Donna, giovane e incinta
E’ l’amministratore delegato di Yahoo! Succede davvero, basta leggerlo qui.
Ogni tanto mi chiedo se non affiori un po’ di autocritica tra la gerontocrazia di questo paese.
E’ l’amministratore delegato di Yahoo! Succede davvero, basta leggerlo qui.
Ogni tanto mi chiedo se non affiori un po’ di autocritica tra la gerontocrazia di questo paese.
E’ difficile visti i tempi che corrono. Perché su EXPO le criticità sono state molte fin dall’ideazione di morattiana memoria (e in fondo siamo in tanti a chiederci ancora se fosse così indispensabile) e perché lo sviluppo del progetto ha i tempi e i modi del balletto per politicanti piuttosto che della “grande vetrina internazionale” (Formigoni dixit). Però domani in aula sia parla anche di EXPO (ma credetemi le foto e i microfoni saranno tutti per la preclusa Minetti, perché così vanno le strane priorità in Regione Lombardia) e noi proviamo a puntellare i paletti fondamentali. Presentando come gruppo SEL un ordine del giorno che dice così:
Il Consiglio regionale della Lombardia impegna la Giunta:
Mi scrive l’amico Alessandro Diano:
Buongiorno Giulio.
Se interessa per i prossimi incontri/proposte/temi sul lavoro, un valido sindacalista CGIL mi segnala un grave comunicato FIOM di ieri (vedi allegato) sul delicato rinnovo CCNL (l’unico strumento efficace poiché unitario) per cui -com’era prevedibile- anche Federmeccanica si adegua all’ipotesi di eliminazione di un contratto nazionale (negazione del ruolo negoziale della RSU, etc.).
Credo che se questo paese di distratti non si sveglia, si rischia davvero di non avere più né il CCNL con le sue tutele, né lo stato sociale né la sanità pubblica, né la scuola pubblica, poiché temo basti semplicemente smantellare per ultimo il “diritto al calcio” (che crea anche l’incostituzionale indifferenza) per far passare proprio di tutto.
Anche la negazione ministeriale della prima parte del tuo articolo Costituzionale preferito.
Doverosi saluti di diritto,
ale
Il comunicato di cui mi parla Alessandro è poco reperibile in rete ma parla chiaro:
Nella propria assemblea annuale a Bergamo Federmeccanica ha varato le «linee guida» per il rinnovo del Ccnl e ha affermato, senza mezzi termini, che il Contratto nazionale dei metalmeccanici non deve essere rinnovato a tutti i costi ma solo se risponde positivamente alle necessità delle imprese. Dalle linee guida di Federmeccanica emergono i seguenti punti:
Federmeccanica affronta anche il problema che oggi, senza una legge, il Ccnl non ha validità erga omnes e riconosce che, per superare le divisioni in atto tra i metalmeccanici, è essenziale dare attuazione all’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011. Federmeccanica afferma che il primo passo per dare qualità alle relazioni industriali consiste nel definire la effettiva rappresentatività dei soggetti negoziali perché giova alla democrazia sindacale e porta maggiore certezza nella contrattazione collettiva. Su questo punto la Fiom ritiene prioritaria l’applicazione tra i metalmeccanici dell’Accordo interconfederale del 28 giugno sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. La condizione necessaria per evitare la pratica degli accordi separati e riconquistare un contratto nazionale di tutti i lavoratori metalmeccanici è la definizione di procedure per la certificazione della rappresentanza e rappresentatività delle organizzazioni sindacali e di regole democratiche per la validazione di piattaforme e accordi attraverso il voto referendario di tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori. All’avvio della trattativa, a cui saremo presenti, se Federmeccanica presenterà ufficialmente la sua “piattaforma” si assumerà la responsabilità di cancellare l’esistenza del Contratto nazionale e anche Fim e Uilm dovranno riflettere sul fatto che in realtà questa strada porta a cancellare il Contratto nazionale e a estendere il modello Fiat in tutte le aziende metalmeccaniche. Per difendere le libertà sindacali e la democrazia nei luoghi di lavoro il diritto a contrattare salario, orario e condizioni di lavoro per impedire i licenziamenti e contrastare la precarietà RICONQUISTIAMO UN VERO CONTRATTO NAZIONALE DI TUTTE LE LAVORATRICI E DI TUTTI I LAVORATORI (Roma, 10 luglio 2012)
Ora io vorrei tanto capire se esiste un partito che la smetta di interrogarsi sulle alleanze partitiche e decida di raccontare questa clinica, spietata, continua omertà sui diritti che si appannano mentre il lavoro nemmeno riprende.
