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Lavoro

Immaginare EXPO con decente pulizia

E’ difficile visti i tempi che corrono. Perché su EXPO le criticità sono state molte fin dall’ideazione di morattiana memoria (e in fondo siamo in tanti a chiederci ancora se fosse così indispensabile) e perché lo sviluppo del progetto ha i tempi e i modi del balletto per politicanti piuttosto che della “grande vetrina internazionale” (Formigoni dixit). Però domani in aula sia parla anche di EXPO (ma credetemi le foto e i microfoni saranno tutti per la preclusa Minetti, perché così vanno le strane priorità in Regione Lombardia) e noi proviamo a puntellare i paletti fondamentali. Presentando come gruppo SEL un ordine del giorno che dice così:

Il Consiglio regionale della Lombardia impegna la Giunta: 

  • A met
    tere in atto tutte le azioni di sua competenza affinché il Protocollo sulla legalità sia sempre e completamente operativo; vigili con attenzione per garantire la regolarità degli appalti e non permetta nessun tipo di infiltrazione mafiosa, nella dichiarata volontà di non permettere che questo evento venga compromesso da attività illegali, davanti a tutto il pianeta;
  • A garantire i controlli sul rispetto dei diritti dei lavoratori, evitando forme di sfruttamento, lavoro nero e a sostenere il potenziamento delle ispezioni nei cantieri a tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro e nel rispetto della normativa contrattuale;
  • Affinchè si faccia promotrice della possibilità di inserire nei bandi quote destinate a lavoratori esodati disponibili o a lavoratori di aziende in crisi,  per sostenere concretamente la situazione di lavoratori in difficoltà e dare un vero impulso alla difficile situazione occupazionale della Regione.
Per ricordarsi che siamo lì per questo. Almeno.

Federmeccanica marchionizzata

Mi scrive l’amico Alessandro Diano:

Buongiorno Giulio.

Se interessa per i prossimi incontri/proposte/temi sul lavoro, un valido sindacalista CGIL mi segnala un grave comunicato FIOM di ieri (vedi allegato) sul delicato rinnovo CCNL (l’unico strumento efficace poiché unitario) per cui -com’era prevedibile- anche Federmeccanica si adegua all’ipotesi di eliminazione di un contratto nazionale (negazione del ruolo negoziale della RSU, etc.).

Credo che se questo paese di distratti non si sveglia, si rischia davvero di non avere più né il CCNL con le sue tutele, né lo stato sociale né la sanità pubblica, né la scuola pubblica, poiché temo basti semplicemente smantellare per ultimo il “diritto al calcio” (che crea anche l’incostituzionale indifferenza) per far passare proprio di tutto.

Anche la negazione ministeriale della prima parte del tuo articolo Costituzionale preferito.

Doverosi saluti di diritto,
ale

Il comunicato di cui mi parla Alessandro è poco reperibile in rete ma parla chiaro:

Nella propria assemblea annuale a Bergamo Federmeccanica ha varato le «linee guida» per il rinnovo del Ccnl e ha affermato, senza mezzi termini, che il Contratto nazionale dei metalmeccanici non deve essere rinnovato a tutti i costi ma solo se risponde positivamente alle necessità delle imprese. Dalle linee guida di Federmeccanica emergono i seguenti punti:

  • il salario flessibile che cancella la certezza dei minimi contrattuali; saranno le imprese e le loro condizioni produttive e di mercato a stabilire se in azienda verrà erogato o meno il minimo salariale stabilito nel Ccnl;
  • la cancellazione di tutti gli automatismi salariali definiti a partire, come hanno dichiarato, dagli scatti di anzianità; ma gli automatismi interessano anche i passaggi di categoria, i passaggi temporanei di mansioni, le trasferte ecc.;
  • cancellare il diritto al pagamento dei primi tre giorni di malattia e legare il salario alla presenza;
  • l’aumento dell’orario di lavoro individuale, dei turni, dei giorni lavorativi attraverso la massima flessibilità degli orari individuali e collettivi e il massimo utilizzo degli impianti (24 ore al giorno per 7 giorni);
  • la piena esigibilità della flessibilità di orario attraverso la cancellazione del ruolo negoziale della Rsu nella definizione degli orari di lavoro in fabbrica; rendere obbligatorio, senza contrattazione in fabbrica, lo straordinario anche al sabato e fino a 200/250 ore all’anno;
  • rendere ancora più semplice la possibilità di derogare alle leggi e al Ccnl, recepire nel testo del Contratto le recenti modifiche legislative che hanno peggiorato pensioni, ammortizzatori sociali e lavoro precario, rendere la contrattazione aziendale sempre più alternativa al Contratto nazionale.

 Federmeccanica affronta anche il problema che oggi, senza una legge, il Ccnl non ha validità erga omnes e riconosce che, per superare le divisioni in atto tra i metalmeccanici, è essenziale dare attuazione all’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011. Federmeccanica afferma che il primo passo per dare qualità alle relazioni industriali consiste nel definire la effettiva rappresentatività dei soggetti negoziali perché giova alla democrazia sindacale e porta maggiore certezza nella contrattazione collettiva. Su questo punto la Fiom ritiene prioritaria l’applicazione tra i metalmeccanici dell’Accordo interconfederale del 28 giugno sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. La condizione necessaria per evitare la pratica degli accordi separati e riconquistare un contratto nazionale di tutti i lavoratori metalmeccanici è la definizione di procedure per la certificazione della rappresentanza e rappresentatività delle organizzazioni sindacali e di regole democratiche per la validazione di piattaforme e accordi attraverso il voto referendario di tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori. All’avvio della trattativa, a cui saremo presenti, se Federmeccanica presenterà ufficialmente la sua “piattaforma” si assumerà la responsabilità di cancellare l’esistenza del Contratto nazionale e anche Fim e Uilm dovranno riflettere sul fatto che in realtà questa strada porta a cancellare il Contratto nazionale e a estendere il modello Fiat in tutte le aziende metalmeccaniche. Per difendere le libertà sindacali e la democrazia nei luoghi di lavoro il diritto a contrattare salario, orario e condizioni di lavoro per impedire i licenziamenti e contrastare la precarietà RICONQUISTIAMO UN VERO CONTRATTO NAZIONALE DI TUTTE LE LAVORATRICI E DI TUTTI I LAVORATORI (Roma, 10 luglio 2012)

Ora io vorrei tanto capire se esiste un partito che la smetta di interrogarsi sulle alleanze partitiche e decida di raccontare questa clinica, spietata, continua omertà sui diritti che si appannano mentre il lavoro nemmeno riprende.

