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Lavoro

Laurea straccia?

Una giusta riflessione di Pietro BevilacquaQuello che gli abolizionisti e in generale i “riformatori neoliberisti”, ispiratori spesso di queste amenità, non considerano è che le Università italiane non sono state create semplicemente per consentire ai cittadini di accedere ai concorsi, ma incarnano un percorso di formazione. Sono un patrimonio pubblico, che si è consolidato nel tempo, che è fatto della storia delle varie discipline scientifiche, delle diverse scuole accademiche, dei saperi, delle norme e dottrine destinate a formare le classi dirigenti del paese. Le università, da noi più che altrove, sono la sede storica delle diverse comunità scientifiche. In questo grande collettivo di studi si sono formati e si vanno formando non solo dei professionisti, ma il corpo intellettuale della nazione, con la sua identità e i suoi valori condivisi. Qui risiede la legalità, nel senso più alto, dei saperi che il nostro paese produce con la sua straordinaria e creativa operosità. Che senso ha, dunque, smembrare questo patrimonio in cui una parte estesa degli italiani riconosce le sue conquiste più alte? Che senso ha svalutare un lascito straordinario del nostro passato, ingiustamente vilipeso negli ultimi tempi per episodi certamente gravi di corruzione, ma che solo il moralismo indiscriminato e il neoliberismo interessato hanno potuto trasformare in una generale svilimento del nostro sistema formativo? 

La migliore risposta a Martone

È di un ventottenne sfigato non laureato. Ed è anche un bel suggerimento di politica. Io non sono nessuno, non rappresento nessuno, non faccio parte di nessuna associazione studentesca, sindacale, di protesta, nessun movimento, nessuna avanguardia. Eppure nelle vene dell’Italia pulsa un sangue fatto di un esercito di ragazzi e ragazze come me, senza genitori ai ministeri o ai comuni o alle province. Ragazzi che non faranno i notai perché i genitori sono notai, non faranno i medici perché i genitori sono medici, non faranno come i figli di avvocati che nonostante abbiano la facoltà di giurisprudenza nella loro città vanno a studiare fuori, in una Università più “facile” perché tanto poi hanno lo studio di famiglia con la scrivania e la targhetta già pronta. Nei treni regionali lavati da cima a fondo con UN secchio e UNO straccio con me ci sono migliaia, MIGLIAIA di persone che partono da casa col buio e tornano a casa con lo stesso buio, che fanno del treno il loro ufficio, la loro sala da pranzo, il loro luogo di studio. Persone che, come me, restano “intrappolati” in un treno nuovo di zecca in mezzo alla campagna senza che il personale dia loro una spiegazione e, dopo tre quarti d’ora vengono fatti scendere nella stazione di Cerignola Campagna al saluto di: “Prendente i prossimi treni che passeranno, non sappiamo quali”.
Il prete anti camorra Don Aniello Manganiello qualche giorno fa è venuto nella mia città per parlarci della sua esperienza a Scampia dicendo che il senso della politica è chiedersi “Cosa si può fare per risolvere questo?” , “Come usciamo da questo problema?” e non dire “Se a 28 non sei laureato sei uno sfigato”. Puntare il dito verso chi è rimasto indietro non è un comportamento da tenere in una società civile e democratica, è un comportamento da giungla. Berlusconi poco prima di farsi da parte ebbe il tempo di dire, a proposito della crisi: “In Italia i ristoranti sono pieni”. Sì, sono pieni da laureati e laureandi che fanno i camerieri.
La lettera completa su Repubblica.

Contro le “dimissioni in bianco”

Chi ha paura di una legge contro le dimissioni in bianco? Evidentemente, parecchi. Si chiamano così quelle lettere di dimissioni che vengono imposte alle donne al momento dell’assunzione per potersene sbarazzare caso mai rimanessero incinte. La procedura ovviamente è illegale, ma esiste. Nel 2007 (prima firmataria Marisa Nicchi dell’allora Sinistra Democratica) fu approvata una legge che imponeva alle aziende di utilizzare per le dimissioni un modulo numerato e a scadenza. Nel 2008 il primo decreto del governo Berlusconi sullo sviluppo la abrogò. Ora un ampio arco di forze che va dai sindacati alle Acli sta lavorando per farla riapprovare. Prima, si pensava di doversi imbarcare nella presentazione di una legge popolare, poi la nomina al Welfare di Elsa Fornero ha riacceso le speranze. Alla ministra è stata inviata una lettera aperta: farà qualcosa? Noi intanto (nel nostro piccolo) presentiamo una mozione. Voi fate passare parola.

Il lavoro, Marchionne, i tecnici e gli esperti

Di José Saramago, scritta l’11 novembre 2009. E sembra oggi.

La gravissima crisi economica e finanziaria che sta agitanto il mondo ci porta l’angosciosa sensazione di essere arrivati alla fine di un’epoca senza che si intraveda come e cosa sarà quella che ci aspetta.