Tito Boeri, oggi, su Repubblica:
Ovunque durante le recessioni la disoccupazione aumenta di più per i giovani che nelle altre fasce di età. Questo avviene perché i datori di lavoro bloccano le assunzioni restringendo ogni canale di ingresso nel mercato del lavoro. Ma nella media dei paesi Ocse la disoccupazione giovanile è arrivata in questa crisi a essere al massimo il doppio di quella per il resto della popolazione. Da noi, invece, è quasi quattro volte più elevata.
Il fatto è che ai problemi strutturali del nostro mercato del lavoro e del sistema educativo si è aggiunto il dualismo fra contratti temporanei e contratti permanenti che ha causato questa volta, in aggiunta al blocco delle assunzioni, anche licenziamenti in massa di giovani lavoratori precari. Inoltre i giovani italiani, a differenza che in altri paesi, non hanno reagito alla crisi decidendo di continuare a studiare, ma anzi hanno ridotto le loro iscrizioni all’università. Probabilmente perché si sono resi conto che le lauree triennali non offrono uno sbocco adeguato sul mercato del lavoro rispetto ai diplomi di scuola secondaria, non sono in grado di ripagare l’investimento aggiuntivo fatto in istruzione.
Infine, essendo questa una crisi finanziaria, è ancora più difficile per i giovani che hanno progetti imprenditoriali avere accesso al credito. Di solito nelle recessioni c’è anche una parte creativa perché il costo minore del credito, del lavoro, dei fabbricati, del capitale permette a chi ha nuove idee di realizzarle. Ma questo non avviene durante le crisi finanziarie, soprattutto da noi dove le banche non hanno investito nella selezione di nuovi progetti imprenditoriali.
Ogni strategia che voglia davvero affrontare il problema della disoccupazione giovanile deve perciò avere tre cardini principali: primo, deve migliorare il percorso di ingresso nel mercato del lavoro; secondo, deve affrontare il problema dei trienni, spingendo più giovani a continuare gli studi oltre la scuola secondaria; terzo, deve favorire l’accesso al credito per chi ha idee imprenditoriali.
Sul primo aspetto, sarebbe stato importante introdurre in Italia un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, applicabile a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro età o qualifica. Purtroppo il governo ha scelto una strada diversa, lasciando che le tutele contro il licenziamento siano indipendenti dalla durata dell’impiego. Licenziare un lavoratore con contratto a tempo indeterminato che è da un solo mese in azienda continuerà a costerà quanto licenziare un lavoratore che ha 20 anni di anzianità aziendale. Questo scoraggia le assunzioni dei giovani soprattutto nei comparti dove il loro capitale umano verrebbe meglio utilizzato. Nei settori tecnologicamente avanzati è, infatti, molto difficile per un datore di lavoro valutare le competenze delle persone che assume. Si possono dunque commettere molti errori. Al tempo stesso, bisogna fare un investimento di lungo periodo sui lavoratori che si assume. La persistente dicotomia fra contratti a termine e contratti a tempo determinato impedisce tutto questo. E non potrà certo il contratto di apprendistato riproposto dalla riforma Fornero a risolvere il problema. Semplicemente perché le sue regole (in termini di età, quote sulle assunzioni e costi degli incentivi fiscali) impediscono che possa essere esteso alle grandi platee coinvolte dalla disoccupazione giovanile.