Occuparsi, in mezzo alla crisi

Tito Boeri, oggi, su Repubblica:

Ovunque du­ran­te le re­ces­sio­ni la di­soc­cu­pa­zio­ne au­men­ta di più per i gio­va­ni che nel­le al­tre fa­sce di età. Que­sto av­vie­ne per­ché i da­to­ri di la­vo­ro bloc­ca­no le as­sun­zio­ni re­strin­gen­do ogni ca­na­le di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro. Ma nel­la me­dia dei pae­si Oc­se la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le è ar­ri­va­ta in que­sta cri­si a es­se­re al mas­si­mo il dop­pio di quel­la per il re­sto del­la po­po­la­zio­ne. Da noi, in­ve­ce, è qua­si quat­tro vol­te più ele­va­ta.
Il fat­to è che ai pro­ble­mi strut­tu­ra­li del no­stro mer­ca­to del la­vo­ro e del si­ste­ma edu­ca­ti­vo si è ag­giun­to il dua­li­smo fra con­trat­ti tem­po­ra­nei e con­trat­ti per­ma­nen­ti che ha cau­sa­to que­sta vol­ta, in ag­giun­ta al bloc­co del­le as­sun­zio­ni, an­che li­cen­zia­men­ti in mas­sa di gio­va­ni la­vo­ra­to­ri pre­ca­ri. Inol­tre i gio­va­ni ita­lia­ni, a dif­fe­ren­za che in al­tri pae­si, non han­no rea­gi­to al­la cri­si de­ci­den­do di con­ti­nua­re a stu­dia­re, ma an­zi han­no ri­dot­to le lo­ro iscri­zio­ni al­l’u­ni­ver­si­tà. Pro­ba­bil­men­te per­ché si so­no re­si con­to che le lau­ree trien­na­li non of­fro­no uno sboc­co ade­gua­to sul mer­ca­to del la­vo­ro ri­spet­to ai di­plo­mi di scuo­la se­con­da­ria, non so­no in gra­do di ri­pa­ga­re l’in­ve­sti­men­to ag­giun­ti­vo fat­to in istru­zio­ne.
In­fi­ne, es­sen­do que­sta una cri­si fi­nan­zia­ria, è an­co­ra più dif­fi­ci­le per i gio­va­ni che han­no pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li ave­re ac­ces­so al cre­di­to. Di so­li­to nel­le re­ces­sio­ni c’è an­che una par­te crea­ti­va per­ché il co­sto mi­no­re del cre­di­to, del la­vo­ro, dei fab­bri­ca­ti, del ca­pi­ta­le per­met­te a chi ha nuo­ve idee di rea­liz­zar­le. Ma que­sto non av­vie­ne du­ran­te le cri­si fi­nan­zia­rie, so­prat­tut­to da noi do­ve le ban­che non han­no in­ve­sti­to nel­la se­le­zio­ne di nuo­vi pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li.
Ogni stra­te­gia che vo­glia dav­ve­ro af­fron­ta­re il pro­ble­ma del­la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le de­ve per­ciò ave­re tre car­di­ni prin­ci­pa­li: pri­mo, de­ve mi­glio­ra­re il per­cor­so di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro; se­con­do, de­ve af­fron­ta­re il pro­ble­ma dei trien­ni, spin­gen­do più gio­va­ni a con­ti­nua­re gli stu­di ol­tre la scuo­la se­con­da­ria; ter­zo, de­ve fa­vo­ri­re l’ac­ces­so al cre­di­to per chi ha idee im­pren­di­to­ria­li.
Sul pri­mo aspet­to, sa­reb­be sta­to im­por­tan­te in­tro­dur­re in Ita­lia un con­trat­to a tem­po in­de­ter­mi­na­to a tu­te­le cre­scen­ti, ap­pli­ca­bi­le a tut­ti i la­vo­ra­to­ri, in­di­pen­den­te­men­te dal­la lo­ro età o qua­li­fi­ca. Pur­trop­po il go­ver­no ha scel­to una stra­da di­ver­sa, la­scian­do che le tu­te­le con­tro il li­cen­zia­men­to sia­no in­di­pen­den­ti dal­la du­ra­ta del­l’im­pie­go. Li­cen­zia­re un la­vo­ra­to­re con con­trat­to a tem­po in­de­ter­mi­na­to che è da un so­lo me­se in azien­da con­ti­nue­rà a co­ste­rà quan­to li­cen­zia­re un la­vo­ra­to­re che ha 20 an­ni di an­zia­ni­tà azien­da­le. Que­sto sco­rag­gia le as­sun­zio­ni dei gio­va­ni so­prat­tut­to nei com­par­ti do­ve il lo­ro ca­pi­ta­le uma­no ver­reb­be me­glio uti­liz­za­to. Nei set­to­ri tec­no­lo­gi­ca­men­te avan­za­ti è, in­fat­ti, mol­to dif­fi­ci­le per un da­to­re di la­vo­ro va­lu­ta­re le com­pe­ten­ze del­le per­so­ne che as­su­me. Si pos­so­no dun­que com­met­te­re mol­ti er­ro­ri. Al tem­po stes­so, bi­so­gna fa­re un in­ve­sti­men­to di lun­go pe­rio­do sui la­vo­ra­to­ri che si as­su­me. La per­si­sten­te di­co­to­mia fra con­trat­ti a ter­mi­ne e con­trat­ti a tem­po de­ter­mi­na­to im­pe­di­sce tut­to que­sto. E non po­trà cer­to il con­trat­to di ap­pren­di­sta­to ri­pro­po­sto dal­la ri­for­ma For­ne­ro a ri­sol­ve­re il pro­ble­ma. Sem­pli­ce­men­te per­ché le sue re­go­le (in ter­mi­ni di età, quo­te sul­le as­sun­zio­ni e co­sti de­gli in­cen­ti­vi fi­sca­li) im­pe­di­sco­no che pos­sa es­se­re este­so al­le gran­di pla­tee coin­vol­te dal­la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le.