Cosa facciamo noi che assistiamo, impotenti, all’oppressivo avanzamento dei grandi potentati economici e finanziari, avidi nell’accaparrarsi più denaro possibile, più potere possibile, con tutti i mezzi legali o illegali a loro disposizione, puliti o sporchi, onesti o criminali?

Possiamo lasciare l’uscita dalla crisi nelle mani degli esperti? Non sono precisamente loro, i banchieri, i politici di livello mondiale, i direttori delle grandi multinazionali, gli speculatori, con la complicità dei mezzi di comunicazione, quelli che, con l’arroganza di chi si considera possessore della conoscenza ultima, ci ordinavano di tacere quando, negli ultimi trent’anni, timidamente protestavamo, dicendo di essere all’oscuro di tutto, e per questo venivamo ridicolizzati? Era il periodo dell’impero assoluto del Mercato, questa entità presuntuosamente auto-riformabile e auto-regolabile incaricata dall’immutabile destino di preparare e difendere per sempre e principalmente la nostra felicità personale e collettiva, nonostante la realtà si preoccupasse di smentirla ogni ora che passava.

E adesso, quando ogni giorno il numero di disoccupati aumenta? Finiranno finalmente i paradisi fiscali e i conti cifrati? Si indagherà senza remore sull’origine di giganteschi depositi bancari, di ingegneria finanziaria chiaramente illecita, di trasferimenti opachi che, in molti casi, altro non sono che grandiosi riciclaggi di denaro sporco, del narcotraffico e di altre attività delinquenziali? E le risoluzioni speciali per la crisi, abilmente preparate a beneficio dei consigli di amministazione e contro i lavoratori?

Chi risolve il problema della disoccupazione, milioni di vittime della cosiddetta crisi, che per avarizia, malvagità o stupidità dei potenti continueranno a essere disoccupati, sopravvivendo temporaneamente con i miseri sussidi dello Stato, mentre i grandi dirigenti e amministratori di imprese condotte volontariamente al fallimento godono dei milioni coperti dai loro contratti blindati?

Quello che si sta verificando è, sotto ogni aspetto, un crimine contro l’umanità e da questa prospettiva deve essere analizzato nei dibattiti pubblici e nelle coscienze. Non è un’esagerazione. Crimini contro l’umanità non sono soltanto i genocidi, gli etnocidi, i campi della morte, le torture, gli omicidi collettivi, le carestie indotte deliberatamente, le contaminazioni di massa, le umiliazioni come modalità repressiva dell’identità delle vittime. Crimine contro l’umanità è anche quello che i poteri finanziari ed economici, con la complicità esplicita o tacita dei governi, freddamente perpetrano ai danni di milioni di persone in tutto il mondo, minacciate di perdere ciò che resta loro, la loro casa e i loro risparmi, dopo aver già perso l’unica e tante volte già magra fonte di reddito, il loro lavoro.

Dire “No alla Disoccupazione” è un dovere etico, un imperativo morale. Come lo è denunciare il fatto che questa situazione non la generano i lavoratori, che non sono i dipendenti che devono pagare per la stoltezza e gli errori del sistema.

Dire “No alla Disoccupazione” è arrestare il genocidio lento ma implacabile a cui il sistema condanna milioni di persone. Sappiamo di poter uscire da questa crisi, sappiamo di non chiedere la luna. E sappiamo di avere la voce per usarla. Di fronte all’arroganza del sistema, invochiamo il nostro diritto alla critica e alla protesta. Loro non sanno tutto. Si sono ingannati. Si sono sbagliati. Non tolleriamo di essere le loro vittime.

Morti di lavoro

Altre quattro vittime sul più sanguinario punto del contratto dei lavoratori: la morte come se nulla fosse. Stancandosi sul serio di tutto questo misero cordoglio che si ferma ai comunicati stampa potrà essere una priorità sul serio? Con condanne certe, pene non tiepide e controlli seri? Perché essere commissariati dall’Europa per politica economica è già una desolazione ma meritarsi una procedura d’infrazione per la sicurezza sul lavoro ha il sapore dell’omicidio colposo.

Con i lavoratori di Telereporter

“Esprimiamo tutta la nostra solidarietà ai lavoratori del gruppo Profit, l’azienda proprietaria dei canali televisivi Odeon, Telereporter e Telecampione. Oggi sono in sciopero. E da lunedì lo riprenderanno a oltranza se  l’azienda non risponderà alle loro richieste. Dopo due anni e mezzo di crisi e una prima tornata di licenziamenti, ieri è arrivato l’annuncio della mancata approvazione del piano industriale da parte delle banche con la conferma di tutte le procedure di esubero – e addirittura la possibilità di un loro aumento –  oltre agli attuali arretrati di tre stipendi più 18 mensilità di ticket e 12 di rimborsi spesa. Già qualche mese fa avevamo interessato il presidente Davide Boni, con il quale si era riusciti a alzare l’attenzione sulla vicenda, chiedendo a Formigoni e ai suoi assessori di intervenire e dare risposte concrete. A questo punto, dobbiamo pensare che, nonostante l’impegno del Consiglio, la Giunta non riesca a essere interlocutore credibile per pretendere un piano industriale di rilancio condiviso. Per quanto ci riguarda, torneremo senz’altro a porre la questione”.