Per stimolare gli investimenti in istruzione bisogna spingere i giovani a lavorare e studiare allo stesso tempo. L’opposto dei NEET (giovani che non studiano e non lavorano al tempo stesso) di cui abbiamo oggi il triste primato. Per fare questo bisognerebbe introdurre in Italia la formazione tecnica universitaria sul modello delle scuole di specializzazione tedesche, le cosiddette Fachhochschule. Ciascuna università, anche sede periferica, in accordo con un certo numero di imprese locali, potrebbe introdurre un corso di laurea triennale caratterizzato da una presenza simultanea in impresa e in ateneo. Metà dei crediti verrebbe acquisito in aula e metà in azienda. Il lavoratore sarebbe impiegato in azienda e seguito da un tutor. Con controlli reciproci fra università e impresa sulla qualità della formazione conferita al lavoratore che ridurrebbero fortemente il rischio di abuso. I grandi atenei potrebbero organizzare una decina di questi corsi con un bacino di circa 800 studenti per ateneo, pari a 80 studenti per anno in ciascun corso di specializzazione. I piccoli atenei difficilmente ne organizzeranno più di due o tre ciascuno. In questo modo si potrebbe arrivare ad avere ogni anno 12-15mila nuovi giovani occupati. A regime, su tre anni, la riforma potrebbe portare i giovani occupati e impegnati in lauree brevi di specializzazione intorno alle 50mila unità, un numero significativo, data la dimensione delle coorti di ingresso nel mercato del lavoro.
Le due riforme di cui sopra sono a costo zero per le casse dello Stato. La terza avrebbe costi limitati. Potrebbe impegnare i fondi strutturali inutilizzati mettendo a disposizione fino a 150 milioni per il decollo di nuove iniziative imprenditoriali soprattutto nelle aree più svantaggiate del paese. Mediante un accordo con le banche, potrebbe selezionare 1.000 progetti imprenditoriali da sostenere attivando credito fino a quattro o cinque volte questa cifra. La fase di selezione dei progetti comporterebbe il finanziamento di uno stage all’estero (o in regioni con un forte tessuto imprenditoriale e buone università) in cui perfezionare il proprio business plan per 5.000 aspiranti imprenditori. I soldi verrebbero dati ai giovani, ma servirebbero di fatto come garanzia per i prestiti bancari. Sarebbe un modo anche per spingere le banche a spostare la loro attenzione dai clienti consolidati e spesso non più in grado di generare valore aggiunto a chi ha idee e la forzaed entusiasmo per portarle avanti.
Spesso giro il mondo, per fare discorsi, e la gente mi fa domande sulle sfide, sui miei momenti, sui miei rimpianti. 1998: Mamma single, di 4 bambini, tre mesi dopo la nascita del mio quarto figlio andai a lavorare, come assistente ricercatrice, nella Liberia del nord. Come parte del contratto, il villaggio ci forniva un alloggio. Mi diedero un alloggio con una madre single e sua figlia.
La ragazza era l’unica ragazza di tutto il villaggio che era arrivata alla prima superiore. Era lo zimbello della comunità. Altre donne dicevano a sua madre: “Tu e tua figlia morirete povere”. Dopo due settimane di lavoro in quel villaggio, fu tempo di rientrare. La madre venne da me, in ginocchio, e mi disse: “Leymah, prendi mia figlia. Voglio che diventiun’infermiera”. Poverissima, vivevo a casa con i miei genitori, non potevo permettermelo.Con le lacrime agli occhi, dissi “No”.
Due mesi dopo, visitai un altro villaggio per lo stesso incarico e mi chiesero di vivere con il capo del villaggio. Il capo delle donne del villaggio aveva una bambina, come me, la pelle chiara, sporca da capo a piedi. Se ne andava in giro tutto il giorno in mutande. Quando chiesi: “Chi è quella?” mi disse: “Quella è Wei. Il suo nome significa maiale. Sua madre è morta dandola alla luce, e nessuno sa chi sia il padre”. Per due settimane, diventò la mia compagna, dormiva con me. Le comprai vestiti usati e le comprai la sua prima bambola. La sera prima di partire, venne in camera da me e disse: “Leymah non lasciarmi qui. Voglio venire con te. Voglio andare a scuola.” Poverissima, senza soldi, in casa con i miei genitori, ancora una volta dissi: “No”. Due mesi dopo, entrambi i villaggi furono coinvolti in un’altra guerra. Ad oggi, non ho idea di dove siano quelle due ragazze.