Per sti­mo­la­re gli in­ve­sti­men­ti in istru­zio­ne bi­so­gna spin­ge­re i gio­va­ni a la­vo­ra­re e stu­dia­re al­lo stes­so tem­po. L’op­po­sto dei NEET (gio­va­ni che non stu­dia­no e non la­vo­ra­no al tem­po stes­so) di cui ab­bia­mo og­gi il tri­ste pri­ma­to. Per fa­re que­sto bi­so­gne­reb­be in­tro­dur­re in Ita­lia la for­ma­zio­ne tec­ni­ca uni­ver­si­ta­ria sul mo­del­lo del­le scuo­le di spe­cia­liz­za­zio­ne te­de­sche, le co­sid­det­te Fach­ho­ch­schu­le. Cia­scu­na uni­ver­si­tà, an­che se­de pe­ri­fe­ri­ca, in ac­cor­do con un cer­to nu­me­ro di im­pre­se lo­ca­li, po­treb­be in­tro­dur­re un cor­so di lau­rea trien­na­le ca­rat­te­riz­za­to da una pre­sen­za si­mul­ta­nea in im­pre­sa e in ate­neo. Me­tà dei cre­di­ti ver­reb­be ac­qui­si­to in au­la e me­tà in azien­da. Il la­vo­ra­to­re sa­reb­be im­pie­ga­to in azien­da e se­gui­to da un tu­tor. Con con­trol­li re­ci­pro­ci fra uni­ver­si­tà e im­pre­sa sul­la qua­li­tà del­la for­ma­zio­ne con­fe­ri­ta al la­vo­ra­to­re che ri­dur­reb­be­ro for­te­men­te il ri­schio di abu­so. I gran­di ate­nei po­treb­be­ro or­ga­niz­za­re una de­ci­na di que­sti cor­si con un ba­ci­no di cir­ca 800 stu­den­ti per ate­neo, pa­ri a 80 stu­den­ti per an­no in cia­scun cor­so di spe­cia­liz­za­zio­ne. I pic­co­li ate­nei dif­fi­cil­men­te ne or­ga­niz­ze­ran­no più di due o tre cia­scu­no. In que­sto mo­do si po­treb­be ar­ri­va­re ad ave­re ogni an­no 12-15­mi­la nuo­vi gio­va­ni oc­cu­pa­ti. A re­gi­me, su tre an­ni, la ri­for­ma po­treb­be por­ta­re i gio­va­ni oc­cu­pa­ti e im­pe­gna­ti in lau­ree bre­vi di spe­cia­liz­za­zio­ne in­tor­no al­le 50­mi­la uni­tà, un nu­me­ro si­gni­fi­ca­ti­vo, da­ta la di­men­sio­ne del­le coor­ti di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro.
Le due ri­for­me di cui so­pra so­no a co­sto ze­ro per le cas­se del­lo Sta­to. La ter­za avreb­be co­sti li­mi­ta­ti. Po­treb­be im­pe­gna­re i fon­di strut­tu­ra­li inu­ti­liz­za­ti met­ten­do a di­spo­si­zio­ne fi­no a 150 mi­lio­ni per il de­col­lo di nuo­ve ini­zia­ti­ve im­pren­di­to­ria­li so­prat­tut­to nel­le aree più svan­tag­gia­te del pae­se. Me­dian­te un ac­cor­do con le ban­che, po­treb­be se­le­zio­na­re 1.000 pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li da so­ste­ne­re at­ti­van­do cre­di­to fi­no a quat­tro o cin­que vol­te que­sta ci­fra. La fa­se di se­le­zio­ne dei pro­get­ti com­por­te­reb­be il fi­nan­zia­men­to di uno sta­ge al­l’e­ste­ro (o in re­gio­ni con un for­te tes­su­to im­pren­di­to­ria­le e buo­ne uni­ver­si­tà) in cui per­fe­zio­na­re il pro­prio bu­si­ness plan per 5.000 aspi­ran­ti im­pren­di­to­ri. I sol­di ver­reb­be­ro da­ti ai gio­va­ni, ma ser­vi­reb­be­ro di fat­to co­me ga­ran­zia per i pre­sti­ti ban­ca­ri. Sa­reb­be un mo­do an­che per spin­ge­re le ban­che a spo­sta­re la lo­ro at­ten­zio­ne dai clien­ti con­so­li­da­ti e spes­so non più in gra­do di ge­ne­ra­re va­lo­re ag­giun­to a chi ha idee e la for­zaed en­tu­sia­smo per por­tar­le avan­ti.

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Queste ragazzine si sono rivolte a lui e gli hanno detto: “Voteremo per toglierle l’incarico.” Oggi non ha più l’incarico.


