti. Al di là di questo nostro incontro e che poi venga o no a lavorare con noi. Le do un consiglio. Parlare di soldi a un colloquio di lavoro è terribilmente inelegante».

«Sì, questo lo so».

«Però ci è ricascato. Pensi lei se io dovessi essere così rozzo da raccontarle che dispendio di soldi, tempo e energie è per noi fornirle una postazione, occuparci del telefono, le cuffie, il computer, i programmi, il suo armadietto, il badge, la mensa. Pensi quanto mi costa impiegare qualche collega esperto, di quelli che hanno lo slancio dentro, per spiegarle come funziona. Pensi a uno della nostra squadra che piuttosto che iniettare economia deve istruire uno appena arrivato. Gliene ho parlato? Forse mi ha sentito che le faccio pesare il fatto che qui da noi sapere sviolinare il pianoforte conta come il due di picche quando briscola è bastoni? È cambiato il mondo per voi giovani. Io vi invidio. Avete di fronte un futuro aperto a tutte le possibilità: la domanda che dovete fare non è «quanto mi pagate» ma «quanto valgo, io?». Io non le do niente, io non voglio essere come una volta il padrone della sua vita, io sono qui perché lei mi dica quanto guadagnerà. Sono io che glielo chiedo. Quanto guadagnerà Gatti?»

«C’è un rimborso spese?»

«Sono duecentocinquantamila lire di anticipo di provvigioni per i primi sei mesi. Volendo vedere c’è anche un milione di computer sulla sua scrivania, ottocentomila lire di media di bolletta telefonica per ogni collaboratore, la cancelleria e soprattuto questa azienda che vede, che il proprietario ha voluto bella e accogliente più di casa sua.»

«Ho capito. Mi è tutto chiaro.»

«Lei mi piace Gatti. Glielo confesso perché mi piace. Magari mi sbaglio anche se in tutta la carriera non mi sono sbagliato mai ma sento il suo fuoco. Mi prendo il rischio, via: se vuole domani ci vediamo alle 7 e iniziamo. Non lo dica a nessuno che l’ho deciso così su due piedi ma ogni tanto voglio fidarmi del mio istinto. Forse si è perso un po’ con la musica e la scuola ma le posso raccontare di un collega che non sapeva nemmeno parlare in italiano e ora è un caporeparto con la Golf aziendale e uno stipendio da favola. Non le dico il nome solo perché sarebbe inelegante ma lei ha quella luce negli occhi. Se lo prende qui da noi il diploma, si laurea in slancio. Eh?”

«Domani però non posso. Domani.»

«E perché?»

«Ho avuto un lutto.»

«Mi dispiace tanto.»

«Però vi chiamo. Vi chiamo io.»

«Va bene Gatti. Va bene. L’aspettiamo. Come una famiglia!»

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/05/01/il-colloquio-di-lavoro/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La Regione in ospedale rilascia lo scontrino

[comunicato stampa] Da domani i lombardi saranno forzosamente informati, alle dimissioni in caso di ricovero o al momento della prestazione in caso di esami o visite, del costo sostenuto da Regione Lombardia per il loro iter diagnostico e terapeutico. Ai piani alti di Palazzo Lombardia la chiamano operazione trasparenza.

E già suona ridicolo che, in suo nome, si dica ai cittadini quanto si spende per loro mentre i consiglieri regionali debbano affrontare ogni volta una specie di odissea per accedere ai dati sanitari e poter esercitare il proprio ruolo di controllo. Ma il punto vero è che a noi sembra un passo pericoloso verso la compromissione del diritto universale alla salute. Dietro l’obiettivo dichiarato di responsabilizzare i pazienti, come se un intervento al cuore o una chemioterapia fossero scelte assunte in libertà e non percorsi obbligati e drammatici, sta infatti il palese tentativo di colpevolizzarli. Con una scorrettezza di metodo e di merito inaccettabile. Perché le cure non sono regalate dal sistema sanitario, ma già pagate a monte da tutti i cittadini non evasori attraverso le tasse. Tanto che si stanno giustamente sollevando molte voci preoccupate e contrarie anche trai medici.