Avanti veloce, 2004: al culmine del nostro attivismo, il ministro per la parità della Liberia mi chiamò e disse: “Leymah, ho una bimba di nove anni per te. Voglio che la porti a casaperché non abbiamo case sicure”. La storia di questa ragazzina: Era stata violentata dal nonno paterno, tutti i giorni, per sei mesi. Venne da me tutta gonfia, molto pallida. Tutte le sere tornavo dal lavoro e mi sdraiavo sul pavimento freddo. Lei si sdraiava accanto a me e diceva: “Zia, voglio stare bene. Voglio andare a scuola.”
2010: Una giovane donna, di fronte al Presidente Sirleaf, testimonia di come lei e i suoi fratelli vivessero insieme, il loro padre e la loro madre morti durante la guerra. Lei ha 19 anni; il suo sogno è andare all’università per poterli aiutare. È molto atletica. E succede chesi candida per una borsa di studio. Una borsa di studio completa. La ottiene. Il suo sogno di andare a scuola, il suo desidero di ricevere un’istruzione, alla fine si avvera. Va a scuola il primo giorno. Il direttore degli sport, responsabile per averla inserita nel programma le chiede di uscire dall’aula. E nei 3 anni successivi, il suo destino sarà avere relazioni sessuali con lui ogni giorno, come favore per averla fatta entrare a scuola.
Globalmente, abbiamo delle regole, strumenti internazionali, dirigenti che lavorano. Grandi persone hanno preso impegni — proteggeremo i nostri figli dal bisogno e dalla paura. Le Nazioni Unite hanno la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia. Paesi come gli Stati Uniti hanno la legge No Child Left Behind [Nessun bambino lasciato indietro]. Altri paesi fanno cose diverse. Uno degli obiettivi di sviluppo del millennio chiamato Three si focalizza sulle bambine. Tutti questi grandi lavori di grandi persone con lo scopo di portare i giovani dove vogliamo che vadano globalmente, credo abbiano fallito.
In Liberia, per esempio, il tasso di gravidanza tra le adolescenti è di 3 ogni 10 ragazze. La prostituzione tra le adolescenti è al suo massimo. In una comunità, ci dicono, ti alzi la mattina e vedi preservativi usati come se fossero carte di caramelle. Le ragazze di appena 12 anni si prostituiscono per meno di un dollaro a notte. È scoraggiante, è triste. E poi qualcuno mi ha chiesto, poco prima che parlassi a TED, qualche giorno fa: “Dov’è la speranza?”
Diversi anni fa, alcuni amici decisero che era arrivato il momento di colmare il vuoto tra la nostra generazione e la generazione delle giovani donne. Non è sufficiente dire di avere due premi Nobel nella Repubblica di Liberia, se le vostre ragazzine sono del tutto abbandonate,senza speranza, o sembrano senza speranza. Abbiamo creato uno spazio chiamato Young Girls Transformative Project [Progetto di Trasformazione per le Ragazze]. Andiamo nelle comunità rurali e tutto quello che facciamo, come è stato fatto in questa sala, è creare lo spazio. Quando queste ragazze si siedono, si dà spazio alla loro intelligenza, alla loro passione, al loro impegno, alla loro determinazione, si dà spazio a delle grandi leader.Finora abbiamo lavorato con più di 300 di loro. E alcune di queste ragazze che sono entrate nella stanza molto timide hanno fatto passi da gigante, da giovani madri, per tornare nel mondo e promuovere i diritti di altre giovani donne.
Una giovane donna che ho incontrato, madre adolescente di 4 bambini, che non aveva mai pensato di finire le superiori, si è diplomata con successo; non aveva mai pensato di andare all’università, si è iscritta all’università. Un giorno mi ha detto: “Il mio desiderio è finire l’università ed essere in grado di crescere i miei figli”. Al momento non riesce a trovare il denaro per andare a scuola. Vende acqua, vende bibite e vende ricariche del telefono. Potreste pensare che, quei soldi, li investe nella propria istruzione. Si chiama Juanita. Prende quei soldi e cerca madri single, nella sua comunità da rimandare a scuola.Dice: “Leymah, il mio desiderio è avere un’istruzione. E se non posso avere un’istruzionequando vedo le mie sorelle con un’istruzione, il mio desiderio si è avverato. Desidero una vita migliore. Desidero cibo per i miei bambini. Desidero che si metta fine agli abusi sessuali e allo sfruttamento nelle scuole.” Questo è il sogno della Ragazza Africana.