Spesso giro il mondo, per fare discorsi, e la gente mi fa domande sulle sfide, sui miei momenti, sui miei rimpianti. 1998: Mamma single, di 4 bambini, tre mesi dopo la nascita del mio quarto figlio andai a lavorare, come assistente ricercatrice, nella Liberia del nord. Come parte del contratto, il villaggio ci forniva un alloggio. Mi diedero un alloggio con una madre single e sua figlia.

La ragazza era l’unica ragazza di tutto il villaggio che era arrivata alla prima superiore. Era lo zimbello della comunità. Altre donne dicevano a sua madre: “Tu e tua figlia morirete povere”. Dopo due settimane di lavoro in quel villaggio, fu tempo di rientrare. La madre venne da me, in ginocchio, e mi disse: “Leymah, prendi mia figlia. Voglio che diventiun’infermiera”. Poverissima, vivevo a casa con i miei genitori, non potevo permettermelo.Con le lacrime agli occhi, dissi “No”.

Due mesi dopo, visitai un altro villaggio per lo stesso incarico e mi chiesero di vivere con il capo del villaggio. Il capo delle donne del villaggio aveva una bambina, come me, la pelle chiara, sporca da capo a piedi. Se ne andava in giro tutto il giorno in mutande. Quando chiesi: “Chi è quella?” mi disse: “Quella è Wei. Il suo nome significa maiale. Sua madre è morta dandola alla luce, e nessuno sa chi sia il padre”. Per due settimane, diventò la mia compagna, dormiva con me. Le comprai vestiti usati e le comprai la sua prima bambola. La sera prima di partire, venne in camera da me e disse: “Leymah non lasciarmi qui. Voglio venire con te. Voglio andare a scuola.” Poverissima, senza soldi, in casa con i miei genitori, ancora una volta dissi: “No”. Due mesi dopo, entrambi i villaggi furono coinvolti in un’altra guerra. Ad oggi, non ho idea di dove siano quelle due ragazze.

Avanti veloce, 2004: al culmine del nostro attivismo, il ministro per la parità della Liberia mi chiamò e disse: “Leymah, ho una bimba di nove anni per te. Voglio che la porti a casaperché non abbiamo case sicure”. La storia di questa ragazzina: Era stata violentata dal nonno paterno, tutti i giorni, per sei mesi. Venne da me tutta gonfia, molto pallida. Tutte le sere tornavo dal lavoro e mi sdraiavo sul pavimento freddo. Lei si sdraiava accanto a me e diceva: “Zia, voglio stare bene. Voglio andare a scuola.”

2010: Una giovane donna, di fronte al Presidente Sirleaf, testimonia di come lei e i suoi fratelli vivessero insieme, il loro padre e la loro madre morti durante la guerra. Lei ha 19 anni; il suo sogno è andare all’università per poterli aiutare. È molto atletica. E succede chesi candida per una borsa di studio. Una borsa di studio completa. La ottiene. Il suo sogno di andare a scuola, il suo desidero di ricevere un’istruzione, alla fine si avvera. Va a scuola il primo giorno. Il direttore degli sport, responsabile per averla inserita nel programma le chiede di uscire dall’aula. E nei 3 anni successivi, il suo destino sarà avere relazioni sessuali con lui ogni giorno, come favore per averla fatta entrare a scuola.

Globalmente, abbiamo delle regole, strumenti internazionali, dirigenti che lavorano. Grandi persone hanno preso impegni — proteggeremo i nostri figli dal bisogno e dalla paura. Le Nazioni Unite hanno la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia. Paesi come gli Stati Uniti hanno la legge No Child Left Behind [Nessun bambino lasciato indietro]. Altri paesi fanno cose diverse. Uno degli obiettivi di sviluppo del millennio chiamato Three si focalizza sulle bambine. Tutti questi grandi lavori di grandi persone con lo scopo di portare i giovani dove vogliamo che vadano globalmente, credo abbiano fallito.

In Liberia, per esempio, il tasso di gravidanza tra le adolescenti è di 3 ogni 10 ragazze. La prostituzione tra le adolescenti è al suo massimo. In una comunità, ci dicono, ti alzi la mattina e vedi preservativi usati come se fossero carte di caramelle. Le ragazze di appena 12 anni si prostituiscono per meno di un dollaro a notte. È scoraggiante, è triste. E poi qualcuno mi ha chiesto, poco prima che parlassi a TED, qualche giorno fa: “Dov’è la speranza?”

Diversi anni fa, alcuni amici decisero che era arrivato il momento di colmare il vuoto tra la nostra generazione e la generazione delle giovani donne. Non è sufficiente dire di avere due premi Nobel nella Repubblica di Liberia, se le vostre ragazzine sono del tutto abbandonate,senza speranza, o sembrano senza speranza. Abbiamo creato uno spazio chiamato Young Girls Transformative Project [Progetto di Trasformazione per le Ragazze]. Andiamo nelle comunità rurali e tutto quello che facciamo, come è stato fatto in questa sala, è creare lo spazio. Quando queste ragazze si siedono, si dà spazio alla loro intelligenza, alla loro passione, al loro impegno, alla loro determinazione, si dà spazio a delle grandi leader.Finora abbiamo lavorato con più di 300 di loro. E alcune di queste ragazze che sono entrate nella stanza molto timide hanno fatto passi da gigante, da giovani madri, per tornare nel mondo e promuovere i diritti di altre giovani donne.

Una giovane donna che ho incontrato, madre adolescente di 4 bambini, che non aveva mai pensato di finire le superiori, si è diplomata con successo; non aveva mai pensato di andare all’università, si è iscritta all’università. Un giorno mi ha detto: “Il mio desiderio è finire l’università ed essere in grado di crescere i miei figli”. Al momento non riesce a trovare il denaro per andare a scuola. Vende acqua, vende bibite e vende ricariche del telefono. Potreste pensare che, quei soldi, li investe nella propria istruzione. Si chiama Juanita. Prende quei soldi e cerca madri single, nella sua comunità da rimandare a scuola.Dice: “Leymah, il mio desiderio è avere un’istruzione. E se non posso avere un’istruzionequando vedo le mie sorelle con un’istruzione, il mio desiderio si è avverato. Desidero una vita migliore. Desidero cibo per i miei bambini. Desidero che si metta fine agli abusi sessuali e allo sfruttamento nelle scuole.” Questo è il sogno della Ragazza Africana.