Finché siamo in scena siamo vivi

Nella loro città, a Minsk, erano costretti a fare i loro spettacoli in segreto. Per sapere delle rappresentazioni, lo spettatore doveva trovare il numero di casa del manager del loro teatro, lasciare il prorpio nome e numero di telefono. Dunque aspettare di ricevere la telefonata con il nome del luogo d’incontro e da lì avviarsi tutti assieme verso la performance. “Una procedura complicata ma necessaria sotto una dittatura come quella di Lukashenko. Essere identificati come oppositori vuol dire essere perseguitati, controllati, arrestati. Quasi tutti i nostri attori, il nostro manager hanno perso il lavoro e nonostante in Bielorussia ci siano 27 teatri statali, tutti sotto il ministro della Cultura, nessuno di loro ha mai trovato un nuovo posto. Mio marito è stato nascosto a lungo in un paesino fuori Minsk per non essere arrestato. Questo è il mio paese”. Belarus Theatre, la più famosa compagnia teatrale della Bielorussia“Secondo me ogni persona vuole vivere una vita piena di goia, senza problemi. Nel caso mio e di mio marito è ancora più semplice: se i tuoi amici vengono ammazzati, torturati, non c’è scelta. Devi continuare a fare ogni cosa per salvar loro la vita”.

I nuovi poveri

Milano, 31 OTT – Non basta più il lavoro anche quando c’e’, e a tempo pieno, per arrivare alla fine del mese: e’ il risultato più’ evidente della crisi che emerge dal decimo Rapporto dell’Osservatorio diocesano della poverta’ e delle risorse nella Diocesi di Milano, stilato sulla base dei dati relativi agli utenti di 59 centri di ascolto della Caritas nella diocesi di Milano e dei servizi Sai (servizio accoglienza immigrati) Sam (servizio accoglienza milanese) e Siloe (servizi integrati lavoro orientamento educazione) nell’anno 2010. Il Rapporto è stato presentato stamani dalla Caritas ambrosiana che si trova sempre di più a dover rispondere a richieste di aiuto economico perche’ “gli utenti che non riescono a far quadrare il bilancio familiare anche quando hanno un impiego, sono passati in tre anni dal 30 al 50%”. Oltre a segnalare l’ascesa della categoria dei “working poors”, così i sociologi hanno gia’ battezzato quei cittadini che pur lavorando hanno difficolta’ economiche, lo studio presentato stamani ha voluto misurare gli effetti della crisi sui propri utenti. Aumentate del 10,7% rispetto al 2007, le persone che si sono rivolte ai centri di ascolto sono sempre più uomini, che raggiungono il 35,8%, e sempre più italiani che rappresentano il 26,4% degli utenti totali. In calo, invece, gli irregolari che costituiscono solo il 7,8% dei richiedenti aiuto.  Col variare delle tipologie di utenti, sono variate anche le richieste: nonostante il lavoro continui ad essere la necessita’ principale, con il 51,6%, aumentano di un quarto coloro che richiedono beni materiali e servizi, raggiungendo quasi un terzo degli utenti, e raddoppiano coloro che necessitano sussidi economici, nel 2010 sono l’11,2% degli utenti. Sta alla politica, soprattutto, far fronte a queste nuovi fenomeni dovuti alla crisi, secondo don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana, che ha osservato come “dalla storia di queste persone emerge rassegnazione e mancanza di prospettive”. Crisi a parte, nel rapporto presentato stamane viene tracciato anche un identikit dell’utente tipico del campione dei 59 centri d’ascolto in cui e’ stata svolta l’indagine, un sesto del totale.  Nel corso del 2010 delle oltre 17mila persone che hanno bussato alla porta della Caritas Ambrosiana i due terzi sono donne e un terzo ha meno di 35 anni. La maggior parte, inoltre, e’ straniera, soprattutto proveniente da Peru’, Marocco, Ecuador, Romania e Ucraina, e il 26,2% di questi si trova in Italia da meno di 5 anni.  Sono più numerose le donne separate che gli uomini ma, al di la’ del genere, la maggior parte degli utenti e’ coniugato, il 49%, e spesso con uno o due figli a carico. Quanto a titolo di studio la laurea e’ rara, 7,5%, il più’ comune e’ invece la licenza media inferiore anche se la valutazione relativa alla popolazione straniera puo’ risultare sfalsata dalla difficolta’ di equiparazione e convalida delle qualifiche acquisite nel paese di origine.