Diversi anni fa, c’era una ragazza africana il cui figlio desiderava un pezzo di ciambellaperché aveva molta fame. Furiosa, frustrata, molto preoccupata per le condizioni della sua società e dei suoi figli, questa ragazza ha dato il via a un movimento, un movimento di donne comuni che si sono riunite per la pace. Io esaudirò il desiderio. Questo è il desiderio di un’altra Ragazza Africana. Ho fallito nell’esaudire il desiderio di quelle due ragazze. Ho fallito. Questi erano i pensieri che passavano per la mente di questa giovane donna — ho fallito, ho fallito, ho fallito. Quindi farò questo. Le donne si sono esposte, per protestare contro un feroce dittatore, parlando con coraggio. Non solo il desiderio di un pezzo di ciambella è diventato realtà, il desiderio di pace è diventato realtà. Questa giovane donnadesiderava anche andare a scuola. È andata a scuola. Questa giovane donna desiderava altre cose, che si sono avverate.
Oggi, questa giovane donna sono io, sono un premio Nobel. Ora sto intraprendendo un percorso per esaudire il desiderio, delle bambine africane con le mie limitate capacità — il desiderio di ricevere un’istruzione. Abbiamo creato una fondazione. Diamo borse di studio complete di 4 anni a ragazze di villaggi che mostrano un potenziale.
Non ho molto da chiedervi. Sono stata anche in zone degli Stati Uniti, e so che anche le ragazze di questo paese hanno dei sogni, il sogno di una vita migliore, da qualche parte nel Bronx, sogni di una vita migliore da qualche parte nel centro di Los Angeles, sogni di una vita migliore da qualche parte nel Texas, sogni di una vita migliore da qualche parte a New York, sogni di una vita migliore da qualche parte nel New Jersey.
Volete accompagnarmi nell’aiutare quella ragazza, che sia una ragazza africana o una ragazza americana o una ragazza giapponese, a esaudire il suo desiderio, a esaudire il suo sogno, a realizzare il suo sogno? Perché tutti questi grandi innovatori, questi inventori con cui abbiamo parlato e che abbiamo visto in questi ultimi giorni sono anche loro seduti in un angolo in diverse parti del mondo, e tutto quello che ci chiedono di fare è creare quello spazio per liberare l’intelligenza, liberare la passione, liberare tutte quelle belle cose che loro trattengono dentro di sé. Facciamo la strada insieme. Facciamola insieme.
Grazie.
(Applausi)
Chris Anderson: Grazie infinite. Oggi in Liberia, qual è il problema che più la preoccupa?
LG: Mi è stato chiesto di guidare l’Iniziativa di Riconciliazione Liberiana. In quanto parte del mio lavoro, faccio queste visite in diversi villaggi, nelle città — 13, 15 ore su strade sconnesse — e in nessuna delle comunità in cui sono stata mancavano le ragazze intelligenti. Purtroppo, la visione di un grande futuro, il sogno di un grande futuro, è solo un sogno, perché abbiamo tutti questi problemi. La gravidanza in età adolescenziale, è diffusissima.
Quello che mi preoccupa è che io stessa ero una di loro e in qualche modo ora sono qui, e vorrei non essere l’unica ad essere qui. Cerco di fare in modo che altre ragazze siano con me. Tra 20 anni voglio guardarmi indietro e vedere un’altra ragazza liberiana, una ragazza del Ghana, una ragazza nigeriana, una ragazza etiope sul palco di TED. E forse, dico forse, dirà: “Grazie a quel premio Nobel oggi sono qui.” Sono preoccupata quando vedo che in loro non c’è speranza. Tuttavia non sono pessimista, perché so che non ci vuole molto per dare loro la carica.
CA: E in quest’ultimo anno, ci dica una cosa incoraggiante che ha visto accadere.