Diversi anni fa, c’era una ragazza africana il cui figlio desiderava un pezzo di ciambellaperché aveva molta fame. Furiosa, frustrata, molto preoccupata per le condizioni della sua società e dei suoi figli, questa ragazza ha dato il via a un movimento, un movimento di donne comuni che si sono riunite per la pace. Io esaudirò il desiderio. Questo è il desiderio di un’altra Ragazza Africana. Ho fallito nell’esaudire il desiderio di quelle due ragazze. Ho fallito. Questi erano i pensieri che passavano per la mente di questa giovane donna — ho fallito, ho fallito, ho fallito. Quindi farò questo. Le donne si sono esposte, per protestare contro un feroce dittatore, parlando con coraggio. Non solo il desiderio di un pezzo di ciambella è diventato realtà, il desiderio di pace è diventato realtà. Questa giovane donnadesiderava anche andare a scuola. È andata a scuola. Questa giovane donna desiderava altre cose, che si sono avverate.

Oggi, questa giovane donna sono io, sono un premio Nobel. Ora sto intraprendendo un percorso per esaudire il desiderio, delle bambine africane con le mie limitate capacità — il desiderio di ricevere un’istruzione. Abbiamo creato una fondazione. Diamo borse di studio complete di 4 anni a ragazze di villaggi che mostrano un potenziale.

Non ho molto da chiedervi. Sono stata anche in zone degli Stati Uniti, e so che anche le ragazze di questo paese hanno dei sogni, il sogno di una vita migliore, da qualche parte nel Bronx, sogni di una vita migliore da qualche parte nel centro di Los Angeles, sogni di una vita migliore da qualche parte nel Texas, sogni di una vita migliore da qualche parte a New York, sogni di una vita migliore da qualche parte nel New Jersey.

Volete accompagnarmi nell’aiutare quella ragazza, che sia una ragazza africana o una ragazza americana o una ragazza giapponese, a esaudire il suo desiderio, a esaudire il suo sogno, a realizzare il suo sogno? Perché tutti questi grandi innovatori, questi inventori con cui abbiamo parlato e che abbiamo visto in questi ultimi giorni sono anche loro seduti in un angolo in diverse parti del mondo, e tutto quello che ci chiedono di fare è creare quello spazio per liberare l’intelligenza, liberare la passione, liberare tutte quelle belle cose che loro trattengono dentro di sé. Facciamo la strada insieme. Facciamola insieme.

Grazie.

(Applausi)

Chris Anderson: Grazie infinite. Oggi in Liberia, qual è il problema che più la preoccupa?

LG: Mi è stato chiesto di guidare l’Iniziativa di Riconciliazione Liberiana. In quanto parte del mio lavoro, faccio queste visite in diversi villaggi, nelle città — 13, 15 ore su strade sconnesse — e in nessuna delle comunità in cui sono stata mancavano le ragazze intelligenti. Purtroppo, la visione di un grande futuro, il sogno di un grande futuro, è solo un sogno, perché abbiamo tutti questi problemi. La gravidanza in età adolescenziale, è diffusissima.

Quello che mi preoccupa è che io stessa ero una di loro e in qualche modo ora sono qui, e vorrei non essere l’unica ad essere qui. Cerco di fare in modo che altre ragazze siano con me. Tra 20 anni voglio guardarmi indietro e vedere un’altra ragazza liberiana, una ragazza del Ghana, una ragazza nigeriana, una ragazza etiope sul palco di TED. E forse, dico forse, dirà: “Grazie a quel premio Nobel oggi sono qui.” Sono preoccupata quando vedo che in loro non c’è speranza. Tuttavia non sono pessimista, perché so che non ci vuole molto per dare loro la carica.

CA: E in quest’ultimo anno, ci dica una cosa incoraggiante che ha visto accadere.

LG: Le posso parlare di molte cose incoraggianti che ho visto accadere. Ma nell’ultimo anno, siamo andate nel villaggio da cui proviene il presidente Sirleaf per lavorare per quelle ragazzine. E non c’erano neanche 25 ragazze alle scuole superiori. Tutte le ragazze andavano alle miniere d’oro, ed erano in prevalenza prostitute, che facevano altre cose.Abbiamo preso 50 di queste ragazze e abbiamo lavorato con loro. Eravamo all’inizio delle elezioni. Questo è un luogo dove le donne — anche le più anziane a malapena si siedono accanto agli uomini. Queste ragazze si sono riunite, hanno formato un gruppo e hanno lanciato una campagna per registrare gli elettori. È un villaggio molto rurale. Il tema che hanno usato è stato: “Anche le ragazze carine votano.” Sono riuscite a mobilitare le giovani donne.

Ma non hanno fatto solo questo, sono andate dai candidati a chiedere: “Cosa farete alle ragazze di questa comunità se vincerete?” E uno di loro che aveva già un incarico — perché la Liberia ha una delle più forti leggi contro lo stupro, e lui era uno di quelli che in parlamento si batteva per far revocare quella legge perché diceva che era barbara. Lo strupro non è una barbarie, la legge lo è, diceva. Quando le ragazze hanno iniziato a coinvolgerlo, lui era molto ostile nei loro confronti. Queste ragazzine si sono rivolte a lui e gli hanno detto: “Voteremo per toglierle l’incarico.” Oggi non ha più l’incarico.

(Applausi)

CA: Leymah, grazie. Grazie di essere venuta a TED.