Del resto questa nuova norma, contro la quale abbiamo appena presentato un’interrogazione, fa il paio con il criterio – riconfermato ieri – dei maggiori punteggi di valutazione ai direttori di Asl e ospedali che più risparmiano, trascinando sempre più la sanità lombarda verso un sistema in cui contano soltanto numeri e soldi, a scapito delle persone. A parziale consolazione, il possibile e imprevisto effetto boomerang che incombe su Formigoni e Bresciani. Se, come da tempo denunciamo, il monitoraggio della pressione arteriosa, per esempio, è tariffato a 42.23 euro, mentre per eseguirlo se ne pagano 48.45, dati dalla somma del ticket di 36.15 e del superticket di 12.30, da domani i cittadini lo sapranno. Insieme all’umiliazione di vedersi recapitare il conto sanitario, scopriranno, con la certezza del nero su bianco, di sborsare in molti casi, per diverse delle più comuni prestazioni, ben più del loro costo effettivo. E saranno, a ragione, doppiamente scontenti”

La nostra interrogazione su Brescia radioattiva

Oggetto: criticità legate alla ex cava Piccinelli (BS)

I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI REGIONALI

PREMESSO CHE

la falda dell’ex cava Piccinelli, in via Cerca 45 a Brescia, sita tra i quartieri di San Polo e Buffalora, è contaminata in profondità da Cesio 137 con una radioattività che sfiora il milione di becquerel/Kg, e l’ultimo intervento di messa in sicurezza del sito risale al 1999;

PREMESSO INOLTRE CHE

i tecnici di Arpa Lombardia il 14 settembre 2011 scrivono che, considerando la risalita della falda di circa 4 metri, è possibile che la contaminazione radioattiva sia stata, ormai, in parte sommersa dalle acque;

CONSIDERATO CHE

a poca distanza dalla ex cava, nella direzione di scorrimento della falda, si trova un pozzo che rifornisce l’acquedotto della città di Brescia;

CONSIDERATO INOLTRE CHE

l’Arpa ha rilevato nella falda altre sostanze cancerogene, tetracloroetilene e cromo esavalente, con livelli superiori ai limiti di legge;

RILEVATO CHE

i teli impermeabili posizionati nel 1999 dalla ditta Nucleco, che dovevano arginare l’emergenza del Cesio per al massimo due anni, in dodici anni si sono deteriorati e nella discarica abusiva ha cominciato a formarsi percolato radioattivo;

RILEVATO INOLTRE CHE

il sito contaminato dell’ex cava Piccinelli è ormai da anni in stato di abbandono: manca la segnaletica di pericolo e la rottura dei teli impermeabili favorisce la formazione di percolato radioattivo; il progetto di bonifica, approvato dall’Asl, giace in un cassetto dal luglio 1998;

ATTESO CHE

il direttore dell’Asl Brescia, Dott. Francesco Vassallo, dichiara che sin dal 1994 il cesio era presente nella falda della cava, dal 1988 abbandonata e divenuta discarica abusiva;

ATTESO INOLTRE CHE

secondo un’indagine di Radio Popolare il Cesio all’ex cava Piccinelli di Brescia, scoperto nel 1994, è fermo, contaminando il terreno e l’ambiente da quasi vent’anni;

CONSTATATO CHE

ci sono voluti quattro anni perché, dopo le prime rilevazioni l’Asl si decidesse a mettere in sicurezza il sito e addirittura altri dodici anni di oblio per scoprire che l’isotopo radioattivo ha probabilmente contaminato anche le acque;

CONSTATATO INOLTRE CHE

nei comuni di Lumezzane e di Sarezzo per proteggersi dal Cesio 137 in poco tempo hanno creato un bunker in grado di ospitare le scorie, che devono riposare piombate per almeno due o trecento anni;

INTERROGANO IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE LOMBARDA, ROBERTO FORMIGONI, LA GIUNTA REGIONALE, L’ASSESSORE REGIONALE ALL’AMBIENTE, ENERGIA E RETI, MARCELLO RAIMONDI, NONCHE’ L’ASSESSORE ALLA SANITA’, LUCIANO BRESCIANI PER CONOSCERE:

  • se Regione Lombardia sia a conoscenza della presenza di Cesio 137 all’interno della falda dell’ex cava Piccinelli;
  • se Regione Lombardia sia a conoscenza della presenza nella falda di altre sostanze cancerogene, tetracloroetilene e cromo esavalente, con livelli superiori ai limiti di legge;
  • se sì, quali misure intende mettere in atto per risolvere questa grave situazione pericolosa non solo per l’ambiente, ma per la salute stessa degli abitanti della zona;
  • se Regione Lombardia sia a conoscenza di un progetto di bonifica totale della zona;
  • se sì, in cosa consiste il progetto e quale è il costo del suo finanziamento.