LG: Le posso parlare di molte cose incoraggianti che ho visto accadere. Ma nell’ultimo anno, siamo andate nel villaggio da cui proviene il presidente Sirleaf per lavorare per quelle ragazzine. E non c’erano neanche 25 ragazze alle scuole superiori. Tutte le ragazze andavano alle miniere d’oro, ed erano in prevalenza prostitute, che facevano altre cose.Abbiamo preso 50 di queste ragazze e abbiamo lavorato con loro. Eravamo all’inizio delle elezioni. Questo è un luogo dove le donne — anche le più anziane a malapena si siedono accanto agli uomini. Queste ragazze si sono riunite, hanno formato un gruppo e hanno lanciato una campagna per registrare gli elettori. È un villaggio molto rurale. Il tema che hanno usato è stato: “Anche le ragazze carine votano.” Sono riuscite a mobilitare le giovani donne.
Ma non hanno fatto solo questo, sono andate dai candidati a chiedere: “Cosa farete alle ragazze di questa comunità se vincerete?” E uno di loro che aveva già un incarico — perché la Liberia ha una delle più forti leggi contro lo stupro, e lui era uno di quelli che in parlamento si batteva per far revocare quella legge perché diceva che era barbara. Lo strupro non è una barbarie, la legge lo è, diceva. Quando le ragazze hanno iniziato a coinvolgerlo, lui era molto ostile nei loro confronti. Queste ragazzine si sono rivolte a lui e gli hanno detto: “Voteremo per toglierle l’incarico.” Oggi non ha più l’incarico.
(Applausi)
CA: Leymah, grazie. Grazie di essere venuta a TED.
LG: È stato un piacere. (CA: Grazie.)
(Applausi)
Per non avere la memoria a corrente alternata ma una resistenza elettrica e continua, oggi ho ritrovato un pezzo di Pippo Fava. Era il 1975. Dovevo nascere due anni dopo. E può tornare utile rileggerlo per uscire dalla stucchevole polemica su alleati e alleanze di questi giorni:
Mi volete spiegare perché un uomo, un cittadino che da anni vede gli enti pubblici gonfiarsi di raccomandati, lenoni della politica, imbroglioni, gabelloti dei partiti, e vede l’amministrazione onesta paralizzata dalla faida di potere a tutti i livelli, e vede le opere pubbliche boicottate e annientate dalla paura che ogni uomo politico nutre ch’essa opera pubblica possa servire al concorrente, e vede i quartieri della città trasformati in lande di scorreria per teppisti d’ogni età; perché quest’uomo cittadino che possibilmente è anche povero e galantuomo e non riesce a trovare lavoro onesto, e vede i raccomandati, i lacché, i vassalli politici scavalcarlo continuamente negli esami, nei concorsi, nel diritto civile alla vita; quest ‘uomo che magari è stato ricoverato una volta in ospedale o vi ha condotto un figlio o un padre, e ha visto i topi camminare sotto i letti, e gli esseri umani agonizzare perché mancava un litro di sangue, mentre duemila, tremila impiegati politici divorano ogni mese miliardi di pubblico denaro, quest’uomo povero, fiducioso, perseguitato, che per anni e anni ha votato per la democrazia accanendosi a sperare che da una settimana all’altra, da un anno all’altro, tutto potesse cambiare, e infine ha fanaticamente votato fascista per esprimere la sua disperazione e nemmeno allora è successo niente, nessuno ha raccolto il monito drammatico.
Perché quest’uomo così ridotto e ferito come essere vivente e come cittadino ora, in questa occasione elettorale, non dovrebbe votare comunista?
E così per anni e decenni, per mesi e per giorni, e per infinite occasioni, infinite illusioni e speranze, gli italiani (e i catanesi) hanno perdonato e restituito la fiducia, e nutrita la speranza che tutto stesse veramente per cambiare.
E non è cambiato niente mai, e la disperazione ha preso il cuore di milioni di cittadini, e io questo posso scriverlo onestamente perché la disperazione ancora non mi ha vinto.
(21 giugno 1975)
Sarà il compleanno ancora fresco o la riflessione sulla mia generazione ma stamattina mentre scrivevo e fuori si faceva alba mi ha colpito la lettera di Margherita Cardelli per LA 27 ora:
La mancanza di fiducia nel nostro caso ha portato alla disgregazione degli obiettivi comuni lasciando le persone sole e costrette a curare il proprio orticello, abbandonando ideali di comunità e socialità che tengono un popolo unito ed educato nei confronti delle istituzioni e della giustizia.