LG: È stato un piacere. (CA: Grazie.)

(Applausi)

E non è cambiato niente mai, e la disperazione ha preso il cuore di mi­lioni di cittadini, e io questo posso scriverlo onestamente perché la di­sperazione ancora non mi ha vinto.

Per non avere la memoria a corrente alternata ma una resistenza elettrica e continua, oggi ho ritrovato un pezzo di Pippo Fava. Era il 1975. Dovevo nascere due anni dopo. E può tornare utile rileggerlo per uscire dalla stucchevole polemica su alleati e alleanze di questi giorni:

Mi volete spiegare perché un uomo, un cittadino che da anni vede gli enti pubblici gonfiarsi di racco­mandati, le­noni della politica, imbro­glioni, gabel­loti dei partiti, e vede l’amministrazio­ne onesta paralizzata dalla faida di po­tere a tutti i livelli, e vede le opere pubbliche boicottate e annientate dalla paura che ogni uomo politico nutre ch’essa opera pubblica possa servire al concorrente, e vede i quartieri della città trasformati in lan­de di scorreria per teppisti d’ogni età; perché quest’uomo cittadino che pos­sibilmente è anche povero e galantuo­mo e non riesce a trovare lavoro one­sto, e vede i raccomandati, i lacché, i vassalli poli­tici scavalcarlo continua­mente negli esami, nei concorsi, nel diritto civile alla vita; quest ‘uomo che magari è stato ricoverato una vol­ta in ospedale o vi ha condotto un fi­glio o un padre, e ha visto i topi cam­minare sotto i let­ti, e gli esseri umani agonizzare per­ché mancava un litro di sangue, men­tre duemila, tremila impiegati politici divorano ogni mese miliardi di pubbli­co denaro, quest’uomo povero, fiducioso, perseguitato, che per anni e anni ha votato per la democrazia acca­nendosi a sperare che da una settima­na all’altra, da un anno all’altro, tutto potesse cambiare, e infine ha fanatica­mente votato fascista per esprimere la sua disperazione e nemmeno allora è successo niente, nessuno ha raccolto il monito drammatico.

Perché quest’uomo così ridotto e fe­rito come essere vivente e come cit­tadino ora, in questa occasione eletto­rale, non do­vrebbe votare comunista?

E così per anni e decenni, per mesi e per giorni, e per infinite occasioni, in­finite illusioni e speranze, gli italia­ni (e i catanesi) hanno perdonato e re­stituito la fiducia, e nutrita la speran­za che tutto stesse veramente per cambia­re.

E non è cambiato niente mai, e la disperazione ha preso il cuore di mi­lioni di cittadini, e io questo posso scriverlo onestamente perché la di­sperazione ancora non mi ha vinto.

(21 giugno 1975)

Avere 30 anni oggi è difficile.

Sarà il compleanno ancora fresco o la riflessione sulla mia generazione ma stamattina mentre scrivevo e fuori si faceva alba mi ha colpito la lettera di Margherita Cardelli per LA 27 ora:

La mancanza di fiducia nel nostro caso ha portato alla disgregazione degli obiettivi comuni lasciando le persone sole e costrette a curare il proprio orticello, abbandonando ideali di comunità e socialità che tengono un popolo unito ed educato nei confronti delle istituzioni e della giustizia.

Avere 30 anni oggi è difficile. Alzarsi la mattina sapendo che non ci sono certezze è difficile. Avere paura di non sapere dove si potrebbe andare a sbattere la testa perché potrebbe accadere di tutto è difficile. È difficile perché le conseguenze di queste sensazioni distruggono le piccole cose. E le piccole cose sono la vita vera. Le relazioni si distruggono. Le amicizie si allontanano. Il sostrato sociale diventa cinico. Sono ben certa di non poter avere la possibilità di comprare una casa, a meno che non accetti l’aiuto della mia famiglia, e questo non è poi così grave, ma grave è la sensazione di non riuscire a tenere insieme gli affetti perché ognuno è costretto a decidere in base alle PROPRIE esigenze. Non ci si può più permettere di tenere conto delle esigenze degli altri. La difficoltà che può nascere nel gestire una relazione a distanza per motivi di lavoro può distruggere un amore o svilire le amicizie e porta ad una sorta di solitudine che allontana e separa le persone. E quando l’amore e l’affetto cominciano a soffrire di situazioni contingenti enormi e assolutamente ingestibili vuol dire che siamo arrivati alla fine. La nostra generazione è maledetta. Segnata fino alla fine.

Se la sinistra riparte da Atene

Gad Lerner su Repubblica, oggi, per una sfida che SEL non può perdere:

CO­STRET­TA a for­ni­re il suo ap­pog­gio de­ter­mi­nan­te a un go­ver­no di “uni­tà in­ter­na­zio­na­le”, cioè au­spi­ca­to dai ver­ti­ci del­l’e­co­no­mia mon­dia­le, la si­ni­stra ri­for­mi­sta in Gre­cia ap­pa­re or­mai pros­si­ma al­la can­cel­la­zio­ne.
Eco­sì, di fron­te al­la tec­ni­ca fi­nan­zia­ria che fa­go­ci­ta la si­ni­stra “re­spon­sa­bi­le”, a noi vie­ne da chie­der­ci: po­treb­be suc­ce­de­re an­che in Ita­lia? Trop­pi in­te­res­sa­ti so­spi­ri di sol­lie­vo han­no of­fu­sca­to l’e­si­to del vo­to gre­co. Sup­pon­go ne ab­bia ti­ra­to uno in­con­fes­sa­bi­le pu­re Ale­xis Tsi­pras, il lea­der del­la si­ni­stra ra­di­ca­le Sy­ri­za che ha qua­si rad­dop­pia­to i suoi vo­ti re­stan­do pe­rò al­l’op­po­si­zio­ne, co­me le è più con­ge­nia­le. Me­glio per Tsi­pras che go­ver­ni una coa­li­zio­ne gui­da­ta dal­la de­stra che pri­ma truc­cò i con­ti pub­bli­ci e poi ha as­se­con­da­to le ri­cet­te di­sa­stro­se im­po­ste dal­l’e­ste­ro a una po­po­la­zio­ne che in mag­gio­ran­za (con­tan­do gli aste­nu­ti) le ri­fiu­ta. Una po­la­riz­za­zio­ne che ha ri­dot­to al­l’ir­ri­le­van­za il Pa­sok, cioè il par­ti­to del so­cia­li­smo eu­ro­peo. Li­qui­dan­do co­me vel­lei­ta­ria l’a­spi­ra­zio­ne a una ri­for­ma de­mo­cra­ti­ca del­l’ar­chi­tet­tu­ra del­l’U­nio­ne, fon­da­ta sul­la sal­va­guar­dia dei di­rit­ti e de­gli in­te­res­si dei ce­ti po­po­la­ri.
Il dub­bio si è af­fac­cia­to ie­ri sul­la pri­ma pa­gi­na del­l’U­ni­tà: “Gioi­re per­ché vin­ce la de­stra?”. Ma for­se è trop­po tar­di: i cit­ta­di­ni ate­nie­si che fan­no la fi­la al­le men­se dei po­ve­ri e de­vo­no ri­nun­cia­re al­l’ac­qui­sto di far­ma­ci per i lo­ro fi­gli, non han­no ri­ce­vu­to nei me­si scor­si nes­su­na vi­si­ta di Hol­lan­de, Ga­briel, Ber­sa­ni, Pé­rez Ru­bal­ca­ba. So­spin­ti da un ec­ces­so di pru­den­za, i lea­der del­la si­ni­stra eu­ro­pea han­no pre­fe­ri­to la la­ti­tan­za, evi­tan­do di por­re la que­stio­ne gre­ca fra le prio­ri­tà di una po­li­ti­ca ri­for­mi­sta uni­ta­ria. Qua­si che la ban­ca­rot­ta di cui i gre­ci so­no vit­ti­me, ma, cer­to, an­che cor­re­spon­sa­bi­li, fos­se una di­sgra­zia pe­ri­fe­ri­ca da igno­ra­re in as­sen­za di so­lu­zio­ni rea­li­sti­che; e dun­que non ri­ma­nes­se che tra­smet­te­re la più mio­pe del­le ras­si­cu­ra­zio­ni: noi non cor­ria­mo il ri­schio di fi­ni­re co­me lo­ro. Ve­ro è che Ber­sa­ni ha di­chia­ra­to di ver­go­gnar­si per co­me l’Eu­ro­pa trat­ta la Gre­cia; ma quel sen­ti­men­to non si è an­co­ra tra­dot­to in mo­bi­li­ta­zio­ne po­li­ti­ca.
Non va di­men­ti­ca­to che pri­ma di ca­pi­to­la­re di fron­te al dik­tat emer­gen­zia­le del go­ver­no tec­ni­co di Pa­pa­de­mos, nel no­vem­bre 2011 il pre­mier so­cia­li­sta Geor­ge Pa­pan­dreou ave­va com­piu­to un estre­mo ten­ta­ti­vo: la con­vo­ca­zio­ne di un re­fe­ren­dum che suf­fra­gas­se at­tra­ver­so il re­spon­so del­la so­vra­ni­tà po­po­la­re la scel­ta di re­sta­re nel­l’eu­ro­zo­na, di­spo­sti a pa­gar­ne il prez­zo do­lo­ro­so. Quel­la pro­ce­du­ra de­mo­cra­ti­ca, che ave­va buo­ne chan­ces di ri­scuo­te­re il con­sen­so del­la cit­ta­di­nan­za, fu bloc­ca­ta nel vol­ge­re di po­che ore dal­la rea­zio­ne in­di­spet­ti­ta del­l’e­sta­blish­ment fi­nan­zia­rio e dei più au­to­re­vo­li sta­ti­sti eu­ro­pei. Con­fer­man­do la più spia­ce­vo­le del­le im­pres­sio­ni: l’in­com­pa­ti­bi­li­tà fra le re­go­le do­mi­nan­ti del­l’e­co­no­mia e le re­go­le, ad es­sa sot­to­mes­se, del­la de­mo­cra­zia. I teo­ri­ci del­l’e­stre­ma si­ni­stra (ma an­che del­la de­stra po­pu­li­sta) eb­be­ro co­sì mo­do di de­nun­cia­re che, sia pu­re con il gio­go del de­bi­to al po­sto de­gli eser­ci­ti, stia­mo vi­ven­do una nuo­va epo­ca co­lo­nia­le. Cioè che ab­bia­mo già su­bi­to la li­qui­da­zio­ne an­ti­ci­pa­ta del­l’u­nio­ne po­li­ti­ca con­fe­de­ra­le dei po­po­li eu­ro­pei. Quel ve­to, im­po­sto nel­la più to­ta­le la­ti­tan­za del­la si­ni­stra ri­for­mi­sta eu­ro­pea, se­gnò l’i­ni­zio del­la fi­ne del Pa­sok e spia­nò la stra­da al suc­ces­so di Sy­ri­za: una coa­li­zio­ne di for­ze del­la si­ni­stra ra­di­ca­le fa­vo­re­vo­le a in­fran­ge­re le nor­ma­ti­ve co­mu­ni­ta­rie; le cui com­po­nen­ti nei pros­si­mi gior­ni si scio­glie­ran­no per da­re vi­ta a un ine­di­to par­ti­to-mo­vi­men­to sot­to l’a­bi­le gui­da di Ale­xis Tsi­pras.