 

Milano, 13 gennaio 2012

Giulio Cavalli (SEL)

Chiara Cremonesi (SEL)

Cavalli (SEL) su nucleo anti bracconaggio di Brescia

REGIONE TUTELI IL NUCLEO ANTIBRACCONAGGIO DI BRESCIA DAGLI ATTACCHI DELLA LEGA
“Ha dell’incredibile che una forza politica rivolga pesanti attacchi al Corpo forestale dello Stato. Eppure è proprio quanto sta accadendo a Brescia, dove la Lega Nord raccoglie firme contro il Nucleo operativo antibracconaggio per impedirne l’attività in difesa del patrimonio faunistico.
Pensiamo che Regione Lombardia debba intervenire al più presto. E per questo abbiamo presentato un’interrogazione che chiede conto a Formigoni e agli assessori Raimondi e La Russa di quali misure concrete intendano mettere in atto per garantire il lavoro del Noa.
Nella provincia più ampia e a maggior densità venatoria d’Italia, il Nucleo antibracconaggio rappresenta un presidio fondamentale di contrasto alle pratiche di caccia illecite, a partire dall’uccellagione clandestina. Basti pensare che in vent’anni di attività gli agenti hanno sequestrato oltre 100 mila strumenti fuorilegge tra archetti, trappolone e reti, denunciando all’Autorità giudiziaria un migliaio di bracconieri.
Non sorprende che iniziative pretestuose come questa messa in atto dalla Lega trovino campo libero in un contesto istituzionale locale in cui si vuole a tutti i costi chiudere un occhio sui ripetuti reati commessi dal mondo venatorio. Ma tutto ciò è davvero inaccettabile.  
Regione Lombardia – che pur non si distingue per correttezza sul tema in questione regalando ogni anno alla lobby delle doppiette la caccia in deroga, nonostante le pendenti procedure di infrazione dell’Ue e le condanne della Corte di giustizia europea – ha il dovere di attivarsi. Ci dica cosa pensi fare e se non ritenga addirittura utile e opportuno rafforzare il Nucleo antibracconaggio con ulteriori unità operative”.

Milano, 7 novembre 2011

Interrogazione: vogliamo risposte sui buoni scuola

INTERPELLANZA CON RISPOSTA SCRITTA  EX ART. 120 DEL REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO REGIONALE

Oggetto: approfondimenti in merito all’aggiudicazione della gara d’appalto dei buoni scuola

I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI REGIONALI

PREMESSO CHE

La Dote Scuola è un contributo erogato da Regione Lombardia, per ragioni sociali o di merito, rivolto a studenti residenti nel territorio lombardo e appartenenti a famiglie con indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) inferiore o uguale a 15.458 euro per quanto riguarda la componente di sostegno al  reddito, mentre con indicatore reddituale familiare inferiore o uguale a 30.000 euro per la componente buono scuola, per quanto riguarda gli studenti delle scuole paritarie;

PREMESSO INOLTRE CHE

i voucher o buoni- scuola sono spendibili presso la grande distribuzione, cartolerie, librerie, negozi di informatica e molti altri esercizi commerciali, convenzionati con la società privata che gestisce l’erogazione e la rendicontazione dei voucher;

CONSIDERATO CHE

la Edenred, multinazionale che ha costruito il suo successo sui buoni pasto Ticket Restaurant, si è aggiudicata l’affidamento del servizio di realizzazione, erogazione, monitoraggio e rendicontazione dei titoli di assegnazione della Dote Scuola dal 2009, ovvero dall’anno della nascita dei buoni stessi, e il 16 giugno 2011 si è aggiudicata  l’appalto per gli anni scolastici 2011/2012 e 2012/2013;

CONSIDERATO INOLTRE CHE

con parere n.142 il 20 luglio 2011 l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) ha dichiarato detta gara di appalto non conforme alla normativa di settore, riportando nel parere diverse motivazioni, quali la determinazione di una barriera all’ingresso nel nuovo mercato, che restringe di fatto la concorrenza, e sottolineando che si intravedono sintomi di illogicità nella scelta di riconoscere un’accentuata prevalenza agli aspetti qualitativi delle offerte;

ATTESO CHE

dare troppo peso ad elementi come l’esperienza in servizi analoghi o il fatturato specifico maturato nel settore di fatto rende impossibile la partecipazione alla gara a diverse aziende e restringe la concorrenza;

 

ATTESO INOLTRE CHE

l’appalto in questione ammonta ad una fornitura pari a 300 milioni di euro ed è stato aggiudicato senza l’ottenimento di alcuno sconto in favore della pubblica amministrazione sui beni acquistabili attraverso i voucher/ticket rilasciati agli studenti della Regione;

 

RILEVATO CHE

 

la difficile situazione di crisi economico- finanziaria di portata nazionale e regionale impone anche a Regione Lombardia una costante osservazioni delle varie possibilità di risparmio, monitorando con cura tutte le assegnazioni di gare d’appalto

 

I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI REGIONALI INTERROGANO IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE LOMBARDA, ROBERTO FORMIGONI, LA GIUNTA REGIONALE, L’ASSESSORE REGIONALE AL BILANCIO, FINANZE E RAPPORTI ISTITUZIONALI, ROMANO COLOZZI PER CONOSCERE:

 

  1. Se lo svolgimento del servizio dell’anno 2009/2010 sia stato di piena soddisfazione della Regione e degli utenti;
  2. Se gli esercizi commerciali abbiano dato riscontri positivi;
  3. Quante aziende hanno partecipato alla gara, con quali modalità e termini di valutazione sia stata effettuata la scelta tra i concorrenti e quali vantaggi rispettivamente per la Regione e per i beneficiari del voucher siano stati rilevanti nella aggiudicazione;
  4. Quali misure Regione Lombardia, in seguito al parere negativo dell’AVCP, abbia intenzione di mettere in atto per correggere una gara d’appalto non conforme alle normative di settore.