Avere 30 anni oggi è difficile. Alzarsi la mattina sapendo che non ci sono certezze è difficile. Avere paura di non sapere dove si potrebbe andare a sbattere la testa perché potrebbe accadere di tutto è difficile. È difficile perché le conseguenze di queste sensazioni distruggono le piccole cose. E le piccole cose sono la vita vera. Le relazioni si distruggono. Le amicizie si allontanano. Il sostrato sociale diventa cinico. Sono ben certa di non poter avere la possibilità di comprare una casa, a meno che non accetti l’aiuto della mia famiglia, e questo non è poi così grave, ma grave è la sensazione di non riuscire a tenere insieme gli affetti perché ognuno è costretto a decidere in base alle PROPRIE esigenze. Non ci si può più permettere di tenere conto delle esigenze degli altri. La difficoltà che può nascere nel gestire una relazione a distanza per motivi di lavoro può distruggere un amore o svilire le amicizie e porta ad una sorta di solitudine che allontana e separa le persone. E quando l’amore e l’affetto cominciano a soffrire di situazioni contingenti enormi e assolutamente ingestibili vuol dire che siamo arrivati alla fine. La nostra generazione è maledetta. Segnata fino alla fine.
Gad Lerner su Repubblica, oggi, per una sfida che SEL non può perdere:
COSTRETTA a fornire il suo appoggio determinante a un governo di “unità internazionale”, cioè auspicato dai vertici dell’economia mondiale, la sinistra riformista in Grecia appare ormai prossima alla cancellazione.
Ecosì, di fronte alla tecnica finanziaria che fagocita la sinistra “responsabile”, a noi viene da chiederci: potrebbe succedere anche in Italia? Troppi interessati sospiri di sollievo hanno offuscato l’esito del voto greco. Suppongo ne abbia tirato uno inconfessabile pure Alexis Tsipras, il leader della sinistra radicale Syriza che ha quasi raddoppiato i suoi voti restando però all’opposizione, come le è più congeniale. Meglio per Tsipras che governi una coalizione guidata dalla destra che prima truccò i conti pubblici e poi ha assecondato le ricette disastrose imposte dall’estero a una popolazione che in maggioranza (contando gli astenuti) le rifiuta. Una polarizzazione che ha ridotto all’irrilevanza il Pasok, cioè il partito del socialismo europeo. Liquidando come velleitaria l’aspirazione a una riforma democratica dell’architettura dell’Unione, fondata sulla salvaguardia dei diritti e degli interessi dei ceti popolari.
Il dubbio si è affacciato ieri sulla prima pagina dell’Unità: “Gioire perché vince la destra?”. Ma forse è troppo tardi: i cittadini ateniesi che fanno la fila alle mense dei poveri e devono rinunciare all’acquisto di farmaci per i loro figli, non hanno ricevuto nei mesi scorsi nessuna visita di Hollande, Gabriel, Bersani, Pérez Rubalcaba. Sospinti da un eccesso di prudenza, i leader della sinistra europea hanno preferito la latitanza, evitando di porre la questione greca fra le priorità di una politica riformista unitaria. Quasi che la bancarotta di cui i greci sono vittime, ma, certo, anche corresponsabili, fosse una disgrazia periferica da ignorare in assenza di soluzioni realistiche; e dunque non rimanesse che trasmettere la più miope delle rassicurazioni: noi non corriamo il rischio di finire come loro. Vero è che Bersani ha dichiarato di vergognarsi per come l’Europa tratta la Grecia; ma quel sentimento non si è ancora tradotto in mobilitazione politica.
Non va dimenticato che prima di capitolare di fronte al diktat emergenziale del governo tecnico di Papademos, nel novembre 2011 il premier socialista George Papandreou aveva compiuto un estremo tentativo: la convocazione di un referendum che suffragasse attraverso il responso della sovranità popolare la scelta di restare nell’eurozona, disposti a pagarne il prezzo doloroso. Quella procedura democratica, che aveva buone chances di riscuotere il consenso della cittadinanza, fu bloccata nel volgere di poche ore dalla reazione indispettita dell’establishment finanziario e dei più autorevoli statisti europei. Confermando la più spiacevole delle impressioni: l’incompatibilità fra le regole dominanti dell’economia e le regole, ad essa sottomesse, della democrazia. I teorici dell’estrema sinistra (ma anche della destra populista) ebbero così modo di denunciare che, sia pure con il giogo del debito al posto degli eserciti, stiamo vivendo una nuova epoca coloniale. Cioè che abbiamo già subito la liquidazione anticipata dell’unione politica confederale dei popoli europei. Quel veto, imposto nella più totale latitanza della sinistra riformista europea, segnò l’inizio della fine del Pasok e spianò la strada al successo di Syriza: una coalizione di forze della sinistra radicale favorevole a infrangere le normative comunitarie; le cui componenti nei prossimi giorni si scioglieranno per dare vita a un inedito partito-movimento sotto l’abile guida di Alexis Tsipras.