In ap­pa­ren­za un ta­le sce­na­rio ri­sul­ta dif­fi­cil­men­te re­pli­ca­bi­le in Ita­lia. Qui il di­sfa­ci­men­to del­la de­stra ber­lu­sco­nia­na e le­ghi­sta sem­bra fa­vo­ri­re una su­pre­ma­zia elet­to­ra­le del Par­ti­to De­mo­cra­ti­co e, al­la sua si­ni­stra, Ni­chi Ven­do­la non pa­re in­ten­zio­na­to per il mo­men­to a rom­pe­re l’u­ni­tà del cen­tro­si­ni­stra. Ta­le qua­dro pe­rò è re­so as­sai sdruc­cio­le­vo­le dal­l’ex­ploit del Mo­vi­men­to 5 Stel­le e dal­le ten­ta­zio­ni po­pu­li­ste no eu­ro che al­li­gna­no tra­sver­sa­li, ali­men­ta­te dal­la cri­si. Se in Gre­cia è An­to­nis Sa­ma­ràs di Nea De­mo­kra­tia a pren­de­re da de­stra le re­di­ni del go­ver­no con il Pa­sok e Si­ni­stra De­mo­cra­ti­ca in po­si­zio­ne su­bal­ter­na, il pro­ba­bi­le ter­re­mo­to elet­to­ra­le ita­lia­no po­treb­be de­ter­mi­na­re ri­sul­ta­ti ta­li da co­strin­ge­re an­che il no­stro Pae­se a ri­pro­por­re un al­tro go­ver­no di “uni­tà in­ter­na­zio­na­le” co­me scel­ta ob­bli­ga­ta. “Au­spi­ca­ta” dal­l’al­to. Co­me te­sti­mo­nia an­che la ri­for­ma del mer­ca­to del la­vo­ro che la si­ni­stra par­la­men­ta­re si ac­cin­ge a vo­ta­re con­tro­vo­glia — qua­si fos­se im­pos­si­bi­le pro­muo­ve­re un nuo­vo eu­ro­pei­smo d’im­pron­ta so­cia­le — i ri­for­mi­sti co­stret­ti a muo­ver­si sot­to det­ta­tu­ra tec­ni­ca non rie­sco­no da tem­po a rom­pe­re uno sche­ma che li pe­na­liz­za. Ma la po­li­ti­ca ob­bli­ga­ta a de­ro­ga­re dal­le pro­prie am­bi­zio­ni, sa­cri­fi­can­do i va­lo­ri in cui cre­de e i le­ga­mi so­cia­li che la vi­vi­fi­ca­no, fi­ni­sce per sof­fo­ca­re. L’e­sem­pio del so­cia­li­smo gre­co in­ca­pa­ce di rea­gi­re al­la sof­fe­ren­za del suo po­po­lo è lì a di­mo­strar­ce­lo. Co­sì, nel me­dio pe­rio­do, an­che nel no­stro Pae­se si ri­pro­por­reb­be­ro le spac­ca­tu­re in­ter­ne del­la si­ni­stra, a sca­pi­to del­le for­ze ri­for­mi­ste.
I lea­der del­la si­ni­stra te­de­sca, fran­ce­se, spa­gno­la e ita­lia­na che han­no di­ser­ta­to di fron­te al­la tra­ge­dia gre­ca, in­con­tra­no ogni gior­no nuo­vi osta­co­li sul­la via di una po­li­ti­ca dav­ve­ro eu­ro­pei­sta. Lo te­sti­mo­nia il re­cen­te con­gres­so del­la Spd che ha de­ci­so di pro­ce­de­re su­bi­to, d’in­te­sa con la Mer­kel, al­la ra­ti­fi­ca del Fi­scal Com­pact nel Par­la­men­to di Ber­li­no: un trat­ta­to che co­sì com’è esclu­de pos­si­bi­li­tà di de­ro­ghe per i Pae­si in­de­bi­ta­ti; né più né me­no “stu­pi­do” co­me già lo fu­ro­no i pa­ra­me­tri di Maa­stri­cht vio­la­ti tran­quil­la­men­te dai più for­ti ma im­po­sti ai de­bo­li in no­me di una con­ve­nien­za spac­cia­ta per vir­tù. Del re­sto, per pau­ra di per­de­re con­sen­si, i so­cial­de­mo­cra­ti­ci te­de­schi con­fer­ma­no an­co­ra og­gi il lo­ro ri­fiu­to de­gli eu­ro­bond. Co­me in tem­po di guer­ra, gli in­te­res­si pa­triot­ti­ci l’han­no vin­ta sul­l’in­ter­na­zio­na­li­smo pro­le­ta­rio.
Chi di fron­te al­l’in­co­gni­ta di un’e­co­no­mia al col­las­so vuo­le ali­men­ta­re di nuo­va lin­fa gli idea­li del­l’u­ni­tà eu­ro­pea e del­la giu­sti­zia so­cia­le, non può igno­ra­re più a lun­go l’a­go­nia del­la Gre­cia. O la si­ni­stra ri­co­min­cia da Ate­ne ca­pi­ta­le, o ri­schia di per­der­si.

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Al binario21 si scende dalla torre per costruire dignità

Oggi Stanislao è sceso dalla torre-faro del binario 21 ponendo fine all’occupazione di protesta per la soppressione dei treni notte (qui trovate tutte le puntate della storia).

E’ una vittoria dell’ostinazione e una lezione di lotta e dignità. Perché quando tutto questo era iniziato nessuna pensava che potesse finire così. Ed è anche una lezione di solidarietà sociale. E forse abbiamo le nostre colpe se le istituzioni non sono state in grado di “sentire” l’urgenza senza il gesto eclatante dei resistenti abbarbicati alla torre-faro.

Ora mancano trenta persone da ricollocare. E noi, certo, non mancheremo di arrivare fino in fondo.