 

Milano, 7 settembre 2011

Giulio Cavalli (SEL)

Chiara Cremonesi (SEL)

La sanità lombarda scricchiola? Interrogazione a Formigoni

C’è qualcosa che scricchiola in Regione Lombardia. Non è solo l0 schiaffo elettorale di Milano che lancia segnali di inquietudine, l’eccellenza sanitaria lombarda (su cui fonda il proprio consenso il celeste governatore Roberto Formigoni in attesa di candidarsi alle primarie per la sostituzione di B.) comincia ad avere ombre che rischiano di non sostenersi economicamente. Mentre diminuiscono i posti letto delle strutture pubbliche a discapito di quelle private (e questa non è certo una novità) gli ultimi dati evidenziano delle difficoltà del settore sanitario privato nel garantire visite e terapie. Il “turismo sanitario” (ingolosito dalla pubblicità continua sull’eccellenza lombarda) è in preoccupante calo. In molto vogliono vederci chiaro sui flussi tra pubblico e privato (soprattutto perché il privato pagato dal pubblico è cosa nostra, o no?). Come uscirne lo chiediamo direttamente a lui. In attesa di risposta (che arriverà borotalcata e intrisa di niente) vi propongo la domanda:

INTERROGAZIONE CON RISPOSTA IN COMMISSIONE EX ART. 116 DEL REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO REGIONALE

Al Signor Presidente del Consiglio regionale

Oggetto: richiesta di specifiche informazioni in merito alla situazione del sistema sanitario lombardo

I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI REGIONALI

PREMESSO CHE

il Decreto Legge 502/92  e il Decreto Legge 517/93  regolamentano l’esternalizzazione dei servizi socio-sanitari nazionali e regionali;

PREMESSO INOLTRE CHE

tale esternalizzazione  dovrebbe, per logica, garantire a Regione Lombardia una migliore qualità del servizio a favore del fruitore ultimo, ossia il cittadino;

CONSIDERATO CHE

nonostante i “volumi” contrattuali tra Regione Lombardia e gli Istituti Pubblici sembrino diminuiti e gli accreditamenti di strutture private invece aumentati, pare che, queste ultime, in più di un caso, chiudano non riuscendo a mantenere il bilancio in attivo;

CONSIDERATO CHE

sembrerebbe inoltre che le entrate provenienti dal “turismo sanitario” siano in calo e che comunque nel bilancio finale le strutture sanitarie non riescano a garantire visite e terapie, che potrebbero essere svolte  con stessa qualità di servizio in altre regioni, in tempi brevi;

ATTESO CHE

la sanità pubblica riveste oggettivamente e costituzionalmente un ruolo fondamentale e irrinunciabile per la società e che qualora le preoccupazioni sopra esposte siano confermate appare doveroso un imminente e tempestivo piano finalizzata alla soluzione del problema;

INTERROGANO IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE LOMBARDA, ROBERTO FORMIGONI, LA GIUNTA REGIONALE NONCHè L’ASSESSORE REGIONALE ALLA SANITA’, LUCIANO BRESCIANI  E L’ASSESSORE AL BILANCIO, FINANZE E RAPPORTI ISTITUZIONALI, ROMANO COLOZZI PER CONOSCERE:

  1. se e per quale motivo i posti letto nelle strutture pubbliche siano diminuiti e contemporaneamente quelli nelle strutture private siano aumentati;
  2. se e per quale motivo le strutture private non riescano a garantire la fattibilità del servizio;
  3. se  le entrate del c.d. “turismo sanitario”, che permettono un equilibrio del sistema sanitario lombardo, siano in calo, e, in caso affermativo, come si pensa di risolvere il problema;
  4. se ci sia la predisposizione a garantire trasparenza per quanto riguarda il flusso di denaro verso le strutture pubbliche e private dando la possibilità di accedere ai dati che concernono tale ambito.

 

Milano, 26 maggio 2011

Giulio Cavalli (IDV)

Gabriele Sola (IDV)

Francesco Patitucci (IDV)

Stefano Zamponi (IDV)