In apparenza un tale scenario risulta difficilmente replicabile in Italia. Qui il disfacimento della destra berlusconiana e leghista sembra favorire una supremazia elettorale del Partito Democratico e, alla sua sinistra, Nichi Vendola non pare intenzionato per il momento a rompere l’unità del centrosinistra. Tale quadro però è reso assai sdrucciolevole dall’exploit del Movimento 5 Stelle e dalle tentazioni populiste no euro che allignano trasversali, alimentate dalla crisi. Se in Grecia è Antonis Samaràs di Nea Demokratia a prendere da destra le redini del governo con il Pasok e Sinistra Democratica in posizione subalterna, il probabile terremoto elettorale italiano potrebbe determinare risultati tali da costringere anche il nostro Paese a riproporre un altro governo di “unità internazionale” come scelta obbligata. “Auspicata” dall’alto. Come testimonia anche la riforma del mercato del lavoro che la sinistra parlamentare si accinge a votare controvoglia — quasi fosse impossibile promuovere un nuovo europeismo d’impronta sociale — i riformisti costretti a muoversi sotto dettatura tecnica non riescono da tempo a rompere uno schema che li penalizza. Ma la politica obbligata a derogare dalle proprie ambizioni, sacrificando i valori in cui crede e i legami sociali che la vivificano, finisce per soffocare. L’esempio del socialismo greco incapace di reagire alla sofferenza del suo popolo è lì a dimostrarcelo. Così, nel medio periodo, anche nel nostro Paese si riproporrebbero le spaccature interne della sinistra, a scapito delle forze riformiste.
I leader della sinistra tedesca, francese, spagnola e italiana che hanno disertato di fronte alla tragedia greca, incontrano ogni giorno nuovi ostacoli sulla via di una politica davvero europeista. Lo testimonia il recente congresso della Spd che ha deciso di procedere subito, d’intesa con la Merkel, alla ratifica del Fiscal Compact nel Parlamento di Berlino: un trattato che così com’è esclude possibilità di deroghe per i Paesi indebitati; né più né meno “stupido” come già lo furono i parametri di Maastricht violati tranquillamente dai più forti ma imposti ai deboli in nome di una convenienza spacciata per virtù. Del resto, per paura di perdere consensi, i socialdemocratici tedeschi confermano ancora oggi il loro rifiuto degli eurobond. Come in tempo di guerra, gli interessi patriottici l’hanno vinta sull’internazionalismo proletario.
Chi di fronte all’incognita di un’economia al collasso vuole alimentare di nuova linfa gli ideali dell’unità europea e della giustizia sociale, non può ignorare più a lungo l’agonia della Grecia. O la sinistra ricomincia da Atene capitale, o rischia di perdersi.
Ci siamo. Vetreria.
Un cartello fuori da una vetreria distrutta dal terremoto. Che è una rivendicazione alla vita. Coraggiosa, degna e bellissima.
Oggi Stanislao è sceso dalla torre-faro del binario 21 ponendo fine all’occupazione di protesta per la soppressione dei treni notte (qui trovate tutte le puntate della storia).
E’ una vittoria dell’ostinazione e una lezione di lotta e dignità. Perché quando tutto questo era iniziato nessuna pensava che potesse finire così. Ed è anche una lezione di solidarietà sociale. E forse abbiamo le nostre colpe se le istituzioni non sono state in grado di “sentire” l’urgenza senza il gesto eclatante dei resistenti abbarbicati alla torre-faro.
Ora mancano trenta persone da ricollocare. E noi, certo, non mancheremo di arrivare fino in fondo.